Sicilia Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 22 Sep 2023 11:33:06 +0000 it-IT hourly 1 Ciàula scopre la luna, novella di Pirandello: riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/ciaula-scopre-la-luna-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/ciaula-scopre-la-luna-riassunto/#respond Wed, 15 Jun 2022 06:34:53 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25365 Ciàula scopre la luna” è il titolo di una della “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello. Una collezione di oltre duecentocinquanta storie scritte dal premio Nobel siciliano fra il 1884 e il 1936. Della collezione fa parte anche la novella La giara, trattata in un precedente articolo. Il tema della novella che andiamo ad analizzare qui, si potrebbe sintetizzare con le parole: la grandezza della natura rivelata.

Ciàula scopre la luna
Ciàula scopre la luna

Trama: la miniera, la “cornacchia” e l’estatica scoperta

Lo sfondo di questa novella è un miniera di zolfo in Sicilia. Nella miniera si muovono indefessi decine di lavoratori sotto l’occhio severo del sorvegliante Cacciagallina. Fra i lavoratori ci sono anche Zi’ Scarda e Ciàula.

Ciàula è soprannominato così perché emette un verso simile a quello delle cornacchia (ciàula nel dialetto siciliano) si riferisce in tutto e per tutto a Zi’ Scarda. Questi fa e disfa a suo piacimento del […] suo caruso (bambino in siciliano), che aveva più di 30 anni (e poteva averne anche 7 o 70, scemo com’era), approfittando della sua ingenuità ai limiti della menomazione mentale.

Accade che il lavoro alla miniera non è compiuto al solito orario di uscita e, così, Cacciagallina intima i lavoratori ad un turno di notte. La maggior parte degli operai disattende questa incitazione fatta eccezione proprio per Zi’ Scarda con annesso Ciàula che non oppone alcuna resistenza. Il caruso si prepara a lavorare come un mulo, ma in cuor suo sa che qualche cosa è differente dal lavoro giornaliero: adesso ad attenderlo alla risalita dalla miniera non sarà il solito sole accecante.

Cosa strana; della tenebra fangosa delle profonde caverne […] Ciaula non aveva paura; né paura delle ombre mostruose, che qualche lanterna suscitava a sbalzi lungo le gallerie […] toccava con la mano in cerca di sostegno le viscere della montagna: e ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno. Aveva paura, invece, del bujo vano della notte.

Ciàula carico come un mulo, col suo sacco di zolfo sulle spalle, intraprende la risalita e quello sforzo gli allontana il pensiero dall’incombente incontro con la vacuità della notte. Quando però il buio si avvicina, tutto cambia.

La paura lo aveva assalito […] Si era messo a tremare […] Il bujo, ove doveva esser lume, la solitudine delle cose che restavan lì con un loro aspetto cangiato e quasi irriconoscibile, quando più nessuno le vedeva, gli avevano messo in tale subbuglio l’anima smarrita, che Ciaula s’era all’improvviso lanciato in una corsa pazza […].

Ciàula scopre la luna

In un climax ascendente di narrazione e sensazioni, arriviamo al confronto con il buio e alla scoperta della Luna in cielo. Avviene, grazie alla penna di Pirandello, in un passaggio della letteratura perfetto, in fatto di parole ed emozioni mescolate mirabilmente.

Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Si, egli sapeva cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciaula, che in cielo ci fosse la Luna?
[…]

Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… […] E Ciaula si mise a piangere senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.

Commento all’opera

Ciàula, l’assenza di consapevolezza per restituire la bellezza della natura

La trama è semplice e il commento è tutto direzionato, certamente, alla critica relativa alle condizioni lavorative nel Meridione alla fine dell’Ottocento. Una macchina mangia uomini che poco tempo perdeva a discernere per età o per caratteristiche mentali. Tutte le braccia erano braccia buone, persino quelle di Ciàula.

Eppure la scelta di Pirandello di questo particolare protagonista si fa sostegno primario alla narrazione. Proprio l’assenza di consapevolezza di Ciaula sarà il giusto campo dove seminare lo stupore per la natura tutta. Un’operazione che riesce alla perfezione in doppio rimbalzo. In primis, nel piccolo discorso, cioè, del lavoratore che sempre fatica a testa bassa e nell’oscurità del suo antro per poi sconvolgersi completamente alla vista della Luna, al punto da rispondere subitaneamente con una riflessione indiretta di grande portata filosofica.

La scoperta della Luna, cioè, eleva Ciaula da bestia lavoratrice ad essere umano capace di stupirsi e piangere. Ciàula si sente piccolo in confronto alla Luna ignara delle umane vicende. E così la scelta pirandelliana compie un passo in più parlando all’intera umanità come solo la letteratura eterna sa fare.

In poche pagine tutti siamo Ciàula, nelle nostre limitazioni mentali e sensoriali, nelle gabbie della nostra vita quotidiana. E come Ciàula piangiamo alla scoperta di appartenere a qualcosa di più grande e più magico. Con Ciàula andiamo in estasi nel perdere la nostra dimensione di semplici bestie lavoratrici per spingerci, in quanto e infine, parte di essa stessa, al cospetto della grandezza della natura tutta che si rivela a noi, violenta e totalizzante da lasciar senza parole.

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Colapesce: la leggenda https://cultura.biografieonline.it/colapesce-leggenda/ https://cultura.biografieonline.it/colapesce-leggenda/#comments Wed, 08 Jun 2022 21:50:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=32137 Colapesce: una leggenda, tante varianti

Quella di Colapesce è una leggenda diffusa nell’Italia meridionale. Le origini di questa storia risalgono al XII secolo. Esistono alcune varianti: le più note sono quelle siciliana e napoletana.

Colapesce leggenda
La leggenda di Colapesce (Illustrazione)

La leggenda siciliana di Colapesce

La versione più celebre della leggenda di Colapesce è quella di Messina. La storia racconta di Nicola, o Cola di Messina, figlio di un pescatore. Cola passava moltissimo tempo in mare, tanto che divenne un nuotatore abilissimo nelle immersioni. Soprannominato Colapesce, quando faceva ritorno dalle sue tante immersioni in mare, si soffermava a raccontare a tutti le meraviglie viste. Qualche volta riportava sulla terra dei veri e propri tesori.

La fama del pescatore messinese arrivò al re di Sicilia ed imperatore Federico II di Svevia; il re decise di metterlo alla prova. Assieme alla sua corte si recò in mare a bordo di un’imbarcazione e buttarono in acqua una preziosa coppa. Colapesce recuperò l’oggetto facilmente. Il re gettò allora la sua corona in un punto più profondo del precedente. Colapesce si immerse e recuperò la corona. Per una terza prova il re gettò in mare un oggetto prezioso ancora più piccolo in un posto ancora più profondo: un anello. Colapesce in questa occasione non riemerse più.

La versione di Italo Calvino

Questa leggenda è stata trascritta e rielaborata da Italo Calvino. Nella versione (Colapisci) di Calvino, per il lungo tempo che passava in mare, la madre sgridava Cola:

– Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce?

Un giorno la madre, stanca di riprenderlo sempre a gran voce gli lanciò una maledizione:

– Cola! Che tu possa diventare un pesce!

In questa versione l’imperatore chiese a Cola di fare un giro subacqueo della Sicilia per poi tornare a fargli rapporto. Colapesce dopo la sua esplorazione raccontò che in fondo al mare c’erano montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie. Aveva però avuto paura passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo.

Messina è fabbricata su uno scoglio, e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.

Il re curioso di sapere quanto era profondo il punto pericoloso del faro, spinse Colapesce a immergersi per recuperare la sua corona.
Colapesce, conscio del pericolo, chiese di avere delle lenticchie in modo che se non fosse più riemerso, sarebbero riemerse le lenticchie. E così accadde.

Colapesce sorregge la Sicilia

Un altra versione molto diffusa narra che, delle 3 colonne che sorreggono la Sicilia, una è pericolante: in una versione è pericolosamente segnata dal tempo, in un’altra ancora, la colonna è consumata dal fuoco dell’Etna. In entrambe queste storie Colapesce decise di restare sott’acqua sorreggendo egli stesso la colonna, per evitare che la Sicilia sprofondasse. Ancora oggi Colapesce si troverebbe lì a reggere l’isola e ogni 100 anni riemerge per rivedere la sua amata terra.

La variante catanese

In una variante catanese della leggenda, Colapesce vide il fuoco sotto l’isola; lo stesso fuoco che alimentava il vulcano. L’imperatore chiese una prova: Cola si tuffò con un pezzo di legno, ma non fece più ritorno. Il legno invece tornò in superficie bruciato.

La versione napoletana: Pesce Nicolò

Nella tradizione napoletana, Cola (Nicola) Pesce, o Pesce Nicolò, è un ragazzo maledetto dalla madre per le sue continue immersioni. Finisce per diventare esso stesso pesce e squamarsi. Cola cercava rifugio nel mare, usando il corpo di grossi pesci dai quali si faceva inghiottire, per uscire all’arrivo tagliandone il ventre.

Questa storia trae origine dal culto tardo pagano dei figli di Nettuno, ossia dei sommozzatori dotati di poteri magici, in grado di trattenere il respiro in apnea per poterne carpire i tesori e i segreti. Essi acquistavano tali poteri magici accoppiandosi con misteriosi esseri marini (probabilmente le foche monache) e con l’aiuto della sirena Partenope.

L’origine della leggenda è sostenuta da Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane.

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Lo sbarco in Sicilia https://cultura.biografieonline.it/sbarco-in-sicilia/ https://cultura.biografieonline.it/sbarco-in-sicilia/#comments Sun, 03 Apr 2022 07:14:22 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14524 Lo sbarco in Sicilia avvenne dopo la mezzanotte del 10 luglio 1943. Forze statunitensi, inglesi e canadesi sbarcarono tra Licata e Cassibile, vicino a Siracusa, invadendo 160 km di costa. Gli uomini impiegati nell’invasione della Sicilia furono 180.000. Fu il più grande sbarco mai realizzato in un solo giorno.

Lo sbarco in Sicilia
Lo Sbarco in Sicilia avvenne il 10 luglio 1943

I motivi dell’operazione militare

I motivi che spinsero gli alleati a decidere l’apertura di un secondo fronte in Europa, furono figli di un compromesso difficile. Stalin fu la causa principale di questa decisione. Il dittatore russo pretendeva, a ragione, di avere un sostegno più deciso da parte degli alleati.

Durante gli ultimi tre anni di guerra l’Unione Sovietica aveva subito più perdite di tutti; chiedeva da tempo l’intervento di Stati Uniti e Inghilterra in Europa per alleggerire il suo impegno. Inglesi e americani non erano d’accordo su come creare un secondo fronte. I primi preferivano sviluppare una serie di battaglie per distrarre truppe e mezzi dei nazisti, mentre gli americani preferivano concentrare l’attacco su un unico luogo.

Fu scelta la Sicilia, dopo un ampio dibattito, perché lo Stato Maggiore Usa voleva conquistare l’Italia raggiungendone il nord e da lì entrare in Germania. L’Alto Comando sovietico pensava, invece, che la guerra in Italia avrebbe costretto Hitler a spostare molte truppe dal fronte orientale e l’Inghilterra riteneva che la penisola fosse un luogo non troppo importante ma ugualmente necessario per sperimentare un primo massiccio attacco in Europa.

Lo sbarco in Sicilia - soldato con guida
Lo sbarco in Sicilia: soldato con guida

La Sicilia era anche un territorio facile dal punto di vista militare perché, malgrado ci fossero circa 250.000 soldati tedeschi e italiani, le strade erano talmente dissestate che il primo sbarco non avrebbe trovato una grande resistenza e i rinforzi e i rifornimenti avrebbero impiegato troppo tempo per dare manforte alle linee di difesa. In realtà la guerra in Italia avrebbe avuto problematiche ben diverse, ritardando di molto mesi i piani alleati.

Lo sbarco in Sicilia: operazione Husky

Il nome in codice dello sbarco fu: operazione Husky. La prima parte dell’invasione avvenne dal cielo.

Furono lanciati duemila paracadutisti americani e altrettanti paracadutisti inglesi, che non riuscirono però a raggiungere, a causa delle condizioni meteorologiche, gli obiettivi che gli erano stati assegnati. Il loro scopo era neutralizzare le difese dei ponti e di alcuni punti strategici per permettere poi ai soldati, che sarebbero sbarcati sulle spiagge, di procedere verso le principali città della Sicilia.

Gli americani furono sparpagliati fra Gela e Siracusa e dovettero impiegare più tempo per raggiungere i punti che gli erano stati assegnati.

Lo sbarco in Sicilia - schema
Operazione Husky – schema

Anche gli inglesi furono presi alla sprovvista dal forte vento.

Nel loro caso esso influì ancora di più sullo spostamento dagli obiettivi, perché i paracadutisti britannici utilizzarono gli alianti per approdare in Sicilia.

L’uso degli alianti

Gli alianti, come è noto, sono aerei senza motore; essi vengono trasportati da altri aerei vicino al punto in cui devono atterrare; poi vengono sganciati per farli planare con una libertà di manovra limitata da parte del pilota.

Pertanto, il vantaggio di poter volare silenziosamente era controbilanciato dallo svantaggio di non poter controllare il velivolo. E con un vento forte il risultato fu disastroso.

Molti alianti caddero in mare e affondarono, altri non riuscirono a raggiungere gli obiettivi. Solo dodici atterrarono nei punti sensibili che gli erano stati assegnati. Uno di questi obiettivi fu il Ponte Grande sul fiume Anapo. Gli inglesi riuscirono a raggiungerlo e a conquistarlo nell’attesa che arrivassero le truppe che stavano sbarcando sulle spiagge. Mentre, infatti, i paracadutisti combattevano contro i soldati italiani e tedeschi, 2.500 navi sbarcavano 180.000 soldati.

Lo sbarco in Sicilia - soldato con mulo
Lo sbarco in Sicilia – soldato con mulo

Gli alleati, benché inferiori numericamente rispetto ai loro nemici, disponevano di un numero di mezzi nettamente superiore. Tuttavia, il forte vento aveva reso il mare mosso e lo sbarco si era complicato; inoltre, le truppe sbarcate avevano raggiunto punti errati della costa e questo aveva ritardato l’arrivo dei rinforzi che i paracadutisti stavano attendendo. A est, comunque, le truppe inglesi e canadesi riuscirono a sbarcare tutte e, dopo il caos organizzativo, riuscirono a raggiungere i paracadutisti.

A Gela, invece, gli americani trovarono una forte resistenza militare. Benché la conquista della città fu ottenuta rapidamente, le truppe italiane poste sulle colline e rafforzate dai tedeschi non si arresero facilmente. Gli italiani combatterono tutto il giorno, creando non pochi problemi alle truppe americane.

Solo alla fine della giornata, e malgrado i rinforzi tedeschi, dovettero ripiegare. A est, gli inglesi combatterono valorosamente ma furono colpiti duramente dagli italiani che, dopo un’iniziale confusione, dimostrarono un forte spirito combattivo.

Conclusioni

La sera del 10 luglio 1943 tutti gli obiettivi che gli alleati si erano prefissati furono raggiunti. Tuttavia, i morti furono molti di più rispetto a quelli che erano stati preventivati. I tedeschi dimostrarono fin da subito che non avevano alcuna intenzione di arrendersi. Già, quindi, da questa prima giornata di combattimenti fu abbastanza chiaro che la guerra in Italia sarebbe durata a lungo: molto di più di quello che avevano pianificato gli Stati Maggiori alleati.

Sbarco in Sicilia - carro armato
Un carro armato in una delle strette vie dei paesi siciliani

La Sicilia costò agli alleati 25.000 morti e l’impiego di 15.000 mezzi corazzati. La Sicilia fu conquistata dopo cinque settimane di combattimento. In seguito, si capì che questo fronte non era fondamentale per la guerra ma che, invece, fu la causa dell’arresto di Benito Mussolini e della sua sostituzione con il maresciallo Badoglio, che ordinò il passaggio dell’Italia da alleato dei tedeschi ad alleato degli inglesi e degli americani.

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Peppino Impastato: storia di depistaggi e carte scomparse https://cultura.biografieonline.it/peppino-impastato-storia-depistaggi/ https://cultura.biografieonline.it/peppino-impastato-storia-depistaggi/#respond Sat, 09 May 2020 12:27:04 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29070 “L’ansia dell’uomo che muore”

Dalle poesie di Peppino Impastato al suo lavoro contro la mafia, al suo omicidio avvenuto per mano mafiosa il 9 maggio 1978. In questo articolo si raccontano le storie di depistaggi, di carte scomparse, di una vita negata.

Appartiene al suo sorriso

L’ansia dell’uomo che muore,

al suo sguardo confuso

chiede un po’ di attenzione,

alle sue labbra di rosso corallo

un ingenuo abbandono,

vuol sentire sul petto

il suo respiro affannoso;

è un uomo che muore.

Sono versi scritti da Peppino Impastato, raccolti in un libro dal titolo “Amore non ne avremo” a cura di Guido Orlando e Salvo Vitale.

Peppino Impastato
Peppino Impastato

L’omicidio di Cinisi

Sono passati oltre 40 anni dal suo omicidio tra depistaggi e carte scomparse. Era il 9 maggio 1978. Peppino era un giovane militante che aveva puntato il dito contro la mafia. Per questo veniva massacrato per conto del boss Gaetano Badalamenti a Cinisi, un paese della provincia di Palermo. Aveva fondato una radio indipendente, Radio Aut, e combatteva il boss con la cultura e la politica. La sua è una storia di ribellione. La ribellione contro Cosa nostra.

Chi era Peppino Impastato: storie di indagini e archiviazioni

Figlio e nipote di mafiosi, Peppino Impastato era nato e cresciuto nella stessa strada in cui abitava Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi (paese in provincia di Palermo) che poi sarà condannato all’ergastolo per l’omicidio del “ribelle” ma solo in primo grado: Tano Seduto, così lo chiamava Peppino dai microfoni di Radio Aut, sarebbe morto prima della Cassazione.

Infatti per arrivare alla sentenza della corte d’Assise su Badalamenti ci sono voluti 24 anni (2002). Quella di Peppino doveva essere la storia di un pazzo, un terrorista che voleva far esplodere la ferrovia. Doveva essere una morte accidentale in terra di Sicilia. Ma cinque indagini, la condanna per il boss di Cosa nostra Tano Badalamenti in primo grado e due richieste d’archiviazione per i carabinieri di Antonio Subranni, non sono servite a scrivere la verità sull’omicidio di Peppino; fu ucciso a Cinisi nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978.

Un mistero italiano

Quello che rimane è la relazione dell’Antimafia che parla di “patti” tra mafiosi e esponenti dello Stato. Insomma un’altra pista che conduce ad uno dei misteri italiani.

Resta una domanda.

Perché gli uomini del generale Antonio Subranni avrebbero depistato le indagini sull’omicidio di Cinisi?

Su questo non esiste alcuna sentenza, ma addirittura una richiesta di archiviazione per il generale, ex numero uno del Ros, che nell’aprile 2018 è stato condannato a dodici anni alla fine del processo sulla Trattativa Stato – mafia.

L’accusa del pentito Francesco Di Carlo

A mettere nero su bianco il suo nome è il pentito Francesco Di Carlo: “Gaetano Badalamenti – ha raccontato il collaboratore –  spingeva Nino e Ignazio Salvo per parlare col colonnello. Dopo poco tempo mi ha detto: no, la cosa si è chiusa. Non spuntava più niente nei giornali per un periodo, era stata archiviata”.

Ben due volte, tuttavia, la procura di Palermo ha chiesto al gip di chiudere l’inchiesta su Subranni, per lui l’accusa di favoreggiamento, e su Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo, accusati invece di falso.

Il motivo della richiesta di archiviazione?

Su quei reati è ormai subentrata la prescrizione.

L’ultima richiesta d’archiviazione: giugno 2016

L’ultima richiesta d’archiviazione risale al giugno del 2016. Dal 2016 quindi si attende che un gip decida cosa fare su quest’indagine riaperta nel 2010 dal sostituto procuratore Francesco Del Bene, e dopo portata avanti anche dai pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia.

Si tratta dell’ultima inchiesta sul caso Impastato e ripercorre dettagliatamente ciò che fecero i carabinieri per evitare ad ogni costo di battere la pista mafiosa.

A mettere in ordine tutta la fila dei depistaggi, avvenuti già a partire dalla scena del delitto, è stato il centro Impastato – autore già nel 1994 della prima domanda di riapertura dell’inchiesta – e poi approdato sul tavolo della commissione parlamentare Antimafia.

Quel sasso macchiato di sangue

E’ il 1978. I carabinieri non si accorgono – arrivati nelle campagne tra Cinisi e Terrasini che sul luogo del delitto c’è un grande sasso macchiato di sangue. Trovano il corpo di Peppino Impastato legato al binario.

Una scena che doveva servire ai killer a “vestire il pupo” in modo che sembrasse un terrorista morto suicida.

La prima informativa dei carabinieri è priva di quel sasso macchiato di sangue. A trovare il sasso invece – alcune ore dopo – sono i compagni di Peppino Impastato.

Non sono stati sentiti i testimoni oculari, perché la pista mafiosa è stata esclusa a priori. La teste chiave, Provvidenza Vitale, non è stata mai sentita.

Eppure lei è la casellante di turno al passaggio a livello di Cinisi quella notte in cui Peppino viene assassinato. Pare che per 32 anni nessuno sia riuscito a trovarla. Eppure la donna non si è mai allontanata dalla sua abitazione di Terrasini, paese attaccato a Cinisi.

Sui verbali dei carabinieri solo una parola: “irreperibile”.

Ad interrogarla, nel 2011, ci pensa invece il pm Del Bene, ma i ricordi dell’assassinio sono ormai lontani, la donna è anziana.

La relazione della commissione antimafia

La commissione antimafia nel 2000 scrive:

“Giuseppe Impastato sfidò la mafia in un territorio in cui si era stabilito un  sistema di relazioni tra segmenti degli apparati dello Stato e mafiosi molto potenti; un sistema di relazioni che, in quegli anni, può essere rinvenuto anche in altri territori, teso, spesso illusoriamente, alla cattura, per via confidenziale, di alcuni capimafia, all’apporto che queste relazioni potevano dare ad alcuni filoni di indagine o, comunque, ad una pacifica convivenza per un tranquillo controllo della zona”

la firma è del relatore Giovanni Russo Spena.

“È anche del tutto probabile – continua Spena – che Badalamenti abbia avuto dei rapporti confidenziali con i carabinieri in una zona alta, apicale, data la statura delinquenziale del capo mafia di Cinisi.”

Da qui scaturiscono una serie di interrogativi: le indagini su Impastato “sono state insabbiate solo per un patto di non belligeranza tra boss e carabinieri? Per un doppio gioco, uno scambio di favori, una trattativa ante litteram che aveva come obiettivi la cattura dei latitanti e il controllo della zona?”.

Foto di Peppino Impastato

Il dossier di Peppino scomparso durante il sequestro

L’ipotesi arriva dalla Procura di Palermo, che per il patto di Cosa nostra, ha ottenuto la condanna di Subranni. Ma i pm scoprono anche un foglio redatto dai carabinieri con su scritto: “Elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe”.

Da qui ne consegue che a casa di Peppino c’è stato un sequestro informale. Si tratta quindi di un sequestro che nessuno ha autorizzato.

In un altro elenco, stavolta formale, gli uomini in divisa scrivono di aver sequestrato lettere e volantini a casa di Peppino. Si tratta di scritti d’ispirazione politica e propositi di suicidio:

“Voglio abbandonare la politica e la vita”

così si legge in un appunto che per gli inquirenti era la prova del suicidio.

Intanto però c’è anche altro tra i documenti posti sotto sequestro. A raccontarlo è Giovanni Impastato, fratello di Peppino: 

“Ricordo che mio fratello poco prima di morire si stava interessando attivamente alla strage della casermetta di Alcamo Marina, che nel 1976 costò la vita a due giovani carabinieri. In seguito a quel fatto, gli uomini dell’Arma vennero a perquisire casa nostra dato che mio fratello era considerato un estremista. Da lì Peppino iniziò a raccogliere informazioni sulla questione, notizie che accumulava in una specie di dossier: una cartelletta che fu sequestrata e mai più restituita”.

Insomma, negli anni sono stati aggiunti dei piccoli pezzi di un puzzle, di cui ancora ne mancano tanti. Ciò conferma che quello di Peppino Impastato è stato un delitto eccellente, che si verifica quando c’è una “convergenza di interessi”, cioè quando i motivi e i mandanti sono molteplici.

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Dal tuo al mio, opera di Giovanni Verga: riassunto e analisi storica https://cultura.biografieonline.it/dal-tuo-al-mio-verga/ https://cultura.biografieonline.it/dal-tuo-al-mio-verga/#respond Tue, 06 Nov 2018 08:40:41 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25370 La “roba” dal teatro alla narrativa: “Dal tuo al mio” è l’adattamento narrativo dell’omonimo dramma scritto da Giovanni Verga nel 1903. La storia in tre atti, divenuti tre capitoli, è apparsa a puntate sul periodico “Nuova antologia” nel 1905.

Dal tuo al mio - Giovanni Verga

Trama: ricchi e arricchiti in eterno conflitto

La storia narrata in “Dal tuo al mio” racconta il dramma negativo della famiglia Navarra e della loro zolfatara. Il nucleo famigliare è costituito dal Barone, vedovo, e dalle due figlie: Lisa e Nina. Il racconto si apre nel giorno del matrimonio, poi mancato, di Nina con il figlio di don Nunzio Rametto, lavoratore arricchito della miniera di Navarra.

La storia prosegue, battuta dopo battuta, a suon di conflitti sociali e di famiglia. Lisa, infatti, si innamora di un operaio, Luciano, al servizio di don Nunzio Rametto, assoldato per controllare il lavoro della zolfatara, in cui ha investito. La ragazza viene cacciata di casa e se ne perdono le tracce fino all’epilogo. Trascorso tragicamente un nuovo episodio in cui le parti – il Barone e Rametto – vogliono accordarsi rispetto al possesso della zolfatara, in un misto di debiti e accordi di dubbia giustezza, si alza il vento della rivolta.

I lavoratori, stanchi dei soprusi e soprattutto della paga indecorosa, infatti, entrano in sciopero.

Dal tuo al mio: il finale

Quando giungono alla porta del Barone, in casa c’è anche Lisa, accorsa ad avvertire il padre e la sorella dell’avvento dei riottosi. Solo sul finale, il Barone sembra arrendersi alla perdita della sua amata miniera e all’accordo con Rametto. Intanto è giunto in casa anche Luciano, ambasciatore degli minatori in rivolta, nonché genero rinnegato del padrone. Mentre i minatori avanzano, il bene economico viene messo almeno alla pari del futuro dei famigliari.

La pace venne poi naturalmente come il pericolo incalzava lì fuori, e li buttava fra le braccia l’uno dell’altro, stringendoli a difendere roba e vita. Luciano, primo allo sbaraglio sulla porta, disse risolutamente, mentre si udiva crescere e avvicinarsi il rumore della folla minacciosa:
– Via! Via di qua, vossignoria.
– Tu piuttosto! Pensa a tua moglie! Mettiti almeno al riparo, qui dietro al pilastro.-
In quella vera stretta d’ansia e di confusione, quando Sidoro, come un angelo dal cielo annunziò di lassù: “La forza! Ecco i soldati!”, padre e figli si strinsero nelle braccia gli uni degli altri, don Mondo, tornando da morte a vita, balbettando:
– Figli! Figli miei!

Brevi cenni storici: i Fasci siciliani

La figura di Luciano, al cui amore cede la figlia del padrone, Lisa, è ascrivibile al movimento dei Fasci siciliani.
Il movimento nacque il 1° maggio del 1891, a Catania, per volere di Giuseppe De Felice Giuffrida. Libertari, democratici e socialisti di ispirazione aderirono ai fasci, alla fine dell’Ottocento, sia il proletariato urbano che, poi, gli operai agricoli e i minatori (compresi gli zolfatari).

I Fasci siciliani dei lavoratori, delusi dall’innovazione che avrebbe dovuto far seguito all’Unità di Italia, lottarono per richiedere maggiore equità e finalmente il superamento del sistema di stampo feudale ancora vivo in Sicilia. In particolare, nelle richieste del movimento c’erano la riforma fiscale, la revisione dei patti agrari, per l’abolizione delle gabelle (imposte indirette su merci e scambi) e, infine, la redistribuzione delle terre.

Il movimento fu contrastato militarmente, con decine di morti, dal governo Giolitti e poi da quello di Francesco Crispi, sotto l’egida di Re Umberto I. La vicenda si concluse nel 1894 con lo scioglimento del movimento e l’arresto (più avanti mutato in amnistia) dei capi e dei responsabili del movimento.

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Conversazione in Sicilia, di Elio Vittorini: riassunto https://cultura.biografieonline.it/conversazione-in-sicilia-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/conversazione-in-sicilia-riassunto/#respond Mon, 05 Sep 2016 15:41:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19511 Conversazione in Sicilia è il romanzo più famoso di Elio Vittorini, scrittore neorealista attivo intorno alla prima metà del Novecento. Il romanzo è stato pubblicato prima a puntate, sulla rivista «Letteratura» tra il 1938-1939. In seguito fu pubblicato in volume nel 1941 con il titolo Nome e lagrime, dall’editore Parenti di Firenze. L’edizione definitiva, con nome attuale, uscirà poco dopo edita da Bompiani.

Conversazione in Sicilia - riassunto - libro
Conversazione in Sicilia

Elio Vittorini

Elio Vittorini fu un grande scrittore neorealista italiano. Nacque a Siracusa nel 1908. Dopo aver abbandonato gli studi, si trasferì a Firenze dove entrò in contatto con gli autori della rivista letteraria «Solaria». Su questa rivista pubblicò il suo primo romanzo Il garofano rosso.

Egli fu molto attivo sul piano civile. Venne incarcerato nel 1943 per avere contatti con il Partito Comunista e partecipò attivamente alla Resistenza. Dedicò poi il resto della vita all’attività editoriale, collaborando anche con Italo Calvino nella rivista «Il menabò».

Gli intellettuali, in quel difficile periodo che fu quello della Seconda Guerra Mondiale, cercarono si diventare portavoci di un impegno etico e sociale, anche nella realtà del dopoguerra, per dare voce agli oppressi e contrastare le ingiustizie. Così anche Vittorini fece a pieno la sua parte e pertanto può definirsi scrittore neorealista.

Elio Vittorini
Elio Vittorini

Conversazione in Sicilia

Questo impegno civile dell’autore si può notare proprio nel romanzo Conversazione in Sicilia, il capolavoro dell’autore. Il testo è suddiviso in cinque parti più un epilogo. Il protagonista è Silvestro, un tipografo siciliano che è emigrato al Nord Italia. Egli è anche l’io narrante del romanzo.

Riassunto e trama

La storia inizia quando Silvestro riceve una lettera da parte del padre, che lo informa di aver lasciato la casa coniugale per vivere con un’altra donna. Questo evento scuote il protagonista nel profondo, facendolo uscire da quell’inettitudine che si era creato e spingendolo a tornare a casa dalla madre, in occasione dell’onomastico di lei.

Il romanzo segue così il viaggio che Silvestro compie dal Nord fino alla Sicilia, durante il quale egli incontra una serie di personaggi molto particolari: il Gran Lombardo, un siciliano molto forte che gli ricorda quanto sia importante impegnarsi attivamente per gli altri; due poliziotti Senza Baffi e Con Baffi che disprezzano i passeggeri siciliani; un ragazzo malato e un catanese.

Quando il protagonista incontra finalmente la madre, inizia la rievocazione di tutti i ricordi della sua infanzia e soprattutto degli affetti familiari.

Nella terza parte del romanzo “Conversazione in Sicilia“, Silvestro accompagna la madre, che è infermiera, a far visita a tutti i malati dell’ospedale. Essi si trovano in una situazione di grande povertà e ricordano al protagonista quanto il mondo sia “offeso” dalla miseria e dall’ingiustizia.

«Il mondo è grande ed è bello, ma è molto offeso

Conversazione in Sicilia, Elio Vittorini.

Finale

Nell’ultima parte del romanzo, Silvestro dialoga con il fantasma di un soldato, che poi scopre essere il fratello morto in guerra, Liborio. Infatti lui e la madre ricevono la notizia della morte del fratello proprio qualche ora dopo attraverso una lettera. Dopo aver fatto un giro per il paese e aver pianto, Silvestro torna a casa e vede che la madre sta lavando i piedi al padre, che è ritornato.

A quel punto si rende conto che è arrivato il momento di tornare a casa, con maggiori consapevolezze, in particolare quella di aiutare il prossimo e impegnarsi contro le ingiustizie.

Commento

Lo stile del romanzo è lirico, spesso vengono utilizzate frasi molto brevi che assumono anche il valore di sentenza.

Il romanzo si svolge su due piani: uno reale e uno simbolico. Ogni personaggio incontrato rappresenta un ideale di uomo che Silvestro deve conoscere, inoltre è sempre presente un chiaro riferimento alla realtà storica della Seconda Guerra Mondiale.

Il viaggio compiuto da Silvestro diventa quindi un viaggio alla ricerca di sé stesso, delle proprie radici e della propria identità, per avvicinarsi proprio al mondo offeso, che diventa il simbolo delle ingiustizie perpetrate ai danni dell’umanità ed è il concetto più importante espresso nel romanzo stesso.

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La scomparsa di Ettore Majorana https://cultura.biografieonline.it/scomparsa-majorana/ https://cultura.biografieonline.it/scomparsa-majorana/#respond Sat, 13 Feb 2016 13:26:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16642 Ettore Majorana scomparve il 27 marzo del 1938. All’epoca la sua fuga e il suo probabile suicidio attirarono l’attenzione dei massimi vertici del Fascismo, ma non si arrivò a nessuna conclusione oggettiva. Lo scienziato, paragonato da Enrico Fermi a Galileo e Newton, era riuscito a far perdere le sue tracce e a portare tutti a considerare il suo suicidio un fatto conseguente a follia e depressione. Solo la sua famiglia, che lo conosceva bene, fin da subito aveva rifiutato questa ipotesi. Tuttavia, le indagini private avevano portato alla medesima conclusione di quelle ufficiali e alla fine la versione della polizia fu considerata l’unica possibile.

La scomparsa di Ettore Majorana
La scomparsa di Ettore Majorana: un giornale del febbraio 1959

Chi era Ettore Majorana

Ettore Majorana era uno scienziato di primo livello e la sua giovane età non era stata un ostacolo alla formulazione di ipotesi e teorie da premio Nobel. Dopo aver conseguito la laurea in Fisica teoretica aveva iniziato a lavorare con Fermi a teorie che già all’epoca avrebbero potuto portare alla fusione nucleare, ma la sua capacità intuitiva andava anche oltre.

Lo scienziato siciliano frequentava da qualche anno l’Istituto di Fisica di Roma dove aveva entusiasmato i ricercatori che collaboravano con Fermi grazie alle sue brillanti intuizioni.

Perché Majorana, di fronte alla prospettiva di una brillante carriera e alla possibilità concreta di cambiare la storia della Fisica moderna, decise di scomparire?

La scomparsa di Majorana, il libro di Sciascia

Le ultime ricerche, che hanno riaperto qualche anno fa il caso, hanno dimostrato come la letteratura e una mente geniale come quella di Leonardo Sciascia avessero già intuito il destino di Majorana nel 1975, quando lo scrittore siciliano pubblicò per la prima volta il suo libro “La scomparsa di Majorana”. Il libro è attualissimo perché svela un mistero durato molti anni, non solo fa intuire un fatto, accertato anche dalla magistratura qualche anno fa e cioè che Majorana non si suicidò ma si ritirò dal mondo, ma individua soprattutto le cause e i motivi di un tale repentino ritiro.

Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia

Majorana aveva elaborato, prima di Werner Heisenberg, la teoria del nucleo fatto di neutroni e protoni, ma si era rifiutato di pubblicarla, malgrado le insistenze di Fermi e dei suoi collaboratori. Inoltre, le sue successive ricerche e gli incontri con altri fisici lo avevano probabilmente convinto che molti studiosi si stavano avvicinando allo sviluppo della progettazione della fusione nucleare, la quale avrebbe in seguito portato alla realizzazione della bomba atomica.

E Majorana, nella ricostruzione mirabile di Sciascia, era terrorizzato da questo esito e cioè che la scienza lo avrebbe portato a scoprire o a collaborare alla scoperta di qualcosa che riteneva terribile. Quindi scomparve per non essere più coinvolto. Nella sua mente, che aveva calcolato tutto nei minimi dettagli, la fuga e l’idea di essere dimenticato erano necessari per non parlarne più. Per non parlare più di scienza e di doveri, e per non essere più coinvolto in nulla che avesse a che fare con la scienza.

Cara Eccellenza, Vi prego di ricevere e ascoltare il dott. Salvatore Majorana, che ha bisogno di conferire con Voi pel caso disgraziato del fratello, il professore scomparso.

Incipit del libro di Sciascia

Il suo nome stava già diventando importante, tanto che dopo la sua scomparsa i vertici del governo e pare lo stesso Mussolini, si interessarono alla sua vicenda. Sciascia riesce in questo libro ad immedesimarsi nella mente di Majorana, perché pochi sono i documenti che gli permettono di ricostruire oggettivamente i fatti. E proprio grazie all’immedesimazione che uno scrittore geniale riesce a svolgere nella mente di uno scienziato geniale, possiamo leggere pagine in cui l’umanità di Majorana e la sua esperienza diventano vive e non verosimili, come accade con un romanzo che ricostruisce un fatto storico, ma vive al pari di un’inchiesta in cui tutti i punti oscuri vengono chiariti e il movente vero di una decisione difficile, assume aspetti molto più profondi di quello che in apparenza poteva sembrare.

Dove si nascose Majorana?

Questo quesito ha impegnato diversi personaggi e nel 2011 la procura di Roma è arrivata ad una conclusione non tanto lontana da quella che aveva intuito Leonardo Sciascia. Majorana infatti fu identificato in una foto che venne scattata nel 1955 e che lo ritraeva sorridente in Venezuela. Molte tracce avevano portato gli investigatori a supporre che fosse scappato in America Latina dopo essersi nascosto, così pensava anche Sciascia in un convento del sud Italia.

Ettore Majorana
Foto di Ettore Majorana

La foto secondo gli inquirenti è senza dubbio del fisico catanese che secondo un testimone aveva cambiato il nome e svolgeva una vita ritirata.

Perché ha affascinato così tanto la scomparsa di un uomo che a 32 anni non aveva ancora realizzato nulla di importante?

Le carte lasciate da Majorana fanno intuire il suo genio e, cosa più importante, fanno capire quanto il suo genio si sia avvicinato a realizzare ciò che altri avrebbero dovuto aspettare alcuni anni per comprendere. La scomparsa di un genio che aveva in mano conoscenze così importanti e che possedeva la scienza in un modo talmente naturale da paragonarlo a Galileo, e il paragone è di uno scienziato del calibro di Fermi, non possono che attirare l’attenzione sia del mondo scientifico che del governo.

Proprio il coinvolgimento di questa istituzione ha fatto pensare che Majorana sia scomparso per motivi militari o per contribuire al piano militare nucleare tedesco. Molte sono state, infatti, le congetture riguardo al suo appoggio al nazismo. Ma non ci sono prove in tal senso e credo che l’analisi più corretta sia dal punto di vista storico che umano, sia quella di Leonardo Sciascia che ne il libro “La scomparsa di Majorana” ci regala un ritratto lucido e affascinante.

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Schiava e Sorella, recensione del libro di Rita Alù https://cultura.biografieonline.it/schiava-e-sorella/ https://cultura.biografieonline.it/schiava-e-sorella/#respond Mon, 21 Dec 2015 14:17:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16089 Schiava e Sorella è un romanzo storico, dove storia e fantasia si mescolano, scritto da Rita Alù e pubblicato dalla casa editrice Torri del Vento Edizioni. Si intitola “Schiava e Sorella” perché è così che la protagonista della storia firmava le sue lettere indirizzate alle sorelle. È la vera storia di una donna coraggiosa, suor Anna Maddalena, al secolo Donna Anna Valdina, vissuta in Sicilia nel 1600, dove – per salvaguardare le ricchezze delle famiglie nobiliari e mantenere integro il patrimonio da destinare al primogenito – le figlie femmine erano costrette a prendere i voti, aldilà dell’effettiva vocazione. È questo il destino di Anna, che a soli sette anni insieme alle sue sorelle, entrò in convento ma non si rassegnò a rinunciare alla sua libertà, sfidando le regole, e affidandosi – dopo cinquant’anni trascorsi all’interno del monastero delle Stimmate – al tribunale.

Rita Alù
Rita Alù durante la presentazione del libro

L’autrice Rita Alù

L’autrice – Rita Alù è nata e vive a Palermo. È sposata e ha due figli. Avvocato, lavora da tanti anni in banca, con il grado di dirigente – fa rivivere attraverso queste pagine Anna, le cui origini risalgono alla famiglia Papè di Valdina, per una seconda volta.

Schiava e Sorella: breve trama e recensione del libro

“Schiava e Sorella” è una lettura interessante, che ci fa vivere il dolore di una vita venduta, ma che ci fa apprezzare il coraggio di questa donna che non si è mai rassegnata alla volontà del padre. Il tutto rappresentato in un libro scorrevole, abile, da leggere tutto d’un fiato. Una lettura che coinvolge, che fa immedesimare nel dolore di questa donna, la cui vita è segnata dalle rinunce. Un dolore che commuove.

Il libro si apre con il corteo lungo il Cassaro, la mattina del 30 settembre 1701, per ricordare Don Ugo Papè, Duca di Giampilieri, Protonotaro del Regno di Sicilia, morto un mese prima, le cui spoglie giungono a Palermo per ricevere l’ultimo saluto e riposare nella chiesa della Gancia, la stessa dove oggi riposa Donna Anna Valdina.

Nel palazzo sfarzoso della via Fiumesalato, conosciuta come via del Protonotaro, in un angolo, su un sofà, c’è Anna – dal corpo esile, vestita a lutto, dai capelli color argento, dallo sguardo spento, a causa di una cecità che l’ha colpita – pensierosa: Anna rivolge la mente ai decenni passati “della sua non vita” all’interno del monastero, ripensa a Don Ugo “che l’ha amata come un fratello e che ora non c’è più”.

Qui, prende posto accanto a lei, Don Giuseppe Papè, il figlio del Duca di Giampilieri, amato da Anna come una madre. Anna si apre così all’uomo, che le chiede di raccontargli di quegli anni di sofferenza e la donna inizia il suo racconto, partendo dall’ultimo giorno trascorso a Rocca, poco distante da Messina, prima di entrare in convento.

È nella sua Rocca che Anna e le sue sorelle inventano storie d’avventura fra le piante di gelsomino sul grande cortile della residenza del principe di Valdina, posto che permetteva alle giovani di ammirare le isole Eolie. Quello fu l’ultimo giorno trascorso dalle sorelle Valdina a Rocca.

Schiava e Sorella - libro
La copertina del libro “Schiava e Sorella” (Torri del Vento edizioni)

L’autrice racconta, nel secondo capitolo, l’arrivo di Anna a Palermo, l’atroce visione della forca dello Sperone, prima dell’ingresso in città, mentre Anna dalla carrozza osserva quei luoghi che la portavano lontano dalla sua terra sino a giungere al monastero di San Giovanni dell’Origlione, che sarebbe stata la sua nuova casa per un anno. Iniziano per Anna i nuovi giorni a Palermo, insieme alle sue sorelle e alle altre educande del monastero.

Trascorso questo periodo infatti il principe Don Andrea, padre di Anna, a seguito di alcuni dissapori, decise di trasferire le figlie nell’abitazione della zia paterna, Donna Laura, principessa della Scaletta. Anna manifestava al padre la sua contrarietà di vivere all’interno del chiostro. Da qui la scelta del padre di portarla a vivere in casa di Donna Beatrice Platamone, baronessa di Mazzarrone, zia di Don Andrea Valdina, signora dal temperamento rigido e severo, alla quale fu affidato l’incarico di persuadere Anna a farsi monaca. Qui la bambina veniva privata di partecipare alle feste organizzate in casa e per lei c’erano solo da seguire la messa e le processioni. L’aspettava una vita di reclusione presso il monastero delle Stimmate di San Francesco, che si concretizzò il 17 luglio del 1647.

Anche per le sorelle Laura, Caterina, Giovanna e Felice si aprivano le porte di altri monasteri, mentre Antonia venne concessa in matrimonio a Don Marcello Carraffa. Così facendo il patrimonio del primogenito Giovanni, futuro principe di Valdina, risultava salvo. Agli altri due fratelli, Carlo e Vincenzo, toccò il privilegio di decidere del loro destino. Anna vive senza pace, isolata dal mondo, all’interno del monastero delle Stimmate, giorni abilmente descritti da Rita Alù nel quarto capitolo del suo libro: una vita fatta di preghiere, di incontri con il padre, cercando di convincerlo a restituirle la libertà, tentativi inutili, parole inascoltate.

Il 25 luglio 1648 Anna divenne una novizia: “era il primo passo per l’ammissione alla professione solenne che sarebbe sopraggiunta tre anni più tardi”, assumendo il nome di suor Anna Maddalena.

Il capitolo VI di “Schiava e Sorella” è dedicato alla vita in convento. Il VII, invece, all’amicizia che legava Anna a suor Francesca Maria, amicizia nata tra quelle mura e che legava le due donne allo stesso destino: diventare monache per volere dei rispettivi padri. Non mancano al racconto storico i riferimenti al tribunale del Sant’Uffizio, alle violenze e alle torture cui venivano sottoposte le vittime sotto gli occhi della folla.

Con la morte del padre, avvenuta una domenica di maggio del 1659, si apre per Anna la speranza di lasciare per sempre il monastero: bastava avviare un processo per dimostrare la nullità della sua professione religiosa. Questa fu l’idea che sfiorò la mente di Anna, che non aveva fatto i conti con il fratello, Don Giovanni, che si oppose a tale decisione.

Trascorsero gli anni all’interno di quel monastero, sino a quando, morto il fratello Giovanni, Anna – all’età di cinquantasette anni – decise di avviare il processo di annullamento per i suoi voti. Per questo trovò l’appoggio di Don Ugo Papè, suo lontano cugino. Il 20 ottobre 1693 aveva inizio così il processo per l’annullamento della professione religiosa di suor Anna Maddalena Valdina, mentre il 30 novembre si svolse la prima udienza.

Seguì un giudizio lungo, abilmente raccontato dalla scrittrice nelle pagine dedicate ad Anna, sino alla decisione della lettura della sentenza che arrivò il 6 luglio 1699… Anna Valdina è così vissuta di nuovo grazie al lavoro di ricerca fatto da Rita Alù presso l’Archivio di Stato di Palermo.

Tutto è cominciato dal ritrovamento di un documento sul web, intitolato “L’archivio privato gentilizio Papè di Valdina”. Da qui è nata la voglia di “indagare” dell’autrice, che ci ha regalato questa storia.

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Sicilia fatale: recensione del libro di Amelia Crisantino https://cultura.biografieonline.it/sicilia-fatale/ https://cultura.biografieonline.it/sicilia-fatale/#respond Sat, 05 Dec 2015 15:45:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15869 Un prezioso lavoro storico quello intrapreso da Amelia Crisantino con “Sicilia fatale”, collana L’Agave, edito da Torri del Vento Edizioni. L’autrice narra con originalità e agilità il susseguirsi di avvenimenti che hanno fatto la storia della Sicilia, parla di personaggi legati da un destino fatale, la loro rovina nel tentativo di “conquistare” la Sicilia, in 208 pagine per una lettura interessante e accattivante.

Sicilia Fatale
Sicilia Fatale: la copertina del libro di Amelia Crisantino (Torri del vento, 2015)

Amelia Crisantino

Amelia Crisantino è una storica e saggista, ha pubblicato molteplici lavori di ricerca e testi divulgativi sulla storia siciliana. Ha curato per «Mediterranea – ricerche storiche» la pubblicazione di un manoscritto di Michele Amari, Studi su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820, ora inserito nella “Edizione nazionale delle opere e dei carteggi di Michele Amari”, nonché Vita esemplare di Antonino Rappa, comandante dei militi a cavallo in Sicilia (in e-book).

I più recenti titoli di carattere divulgativo sono “Breve storia della Sicilia. Le radici antiche dei problemi di oggi” e una selezione di Fiabe siciliane, dalla raccolta di Giuseppe Pitrè (Di Girolamo Editore).

Da molti anni Amelia Crisantino collabora all’edizione palermitana de «La Repubblica».

Amelia Crisantino
Amelia Crisantino (seduta al centro), durante la presentazione del libro a Palermo (3 dicembre 2015)

Sicilia Fatale: il libro

Sicilia fatale” è un viaggio nel tempo, che racconta della Sicilia a partire dall’ateniese Alcibiade, che descrive bello, di nobile famiglia, amato da Socrate, che vive immerso nella politica e vuole diventarne protagonista: stratega raffinato e formidabile oratore, riesce a insinuarsi nell’isola, dove è cominciata la guerra tra Selinunte (alleata di Siracusa) e Segesta (alleata di Atene).

Da Alcibiade a Platone, passando per la Siria: è il II secolo a. C. le guerre puniche hanno spazzato via l’aristocrazia fenicia e greca, l’esercito romano si impossessa della Sicilia, trasformandola in granaio di Roma, provocando la ribellione degli schiavi, per la maggior parte siriani, che chiamarono “Nuova Siria” la loro “fugace conquista”.

L’analisi continua con il processo contro Gaio Verre, governatore della Sicilia dal 73 al 71 a.C., prototipo del politico ladro: è accusato di aver manovrato il sistema degli appalti e la giustizia. Si passa poi a parlare di Costante II, un “imperatore a cui è stata negata la memoria”. Imperatore protagonista di “un’impresa epica e visionaria: fa di Siracusa il centro delle sue imprese e progetta di capovolgere la storia, fermando l’avanzata araba in Oriente e nel Mediterraneo”.

Dall’VIII al X secolo la Sicilia è nelle mani dell’Islam: Palermo, nell’831 diventa la capitale degli arabi, che la ribattezzano Balarm, facendola diventare una delle più importanti metropoli d’Europa, per passare poi alla conquista da parte dei normanni. La storia continua con la rivolta del 1282 e la guerra del Vespro.

Si passa poi al capitolo VIII, dal titolo “Il mestiere di viceré”, dove si narra della Sicilia nell’età spagnola. Quindi si passa alla Sicilia del Cinquecento con i trionfi del viceré Marcantonio Colonna. Tra i secoli XV e XVIII, finisce l’epoca della “tollerante convivenza e dei traffici incrociati” e il mare diventa palcoscenico dove si scontrano gli imperi e le religioni. È “l’isola – frontiera” disciplinata dall’Inquisizione, dove gli Ordini religiosi si muovono da protagonisti e i Gesuiti la battezzano “Le nostre Indie”. È la Sicilia delle censure: nei collegi vengono appunto censurati i classici latini e i trattati di matematica.

Il libro Sicilia fatale continua con la descrizione dell’isola nel periodo del viceré Domenico Caracciolo, che lascerà Palermo nel gennaio del 1786, per niente rimpianto, “autore di cose imperfette”, come lo descrive il marchese di Villabianca nel suo “Diario”. E ancora: la Sicilia che ospita l’arciduchessa d’Austria, diventata regina di Napoli e di Sicilia all’età di sedici anni, Maria Carolina d’Asburgo. È il 1806, quando per la seconda volta si rifugia nell’isola per scappare dall’esercito francese che è arrivato a Napoli.

La guerra tra Francia e Inghilterra divide il Meridione, con Napoli occupata dai francesi e la Sicilia dagli inglesi. Da Maria Carolina si passa al dimenticato economista lombardo Giuseppe De Welz, autore de “il Saggio sui mezzi da moltiplicare prontamente le ricchezze della Sicilia”. Quindi la narrazione degli eventi in “Sicilia fatale” passa al periodo dell’insediamento di Ferdinando II (8 novembre 1830). Poi alle “Noterelle garibaldine”, “Verso Aspromonte” e alla Sicilia del prefetto Luigi Zini (1876).

Quindi si parla di Joe Petrosino: è il 12 marzo 1909, quando a Palermo viene assassinato il tenente della polizia di New York. L’analisi prosegue con la prima volta che Alexander Hardcastle si recò ad Agrigento: era il 1921.

Joe Petrosino
Joe Petrosino

Il capitolo 20, analizza invece il periodo del prefetto Cesare Mori: è il 2 giugno 1924 quando arriva a Trapani.

L’autrice Amelia Crisantino dedica il capitolo successivo allo sbarco in Sicilia, quindi dedica il capito 22 tratteggiando il profilo del “liberatore americano”, George Patton, sino ad arrivare alla data del 15 maggio 1946, giorno in cui la Sicilia diventa Regione autonoma a Statuto speciale.

Il penultimo capitolo riguarda invece Enrico Mattei, ucciso il 27 ottobre 1962. Mentre l’ultimo capitolo è dedicato a Lampedusa, “simbolo della confusione che continua a regnare intorno alla gestione dei flussi migratori”.

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Il giorno della civetta: riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/giorno-della-civetta-sciascia/ https://cultura.biografieonline.it/giorno-della-civetta-sciascia/#comments Wed, 26 Feb 2014 21:11:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9926 Il giorno della civetta è un romanzo dello scrittore italiano Leonardo Sciascia, che finì di scrivere nel 1960 ma che la casa editrice Einaudi pubblicò nel 1961. L’opera merita un’attenzione particolare perché mette insieme sia le questioni di sfondo politico sia la polemica contro il mondo che sfocia in un forte pessimismo, mai negativo ma analitico.

Il giorno della civetta Sciascia
Il giorno della civetta (1961): una copertina del romanzo e una foto dell’autore Leonardo Sciascia

L’autore ha molti punti in comune con Italo Calvino soprattutto per il rapporto con la scrittura francese e per l’utilizzo di uno stile semplice e nitido.

Sciascia è uno scrittore siciliano, maestro elementare che si colloca nelle file del Neorealismo.

Dopo la pubblicazione de Il giorno della civetta, romanzo che parla prevalentemente della mafia, fu sicuramente lo scrittore che si dedicò maggiormente a quest’argomento in quegli anni duri e si schierò prima tra le file del Partito Comunista per poi distaccarsene.

Protagonista del romanzo è il capitano Bellodi, un ex partigiano settentrionale che conduce un’inchiesta in Sicilia per trovare i mandanti di un delitto di mafia, in cui venne coinvolto Salvatore Colasberna, il presidente di una cooperativa. Viene successivamente assassinato anche il testimone dell’accaduto.

Bellodi riesce a risalire al capomafia della zona, Mariano Arena e lo incrimina. Ma agli imputati vengono forniti alibi falsi e vengono tutti scarcerati, poiché appoggiati a politici corrotti.

Bellodi, che era stato rimandato al Nord, decide a questo punto di continuare l’inchiesta e quindi tornare in Sicilia per riprendere il proprio lavoro. “Mi ci romperò la testa” dice il capitano.

Non si tratta di un pessimismo rassegnato, ma di una reale volontà di lottare contro il sistema ormai corrotto.

Nel romanzo si fronteggiano due punti di vista opposti: il protagonista positivo, Bellodi, che incarna i valori dell’Italia democratica post- resistenza antifascista; e il capomafia Arena che invece è portatore di ideali fondati in una realtà siciliana molto dura quasi cristallizzata nelle sue leggi capovolte. Un mondo, quello siciliano, basato sull’individualità al contrario dell’Italia, neonata nazione che invece cerca di improntare lo stato verso una visione collettiva della realtà.

Sciascia è stato un grande scrittore proprio perché è riuscito a denunciare, nella razionalità dei suoi romanzi, un sistema corrotto e soprattutto non ha mai utilizzato un pessimismo rassegnato.

Dal romanzo è stato tratto dopo solo pochi anni il film omonimo, “Il giorno della civetta” (1968), di Damiano Damiani, con Franco Nero e Claudia Cardinale.

Incipit de “Il giorno della civetta”

Così inizia il romanzo:

L’autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell’alba, sfilacce di nebbia ai campanili della Matrice: solo il rombo dell’autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante e ironica. Il bigliettaio chiuse lo sportello, l’autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista “un momento” e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. Si sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.

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