Roma Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 29 Sep 2023 13:11:17 +0000 it-IT hourly 1 Prendere Roma per toma: cosa significa e da dove deriva https://cultura.biografieonline.it/roma-per-toma/ https://cultura.biografieonline.it/roma-per-toma/#respond Mon, 21 Feb 2022 13:47:59 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38918 In quante situazioni ci è capitato di capire una cosa per un’altra, di confondere le cose o anche le persone? Sono tantissime le occasioni che oggi viviamo nel mondo sempre più affollato, distratto e iperstimolato; esse ci possono apparire per quello che non sono. L’errore è a portata di mano. Così tutti possono prendere Roma per toma.

Cosa significa esattamente? Da dove arriva questo modo di dire?

Rispondiamo a queste domande.

Prendere Roma per Toma
Prendere Roma per Toma • LEGGI ANCHE => Frasi su Roma

Roma per toma: travisare, confondere, male interpretare

Il significato del modo di dire “prendere Roma per toma” è semplice e molto noto. Significa travisare qualcosa, prendere qualcosa per qualcos’altro, interpretare male una situazione.

Si riferisce ad un fatto, ma per traslato si può utilizzare anche per le persone.

Capita, in qualche caso, di scambiare una persona per qualcun altro. In ogni caso, in una visione più generica, se abbiamo preso Roma per toma abbiamo commesso una gaffe.

Significato chiaro, origine incerta

Questo modo di dire è correlato ad un altro, simile. Si tratta di “promettere Roma e toma“. Entrambi fanno leva sull’assonanza delle parole “Roma” e “toma”, ma non hanno lo stesso significato.

Promettere Roma e toma: significa promettere Roma e tutto il resto. Questo perché l’espressione deriverebbe dal latino, poi mal tradotto, promittere Romam et omnia. “Et omnia“, cioè tutto il resto, che sarebbe col tempo divenuto… un formaggio.

Così non è sbagliato pensare che la diffusione di “promettere Roma e toma” abbia generato poi “prendere Roma per toma” laddove le due parole si erano legate nell’italiano gergale.

Toma è un termine generico per indicare alcuni formaggi, perlopiù prodotti nelle regioni Piemonte e Valle d’Aosta.

Toma piemontese, formaggio
Toma piemontese, formaggio

Origine regionale: dal Piemonte e oltre

Il detto “prendere Roma per toma” ha una sua stanzialità nel dialetto piemontese dove infatti si dice: capì Roma për toma.

Non è chiaro né accertato il viaggio di questo modo di dire  ma, forse dal latino, forse dal piemontese, oggi ne esistono molte varianti.

Le varianti: nazionali e regionali

La variante più riconosciuta di questo detto è “prendere fischi per fiaschi“: si dice in lingua italiana, in tutto il Paese, ma circolano ovviamente le traduzioni nei vari dialetti. Stesso vale per il modo di dire “prendere lucciole per lanterne“, nato e diffuso in italiano ma poi esistente in tutti i dialetti regionali, da Nord a Sud.

lucciole in un prato
Lucciole in un prato
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Lasciarsi un giorno a Roma, nuovo film: ma quanto è difficile dirsi addio!? https://cultura.biografieonline.it/lasciarsi-un-giorno-a-roma-nuovo-film/ https://cultura.biografieonline.it/lasciarsi-un-giorno-a-roma-nuovo-film/#respond Mon, 27 Dec 2021 13:55:06 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=37685 I primi giorni del 2022 si aprono con film che parlano di amore e sentimenti in modo profondo, ma anche cinico. Non sempre, infatti, le storie d’amore sono a lieto fine, anzi. Dal 1° gennaio, sui canali Sky e Now, potremo guardare il nuovo film diretto dal regista romano Edoardo Leo.

Si intitola “Lasciarsi un giorno a Roma”, ed è una pellicola che parla d’amore in una Roma più magica di sempre perché “fotografata” subito dopo il periodo di chiusura imposto per il Covid.

Dopo il lockdown era deserta e sembrava un’altra città. Ho girato a Piazza Navona e sul battello sul Tevere e in tanti altri luoghi meravigliosi’‘, ha dichiarato il regista.

Lasciarsi un giorno a Roma: coppie in crisi

Nel film ci sono alcune coppie in crisi (una di queste è formata da Claudia Gerini e Stefano Fresi), che pur essendo consapevoli che sarebbe meglio lasciarsi, continuano a stare insieme per inerzia o chissà che.

Spesso c’è più paura a lasciarsi che voglia di stare insieme. E dopo tanti anni di convivenza ti poni questa domanda. Tra l’altro il lockdown e la convivenza forzata tra le coppie hanno accelerato questo meccanismo di confronto tra un uomo e una donna” , ha detto Leo.

La storia racconta di coppie giunte ormai al capolinea, ed è uno spaccato realistico dei nostri giorni. Nel film emergono donne forti, determinate, e al tempo stesso fragili. “È difficile vedere un film nel quale le figure femminili possono essere equiparate e paragonate davvero a quelle maschili. Gli uomini si devono in qualche modo emancipare da loro stessi”, ha commentato l’attrice Claudia Gerini.

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Romolo e Remo: la leggenda della nascita di Roma https://cultura.biografieonline.it/nascita-di-roma-leggenda/ https://cultura.biografieonline.it/nascita-di-roma-leggenda/#comments Mon, 03 May 2021 06:34:29 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20746 Roma è la bellissima capitale d’Italia. Una città ricca di storia, di miti, di leggende che si sono susseguite nel corso dei secoli. La più famosa e affascinante, è sicuramente quella che riguarda la sua fondazione. La data ufficiale tramandata ai posteri è quella del 21 aprile del 753 a.C., come scrive Varrone, il famoso storico latino che si sarebbe basato su calcoli astrali.

La leggenda della nascita di Roma: Romolo e Remo, la Lupa capitolina
Lupa capitolina: secondo la leggenda Romolo e Remo, gemelli figli di Rea Silvia, furono allattati dalla lupa

Le fonti della leggenda della nascita di Roma sono rappresentate da quasi tutti gli autori dell’età augustea. L’imperatore avviò una rivisitazione di tutte le storie pre-esistenti in modo da essere in linea con il suo governo e, soprattutto, per dare un’origine mitica alla grande capitale. I principali letterati che hanno scritto in merito all’argomento sono stati: Virgilio nella sua Eneide, Ovidio, Plutarco e Tito Livio.

La leggenda della nascita di Roma: la storia e le varianti

La storia presenta molte varianti ma esistono dei punti in comune che si susseguono in tutte. Il mito parte con il racconto della fondazione della città ad opera di Romolo, figlio di Rea Silvia, discendente della stirpe di Alba Longa. I nobili appartenenti a questa stirpe si dicevano diretti discendenti di Ascanio, il figlio che l’eroe troiano Enea ebbe con Creusa, sua prima moglie. Tutto iniziò quindi dalla fine della guerra di Troia.

Cavallo di Troia

Come racconta Omero nell’Iliade, i greci conquistarono la città attraverso lo stratagemma del cavallo di legno. Gli unici troiani sopravvissuti alla strage furono il pio Enea con il padre Anchise e il figlio Ascanio. Da qui la storia venne ripresa da Virgilio nell’Eneide, che raccontò le avventure dell’eroe troiano attraverso il Mediterraneo.

Enea, Anchise e Ascanio - Bernini - scultura
Enea, Anchise e Ascanio (sculture del Bernini)

Dopo la distruzione di Troia, Enea era stato destinato dagli dei alla fondazione di una nuova città sulle coste del Lazio (Roma, appunto). Ma prima di arrivarci avrebbe vissuto una serie di avventure per mare.

Enea e Lavinia

Una volta sbarcato, si innamorò perdutamente di Lavinia, figlia del re Latino che dominava in quelle zone. La fanciulla era però destinata a diventare la sposa di un altro giovane, Turno. Questi scatenerà una guerra ma, alla fine sarà costretto a cederla all’eroe.

Enea fondò quindi una città, chiamata Lavinio in onore del padre della sua nuova moglie, morto in battaglia. Dopo circa trent’anni, Ascanio fondò Alba Longa, una fiorente città forse collocata sul monte Albano.

La leggenda della nascita di Roma si può dire che inizi ufficialmente quando, anni dopo la fondazione di Alba Longa, Rea Silvia, figlia del legittimo re della città, venne costretta a diventare vestale dallo zio, che voleva impadronirsi del potere.

Romolo e Remo

Rea Silvia era però una bellissima donna e fece innamorare di lei il dio Marte, nonostante dovesse seguire il voto di castità. Partorì due gemelli, Romolo e Remo, ma, non appena lo zio si accorse della loro esistenza, ordinò che venissero assassinati.

Il servo che doveva compiere il crimine ebbe pietà dei due bambini e li lasciò in una cesta sul fiume Tevere. I due neonati arrivarono sulle sponde del fiume e vennero allattati da una lupa, che sentì i loro vagiti.

Il pastore che viveva lì vicino li trovò e li fece crescere come suoi figli. Una volta cresciuti, i due giovani allontanarono lo zio dal trono di Alba Longa ed ebbero il permesso di fondare una nuova città.

Romolo e Remo non si trovarono però d’accordo sul luogo della fondazione. Ne scaturì quindi una terribile discussione a seguito della quale Romolo uccise il fratello Remo. Romolo divenne quindi l’unico fondatore di Roma.

La fondazione di Roma

La città di Roma venne fondata sul colle Palatino e fu, inizialmente, di forma quadrata.

Gli storici e gli archeologi hanno cercato delle conferme della fondazione mitica di Roma, ma pare quasi impossibile che sia stata creata da una sola persona e in un preciso e determinato momento. Molto probabilmente la città nacque come agglomerato di case lungo il fiume Tevere, importante risorsa. L’agglomerato si è poi man mano espanso.

La zona dove sono stati ritrovati i resti più antichi è quella tra la sponda sinistra del Tevere e i colli Palatino, Aventino e Campidoglio. I ritrovamenti più antichi sono quelli rinvenuti presso la chiesa di Sant’Omobono, sotto il colle del Campidoglio. Si tratta di ossa di animali e frammenti di ceramica risalenti al XIV-XIII secolo.

Comunque sia andata, le origini mitiche della fondazione di Roma sono ancora presenti e vive tra le vie della città, come testimonia il simbolo della lupa che allatta i due gemelli, riprodotto con sculture e quadri.

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Ragazzi di vita, riassunto e commento al romanzo di Pasolini https://cultura.biografieonline.it/ragazzi-di-vita-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/ragazzi-di-vita-riassunto/#respond Tue, 11 Oct 2016 15:42:25 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20056 Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini, pubblicato nel 1955 da Garzanti, è uno dei romanzi di rilievo dello scrittore e regista friulano.

Ragazzi di vita - Libro riassunto - Pasolini

Temi trattati

Nel romanzo, viene narrata la vita del sottoproletariato delle borgate romane nel periodo del Secondo dopoguerra. L’autore descrive una realtà degradata. Qui si muovono i personaggi che agiscono spinti dall’istinto e dalle passioni. Vivono di sotterfugi ed espedienti più o meno legali. Il loro è un mondo che lo stesso Pasolini definisce povero, caotico. In questa realtà non si trovano, purtroppo, dei punti di riferimento stabili. Come la famiglia o la scuola o lo stesso lavoro).

In questo romanzo, l’autore utilizza il lessico e il gergo delle borgate. La voce narrante invece segue sempre la corretta forma della lingua italiana. Essa soffre seguendo le vicissitudini del principale protagonista.

Pier Paolo Pasolini narra, in modo minuzioso, della vita delle borgate romane di quel periodo. Così come le vicende dei loro protagonisti. Le descrizioni sono ricche di estremo realismo.

Riassunto

Il romanzo “Ragazzi di vita” narra di un gruppo di ragazzi di Pietralata. E’ un quartiere infernale della periferia romana degli anni Cinquanta. Le vicende ruotano attorno a questi ragazzi. In particolar modo a Riccetto, di cui l’autore ne descrive la crescita e il suo tentativo di inserirsi e integrarsi nella società. Gli altri ragazzi di vita sono, oltre a Riccetto: Marcello, Alduccio, il Caciotta, il Lenzetta, Genesio, il Begalone, il Pistoletta.

Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare.
(INCIPIT del romanzo “Ragazzi di Vita”)

Riccetto

Riccetto vive con la sua famiglia in una scuola che ospita gli sfrattati delle borgate. Lui e i suoi amici vivono alla giornata, cercando di accaparrarsi ogni genere di oggetto che possa essere rivenduto. Si aggirano nei bassifondi del quartiere che sono popolati da ladri, truffatori e prostitute.

Il Riccetto combina furti di ogni genere. Si dedica anche al gioco d’azzardo. Il ragazzo vive la vita in modo selvaggio e senza regole fino a quando, per un furto – tra l’altro stavolta non commesso da lui – viene condannato a tre anni di carcere.

Pasolini, però, si sofferma anche sulla bontà del ragazzo. Dopo aver racimolato del denaro, questi un giorno decide improvvisamente di fare un giro in barca sul Tevere. Da lì a poco si butta in acqua per salvare una rondine che sta per annegare.

La situazione famigliare di Riccetto precipita con il passare del tempo. La casa in cui abitava con la mamma ed alcuni suoi amici, crolla. Ormai essa era ridotta in uno stato deplorevole e precario.

Nel crollo muore la madre del Riccetto e, dopo un disperato ricovero in ospedale, anche il suo amico e compagno Marcello. Con il tempo però, fortunatamente il Riccetto riesce a trovare un lavoro e ad integrarsi nella così detta società normale e agiata, mentre gli altri ragazzi sono destinati ad una fine tragica o al carcere o alla prostituzione o alla morte prematura.

Gli altri ragazzi di vita

Alduccio si trova in gravi difficoltà, cercando di controllare l’umore e le follie della sorella incinta con manie suicide ed è alle prese, inoltre, con un padre alcolizzato e una madre epilettica. Il Begalone per una tragica fatalità si ammala; il suo amico Amerigo, sorpreso a giocare d’azzardo durante una bisca clandestina, ritrovandosi in carcere, si toglie la vita. Non è diversa la fine del Pistoletta che, durante un gioco feroce, viene legato dai suoi crudeli compagni, e infine muore per l’efferatezza del gioco stesso.

Finale

In ultimo, il Riccetto, fra l’altro, assiste impotente alla morte del suo ultimo amico Genesio, che annega nelle acque dell’Aniene mentre si trovava in compagnia dei suoi fratelli minori Mariuccio e Borgoantico e il cane Fido. Riccetto, per evitare eventuali guai e dato che ormai aveva un lavoro, assiste impotente alla morte dell’amico. Il romanzo si chiude così in modo tragico. Riccetto è l’unico che si salva: ormai, la sua integrazione con il mondo dei “normali” e consumisti è solo all’inizio del suo cammino.

Accuse rivolte all’autore

Inizialmente l’autore, toccando temi forti nel suo romanzo, come quello del degrado e della prostituzione minorile maschile, viene accusato di oscenità e pornografia. A causa del tema trattato, Pasolini viene chiamato a processo ma, fortunatamente, quest’ultimo si risolve con un’assoluzione piena dell’autore. Anche grazie al contributo di alcuni intellettuali italiani e non, che intercedono per lui.

Ragazzi di vita - Libro - Pasolini - giornale

Trasposizioni cinematografiche

Il romanzo in seguito ottenne un notevole successo di critica e di pubblico tanto che, nel 1961, lo stesso autore realizzò il suo primo film dal titolo “Accattone“, considerato la trasposizione cinematografica dei suoi precedenti lavori letterari “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta“.

Accattone, film di Pier Paolo Pasolini
Accattone (1961), è il primo film di Pier Paolo Pasolini

Il film infatti è considerato una metafora di quella parte d’Italia caratterizzata dalla figura del sottoproletariato che purtroppo, ancora oggi, vive nelle periferie delle grandi città senza alcuna speranza di un miglioramento della propria condizione sociale ed economica.

Accattò, senti quello che te dice il profeta: oggi te vendi l’anello, domani la catenina, fra sette giorni pure l’orologio; e fra settantasette giorni nun c’avrai nemmeno l’occhi pe piagne.

Un anno dopo, seguì un altro film di Pasolini dal titolo “Mamma Roma“, che si muove sempre sullo sfondo della periferia romana ed interpretato dalla bravissima attrice Anna Magnani.

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Ben-Hur, recensione del film del 2016 https://cultura.biografieonline.it/ben-hur-2016/ https://cultura.biografieonline.it/ben-hur-2016/#respond Mon, 26 Sep 2016 10:47:39 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19977 Diretto dal regista kazako Timur Bekmambetov, “Ben-Hur” è un film del 2016, remake del celebre omonimo film del 1959, che vide protagonista Charlton Heston. È la quinta volta che si adatta al mondo del cinema la storia narrata dal romanzo “Ben-Hur” (Ben Hur: A Tale of the Christ), scritto da Lew Wallace, nel lontano 1880.

Ben-Hur 2016 - I fratello non conoscono pietà
Una foto promozionale del film che mostra Giuda Ben-Hur (in alto) e il fratello Messala (in basso). I due si sfidano in una gara di bighe all’ultimo sangue.

Ben-Hur, trama del film

Giuda Ben–Hur è il figlio di un principe. La sua famiglia vive da lungo tempo in un palazzo fra le alture di Gerusalemme. Giuda cresce insieme al suo fratellastro Messala, un orfano romano che era stato accolto in casa loro ancora ragazzino. Giuda e Massala si vogliono molto bene e affrontano l’adolescenza insieme. Però la differenza di rango e l’amore di Massala per la sorella di Giuda, che viene contrastato dalla madre di quest’ultimo, lo spingono a lasciare Gerusalemme e ad arruolarsi con l’esercito romano.

Dopo tre anni di battaglie Messala ritorna a Gerusalemme con il grado di centurione. La città sta vivendo una trasformazione. I romani non tollerano più contrasti e hanno mandato Ponzio Pilato a sopprimere tutte le forme di ribellione. Messala è incaricato di occuparsi della sicurezza. Ma il fratello Giuda, che non vuole scontri fra romani e giudei, viene suo malgrado coinvolto in un attentato contro i romani.

Messala, che oramai è totalmente schierato con i romani, arresta Ben-Hur e lo manda in una galera come schiavo rematore. Da quel momento Giuda non penserà ad altro che alla sua vendetta.

Trailer

Commento al film

La sceneggiatura rispecchia il romanzo di Lew Wallace che fu pubblicato nel 1880. Il libro si concentrava sulla formazione di Ben-Hur e sul suo rapporto con Messala. Nel film i due si confrontano e crescono insieme prima che l’Impero romano diventi una dittatura su Gerusalemme. E prima che Roma imponga la sua legge senza compromessi.

Nello stesso periodo compare Gesù Cristo, che proprio mentre Ben-Hur porta a termine la sua vendetta viene arrestato e giudicato da Ponzio Pilato. Al di là dei riferimenti storici, che in questo caso si basano soprattutto sull’attenzione ai dettagli delle divise, delle regole di combattimento nell’arena e sugli abiti, ci troviamo di fronte ad un kolossal che non lascerà grandi tracce. Benché la regia non sia male, essa dà spazio sia ai dialoghi, a volte un po’ lunghetti, sia agli effetti speciali che nella parte finale raggiungono un buon livello tecnico.

Ben-Hur, la locandina del film del 1959 con Charlton Heston
Ben-Hur, la locandina del film del 1959 con Charlton Heston. Il film vinse ben 11 Oscar.

La gara delle bighe che rese famoso il precedente kolossal su Ben–Hur e in cui Charlton Heston interpretava il protagonista, è mozzafiato. Essa non risparmia nulla ad una visione completa in cui le bighe si distruggono fra di loro per poter arrivare primi.

Gli attori seguono un copione lineare che tiene abbastanza bene il ritmo, dialoghi a parte. Nel film troviamo Jack Huston nei panni di Giuda. Non ha il carisma che fu di Charlton Heston, ma comunque si impone bene sullo schermo. C’è anche un Morgan Freeman che lavora con equilibrio costruendo un personaggio mercenario – lo sceicco Ilderim – che aiuta Giuda a rialzarsi dalla disperazione in cui è caduto dopo l’arresto, la galera e il dolore per la perdita della sua famiglia.

Locandina e poster del film Ben-Hur del 2016

Ben-Hur, locandina e poster del film del 2016
Ben-Hur, locandina e poster del film del 2016

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Musei Vaticani https://cultura.biografieonline.it/musei-vaticani/ https://cultura.biografieonline.it/musei-vaticani/#comments Tue, 12 Apr 2016 20:57:24 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17719 Visitare i Musei Vaticani significa immergersi simultaneamente tra le onde di un tempo che rivive il presente nell’immagine del proprio solenne passato, e che s’innesta nel futuro come ideale eterno e universale di un concetto estetico e comunicativo immortale, nato dai padri dell’umanità per impressionare generazioni di figli, nel frangente di una continuità che non sfibra, ma che fortifica ogni antico concetto.

Musei Vaticani

La pluralità della conoscenza incontra le fasi più nobili dello spirito umano nella magnificenza della sede vaticana dove, tra le antichità di una religiosità permeante marmi e antichi segreti, vige il potere indiscusso della Chiesa di Roma. La grandezza incontra il potere nell’incalcolabile connubio tra arte e reggenza clericale, devota a Dio e agli uomini creati a sua immagine e somiglianza. Non esiste vastità più ampia di un complesso dove vige l’anima del mondo, il cuore pulsante di una storia pressoché infinita che articolò i benefici della vittoria sulle rimesse fondamenta del debole pensiero, corrotto e dunque soffocato.

La storia del Vaticano è la storia del mondo, così come ogni parte del mondo fu tassello nel glorioso disegno evangelicamente imperituro di una conquista delle anime lontane dalla Chiesa e quindi da Dio.

L’eccezionalità delle personalità pontificie legò indissolubilmente la storia dei Musei Vaticani a una collezione d’arte stupefacente, in una varietà di manufatti e opere d’arte rappresentanti le fasi più alte dell’artisticità umana, dai corpi perfetti e atletici della statuaria classica fino alla modernità sorprendente e inquieta dei mentori dell’ideale spesso sofferente dell’arte novecentesca.

Musei Vaticani: la Storia

Ripercorrere la storia dei Musei Vaticani significa ripercorrere i vicoli della Roma rinascimentale, quando il potere si decorò d’illustri ornamenti, colpendo il cuore della cristianità di una rinnovata concezione artistica, generata dalla mente dei precursori di una potenza interpretativa senza eguali, di una ricchezza compositiva distillata di passione e sottomissione, di un totale asservimento vincolato alla consapevolezza di una somma missione ordinata e intensissimamente voluta dal vicario di Cristo in terra.

L’ispirazione nacque dalle contorte spire del gruppo scultoreo del “Laocoonte” (I secolo a.C.), per giungere, infine, alla genesi del nucleo primitivo della collezione intrapresa da papa Giulio II (1443 – 1513), che non solo gettò le basi di un complesso museale di un’assoluta importanza, ma la cui prima formazione influenzò in maniera consistente il percorso artistico e la mente sensibile ed estremamente ricettiva dei grandi protagonisti del panorama rinascimentale italiano, come nel caso di Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564), che seppe fare del “Torso del Belvedere” (I secolo a.C.) l’anima di una propria poetica, e i cui risvolti riecheggiano tra i corpi nudi e mascolinamente torniti dei personaggi che popolano la volta della Cappella Sistina.

La volta della Cappella Sistina
Musei Vaticani: la volta della Cappella Sistina

Il 1508 coincide con l’incipit di una grandiosa e maestosa volontà collezionistica, sacra al valore dell’umano apprezzamento e allo strumento dell’arte quale mezzo per raggiungere Dio, dunque l’anima del mondo.

Quando Giulio II, Giuliano della Rovere, nell’ampio respiro di un mecenatismo illustre e fortemente classicista, acquistò il mitologico gruppo scultoreo urlante di orrore e ritraente, nelle solide forme di un marmo ammirevole, l’inganno della sorte brutale toccata al sacerdote troiano, qualcosa nella storia variò, cambiando gli attesi destini dello “Status Civitatis Vaticanæ”.

“[…] Egli, com’era
D’atro sangue, di bava e di veleno
Le bende e ‘l volto asperso, i tristi nodi
Disgroppar con le man tentava indarno,
E d’orribili strida il ciel feriva;
Qual mugghia il toro allor che dagli altari
Sorge ferito, se del maglio appieno
Non cade il colpo, ed ei lo sbatte e fugge.”

(Virgilio, Eneide, Libro II, 370 – 377)

Il classicismo della virgiliana figura morente del “Laocoonte” trova in sé il motivo chiave di una collezione, quella classica, che fece della sua esistenza la giustificazione di quell’impero, un tempo romano e fecondo di conquiste, che proseguì passando dalle contuse mani di Lucius Aemilius Paullus (229 a.C. – 160 a.C.) e Flavio Valerio Aurelio Costantino (306 – 307) alle ingemmate dita di Leone X (Giovanni di Lorenzo de’ Medici, 1475 – 1521) e Paolo III (Alessandro Farnese, 1468 – 1549), verso la fatalità benedetta e gloriosamente sacra di un “Imperium sine fine”, ovvero di un impero prepotentemente consacrato alla Chiesa Cattolica, nella pagana citazione dell'”His ego nec metas rerum nec tempora pono: imperium sine fine dedi” di Publio Virgilio Marone (70 a.C. – 19 a.C.).

Un ideale sommo, celestialmente guidato nella riuscita di un’opera suprema di materializzare dell’antico binomio che lega la creazione a Dio, nell’esatta corrispondenza dell’uomo capace di creare e trasformare la materia, infondendo in essa la scintilla dell’umana vitalità, come l’assoluta potenza che colma la breve distanza che separa l’indice di Dio da quella di Adamo, negli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina.

Il potere incontrò il prestigioso volto dell’arte rinascimentale nei sublimi ambienti vaticani, portando a compimento il magniloquente incontro, in molti casi agonistico, tra Raffaello Sanzio (1423 – 1520) e Michelangelo Buonarroti.

La fervente contesa che spesso animava gli artisti, volgeva altrettanto frequentemente l’indomita indole ai danni dei giudizi estranei alla volontà personale.

Come nel caso di Michelangelo che con riluttanza accoglieva le opinioni altrui, atteggiamento che palesò nella laconica risposta data al drammaturgo e poeta Pietro Aretino quando questi dispensò alcune indicazioni attinenti la realizzazione del “Giudizio Universale“:

[…] Sommi molto rallegrato per venire da voi, che sete unico di virtù al mondo, et anche mi sono assai doluto, però che, avendo compìto gran parte de l’historia, non posso mettere in opra la vostra imaginazione, la quale è sì fatta, che se il dì del giudicio fusse stato, et voi l’aveste veduto in presenzia, le parole vostre non lo figurarebbono meglio […].

I Musei Vaticani si configurano, dunque, non solo come indiscussi custodi del sublime operato umano, ma come frangente entro cui si sviluppò la sofferenza, l’indocile passione, il sentimento artistico che mosse gli ingranaggi dell’illustre “intelligentia“, nelle afflizioni estenuanti di capolavori d’immensa portata; le illustri esternazioni del genio artistico amalgamavano il colore al sudore della fatica, l’estetica perfezione delle forme all’inguaribile indebolimento fisico, liberando e trasformando ogni mera rinuncia materiale in un supremo capolavoro artistico, in un’evidente elevazione spirituale facilmente deducibile da alcuni dei versi del Buonarroti, che ritraggono, lo stesso, ormai piegato dagli sconfinati sforzi rivolti alla realizzazione degli affreschi della volta della Cappella Sistina:

Dinanzi mi s’allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com’arco soriano
Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra’ per cerboctana torta.

(M. Buonarroti, Le Rime, 12 – 17)

Le evoluzioni

L’origine delle collezioni vaticane sbocciò esuberante dal marmoreo “Cortile delle statue“, oggi “Cortile Ottagonale“, per evolversi sovente in quel patrimonio artistico che riempì di magnificenza i lussuosi saloni vaticani, portando alla nascita di nuovi spazi espositivi e dunque museali.

Nel corso del XVIII secolo fu fondato il primo nucleo del “Museo Pio – Clementino” per l’opera culturalmente e artisticamente feconda di Clemente XIV (Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli, 1705 – 1774) e Pio VI (Giannangelo Braschi, 1717 – 1799), mentre nel secolo successivo, con Pio VII (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, 1742 – 1823) furono fortemente ampliate le raccolte di antichità classiche e la collezione epigrafica, ospitata nella “Galleria lapidaria” (XVIII secolo).

Con Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari, 1765 – 1846) si aprirono le porte del “Museo Gregoriano Etrusco” (1828) e del “Museo Gregoriano Egizio” (1839), con i reperti provenienti dagli scavi dell’Etruria meridionale e alcuni artefatti nativi del “Museo Capitolino e Vaticano”.

Nel 1844 fu inaugurato il “Museo Lateranense”, luogo espositivo che vanta la presenza di statue, mosaici, bassorilievi di età romana, i quali non trovarono posto nei palazzi vaticani.
Sotto il pontificato di San Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1835 – 1914) fu inaugurato il “Lapidario Ebraico” (1910), sezione ospitante 137 iscrizioni degli antichi cimiteri ebraici di Roma.

I Musei Vaticani si figurano come un contesto espositivo diffuso, in altre parole scandito in una moltitudine di spazi dislocati in varie edifici o ambiti museali; nel limite di una sintesi esaustiva è risulta necessario ricordare la “Galleria degli Arazzi” (1838), la “Galleria delle carte geografiche” (1580) voluta da Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, 1502 – 1585) e restaurata da Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini, 1568 – 1644), la “Sala Sobieski”, la “Sala dell’Immacolata Concezione” (1854), la “Loggia di Raffaello” (1517 – 1519), le “Stanze di Raffaello” (1508 – 1524), la “Cappella di Beato Angelico” (“Cappella Niccolina”, 1447) voluta da Niccolò V (Tomaso Parentucelli, 1397 – 1455), la “Cappella Sistina” (1483), gli “Appartamenti Borgia” (1492), la “Pinacoteca Vaticana” (1932) e il “Museo Missionario Etnologico” (1926).

Il 1973 fu l’anno della nascita della collezione d’arte religiosa moderna e contemporanea e quella del “Museo Storico”, ospitante una serie iconografica dei papi nonché i cimeli dei corpi militari soppressi.

La collezione

I Musei Vaticani, vigilanti di un’arte sacra e al contempo contemporanea, riempirono quell’infausta frattura che per secoli aveva emarginato la sacralità dalla modernità, in un concetto che induceva a escludere dalle collezioni vaticane i maggiori esemplari di arte moderna, in una comprensione di una religiosità nuova, sofferta e ricercata, come nella “Pietà” (1889) di Van Gogh, e fortemente discussa nel “Crocifisso” (1954) di Salvador Dalì.

Un’arte moderna che rimanda ai miti del Rinascimento, un’arte rinascimentale che richiama il forte classicismo della statuaria greco – romana, in un’avanzante e galoppante schiera dei più assoluti e universalmente riconosciuti capolavori antichi; è il caso di citare l'”Atena e Marsia” (450 a.C.) di Da Mirone, l’ “Amazzone Mattei” (V secolo a.C.) di Fidia, “Afrodite Cnidia” (360 a.C.) di Prassitele, l’ “Apollo del Belvedere” (350 a.C.) di Leocares, la “Statua colossale di Claudio” (47 d.C.), l’ “Augusto di Prima Porta”, l’ “Apoxyómenos” (330 -320 a.C.) di Lisippo, il “Gruppo del Laocoonte” (I secolo d.C.), gli “Affreschi dell’Odissea dalla casa di via Graziosa” (I secolo a.C.), la “Base dei Vicomagistri” (20 – 40 d.C.), la “Colonna Antonina” (161 – 162 d.C.), il “Sarcofago di Costantina” (340), il “Sarcofago dogmatico” (320 – 340), il “Ritratto del decennale di Traiano” (108 d.C.) e il “Ritratto di Filippo l’Arabo” (244 d.C.).

Il mondo classico sfuma lentamente le brillanti superfici pallide e pagane dei marmi ellenici nella complessità dell’arte medievale che, nel terreno fertile di una venerazione religiosa al limite della faziosità, vide l’investitura di un’arte splendida, narrata dai capolavori vaticani dell'”Evangeliario di Lorsch” (“Codex Aureus di Lorsch”, 778 – 820), dal “Polittico Stefaneschi” (1320) di Giotto, l'”Annunciazione” (1423 – 1425) di Gentile da Fabriano e dai cinque scomparti della predella del “Polittico Quaratesi” (1425).

Nati nel cuore del Rinascimento, i Musei Vaticani godettero del privilegio di artisti contemporanei celebri, che seppero fare dell’arte lo strumento di un potere religioso in progredente crescita, serbando ed esibendo la maestosità di un periodo glorioso attraverso un rinnovamento ideale e materiale che si espresse attraverso gli arazzi della Cappella Sistina di Raffaello, la predella della “Pala di Perugia” (1438) di Beato Angelico, l'”Incoronazione Marsuppini” (1460) di Filippo Lippi, il “San Girolamo” (1480) di Leonardo da Vinci e la “Pietà di Pesaro” (1471-1483) di Giovanni Bellini.

Nel complesso progresso artistico che unì gli uomini al supremo ideale che è l’arte, nell’ottica di uno strumento che cova in sé uno spirito capace di comprendere ogni epoca, si giunge all’illusoria fine di un percorso, nei vasti meandri dell’arte moderna e infine contemporanea, con la “Deposizione” (1602 – 1604) di Caravaggio, il “Martirio di sant’Erasmo” (1628) di Nicolas Poussin, il “Perseo trionfante” di Antonio Canova (1797 – 1801) e le potenti e irrequiete opere sopracitate di Salvator Dalì e Van Gogh.

Perseo trionfante - Scultura di Canova
Perseo trionfante: Perseo tiene con la mano la testa di Medusa (Scultura di Canova)

Note Bibliografiche
C. Rendina, I papi. Da San Pietro a Papa Francesco. Storia e segreti, Newton Compton Editori, Roma, 2013
M. Buonarroti, S. Fanelli (curatore), Rime, Garzanti, Milano, 2006
T. Filippo, La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo. Lettere scelte 1532-1564, Fazi, Roma, 2002

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Tradizioni romane del Capodanno https://cultura.biografieonline.it/tradizioni-capodanno-roma/ https://cultura.biografieonline.it/tradizioni-capodanno-roma/#respond Wed, 02 Dec 2015 11:28:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15801 Come da sempre avviene, la tradizione del Capodanno riunisce anche nella Capitale italiana famiglie, amici e conoscenti che vogliono trascorrere al meglio le ore che ci separano dall’arrivo dl nuovo anno. Roma è certamente nota per le sue tradizioni culinarie, apprezzate particolarmente in trattorie e osterie così come nei ristoranti più moderni, che non disdegnano tuttavia “un tuffo nel passato”.

Colosseo Roma a Capodanno

La cucina romana tipica del Capodanno prevede un’alternanza di piatti di carne e pesce apprezzati per i loro sapori gustosi ma non eccessivi per il palato, tra cui antipasti di gamberetti e sottaceti, uniti a brodo di verdure o spaghetti alle vongole veraci; non di rado le tavole romane sono inoltre arricchite di tagliatelle al ragù, rendendo i primi piatti un incipit particolarmente delizioso e di certo capace di preparare lo stomaco ad ulteriori portate più generose.

I secondi piatti si alternano tra pesce arrostito oppure cappone in salsa e gli immancabili fritti; non di rado vediamo anche apparire costolette panate e contorni costituiti perlopiù da insalate e verdure di stagione. Molto ambiti anche i dolci tradizionali, tra cui ricordiamo: il pangiallo con mandorle, cacao, frutta candita, e altri ingredienti, il croccante, il panpepato ed i mostaccioli che, dalla vicina Campania, sono entrati nella tradizione romana. Infine non può mancare sulle tavole romane una grande varietà di frutta secca.

In un felice capodanno non possono mancare ore di divertimento con giochi di gruppo o società, naturalmente in tema con la tradizione romana. Anche ai tempi dell’antico Impero Romano esistevano naturalmente passatempi da dedicare a questa ricorrenza, generalmente vecchie versioni di giochi di società oppure forme di tris e backgammon che sarebbero poi state sviluppate nei secoli a venire.

Non mancano i giochi di ragionamento quali gli scacchi, e i tipici “giochi dell’oca”, tra cui la variante conosciuta come “biribiss”, che si compone di un tavoliere con un casellario integrato, spesso decorato con le antiche professioni del luogo, che permette ai giocatori di puntare somme di denaro a loro scelta e vincere o perdere giocando come in una qualsiasi lotteria.

Ma sono i tradizionali giochi di carte, insieme all’immortale tombola, a fare la parte del leone nelle case dei romani durante il capodanno. Dal divertentissimo Rubamazzo, preferito dai più piccoli, al Trentuno e poi il famosissimo Sette e mezzo ed il Mercante in fiera sono solo alcuni dei giochi in grado di assicurare divertimento e relax insieme ad amici e parenti sgranocchiando un fico secco o una fetta di panettone.

Molte feste di capodanno organizzate a Roma, attualmente, prevedono svaghi vari e giochi a tema, tra cui i classici momenti di socializzazione sono rappresentati da veri e propri quiz sulla città e sulle sue attrazioni principali, assieme a domande di gossip relative ai principali VIP del capoluogo romano. Inoltre si può partecipare a cacce al tesoro a tema artistico o culturale, per esempio andando alla scoperta del Foro o del Colosseo, di norma della durata di 2-3 ore, attività ottimale anche per chi non ama le classiche uscite fuori porta.

La scaramanzia ha sempre giocato un ruolo importante nell’immaginario e nella mentalità popolare romana: non possono quindi mancare gesti e rituali tipici del Capodanno della nostra Capitale. Tra i luoghi da visitare, soprattutto da parte di chi è superstizioso, troviamo la Fontana di Trevi: si crede che lanciando di spalle una monetina con la mano destra ci si assicura un ritorno a Roma, ma ci sono anche variazioni sul tema come chi crede che gettando due monete si potrà trovare l’amore, mentre il lancio di tre monetine favorisce il matrimonio. Ma, indubbiamente, il lancio di vecchi oggetti dalla finestra è l’usanza più radicata nel capodanno dei romani, considerata propiziatoria per un buon anno nuovo.

Tra gli altri rituali che non possono mancare nel nostro Capodanno a Roma, troviamo l’assoluta presenza dello zampone sulle tavole, visto, assieme ad altri cibi propiziatori come lenticchie e melograno, dei portatori di buoni auspici e di abbondanza per il nuovo anno: tra gli altri alimenti a cui si attribuiscono queste capacità troviamo il peperoncino.

Tra le altre curiosità, che contemplano luoghi magici da visitare durante il nostro Capodanno a Roma, non può infine mancare la “Porta Magica“, ovvero la Villa Palombara situata sull’Esquilino: secondo antiche tradizioni sarebbe infatti una porta capace di svelare il mistero alla base della trasformazione di metalli comuni in oro. Di certo si tratta di un luogo suggestivo in cui passare le giornate o le ore che ci separano dall’anno nuovo, indubbiamente sarà uno dei momenti più interessanti e coinvolgenti del nostro capodanno a Roma.

Per le informazioni e i suggerimenti citati in questo articolo ringraziamo gli amici di www.capodannoroma.guide

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Il teatro a Roma: breve storia e riassunto del teatro romano https://cultura.biografieonline.it/teatro-romano/ https://cultura.biografieonline.it/teatro-romano/#comments Tue, 16 Jun 2015 14:06:46 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14385 Il pubblico ateniese assisteva alla rielaborazione ed alla reinterpretazione di miti e di storie che rappresentavano il nucleo centrale della loro cultura: il teatro, per loro, fu quindi uno strumento importantissimo. A Roma la situazione è opposta, in un certo senso. Il teatro romano è uno strumento che serve ad analizzare ed assimilare una cultura estranea alla tradizione indigena, per adeguarla alle nuove esigenze sociali e politiche.

Teatro romano - Maschera tragica
Teatro romano: una maschera tragica, caratterizzata dai lunghi capelli ricci e dalla bocca spalancata

La produzione teatrale, al contrario di quella letteraria, doveva rivolgersi ad un pubblico più vasto. Per conquistare il pubblico si potevano quindi seguire due strade: inserire temi e motivi della cultura popolare, ed è questa la strada seguita da Plauto, o in alternativa, trovare argomenti che fossero in grado di suscitare stupore e altre sensazioni. La tragedia è stata la forma drammatica che meno ha goduto del favore sulla scena romana. Dopo Livio Andronico, Nevio, Accio, la cui produzione è scomparsa, fu Seneca a rielaborare nei suoi drammi, scritti attorno al 50 d.C. durante il regno di Nerone, i temi classici della tragedia greca.

La maschera tragica era di grandi dimensioni, caratterizzata dall’alta pettinatura a riccioli che coprivano la fronte e incorniciavano il viso. A riccioli era anche la barba dei maschi, con la bocca spalancata e il tondo foro degli occhi che gli conferiva un’espressione di doloroso stupore. Il personaggio assunse sempre più un aspetto imponente e poi terribile.

Già con Seneca venivano rappresentati episodi violenti, uccisioni e suicidi. La messa in scena posteriore li rese sempre più crudeli per compiacere il gusto del macabro, i personaggi diventano deformi. Di conseguenza la tragedia, da eletta forma ideale, diventa un grottesco intrattenimento per il popolino. Tuttavia, dalla tragedia deriva in epoca agustea un nuovo genere di spettacolo, ovvero la pantomima.

La pantomima

La pantomima era rappresentata da un coro o un cantore che cantavano i passi di note tragedie, mentre un attore con una maschera a tre volti interpretava tutti i personaggi.

Meno movimentata fu invece la storia della commedia che rimase inalterata con le sue avventure amorose complicate da travestimenti, scambi di persone, trucchi di servi sino all’avvento dell’impero.

Forme di rappresentazione teatrale popolare

La produzione popolare si può distinguere in tre generi principali: l’atellana, il fescennino e il mimo. L’atellana era un gioco di personaggi fissi di maschere, che avevano un proprio carattere personale, che rimaneva invariato attraverso infinite brevi avventure; fu gradita alle classi elevate.

Il fescennino ebbe una vita più breve, a causa della sua tematica politica e della sua propensione a introdurre elementi di satira personale. Il mimo romano era caratterizzato dalla tematica volgare, quotidiana, e dalla presenza di attori che recitavano senza la maschera. Il mimo divenne la forma teatrale per eccellenza del popolo romano.

A Roma, anche il teatro ufficiale si trasformò istituzionalmente in divertimento, percepito più che come strumento di cultura come circensis: veniva quindi offerto alla plebe alla stessa maniera di giochi sportivi e gladiatori.

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La fontana della Barcaccia https://cultura.biografieonline.it/fontana-della-barcaccia/ https://cultura.biografieonline.it/fontana-della-barcaccia/#comments Sat, 21 Mar 2015 17:30:53 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13858 La “fontana della Barcaccia”, comunemente conosciuta come la “Barcaccia”, è una fontana in travertino situata a Roma nella famosissima Piazza di Spagna, ai piedi dell’altrettanto celebre scalinata di Trinità dei Monti. Commissionata da Papa Urbano VIII (al secolo Maffeo Vincenzo Barberini), l’opera è stata interamente realizzata in tre anni (1627-1629) da Pietro Barberini, architetto dell’acquedotto romano “Acqua Vergine”, con l’aiuto dello scalpellino Battista Bancozzi e probabilmente del più noto figlio Gian Lorenzo Bernini (“David”, “Apollo e Dafne”, “Ratto di Proserpina”), a cui si attribuisce la conclusione del lavoro in seguito alla sopraggiunta morte del padre.

Fontana della Barcaccia - Scalina di Trinità dei Monti
Fontana della Barcaccia – Scalina di Trinità dei Monti

Storia della fontana della Barcaccia

L’opera commissionata da Papa Urbano VIII attua, in realtà, un antico progetto del 1570 che prevedeva l’abbellimento, con fontane pubbliche, delle più importanti piazze della città attraversate e alimentate dal cosiddetto acquedotto “Acqua Vergine”. Il progetto del Bernini, andando oltre la classica e canonica realizzazione delle fontane romane della fine del XVI secolo e traendo ispirazione da una barca che sta per affondare in un bacino d’acqua, dà vita ad una lineare opera scultorea più che architettonica.

Tra le diverse interpretazioni offerte, riguardo il soggetto rappresentato, spiccano due antiche e accreditate tradizioni popolari. Queste spiegano come la particolare forma della “fontana della Barcaccia” deriverebbe dalla presenza nella piazza di una barca in secca giunta lì a causa della piena del Tevere del 1598. Un’altra ipotesi è che in loco vi fosse una naumachia (con questo termine, letteralmente “combattimento navale”, si indicava nell’antica Roma sia uno spettacolo che riproduceva una battaglia navale sia l’edificio in cui tali rappresentazioni si svolgevano). Infine, in base alla fisionomia stessa della “fontana della Barcaccia”, che presenta fiancate basse e larghe, non è da escludere la teoria che, nel mondo romano, la barcaccia fosse semplicemente un’imbarcazione, che risaliva il Tevere fino al vicino porto di Ripetta, atta al trasporto fluviale dei barili di vino.

Fontana della Barcaccia - Bernini
Fontana della Barcaccia – Bernini

Analisi dell’opera

La realizzazione di tale progetto richiede al Bernini la risoluzione di un inconveniente non secondario. Infatti, la bassa pressione dell’acquedotto “Acqua Vergine”, nel luogo destinato ad ospitare la fontana, e la conseguente impossibilità di creare cascate o zampilli d’acqua, costringono lo scultore e pittore napoletano a ricorrere ad un espediente che nulla leva alla bellezza dell’opera ma, al contrario, ne accresce il valore artistico.

Pietro Bernini, infatti,  concepisce la “fontana della Barcaccia” come una barca semisommersa in una vasca ovale, posta lievemente al di sotto del livello stradale. La prua e la poppa, identiche nella forma, sono rialzate rispetto ai bordi laterali più bassi e larghi, dando così l’impressione allo spettatore che la Barcaccia stia per affondare. Al centro, da una piccola vasca dalla forma allungata sorretta da un gambo corto, fuoriesce un getto d’acqua che, passando dalla vasca superiore alla barca, tracima, attraverso le basse fiancate della barca stessa, nello specchio d’acqua sottostante in cui l’imbarcazione è immersa.

L’acqua, inoltre, fuoriesce zampillando da altri sei punti, equamente divisi: tre a poppa e tre a prua. All’esterno, sgorga da fori circolari che ricordano nella forma bocche di cannone; tra loro, quindi perfettamente al centro, spicca lo stemma pontificio con la tiara (copricapo papale usato un tempo nelle occasioni ufficiali) e tre api (segno di operosità, lavoro e dolcezza e simbolo araldico della famiglia Barberini). All’interno, invece, due mascheroni a forma di sole con fattezze umane gettano acqua in due vasche, alimentando così il flusso continuo verso l’esterno.

Fontana della Barcaccia - particolare
Fontana della Barcaccia – particolare

È indubbio che il genio e la perizia artistica dello scultore tardomanierista Pietro Bernini, esemplari nella “fontana della Barcaccia”, hanno lasciato ai posteri un tesoro in cui scultura e architettura si fondono per dare vita ad una splendida opera che contribuisce a rendere unica una delle più belle e suggestive piazze d’Italia.

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Perché Nerone bruciò Roma? https://cultura.biografieonline.it/nerone-incendio-roma/ https://cultura.biografieonline.it/nerone-incendio-roma/#respond Sun, 15 Dec 2013 13:28:35 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8971 Secondo gli storici di quel tempo, l’imperatore Nerone fu il fautore principale dell’incendio che si diffuse nei quartieri più poveri di Roma la notte del 18 luglio del 64 (evento ricordato come Grande incendio di Roma). La responsabilità fu dell’Imperatore che avrebbe ordinato ai suoi uomini di appiccare l’incendio alla città.

Nerone incendiò Roma
Nerone diede fuoco a Roma?

Secondo gli storici infatti, Nerone non considerava Roma all’altezza dei suoi canoni di bellezza e per lui era necessario intervenire drasticamente, effettuando un notevole cambiamento urbanistico, spazzando via tutto il vecchio. Secondo Svetonio, Nerone era considerato un odiato despota ed esteta, amante del bello e nella sua opera “De Vita Caesarum”, lo accusa direttamente di aver provocato tale disastro.

Altre fonti storiche, invece, raccontano di un Nerone che avrebbe voluto far scoppiare l’incendio solo per lasciare un vivido ed indelebile ricordo della sua persona nella storia dell’umanità e per trarne semplicemente ispirazione per un suo epico canto. Ma Tacito smentisce tali fonti citando che nel periodo in cui scoppiò l’incendio, l’imperatore non si trovava a Roma e quando seppe dell’accaduto si premurò di rientrarvi per organizzare la ricostruzione urbanistica della città, ingaggiando immediatamente tecnici ed architetti.

Nerone

Tacito da nel complesso un giudizio positivo su Nerone che a suo dire, anche se mediamente, si preoccupò della città, anche se il suo pensiero primario fu quello di  costruire la Domus Area, ossia la nuova residenza dell’Imperatore. In un secondo momento, elogia il processo di riedificazione pianificato da Nerone in modo da evitare che si verificasse nuovamente una catastrofe.

I più arditi storici come il tedesco Gerhard Baudy, sostengono invece che l’incendio fu appiccato dai cristiani per far avverare una loro profezia apocalittica sulla distruzione di Roma. Ma in realtà, gli scritti lasciati da Tacito smontano tale ipotesi, dicendo che  Nerone fece ricadere su di loro la colpa, proprio perché gli attribuivano la responsabilità dell’incendio.

Comunque siano andati i fatti, il dubbio sull’imperatore è arrivato fino ai giorni nostri, ma secondo la maggioranza degli studiosi moderni l’incendio non fu colpa né di Nerone né  fu tantomeno doloso. Si trattò solo di uno spiacevole incidente causale dato che Roma, soprattutto in estate, era sovente soggetta a frequenti roghi.

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