Shakespeare Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Sun, 21 Nov 2021 16:56:39 +0000 it-IT hourly 1 Giulio Cesare di Shakespeare: riassunto e breve analisi https://cultura.biografieonline.it/riassunto-giulio-cesare-shakespeare/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-giulio-cesare-shakespeare/#respond Sun, 21 Nov 2021 15:54:42 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13419 Giulio Cesare” è una tragedia realizzata dal drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare, scritta con tutta probabilità nel 1599, usando come fonte principale le “Vite Parallele” di Plutarco.

Giulio Cesare (Shakespeare) - riassunto
Giulio Cesare di Shakespeare : una scena tratta da un film ispirato alla tragedia shakespeariana. Nella foto: Jason Robards interpreta Bruto (Brutus), nel film “23 pugnali per Cesare” (1970, di Stuart Burge)

Giulio Cesare di Shakespeare: la trama

La vicenda si apre con la descrizione della vita del console Giulio Cesare che trascorre le sue giornate in maniera del tutto tranquilla senza particolari intoppi ignorando quello che porterà le idi di marzo. Preoccupati dal potere crescente di Cesare, Bruto si lascia convincere ad entrare in una congiura, ordita da alcuni senatori romani tra cui Cassio (amico di Bruto), per impedire che il console trasformi la Repubblica Romana in una monarchia. A loro si uniscono altri cinque cospiratori tra cui anche:

  • Casca,
  • Trebonio,
  • Ligario,
  • Decio Bruto,
  • Metello Cimbro,
  • Cinna.
Giulio Cesare interpretato da Alain Delon (2008)
Giulio Cesare interpretato dall’attore francese Alain Delon (2008)

L’assassinio

Cesare, ritornato a Roma dopo la campagna d’Egitto, incontra perfino un indovino che lo avverte del pericolo imminente proprio durante le idi di marzo. Non servono a nulla nemmeno le premonizioni avute dalla moglie di Cesare, Calpurnia, che tenta di trattenere l’uomo dicendogli di rimanere a casa. Decio però lo convince a recarsi in Senato e Cesare decide di accettare l’invito in occasione della festa dei Lupercali; ma viene assassinato durante la riunione per mano dei congiurati che lo circondano e lo pugnalano.

Dopo la morte di Cesare arriva il console Marco Antonio (uno dei principali esponenti del partito cesariano) che si prodiga per organizzare i funerali del console ed esprimere l’elogio funebre in suo onore.

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Bruto si giustifica dell’uccisione del padre affermando che voleva evitare un’eventuale tirannia, ma subito dopo parla Marco Antonio, che dopo un’attenta lettura del testamento di Cesare, scuote i romani contro i congiurati infiammando gli animi. Dopo la morte di Cesare, tra Bruto e Cassio i rapporti diventano piuttosto tesi: Bruto accusa Cassio di regicidio in cambio di denaro. In seguito però, i due si riconciliano e si preparano alla guerra contro Marco Antonio e Ottaviano (pronipote e figlio adottivo di Cesare).

La scena più significativa è quella in cui appare agli occhi di Bruto lo spettro di Giulio Cesare che gli annuncia la sua prossima sconfitta (“Ci rivedremo” a Filippi).

La scena si sposta a Filippi. Durante lo scontro, Bruto vince sugli uomini di Ottaviano ma Antonio ha la meglio su Cassio che, piuttosto che essere fatto prigioniero, si suicida.

Poco dopo, anche Bruto subirà la stessa sorte, suicidandosi con la propria spada piuttosto che cadere in mano al nemico.

Cesare è stato vendicato.

Dopo la vendetta

Poco dopo, è lo stesso Marco Antonio a rendere a Bruto e ai suoi cospiratori l’onore delle armi e a pronunciarne l’elogio funebre.

L’opera continua, facendo un breve accenno alla futura frattura dei rapporti tra Marco Antonio e Ottaviano, che verrà narrata dettagliatamente nella tragedia di Antonio e Cleopatra (Shakespeare, 1607).

Nell’ultima parte, invece, si narra dell’ascesa al potere di Ottaviano e viene rimarcata la sconfitta di Marco Antonio durante la battaglia di Azio del 2 settembre 31 a.C..

Breve analisi dell’opera

L’opera è ambientata dapprima a Roma, poi la scena si sposta in Grecia e precisamente a Filippi.

L’opera è divisa in cinque atti.

  • I primi due atti si soffermano in particolar modo sulla vita del console Cesare, su Antonio amico e compagno di Cesare e sul figlio adottivo di Cesare, Bruto.
  • Il terzo atto narra le vicende relative alla congiura contro Cesare.
  • Gli ultimi due atti narrano della giustizia che ha avuto Cesare tramite coloro che gli vogliono bene.

I temi principali dell’opera sono quelli del tradimento e della cospirazione. Essi ci danno un’immagine dell’umana fragilità e mutevolezza, ed infine della vendetta.

Nell’opera troviamo tre personaggi di spicco:

  • Giulio Cesare (il console);
  • Ottaviano;
  • Antonio.

Tra i personaggi secondari spiccano:

  • Bruto (figlio adottivo di Cesare);
  • Cassio (amico di Bruto);
  • Calpurnia (moglie di Cesare).

Significativo è il tradimento del figlio adottivo di Cesare.

William Shakespeare aggiunge alle famose parole di Cesare “Tu, quoque, Brute!“, “Allora cadi, o Cesare!“, volendo far intendere che Cesare si rifiuta di sopravvivere ad un tale tradimento da parte di una persona nella quale aveva riposto la sua fiducia.

William Shakespeare
William Shakespeare

Shakespeare, Dante e la regina Elisabetta I

Ma, a differenza del sommo poeta fiorentino Dante Alighieri che non perdona Bruto, collocandolo nel peggior posto dell’inferno (viene dilaniato dai denti di Lucifero), William Shakespeare lo considera come un cospiratore di animo nobile. Secondo il drammaturgo inglese Bruto ha la buona intenzione di evitare che Roma diventi una monarchia assoluta.

L’opera tragica di Shakespeare rispecchia in modo indiscusso il clima di ansietà dell’epoca, causato dal fatto che la regina Elisabetta I si era rifiutata di nominare un successore; ciò avrebbe potuto portare, dopo la sua morte, ad una conseguente guerra civile simile a quella scoppiata in precedenza a Roma. Elisabetta I con grande abilità portò l’Inghilterra ad essere una nazione potente soprattutto sul piano internazionale, modello di civiltà e di cultura per tutti gli stati europei.

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Amleto di Shakespeare: riassunto, storia e origini dell’opera https://cultura.biografieonline.it/amleto-riassunto-storia/ https://cultura.biografieonline.it/amleto-riassunto-storia/#comments Sun, 21 Nov 2021 15:22:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=27685 Amleto: la tragedia del principe di Danimarca

William Shakespeare scrisse l’Amleto fra il 1600 e il 1602 consegnando al mondo la tragedia che più sarebbe stata letta, rappresentata, rimodulata e vista nella storia. “La tragedia di Amleto principe di Danimarca”, questo il titolo tradotto letteralmente per esteso (The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark), presente in quasi tutte le lingue del mondo. Si avvale di innumerevoli rappresentazioni e trasposizioni al teatro e al cinema praticamente ovunque sul globo terrestre.

Shakespeare tiene in mano un teschio: scena iconica e simbolica dell'Amleto
Shakespeare tiene in mano un teschio: scena iconica e simbolica dell’Amleto

Le origini di Amleto

Il dramma del principe Amleto, così come lo riprese Shakespeare, affonda le sue origini nella leggenda di Amleth, protagonista della vicenda al centro di “Vita Amlethi” in “Gesta Danorum” di Saxo Grammaticus, storico medievale danese.

In questa versione i fratelli Orvendil e Fengi governano lo Jutland per conto del re di Danimarca. Succede che Orvendil sposa la figlia del re, Geruth, e da questa unione nasce Amleto.

Fengi, però, risentito per il matrimonio, uccide il fratello e, dopo un periodo di lutto, sposa la cognata autoproclamandosi capo dello Jutland.

In questa versione, rispetto al dramma shakespeariano che vedrà la luce più avanti, Amleto uccide lo zio per vendicare il padre e diventa sovrano di Danimarca.

Nella versione francese “Histoires tragiques” dello scrittore cinquecentesco Francois de Belleforest, sempre dalla traduzione di Saxo, invece, Amleto, afflitto da una profonda malinconia (aspetto non presente in Saxo) muore dopo lo zio.

Tuttavia, esiste un ulteriore precedente ed è “Ur-Hamlet”. Questo testo risale alla fine del ‘500, ma la sua paternità è incerta: viene attribuito in qualche caso allo stesso Shakespeare, in altri a Thomas Kyd, drammaturgo britannico noto per “La tragedia spagnola”.

La datazione dell’opera

L’Amleto di Shakespeare si colloca fra gli ultimi anni del ‘500 e i primi del ‘600. Numerosi indizi riportano a questa datazione. C’è la nota dell’accademico Gabriel Harvey sulla copia del libro datata 1598, anno del suo acquisto del testo. C’è il riferimento al conte di Essex, decapitato nel 1601.

Cosa più concreta, la registrazione della tragedia allo Stationer’s register il 26 luglio 1602 (mentre non è citata nell’elenco denominato “Palladis Tamia” di Francis Meres del 1598).

Dell’Amleto di Shakespeare ne esistono più versioni: da quella detta “in-folio” che molti critici ritengono essere una trascrizione degli attori che rappresentarono il dramma, fino alle edizioni più moderne che riprendono il cosiddetto “secondo quarto” ovvero la versione più lunga che Shakespeare pubblicò nel 1604. Quest’opera è successiva a un’altra delle sue più celebri: Romeo e Giulietta.

Amleto: riassunto

L’inizio: un fantasma sulle mura della città

L’inizio della tragedia è affidato a due soldati, testimoni dell’apparizione di un fantasma sulle torri che cingono la città di Elsinora, capitale della Danimarca.

Ad assistere al ritorno del defunto re (almeno questi pare essere) arriva anche Orazio, amico del principe erede Amleto, che cerca in tutti i modi di far parlare il fantasma. Ma, quando questi è sul punto di farlo, il gallo canta e il fantasma sparisce.

Il consiglio reale per fermare l’invasione di Fortebraccio

Intanto, in consiglio, re Claudio, la regina Gertrude, il figlio Amleto, il ciambellano Polonio, il figlio Laerte, gli ambasciatori Cornelio e Voltimando stanno affrontando la questione del figlio di Fortebraccio. Pare che egli stia riunendo un’armata ai confini con la Norvegia per riconquistare i territori persi dal padre.

L’assise decide di mandare due ambasciatori dal re di Norvegia per convincerlo a dissuadere il nipote da una tale azione.

Il re e il principe: la consegna della missione

Orazio confessa ad Amleto che il fantasma che appare sulle torri, gli sembra essere il suo defunto padre. Amleto, quindi, si reca sul posto a mezzanotte e, infatti, riconosce e incontra lo spirito del defunto genitore.

Questi gli rivela che lo zio, per brama di potere e di possesso verso il regno e la regina, l’ha ucciso versandogli un veleno nell’orecchio mentre dormiva in giardino. Il re, così, chiede ad Amleto di vendicarlo: Amleto accetta senza indugio.

Da qui nasce il dramma del principe che si chiude in un profondo silenzio e in una apparente grande malinconia: non ha abbastanza fiducia di nessuno a cui poter rivelare quanto gli ha chiesto il padre.

I sovrani chiamano a corte due vecchi amici di Amleto, Rosencrantz e Guildenstern, che tentano di rallegrarlo attraverso una rappresentazione teatrale. Amleto sfrutta l’occasione per verificare l’autenticità della richiesta del fantasma: si tratta davvero del padre o di una visione demoniaca che vuole solo spingerlo ad uccidere lo zio?

Non c’è niente che sia un bene o un male, ma è il pensare che lo rende tale.

Amleto a Rosencratz – Atto II, Scena 2

Ofelia

Il ciambellano Polonio propone di chiamare Ofelia, sua figlia, per provare a risollevare l’animo di Amleto. La donna viene invitata a fingere un incontro casuale con il principe che però vedrà in un momento assolutamente sbagliato.

Amleto, furente per le rivelazioni del padre defunto, infatti, rifiuta Ofelia e le consiglia di optare per la vita monastica.

Il malumore del nipote e il suo rifiuto di Ofelia fanno insospettire lo zio: Amleto – dubita preoccupato lo zio – potrebbe avere questo stato d’animo perché al corrente di come sono realmente andati i fatti fra lui e il fratello re. Ordisce così di esiliarlo in Inghilterra, fingendo di assegnargli un qualche incarico amministrativo.

Lo stato d’animo del protagonista si evince anche nel proverbiale dubbio amletico, di cui è simbolo il celebre monologo “To be or not to be”.

Essere, o non essere, questo è il problema:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d’atroce fortuna
o prender armi contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare.

Amleto – Atto III, Scena 1
Hamlet Amleto scena teatrale
Il momento in cui Amleto tiene in mano il teschio è erroneamente associato al celeberrimo monologo “essere o non essere”. In realtà la scena avviene nella parte finale del dramma (atto V, scena 1)

Il dramma nel dramma: il teatro come trucco

Amleto chiede agli attori di inscenare “L’assassinio di Gonzago”, ricalcando quanto accaduto ai danni del padre per mano dello zio. Così facendo si prepara ad osservare le reazioni dell’assassino del padre, durante la recita, al fine di smascherarlo.

Il trucco riesce: il re viene preso da un attacco di collera proprio durante la scena dell’avvelenamento, ed esce dal teatro.

Il consulto con la regina e la morte accidentale di Polonio

La regina vuole sentire le ragioni per cui Amleto ha deciso di mettere in scena proprio “L’assassinio di Gonzago”. Perché poi Polonio riferisca al re, chiede a questo di nascondersi e assistere al dialogo con il figlio Amleto.

Ma nel corso del dialogo Amleto, in collera per quanto accaduto, scambia Polonio per il re e lo uccide. Il principe, senza rimorso alcuno, esce di scena con il corpo del ciambellano in braccio per poi seppellirlo da lì a pochissimo.

La partenza e la convinzione della necessaria vendetta

Il re, saputo di quanto accaduto, sollecita la partenza di Amleto per l’Inghilterra. In cammino verso il porto, il principe incontra le armate di Fortebraccio dirette in Polonia. Questo fa riflettere Amleto che decide di non lasciare invendicata la morte del padre.

Laerte e Ofelia: come vendicare l’ingiusta morte di un padre

Dopo la scena dell’arrivo a palazzo di Ofelia in stato di completa pazzia, anche Laerte reagisce all’ingiusta uccisione del padre. Si mette a capo di un manipolo di criminali e giunge in Danimarca, batte l’esercito danese e si presenta al cospetto del re per rivendicare la morte di Polonio e i mancati onori funebri.

Il re spiega tutto a Laerte senza però dire, furbamente, da cosa sia derivata la furia di Amleto.

Il ritorno di Amleto e la morte di Ofelia

Orazio riceve una lettera da Amleto in cui spiega che è stato catturato dai pirati e con questa una missiva per il re nella quale dice allo zio che sta per rientrare in patria. L’occasione è ghiotta per il re che propone a Laerte di sfidare a duello il principe Amleto.

Nel frattempo, sulla strada del ritorno, Amleto assiste alla sepoltura di una donna che si rivelerà Ofelia, morta suicida in acque lacustri.

La morte della sorella accende ancor più l’ira di Laerte contro il principe di Danimarca: lancia così la sfida a duello.

Il finale: Amleto contro Laerte

Prima di sfidarlo, Amleto si riconcilia con Laerte, gli chiede scusa e gli dimostra stima.

Inizialmente il duello vede la supremazia di Amleto. A quel punto il re zio gli offre una coppa di vino avvelenato. Amleto la rifiuta, ma disgraziatamente sarà la regina a berlo, morendo inevitabilmente.

Il re aveva dato a Laerte una spada con la punta intinta in un potente veleno, ma il fioretto viene scambiato fra i duellanti durante il combattimento. A morire, così, è proprio Laerte, non prima di aver rivelato l’ignobile piano del re a cui aveva acconsentito.

Amleto si scaglia così sul re, dandogli la morte con i suoi stessi malvagi strumenti: prima la spada e poi la coppa di vino, entrambe avvelenati.

Il principe di Danimarca sta per morire, ma apprende dall’amico Orazio che Fortebraccio è tornato vittorioso dalla Polonia. Prima di esalare l’ultimo respiro, allora, Amleto nomina Fortebraccio nuovo re di Danimarca.

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Il Barocco in letteratura https://cultura.biografieonline.it/barocco-letteratura/ https://cultura.biografieonline.it/barocco-letteratura/#comments Mon, 06 Feb 2017 16:41:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21222 Il Barocco è un movimento culturale che si è sviluppato in tutta Europa nel XVII secolo. Si è opposto al gusto classico e moderato che aveva dominato il secolo precedente per apportare grandi cambiamenti: l’arte deve suscitare stupore e meraviglia, anche e, soprattutto, attraverso il gusto per l’insolito e il bizzarro.  Questo nuovo stile, che ha coinvolto arte e letteratura, si è affermato perché, in quel periodo, iniziò a cambiare la percezione e la sensibilità della popolazione.

Barocco

Ad inizio del 1600, infatti, ci furono numerose scoperte. In primis quella del metodo scientifico da parte di Cartesio, che spingeva gli uomini ad indagare, e la scoperta del sistema eliocentrico. Il sapere inizia a diventare finalmente autonomo rispetto alla religione.

Il Barocco in letteratura

In letteratura, il nuovo gusto Barocco si incentra sulla ricerca di novità e sullo sperimentalismo formale. Esso elabora una poetica anticlassicista orientata a suscitare meraviglia nel lettore attraverso il ricorso allo sperimentalismo formale.

Il termine Barocco è stato utilizzato a partire dalla fine del Settecento per indicare, in maniera dispregiativa, tutte le tendenze artistiche del secolo precedente che si discostavano dall’armonia classica. Il termine deriverebbe dal sostantivo baroco, utilizzato in filosofia per indicare un ragionamento cavilloso. Oppure dall’aggettivo portoghese barroco, perla di forma irregolare. Indicherebbe pertanto l’aspetto irregolare dell’arte barocca. Soltanto la critica del Novecento è riuscita a rivalutare in chiave positiva il movimento, per porre l’accento proprio sullo sperimentalismo e l’innovazione.

La letteratura barocca si sviluppa in tutto il XVII secolo e ha il proposito di rovesciare i canoni dell’armonia classica, che si erano diffusi in tutto il Rinascimento. Questo processo inizia già qualche anno prima, durante la seconda metà del Cinquecento, con il Manierismo, che esaspera i canoni classici.

Il Barocco in Europa

Da un punto di vista geografico, il cambiamento verso il nuovo genere di letteratura barocca coinvolge tutta l’Europa. E’ particolarmente fiorente in Spagna, con la produzione teatrale di Calderon de la Barca. In Inghilterra è rappresentato dalla poesia metafisica di John Donne e dal teatro di William Shakespeare. In Francia vi è la produzione teatrale di Molière e Racine. Per l’Italia ricordiamo la creazione di grandi opere teatrali, la poesia di Giovan Battista Marino, e la produzione di Giambattista Basile.

In generale, la poetica barocca si fonda su una concezione completamente diversa rispetto al passato. Gli autori si sono orientati, sin da subito, verso una poetica anti-classicista. In essa l’arte non è più considerata come una semplice imitazione della natura. E’ invece considerata come una vera e propria ri-creazione della natura stessa.

Le forme e i temi

Abbondano così le sperimentazioni di nuove forme, generi e temi. Lo scopo principale è quello di suscitare meraviglia, utilizzando grandi artifici formali che mirano proprio a stupire il pubblico. Anche gli artifici retorici hanno la meglio su tutti gli altri aspetti. Particolarmente importante è l’uso della metafora, utilizzata per collegare tra loro elementi anche molto distanti.

Anche i temi subiscono un grande cambiamento: le solite ambientazioni letterarie vengono sostituite con situazioni insolite, brutte, grottesche e persino paradossali. Molte opere insistono anche sul tema della vanità della vita, delle illusioni, della morte e dello scorrere del tempo.

Il rifiuto dei generi tradizionali porta alla nascita e alla mescolanza di generi diversi. Viene utilizzato il madrigale come forma poetica. Nasce il romanzo, e il trattato scientifico-filosofico assume notevole importanza. I generi più utilizzati dai letterati barocchi restano però la lirica, il poema epico e il teatro, tutti rivisti seguendo le nuove norme, e in rottura con la tradizione.

Giovan Battista Marino, principale esponente del Barocco in letteratura in Italia
Giovan Battista Marino fu il principale esponente del Barocco in Italia

Il Barocco in Italia

L’esponente più rappresentativo del Barocco in Italia è senza dubbio il già citato Giovan Battista Marino. Egli è autore di un grande poema mitologico, l’Adone, e di liriche. Nelle sue opere, esprime tutti i caratteri della poesia barocca. Troviamo quindi il gusto per l’esagerazione, l’utilizzo di artifici formali, la poetica della meraviglia, l’attenzione eccessiva agli aspetti esteriori della realtà.

Altro esponente importante è Alessandro Tassoni. Autore de La secchia rapita, è un poema eroicomico che racconta in chiave umoristica il conflitto tra Bologna e Modena. Gli altri grandi autori del Seicento, come Giambattista Basile e Galileo Galilei, non possono essere ascritti esclusivamente a questo movimento letterario.

Il Barocco in letteratura, resterà il principale movimento poetico fino alla fine del secolo, quando i letterati dell’Accademia dell’Arcadia tenteranno di ripristinare l’ordine e l’armonia classica.

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Romeo e Giulietta, di Shakespeare https://cultura.biografieonline.it/romeo-e-giulietta/ https://cultura.biografieonline.it/romeo-e-giulietta/#comments Tue, 22 Mar 2016 16:07:12 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17395 Quando l’amore incontra il teatro, l’anima si fa specchio delle umane passioni, ricongiungendo, almeno nell’illusoria finzione, la storia della propria anima a quella del mondo. La tragedia shakespeariana conosciuta col titolo di “Romeo e Giulietta” (1594), deve gran parte della propria fortuna alla giusta combinazione dei sentimenti umani, nell’audace racconto di una storia d’amore funestata dall’ostilità di un mondo brutale, riportando l’eterna modernità del tema erotico ai tempi di una cultura splendente, ambigua e allo stesso tempo spietata.

Romeo e Giulietta, di Shakespeare (film di Zeffirelli, 1968)
Un bacio tra Romeo e Giulietta, interpretati da Leonard Whiting e Olivia Hussey nel film del 1968 di Franco Zeffirelli.

William Shakespeare (1564-1616) si fece interprete di un mondo complesso, quello elisabettiano, da cui seppe trarre il nucleo drammatico di una storia innovativa non nel motivo ma nell’interpretazione teatrale, rendendo eterne le tragiche sorti dei due giovani protagonisti, eroi indiscussi di ogni cuore infranto.

Romeo e Giulietta, la trama

Il dramma shakespeariano verte sull’angosciante susseguirsi di eventi che si oppongono all’unione dei due innamorati: Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti, rampolli delle due famiglie più potenti della città di Verona, vivono la tragedia di un’eterna faida sortita ai danni di coloro che amano; la storia, l’orgoglio dei Montecchi e dei Capuleti conseguirà l’effetto mortale di una punizione, ingiusta ma prevedibile dell’amore negato che genera il sonno eterno.

La storia d’amore sboccerà sotto il segno della sciagura, conducendo con sé il tocco fatale della morte dove era atteso l’amore. L’odio atavico delle due famiglie non impedirà l’incontro tra Giulietta e Romeo e l’organizzazione di un matrimonio segreto, lontano dagli echi irti d’ira e d’odio.

Il matrimonio non avrà mai luogo a causa della rivalsa fatale di Romeo ai danni di Tebaldo, cugino di Giulietta, con cui il giovane Montecchi vendicò il sangue dell’amico Mercuzio. Dopo la fuga di Romeo a Mantova, Giulietta è costretta a sposare un altro uomo.

Per sfuggire alle sorti di una vita lontana dall’amore, Giulietta beve una pozione che le consente di sembrare morta per molte ore. Romeo, non avendo ricevuto la notizia dell’inganno, crede di aver perduto la sua amata per sempre e nel dolore si avvelena. Terminati gli effetti dell’incantesimo, Giulietta si sveglia dal sonno di una finta morte e vedendo il corpo esamine dello sposo segreto, si pugnala, finendo nella tragedia più commovente l’esito dell’umana follia generata dal rancore.

Romeo e Giulietta
Romeo e Giulietta (Leslie Howard e Norma Shearer nel film del 1936 di George Cukor)

Note tecniche e descrittive

“Non vi è nome più celebre nel teatro elisabettiano; non vi è piuttosto, nome più celebre nell’intero mondo elisabettiano. Pure, colui che, agli occhi di tutti, è il teatro elisabettiano, potrebbe per molti aspetti apparire l’autore meno elisabettiano che possa darsi” (ZAZO).

Un’interpretazione, quest’ultima, di una complessità contorta che ben chiaramente lascia intravedere la difficoltà di inquadrare la figura del drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare nel tortuoso girone del teatro elisabettiano, quale passo indispensabile per comprendere la produzione letteraria, nonché i dettagli tecnici di una tragedia in cinque atti che rispose ai requisiti di un’età contraddittoria e in continuo mutamento.

William Shakespeare
William Shakespeare

Shakespeare affrontò i pericoli della sua epoca, navigando, in un tempo in cui per amore o per ventura viaggiatori e pirati cercavan fortuna per mare e per terra, nelle rischiose acque degli affari teatrali, nell’umile quanto lungimirante desiderio di raccontare l’anima elisabettiana attraverso le storie avventurose e tragiche di personaggi storici o germogliati dalla punta di una penna d’oca.

In un clima di gaia e feroce passione per l’esistenza, nell’esuberante e tumultuoso sentimento degli “innamorati della vita, non di una teorica immaginazione [shadow] della vita”, Shakespeare rimase personalmente al riparo dall’ansia per l’avventura e dal gusto per la brutalità tipicamente elisabettiani, pacificando illusoriamente, tramite la nobile arte del teatro, la contraddittorietà di un’epoca ambigua, dove l’angoscia e il rimorso erano strettamente connessi al diletto dell’amore e dell’amicizia. Il senso dell’arte drammatica, come avviene nella somma tragedia “Romeo e Giulietta“, è

“offrire alla natura uno specchio; mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’età stessa e al corpo del secolo la sua forma e la sua impronta” (Amleto, III, due).

La simbologia dello specchio era molto comune nel corso del Rinascimento, nei molteplici significati designava l’irrealtà, l’immagine contrapposta alla realtà, che nella produzione drammatica si traduce in degli opposti significativi: vita/teatro, saggezza/pazzia, vita/sogno, sono gli elementi fondamentali e ricorrenti del teatro di Shakespeare.

L’opera “Romeo e Giulietta” di Shakespeare nacque tragedia dal tiepido grembo della poesia, raffigurandosi in un capolavoro quasi totalmente in versi rimati, soprattutto nella prima parte del testo, carica di ricercate metafore e di artifici retorici nella maniera eufuistica.

La tragedia si caratterizza per l’insolita ampiezza dei ruoli femminili e l’antiquata retorica che si riscontra nelle battute dei personaggi più anziani, peculiarità che fanno pensare, come sosteneva il saggista e critico letterario Giorgio Melchiori (1920-2009), che se non altro, in un primo tempo, Shakespeare non fosse sicuro della destinazione del dramma e che si proponesse di

“fornire un testo che potesse essere presentato non solo in un teatro pubblico, ma all’occorrenza, anche a una corte e nei più sofisticati teatri privati; un dramma che anche i “letterati” potessero apprezzare e che si presentasse eventualmente ad essere recitato da quelle compagnie di ragazzi (per esempio i coristi di San Paolo)”

Questi ultimi, capaci di recitare con maggiore verosimiglianza le parti femminili, avevano l’abilità di conferire delle cadenze caricaturali ai personaggi dall’età avanzata.

La prima parte del dramma è resa da una serie di eufemismi dal linguaggio cortese che, diffuso in Italia dal Petrarca, raggiunse l’Inghilterra attraverso i modelli francesi della tradizione sonettistica.

In una prospettiva drammaturgica, la tragedia rivela come Shakespeare sapesse sfruttare abilmente le soluzioni imposte dal teatro elisabettiano: il palcoscenico su cui era recitato il dramma risultava essere in parte scoperto, per le scene previste dal copione in ambientazioni esterne, e coperto, per gli interni e il giardino, con una galleria sul fondo costituente il balcone e un vano interno, utilizzato per rappresentare la tomba e la camera di Giulietta.

La divisione delle scene, che si raffronta nelle edizioni moderne, non compare nell’in-quarto del 1599: un tale accorgimento tecnico, di fatti, non aveva ragione di esistere nella prospettiva di una concezione drammaturgica che sfruttava abilmente il valore convenzionale dei punti del palcoscenico e che affidava il compito scenografico alla parola.

L’edizione del 1599 era priva di divisione in atti, poiché prevedeva una costruzione delle vicende drammatiche per lunghe sequenze, corrispondenti ai giorni in cui si adempie la trama, dunque le vicende di Romeo e Giulietta.

L’opportunità di privare il testo di una scansione in atti conferisce al dramma una meravigliosa potenza teatrale, in una durata scenica calante, tale da comunicare al pubblico la vivacità di un’azione incalzante, cadenzata dalla presentazione e dalla premesse dei personaggi.

Un’altra importante caratteristica del teatro elisabettiano, e di quello shakespeariano, è il “doubling“, in altre parole di affidare ad un attore più ruoli correlati nella stessa interpretazione teatrale, rispondendo alla necessità delle compagnie elisabettiane di ridurre le spese, questo ingegnoso metodo recitativo s’innestava perfettamente alla costruzione teatrale; l’autore doveva dunque essere in grado di operare una precisa e compiuta concatenazione delle entrate e delle uscite di scena dei protagonisti sul palcoscenico, dove

“ad uguale funzione uguale attore; se il pubblico riconosce lo stesso attore nei due personaggi ciò non sarà fonte di confusione od equivoco ma piuttosto arricchirà la sua presenza del significato della vicenda rappresentata” (MELCHIORI).

Il giudizio della critica si rivela interessante nell’ipotesi che, al contrario di quanto avviene nelle grandi tragedie dell’età adulta, la catastrofe finale non è determinata dalla drammaticità dei personaggi, ma dall’infausto susseguirsi di circostanze fatali, permettendo di esibire agli occhi del pubblico la dimensione dolorosa del testo, i cui personaggi, “nati sotto la contraria stella” in un “amore segnato dalla morte“, legano la genesi dell’infausta sorte alla faida terrena tra Montecchi e Capuleti.

Romeo e Giulietta, Leonardo DiCaprio
Un’altro bacio tra Giulietta e Romeo: Claire Danes e Leonardo DiCaprio (allora ventiduenne), nel film di Baz Luhrmann del 1996 “Romeo + Giulietta di William Shakespeare“.

Controversie cronologiche

La prima edizione di “Romeo e Giulietta” risale al 1597: un volumetto in-quarto privo d’indicazioni riguardanti l’autore e l’editore, realizzato mnemonicamente dopo la prima teatrale, indicava sul frontespizio della tragedia “rappresentata pubblicamente dai servitori dell’onorevolissimo Lord Hunsdon“.

La compagnia del Lord Ciambellano, Henry Carey Lord Hunsdon (1526-1596), era stata fondata nell’estate del 1594; con la morte di questi il titolo della compagnia passò a Sir William Brooke, decimo Barone di Cobham (1527-1597) e discendente di Sir John Oldcastle (1360 -1417), il “Sir John Falstaff ” dell'”Enrico IV” (1598) di Shakespeare.

La fedeltà degli attori alla compagnia emerse dalla scelta di rimanere alle dipendenze della famiglia precedente, in altre parole come servitori di Lord George Hunsdon, il figlio del defunto Henry Hunsdon.

In conformità a questi elementi, in passato si soleva congetturare la prima della tragedia con l’anno 1596, ovvero col breve periodo in cui la compagnia era tecnicamente di Lord Hunsdon; ma è più plausibile considerare che lo stampatore facesse riferimento al nome attuale della compagnia che, tra il 1594 e il 1596, aveva assiduamente messo in scena la tragedia di “Romeo e Giulietta“.

Poiché Shakespeare era entrato a far parte della compagnia del Lord Ciambellano dopo la fondazione, la data della prima potrebbe risalire alla fine del 1594; vagliando la considerazione che dal 1592 al 1594 i teatri di Londra furono chiusi per motivi politici e per l’imperversare della peste, è legittimo pensare che Shakespeare ideasse la tragedia amorosa proprio negli anni ardui della sospensione teatrale.

Tale ipotesi sarebbe ulteriormente comprovata dalla presenza di precisi riferimenti storici e dalle caratteristiche stilistiche coerenti con il periodo della produzione, anche se, nel margine indefinito e incerto dell’ipotesi, emergono altri elementi che portano a considerare teorie differenti: J. J. M. Tobin rintracciò nell’opera di Thomas Nashe (1567-1601) dal titolo “Have with You to Saffron Walden” (“Gabriell Harveys hunt is up”) alcune particolari espressioni riscontrabili solo in “Romeo e Giulietta“, dunque in nessun altro lavoro shakespeariano, e alcuni riferimenti che Shakespeare avrebbe usato per l‘ideazione dei personaggi di Mercuzio, di Benvolio, della Nutrice e dei servitori della casa dei Capuleti.

Poiché “Have with You to Saffron-Walden” risale al 1596 si potrebbe dedurre che la tragedia, o parte di essa, fu ideata in quello stesso anno.

Note Bibliografiche
W. Shakespeare, Romeo e Giulietta, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2006

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Identità di Shakespeare https://cultura.biografieonline.it/identita-di-shakespeare/ https://cultura.biografieonline.it/identita-di-shakespeare/#comments Fri, 12 Feb 2016 18:00:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16609 William Shakespeare (1564-1616) rientra nella schiera dei personaggi noti al mondo non solo per l’incontestabile bravura, ma anche per quella dose di incertezza che mal definisce la loro esistenza mortale e che inevitabilmente li inscrive nel mito. Quando nel 1592 raggiunse Londra, il successo in ambito teatrale e la fama del noto drammaturgo inglese erano ormai al culmine: opere come l’Enrico V riempivano i teatri di tutta Londra, compreso lo storico Globe Theatre, il teatro elisabettiano costruito nel 1599. In questo articolo faremo una riflessione sull’identità di Shakespeare, sulle illazioni che vedrebbero le sue opere attribuite ad altri.

Identità di Shakespeare
L’identità di Shakespeare è un mistero la cui verità è nascosta da secoli

È possibile consultare tutti i dettagli della vita di William Shakespeare e tracciare il trascorso dei suoi successi grazie a una delle tante pubblicazioni biografiche intitolate al poeta inglese, ma quante di queste tengono conto delle illazioni e delle contraddizioni legate alla sua vita?

I baconiani

William Shakespeare morì a Stratford-upon-Avon il 23 aprile del 1616, un epitaffio sulla sua tomba ne conserva il ricordo e ammonisce il visitatore a non recare disturbo alle spoglie terrene del bardo, arrecando addirittura il principio di una maledizione per chi osasse farlo:

Good friend, for Jesus’ sake forbear,
To dig the dust enclosed here.
Blest be the man that spares these stones,
And cursed be he that moves my bones.

Caro amico, per l’amor di Gesù astieniti,
dallo smuovere la polvere qui contenuta.
Benedetto colui che custodisce queste pietre,
E maledetto colui che disturba le mie ossa.

Non sapremo mai se quella maledizione si sarebbe potuta considerare estendibile anche a tutti coloro che avrebbero messo in discussione l’esistenza di William Shakespeare nei secoli successivi, creando di fatti quell’intricata connessione di teorie e congetture conosciute come “bardolatria“.

Nel 1623, sette anni dopo la sua morte, il ricordo di William Shakespeare venne nuovamente rinnovato attraverso un cippo commemorativo nella chiesa parrocchiale di Stratford-upon-Avon, stele nella quale veniva rappresentato nei panni di un comune commerciante.

Un secolo dopo, la memoria di Shakespeare tornò in auge nella contea del Warwickshire con l’arrivo del prelato James Wilmot, grande appassionato di Shakespeare e di Francesco Bacone. Il prelato, dopo aver sollevato dei dubbi sulla paternità delle opere di Shakespeare, giunse alla conclusione che gli valse l’appellativo di “baconiano” in un articolo sul ‘’Times” del 25 Febbraio 1932: l’autore delle opere comunemente attribuite a William Shakespeare era sicuramente un uomo dalle spiccata intelligenza e di vasta cultura, condizioni che naturalmente farebbero pensare alla presenza di una grande biblioteca ricca di documenti, libri e manoscritti autografi, testimonianze di fatto mai ritrovate; l’autore dei capolavori shakespeariani sarebbe stato in realtà, secondo le supposizioni del prelato, Francis Bacon (italianizzato: Francesco Bacone), il filosofo, politico, giurista e saggista inglese.

Francis Bacon (Francesco Bacone)
Francis Bacon (Francesco Bacone)

Questa teoria ebbe un lungo seguito di oppositori: secondo i ricercatori canonici, basare una convinzione così considerevole sull’assenza della biblioteca shakespeariana risultava essere un’ipotesi troppo azzardata, dal momento che il nucleo della suddetta biblioteca si era potuto disgregare nel giro di un cinquantennio, non lasciando traccia e finendo nelle mani di inconsapevoli acquirenti; inoltre la psicologia che emerge dalle opere shakespeariane, ovvero la sensibilità quasi infantile di uomo romantico, contrasta nettamente con quella del freddo e calcolatore Francesco Bacone, capace di incolpare e causare la morte all’amico e rivale conte Essex, accusandolo ingiustamente di tradimento e assicurandosi l’incarico come capo dell’avvocatura dello stato della corte inglese, sotto il regno di Elisabetta I.

Nel 1867 la teoria baconiana acquisì dei risvolti affascinanti con il ritrovamento del manoscritto di Northumberland: “Era evidente che il libro fosse appartenuto a Francesco Bacone, per lo meno conteneva una copia delle sue opere. […] sulla copertina stava scritto “Signor ffrauncis Bacon” e la parola “Nevil”, ripetuta due volte in lato. Subito sotto stavano le parole “Ne vele velis”, il motto di famiglia di sir Henry Nevil, nipote di Bacone“, aspetto interessante se si pensa che il nome dello stesso Bacone è accostato al nome di Shakespeare e addirittura in un ambigua vicinanza con i titoli delle opere teatrali shakespeariane, definendo in modo decisivo il legame tra Bacone e il bardo.

Ritengo fondamentale ricordare che uno degli incarichi affidati a Francesco Bacone, presso la corte della regina Elisabetta, era quello di vagliare, approvare e censurare i testi teatrali e quindi non deve sorprendere la vicinanza dei due nomi su un documento che testimonia che, colui che svolgeva le mansioni di consigliere privato della regina, avesse letto il Riccardo II e il Riccardo III di William Shakespeare.

William Shakespeare
William Shakespeare

L’identità di Shakespeare secondo Orville Ward Owen

Il dottor Orville W. Owen di Detroit fu un altro baconiano dalle idee bizzarre, singolarità che lo condusse ad affermare di essere riuscito ad estrapolare dal famoso manoscritto Northumberland un lungo messaggio segreto in versi liberi che lo invitavano a “smembrare in pagine sciolte i libri delle opere di Bacone e Shakespeare per applicarle sulla circonferenza di una ruota”.

Dopo un procedimento spaventosamente complicato Orville giunse a delle conclusioni allarmanti quanto scomode: Bacone sarebbe stato figlio della regina Elisabetta e del suo amante, il conte di Leicester.

Orville spinse la passione ben oltre i limiti del raziocinio, arrivando a supporre l’esistenza di manoscritti segreti seppelliti nel terreno, nei pressi del fiume Severn.

Per circa quindici anni il dottor Orville, sostenuto da una lunga schiera di seguaci, scavò centinaia di fori nel terreno alla ricerca di tracce misteriose e manoscritti, ovviamente senza successo.

L’identità di Shakespeare si scontrò con i volti di molti personaggi celebri: una quantità sempre maggiore di teorie attribuivano la paternità delle opere shakespeariane a William Stanley, Christopher Marlowe, Edoardo de Vere e molti altri ancora.

Mark Twain definì e ridicolizzò l’ondata di opinioni inverosimili che si affastellarono nel suo secolo e in quello precedente, con il suo noto e malcelato umorismo in “Is Shakespeare dead?“:

I biografi ipotizzano che Shakespeare abbia maturato la sua vasta conoscenza della legge e la sua accurata familiarità con i modi, il gergo e i costumi degli avvocati dopo essere stato lui stesso per poco tempo il cancelliere del tribunale di Stratford; proprio come se un giovanotto sveglio come me, cresciuto in un paesino sulle rive del Mississippi, potesse sviluppare una conoscenza perfetta della caccia alla balena nello stretto di Behring e del gergo dei veterani passando qualche domenica a pescare pescegatti.

Nonostante la quantità ingente di teorie, la verità rimane ancora troppo lontana e molto probabilmente, come in una visione a “cannocchiale rovesciato”, lo sarà per sempre.

Note Bibliografiche
Wilson, D. Wilson, Il grande libro dei misteri irrisolti, Newton & Compton Editori, Roma, 2005

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L’Otello di Giuseppe Verdi https://cultura.biografieonline.it/otello-verdi/ https://cultura.biografieonline.it/otello-verdi/#comments Wed, 13 May 2015 12:30:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14257 Tratto dalla celeberrima tragedia di Shakespeare (The Tragedy of Othello, the Moor of Venice), basato su libretto scritto da Arrigo Boito, l’Otello di Giuseppe Verdi è un dramma lirico in quattro atti; la prima rappresentazione andò in scena a Milano al Teatro alla Scala, il 5 febbraio 1887. Fu la penultima opera del grande compositore italiano.

Otello - riassunto

Personaggi e interpreti

Gli interpreti della prima rappresentazione furono : Francesco Tamagno (Otello), Victor Maurel (Jago), Giovanni Paroli (Cassio), Vincenzo Fornari (Roderigo), Francesco Navarrini (Lodovico), Napoleone Limonta (Montano), Angelo Lagomarsino (Araldo), Romilda Pantaleoni (Desdemona), Ginevra Petrovich (Emilia); Carlo Ferrario realizzò le scene ed Alfredo Edel i costumi.

Grazie a valenti direttori come Mahler e Walter, Toscanini, Panizza, Serafin, Kleiber, Muti, Von Karajan, Giuseppe Sinopoli, l’Otello di Verdi è stato nella sua storia rappresentato nei teatri di tutto il mondo, dalla Scala al Covent Garden di Londra, dal Metropolitan di New York, in tutta l’Asia.

Pressoché tutti i soprani ebbero in repertorio la parte di Desdemona, ma furono pochi i tenori, a cimentarsi nella parte di Otello, data la poco agevole tessitura, ricordiamo il primo ed il più grande, Francesco Tamagno, nonché i wagneriani Slezak ed in tempi più recenti, Vickers, a specialisti come Zenatello e Martinelli, Vinay e Merli fino a Del Monaco, interprete di ben 648 esecuzioni, seguito da Pier Mirando Ferrero con 596, e da Bruno Bastian.

Interprete degno di nota è stato il bravo Placido Domingo; più recenti sono il lituano Aleksandrs Antonenco, Wladimir Galouzine; fra i baritoni si devono menzionare Amato, De Luca, Titta Ruffo, Stabile, Tibbett, Gobbi, Bastianini, Renato Bruson, Ruggeri, Capuccilli e Leo Nucci.

Riassunto e trama dell’Otello di Verdi

Il riassunto, la prolusione e l’analisi musicale che seguono sono state redatte dal Maestro Pietro Busolini, di Trieste.

Otello di Giuseppe Verdi - scena - Teatro di Modena
Foto di una scena tratta dall’Otello di Giuseppe Verdi (Teatro di Modena)

La storia è ambientata in una città di mare nell’isola di Cipro alla fine del XV secolo.

Atto primo

Popolo sul piazzale esterno al castello del governatore dell’isola di Cipro.

La folla sul molo attende Otello, la sua nave con il mare in burrasca ha difficolta’ d’ attracco, il popolo attende pregando l’arrivo del nuovo comandante del presidio veneziano, continuando a pregar per la sua sorte: “Dio, fulgor della bufera“.

Dopo aver trionfato sui musulmani e superato indenne la tempesta di mare: l’ “Esultate!”, questa amata ed odiata entrata, e’ senza dubbio una delle più impressionanti performance per tenori.

Otello viene entusiasticamente accolto dagli abitanti dell’isola: “Fuoco di gioia“. Fanno eccezione Roderigo, innamorato di Desdemona, e l’alfiere Jago, che, mosso dall’odio verso il suo signore, inizia a tramare contro di lui, coinvolgendo il suo favorito Cassio in abbondanti libagioni: “Innaffia l’ugola“.

Ubriaco, questi perde il senno e ferisce in duello Montano, mentre Jago fomenta una rissa, sedata da Otello. Il moro degrada Cassio, poi si allontana teneramente insieme a Desdemona, per trascorrere la prima notte di nozze: “Già nella notte densa“.

Atto secondo

Nel salone delle guardie al pianterreno del castello.

Jago perfeziona il suo disegno, volto al progressivo annientamento delle certezze d’Otello, e spinge Cassio a rivolgersi a Desdemona affinché perori la sua causa col marito; poi riflette sul suo destino in un monologo: “Credo in un Dio crudel“.

Incontrando Otello l’alfiere insinua nell’animo di lui, che ha scorto Cassio a colloquio con Desdemona in un angolo del giardino, il sospetto dell’infedeltà della moglie. Ma vedendo la consorte accolta con trasporto dagli abitanti dell’isola: “Dove guardi splendono / Raggi, avvampan cuori“, Otello dimentica per qualche istante i dubbi.

Quando ella intercede perché Cassio riacquisti il suo grado di capitano, l’ira del moro si riaccende. Dalle mani di lei cade il fazzoletto donatole dal marito in pegno d’amore, che Jago si fa consegnare da Emilia, dama di compagnia di Desdemona, progettando di nasconderlo in casa di Cassio.

Desdemona chiede l’indulgenza dello sposo per averlo turbato: “Dammi la dolce e lieta / parola del perdono“. Ma Otello si va convincendo che il suo mondo di certezze è oramai tramontato: “Ora è per sempre addio, sante memorie“, e Jago gli promette che gli farà vedere la preziosa seta in mano al suo presunto rivale.

L’alfiere lo inganna ulteriormente narrandogli di aver udito il rivale in sogno pronunciare frasi amorose all’indirizzo di Desdemona: “Era la notte, Cassio dormiva“. Otello, ferito nel suo orgoglio di giovane sposo, giura solennemente di vendicarsi: “Sì pel ciel marmoreo giuro“.

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Atto terzo

Salone d’onore del castello.

L’araldo annuncia l’arrivo degli ambasciatori veneziani, e Jago annuncia a Otello che presto trarrà Cassio in suo presenza. Giunge Desdemona, che tenta nuovamente di difendere la causa del capitano: “Dio ti giocondi, o sposo dell’alma mia sovran“, ma quando non può esibire il fazzoletto, che Otello ha chiesto di vedere, ella subisce la furia del marito che monta sino all’acme , costringendola ad allontanarsi sconvolta.

Ferito nell’intimo, Otello sfoga in un monologo tutta la sua amarezza: “Dio, mi potevi scagliare“. Indi, Jago lo spinge a celarsi per ascoltare il dialogo successivo in cui l’alfiere, con l’inganno, induce Cassio a esibire il fazzoletto, ritrovato in casa sua e creduto l’omaggio di un’ignota corteggiatrice: “Questa è una ragna“.

Otello si persuade dell’adulterio, ma squillano le trombe che annunciano l’arrivo delle navi veneziane, Cassio s’allontana e il moro rende partecipe Jago della sua decisione di uccidere i colpevoli.

Entrano Lodovico, Montano, Desdemona e i dignitari: leggendo il messaggio del Doge che lo richiama a Venezia Otello perde la ragione, e insulta la moglie. Desdemona piange, consolata da tutti i presenti: “A terra, … sì … nel livido / Fango … percossa … io giaccio“, mentre Jago suggerisce le prossime mosse a Otello e a Roderigo. Il moro, in preda a una crisi, sviene.

Tutti si allontanano in preda all’orrore e Jago contempla il suo trionfo, mentre da fuori risuonano inni in onore del moro.

Desdemona e Otello
Desdemona e Otello

Atto quarto

Nella camera del talamo di Desdemona.

La protagonista congeda con mestizia Emilia moglie di Jago, narrandole la storia dell’ancella Barbara: “Piangea cantando la canzone del salice” e, dopo aver pregato: “Ave Maria“, si prepara per la notte in attesa di Otello.

Nonostante ella si proclami innocente, Otello, entrato nella stanza, la soffoca prima che Emilia, tornata sui suoi passi, dia l’allarme. Accorre Cassio dopo aver ucciso Roderigo nell’agguato in cui lui stesso avrebbe dovuto soccombere, seguito da Lodovico, Montano e Jago, che fugge dopo che le sue malefatte sono state svelate.

Allora Otello, dopo aver dato l’addio alla vita in: “Niun mi tema“, estrae un pugnale e si trafigge; morendo intona: “Pria d’ucciderti … sposa … ti baciai“, poi appoggia le labbra su quelle innocenti di Desdemona e spira.

Analisi musicale

Nell’Otello di Giuseppe Verdi giunge a compimento la complessa evoluzione del compositore verso il superamento degli schemi formali dell’opera tradizionale a pezzi chiusi, in nome di un’articolazione drammatica continua.

L’opera in quattro atti è uno degli esiti più alti della tarda maturità verdiana per l’incisiva forza drammatica e l’acuta penetrazione musicale del testo shakesperiano, se c’e’ stato un fondamentale cambiamento rispetto all’opera di Shakespeare nella figura di Jago, che nell’opera impersonifica colui che a causa dell’invidia, gelosia, perfidia, trascina alla morte Desdemona ed Otello, nell’opera lirica egli diventa la personificazione stessa del male, una figura satanica che prova gioia nel distruggere il bene.

Il Cigno di Busseto, dopo la lettura dal libretto di Arrigo Boito, ideò per il debutto del suo Otello una sofisticata struttura musicale, dal potente impatto con un’accordo a piena orchestra su cui si alza il sipario, segue un ventaglio di effetti consolidati: scale cromatiche dei legni, sibili dell’ottavino e meno usati, come il cannone e il pedale grave dell’organo su un piccolo cluster, destinato per oltre duecento battute a incarnare il sordo brontolar dell’uragano.

Verdi mette subito in risalto il popolo che dimostra all’unisono gioia e felicità per il nuovo Duce, contrapponendo l’odio ed il rancore di Jago e di Roderigo. Le immani proporzioni di questa bufera mettono piuttosto in risalto il valore del protagonista, ed è l’unica occasione di percepire la reale portata del suo passato.

Nell'”Esultate!” di Otello si concentra dunque non solo l’eco della lotta appena sostenuta, ma anche quella delle mille battaglie, di una vita eroica che gli ha meritato il grado. La maligna sottigliezza di Jago emerge poi nel brindisi: “Innaffia l’ugola“, grazie allo stridente contrasto fra le strofe in si minore e l’insinuante linea cromatica del suo canto nel ritornello: “Beva, beva, con me“.

La saldatura fra questo numero in continuo crescendo, il precedente coro “Fuoco di gioia“, ed il successivo duello è talmente riuscita da generare l’impressione che il “piano” del baritono prenda forma all’impronta.

Chiude il primo atto il duetto con Desdemona, introdotto da un quartetto di violoncelli, intima sonorità venata da un brivido erotico grazie all’accordo aumentato di sol bemolle maggiore su cui sosta la voce del moro. In queste pagine nulla ricorda la forma tradizionale, a cominciare dalla struttura metrica del testo: dapprima una successione di versi sciolti : “Già nella notte densa“, resi più musicali dall’impiego dell’allitterazione; poi una serie di quartine di endecasillabi: “Mio superbo guerrier, quanti tormenti“, in cui Boito predispone anche la possibilità di mettere in rilievo frasi significative, come il quinario: “Te ne rammenti”, di Desdemona; infine il ritorno all’inizio.

Su questa base Giuseppe Verdi costruisce una forma sfaccettata, oscillante tra il recitativo-arioso e ampie frasi cantabili sempre diverse, che non si cristallizzano mai in una forma chiusa.

Cangiante come lo stato d’animo dei personaggi è anche l’inquieto peregrinare delle tonalità, che sembra trovare tregua quando Otello reclama : “un bacio…”, unendo la sua voce a un motivo dell’orchestra che tornerà, come un ricordo della felicità perduta, prima e dopo la morte di Desdemona. Ma la conclusione vira a re bemolle maggiore, tonalità inaspettata, che schiarisce improvvisamente l’atmosfera gravida di presagi.

Vien Venere splende” è un invito esplicito al connubio che culmina nel la bemolle emesso dal tenore in pianissimo e viene seguito dal breve riepilogo dei violoncelli. Questo duetto rimarrà l’unico scorcio sottratto alle necessità del dramma, una finestra sulla fugace felicità amorosa del protagonista sinora mai spalancata da Verdi in termini di così aperta sensualità.

L’inizio del secondo atto propone una terzina di violoncelli e fagotti che invade progressivamente il tessuto orchestrale a partire dal recitativo di Jago, per imprimersi nell’accompagnamento al successivo: ”Credo”, pagina di diabolica bellezza.

La sua voce conosce mille inflessioni, ora recita, ora sussurra, ora declama, ora canta con dolcezza, ora erompe in un riso fragoroso. Nel monologo ideato da Boito, il baritono esprime convinzioni estranee al personaggio di Shakespeare, pure le fattezze scapigliate del brano identificano Jago, con la negazione di qualsiasi valore e verità, per cui: “La Morte è il Nulla”.

L’indifferenza per ogni valore morale permette all’alfiere d’imporsi su Otello nel successivo colloquio, perché sa fargli intendere quel che vuol sentire e vedere ciò che vuol vedere, deformando i contorni originali delle situazioni. La reazione del moro è segnata dal continuo cambiamento dello stile recitativo nel canto, soprattutto da quando la frase: ”ciò m’accora”, viene pronunciata da Jago per connotare negativamente l’incontro fra Cassio e Desdemona.

L’incubo viene messo a fuoco quando compare la protagonista: la visione dell’innocenza della moglie ridona temporaneamente al moro fiducia, immediatamente smarrita nel recitativo seguente. Tutto il quartetto, poi, ruota intorno all’angelica melodia di Desdemona sinché la linea vocale del tenore emerge nella conclusione contorta cromaticamente, contaminata dal ‘veleno’ del suo alfiere.

Dopo il solenne congedo dalla propria gloria oramai tramontata, dove il canto del tenore si eleva diatonico per l’ultima volta, il perfido ‘sogno di Jago’ fa lievitare la tensione sino al culmine del delirante giuramento su cui cala il sipario: qui Verdi recupera la forma dell’antica cabaletta per concedere a Otello un ultimo istante di fierezza.

Nel duetto all’inizio del terzo atto, Verdi oppone due mondi impenetrabili: Desdemona, la cui ingenua innocenza è condizione altrettanto assoluta della cieca gelosia del marito, seguita a perorare la causa di Cassio, Otello vuole la conferma dei suoi sospetti.

Nella sezione lirica: “Io prego il ciel“, la melodia della donna passa, amplificata con grande effetto emotivo, ai violini, e anche in quella circostanza Otello la contrasta col declamato: si apre qui lo spazio recondito dell’animo del protagonista che deforma l’invocazione della moglie in un richiamo erotico rivolto all’amante. Il tenore, rimasto solo, intona: “Dio mi potevi scagliar“, monologo in due tempi, in cui vengono inglobati l’intervento di Jago che annunzia l’arrivo di Cassio, l’urlo di gioia sul si bemolle acuto e la drammatica ricaduta nel registro grave.

Il protagonista dà motivazioni inequivocabili della propria sofferenza declamando fino allo straziante cantabile, che ci spalanca il mondo delle sue sofferenze.

Il breve duetto tra Jago e Cassio serve a provare un tradimento che non esiste, ma è anche l’occasione di udire un vero miracolo di leggerezza orchestrale: l’intrico si dipana nel disegno danzante degli archi mentre le voci dei due interlocutori sussurrano sullo sfondo, chiosate da Otello, in primo piano, con frasi disperate che assumono un rilievo potentissimo.

Improvvisamente squilli di tromba, corni, tromboni, annunciano lo sbarco dei dignitari veneziani: il moro si reca a incontrarli, ma non è più in grado di contenere le proprie reazioni e si accascia: di fronte a lui Desdemona intona il più grande e al tempo stesso problematico di tutti i concertati del teatro verdiano. Peraltro il quadro d’insieme s’impone come tempo interiore della prostrazione del protagonista per istanti intensissimi, fino a che il moro si riscuote e maledice la sposa.

Tutti escono e Otello delira, menzionando in modo sconnesso la frase che è origine del suo dramma: “ciò m’accora!”, e “il fazzoletto“, entrambi su una linea cromatica, a estremo coronamento di quella coerente strategia tesa a caratterizzare il personaggio mediante la relazione fra lo stile vocale, la sua psicologia e il meccanismo in atto.

Apre il quarto atto la grande scena di Desdemona, intrisa di tocchi di poetica evocazione nell’intensa “Canzone del salice”, che si chiude col disperato addio a Emilia. E ancora l’”Ave Maria“, ripetuta una seconda volta tra sé e sé, di cui si odono principio e fine mentre la melodia sta in orchestra, procedimento che accorcia il tempo del dramma verso le ultime parole: “nell’ora della morte”.

La sequenza dell’uxoricidio è aperta da una sinistra melodia dei contrabbassi, dopodichè la reminiscenza del motto del bacio s’incarica di segnare la continuità del sentimento che porta Otello al delitto.

Nel finale, pagando con la propria vita, il protagonista riconquisterà una dimensione umana, a partire dal “Niun mi tema“, desolato monologo dalle fattezze Frescobaldiane, declamato sugli accordi in ”ppp”, dell’orchestra.

Poco per volta il canto riacquista l’espressione lirica che l’azione di Jago aveva corrotto, e il sentimento amoroso liberato da ogni scoria, cresce sino alle ultime visionarie battute, quando Otello rivive il momento in cui era entrato nella camera della sposa.

Dopo il lamento delle ancelle, la musica si cristallizza nel motto del bacio. Pochi minuti prima quel gesto, avea destato la sposa, ora segna l’attimo in cui realtà e delirio diventano tutt’uno: l’esegèsi del dramma shakespeariano rinnovato sino alla morte.

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