rock Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 29 Sep 2023 13:51:25 +0000 it-IT hourly 1 Brown Sugar: 3 cose che non sapevi sulla canzone dei Rolling Stones https://cultura.biografieonline.it/brown-sugar-rolling-stones/ https://cultura.biografieonline.it/brown-sugar-rolling-stones/#respond Thu, 02 Feb 2023 12:22:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13553 Brown Sugar è una delle canzoni più famose dei Rolling Stones: fu pubblicata il giorno 16 aprile 1971 in Gran Bretagna. Scritto da Mick Jagger e Keith Richards, il singolo “Brown Sugar” fa parte dell’album Sticky Fingers, il 9° disco nella lunga storia del gruppo (il 9° in Europa, 11° nel mercato statunitense). Brown Sugar precedette l’uscita del disco, che venne lanciato nel mese di maggio dello stesso anno.

Brown Sugar - The Rolling Stones - 1971
The Rolling Stones – la copertina del singolo “Brown Sugar”, pubblicato nel Regno Unito il 16 aprile 1971

Brown Sugar: la storia della canzone degli Stones

Il singolo è stato primo in classifica per ben due settimane negli Stati Uniti, Canada e Olanda mentre per la Gran Bretagna si piazzò “solamente” al secondo posto.

La canzone “Brown Sugar” comincia con un riff di chitarra elettrica (lungo assolo) e le parole di Jagger, proseguendo poi con la batteria e il sassofono, strumento che diventa protagonista della canzone dal minuto 1’38”.

Il cantato di Mick Jagger è accompagnato anche dal coro degli altri componenti del gruppo ma assume una valenza minore rispetto agli strumenti musicali, che hanno la meglio nel brano. Probabilmente l’unico compositore della canzone fu il solo Jagger durante le riprese del film “I fratelli Kelly”, in Australia, nel 1969. Il brano venne registrato infatti nel 1969 ma non venne pubblicato subito per problemi di copyright. Jagger lo dedicò alla sua compagna segreta, madre di suo figlio Karis.

L’origine del testo di Brown Sugar

Il testo del brano è molto scandaloso: lo stesso titolo allude sia ad un tipo di eroina (“brown sugar” significa letteralmente “zucchero marrone” con riferimento a quello grezzo, lo zucchero di canna; tuttavia nello slang di strada si riferisce principalmente all’eroina) sia ad una ragazza di colore.

La trama infatti racconta di schiavismo, sadomasochismo, sesso , droga e perdita della verginità. Si parla di una donna matura che fa l’amore con il proprio schiavo nero, di una ragazza giovane che perde la sua verginità, ma in modo velato. Spesso infatti grazie alla melodia conosciutissima ed orecchiabile, il testo è sempre passato in secondo piano.

Il 18 dicembre del 1970 durante il compleanno di Keith Richards venne incisa una versione con Al Kooper al piano e Eric Clapton alla chitarra. Per la versione definitiva dell’album il gruppo era indeciso se pubblicare quest’ultima oppure quella originale: alla fine si optò per quella già incisa, in quanto l’ultima risultava troppo spontanea negli arrangiamenti.

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Testo originale della canzone

Gold coast slave ship bound for cotton fields,
Sold in a market down in New Orleans.
Scarred old slaver know he’s doin’ alright.
Hear him whip the women just around midnight.
Ah Brown Sugar how come you taste so good
(A-ha) Brown Sugar, just like a young girl should
A-huh.

Drums beating, cold English blood runs hot,
Lady of the house wond’rin where it’s gonna stop.
House boy knows that he’s doin’ alright.
You should a heard him just around midnight.
Ah Brown Sugar how come you taste so good
(A-ha) Brown Sugar, just like a black girl should
A-huh.

I bet your mama was a tent show queen, and all her boy
Friends were sweet sixteen.
I’m no schoolboy but I know what I like,
You should have heard me just around midnight.

Ah Brown Sugar how come you taste so good
(A-ha) Brown Sugar, just like a young girl should.

I said yeah, I said yeah, I said yeah, I said
Oh just like a, just like a black girl should.

I said yeah, I said yeah, I said yeah, I said
Oh just like, just like a black girl should

La traduzione italiana

Nave schiavista della costa d’oro
in rotta per i campi di cotone,
venduto in un mercato giù a New Orleans
Lo schiavista sa che sta facendo bene.
Senti come frusta le donne verso mezzanotte

Ah, Brown Sugar
che buon sapore hai
(A-ha) Brown Sugar,
proprio come una ragazzina dovrebbe

Tamburi suonano,
freddo sangue inglese scorre caldo,
La padrona di casa si sta domandando
dove si fermerà
Il ragazzo di casa sa che sta facendo bene
Avresti dovuto sentirlo intorno a mezzanotte

Ah, Brown Sugar
che buon sapore hai
proprio come una ragazzina dovrebbe

Scommetto che tua mamma
era la regina di un circo, e tutti i suoi
fidanzati erano dolci sedicenni.
Io non sono uno scolaro ma so cosa mi piace
Avresti dovuto sentirmi intorno a mezzanotte

Ah, Brown Sugar
che buon sapore hai
proprio come una ragazzina dovrebbe

Ho detto sì, ho detto sì,
ho detto sì, ho detto
Oh proprio come una,
proprio come una ragazza nera dovrebbe

Ho detto sì, ho detto sì,
ho detto sì, ho detto
Oh proprio come una,
proprio come una ragazza nera dovrebbe

Curiosità

Alcune delle frasi più scandalose ( “sentitelo quando frusta le donne all’incirca verso mezzanotte”) sono state modificate in modo da risultare meno offensive (“dovreste sentirlo circa verso mezzanotte”).

Il brano è stato inoltre inserito nella raccolta “Hot rocks” 1964-1971, la prima dei Rolling Stones pubblicata negli Stati Uniti grazie alla casa discografica ABKCO, di proprietà del manager Allen Klein. La raccolta fu in realtà una mossa della casa discografica per ottenere maggiori vendite e maggiori guadagni dal gruppo ed ottenne un grande successo. In Inghilterra uscì solamente nel 1990 ma, a dispetto degli anni trascorsi, ottenne comunque il terzo posto in classifica.

La canzone Brown Sugar nel 1998 è diventata anche colonna sonora di una pubblicità della Pepsi Cola, anche se non in versione originale.

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Rolling Stones: breve storia https://cultura.biografieonline.it/rolling-stones/ https://cultura.biografieonline.it/rolling-stones/#comments Tue, 21 Jun 2022 06:55:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13398 I Rolling Stones sono uno dei gruppi rock più famosi del pianeta e uno dei più importanti dell’intera storia del rock. Di origine britannica, sono formati da Mick Jagger (voce, armonica, chitarra), Keith Richards (chitarra, voce), Ronnie Wood (chitarra, cori), Charlie Watts (batteria, percussioni). Quest’ultimo è scomparso nell’agosto 2021, all’età di 80 anni.

Rolling Stones
The Rolling Stones nel 2012. Da sinistra: Charlie Watts, Mick Jagger, Keith Richards e Ron Wood

Insieme sono diventati una leggenda del rock mondiale, punto di riferimento per tutti gli artisti in questo campo e soprattutto idoli per diverse generazioni di giovani e non solo. La loro musica può definirsi il perfetto mix di rock e blues, evolvendosi proprio dai ritmi del rock and roll degli anni ’50.

Sesso, droga e rock ‘n’ roll

I Rolling Stones (spesso indicati solo come Stones) sono diventati famosi oltre che per la loro musica anche per la loro trasgressione: furono tra i primi a fare riferimento nelle loro canzoni alla droga, al sesso, all’alcool e molto spesso passarono dal testo alla realtà, trasgredendo anche nella vita e diventando icone degli eccessi. Furono infatti chiamati “brutti, sporchi e cattivi” proprio per la loro vita borderline, in contrapposizione ai Beatles, l’altro gruppo inglese entrato nella storia della musica, ma universalmente riconosciuto come quello dei bravi ragazzi.

In realtà tra i due gruppi non c’erano grosse rivalità ma rapporti di stima e di amicizia. I Rolling Stones però premevano molto su questa contrapposizione, proprio per proporsi come una band fuori dal coro e dagli schemi.

La fondazione degli Stones

Le “pietre rotolanti” erano originariamente cinque ragazzi inglesi appassionati di rhythm & blues, che adoravano suonare la chitarra e soprattutto la buona musica. I cinque erano molto diversi per estrazione sociale e infanzia; alcuni di loro nacquero da genitori insegnanti (Lewis Brian Jones), altri invece da famiglie operaie (Keith Richards), altri ancora di estrazione sociale più elevata (Charles Watts era figlio di un pilota della RAF).

Mick Jagger
Mick Jagger

I ragazzi si conobbero sui banchi di scuola e la musica ebbe sempre un posto importante nelle loro vite: iniziarono a suonare prima da soli e poi nei gruppi parrocchiali, intraprendendo la strada della musica.

L’unione ufficiale e la nascita dei Rolling Stones avvenne il 12 luglio 1962 quando negli studi della BBC il musicista Alexis Corner chiese al gruppo di sostituirli nella registrazione televisiva: suonarono così insieme Brian Jones, Mick Jagger, Keith Richards, Mick Taylor e Ian Stewart.

L’esordio ufficiale avvenne nel tempio del rock di Londra, il Marquee e il successo fu presto enorme.

Nel gennaio del 1963 Charlie Watts entrò ufficialmente nel gruppo sostituendo Tony Chapman alla batteria.

Gli esordi

Gli anni dell’esordio (1962-1963) li vide associarsi all’etichetta Decca Records e contrapporsi ai Beatles come immagine e target. Famoso fu lo slogan pubblicitario: “Lascereste andare vostra figlia con un Rolling Stones?”.

Nel 1965 per la prima volta ottennero un enorme successo con il brano “Satisfaction”. Proprio in questo periodo Jones e Richard introdussero la tecnica della tessitura di chitarra (guitar weaving): i due chitarristi suonano la parte ritmica e solistica nello stesso momento. Richard dichiarò che ascoltando alcuni lavori di gruppo gli venne in mente questa tecnica per far assomigliare il suono di due chitarre a quello di quattro o cinque.

Nel 1966 uscì il primo disco composto da canzoni esclusivamente scritte da loro “Aftermath”. Seguì un periodo di concerti e un successo mondiale, dal quale però i componenti del gruppo uscirono piuttosto stanchi, anche a causa dell’eccessivo uso di alcool e droga.

La morte di Brian Jones

Nel 1969 Brian Jones morì in circostanze misteriose: venne sostituito nel gruppo da Mick Taylor. Brian sarà però sempre rimpianto per l’immagine che diede al gruppo.

Il periodo di Taylor fu però comunque importante per il riavvicinamento al blues e alla freschezza di nuovi arrangiamenti ma sarà sostituito nel 1974.

Gli anni ’70 e la crisi

Gli anni Settanta trascorsero tra successi in vetta alla classifica, come gli album Black and blue, Love you live e Some girls.

Nel 1974 Mick Taylor decise di abbandonare il gruppo, provocando grandi difficoltà agli Stones. Venne chiamato Ry Cooder che accompagnò la band nel tour di quell’anno; alla fine anche Ry Cooder non seppe gestire la convivenza con la sregolata formazione inglese, così per sostituirlo venne ingaggiato nel 1975 Ron Wood (amico di vecchia data che lavorò in passato con Rod Stewart nel Jeff Beck Group e nei Faces).

Keith Richards e Mick Jagger iniziarono poi ad avere delle divergenze: il primo voleva tornare al rock and roll, il secondo invece avvicinarsi al pop.

Keith Richards
Keith Richards con la sua chitarra, una Fender Telecaster

Si sentì così nell’aria lo scioglimento e la crisi, sancita con la pubblicazione nel 1988 da parte di Keith Richards del suo primo album da solista (Talk is cheap).

La reunion, gli anni ’90 e successivi

Negli anni 90’ i Rolling Stones tornarono a calcare le scene e a produrre un album ogni tre anni, seguito da tour mondiali.

Così dal 2000 in poi proseguirono i mega concertoni che la band tenne in tutto il mondo senza mai perdere spettatori e pubblico. In Italia i Rolling Stones vennero più volte; una delle più recenti esibizioni fu quella del 22 giugno 2014 a Roma, al Circo Massimo, davanti ad un pubblico di 71.000 spettatori.

The Rolling Stones - Il celebre simbolo della bocca con la lingua
The Rolling Stones – Il celebre simbolo della bocca con la lingua

Il mito dei Rolling Stones continua attraverso le generazioni, incarnando l’ideale di musica rock, aggressiva, potente e forte. Il loro simbolo (la lingua con la bocca spalancata) è diventato una delle icone più famose del mondo a dimostrazione che nonostante tutti i cambiamenti, i periodi di crisi e lo scioglimento, i brutti-sporchi e cattivi della musica mondiale non hanno mai mollato.

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Eurovision: i Maneskin rappresenteranno l’Italia in Europa https://cultura.biografieonline.it/eurovision-maneskin/ https://cultura.biografieonline.it/eurovision-maneskin/#respond Tue, 09 Mar 2021 16:00:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=33104 Il gruppo romano de “I Maneskin”, vincitore del 71esimo Festival di Sanremo, parteciperà in rappresentanza del nostro Paese alla manifestazione “Eurovision”, prevista dal 18 al 22 Maggio prossimo a Rotterdam. I quattro membri del gruppo musicale sono felici di cogliere questa grande occasione, che arriva subito dopo la vittoria di Sanremo.

I quattro rockettari stupiti della loro vittoria

Damiano, Victoria, Thomas e Ethan, più di una volta, hanno espresso lo stupore per il risultato ottenuto al Festival di Sanremo:

Non ci aspettavamo una reazione così veloce da parte del pubblico. Abbiamo portato qualcosa di diverso da quello che si era abituati a vedere sul palco del Festival”.

La soddisfazione di Manuel Agnelli, il mentore del gruppo

La notizia della partecipazione dei Maneskin all’Eurovision Song Contest di Rotterdam è stata accolta con grande entusiasmo anche dal mentore del gruppo, Manuel Agnelli. “Sono orgogliosissimo di questi ragazzi che hanno saputo crescere e andarsi a prendere quello che gli spettava con coraggio, naturalezza, sincerità e tantissima passione”, ha detto.

Le porte dell’Eurovision si spalancano per questo gruppo rockettaro romano che ha cambiato le carte in tavola in una kermesse canore tradizionalista come il Festival di Sanremo. In bocca al lupo!

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Muse, breve storia del gruppo https://cultura.biografieonline.it/muse/ https://cultura.biografieonline.it/muse/#respond Mon, 30 Nov 2020 18:35:39 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13339 I componenti

I Muse sono una band britannica nata nel 1994 dall’incontro di Matthew Bellamy, voce, chitarra e pianoforte; Dominic Howard, batteria; Chris Wolstenholme, basso e cori. Conosciutisi giovanissimi tra i banchi di scuola a Teignmouth (Inghilterra), il loro successo è legato ad un sound particolare che nasce dalla fusione di progressive rock, glam, atmosfere elettroniche e seducenti melodie vocali.

Muse
Muse: da sinistra Dominic Howard, Matthew Bellami e Chris Wolstenholme

Muse: da gruppo di supporto al successo mondiale

Nel 1997 i Muse pubblicano il loro omonimo EP (extended play) di debutto attraverso la “Dangerous Records”, seguito nel 1998 dall’EP Muscle Museum. La loro musica, emotiva e passionale, in unione con la forte presenza scenica della band dal vivo, attira le prime critiche e i primi consensi, suscitando interesse nella “Maverick Records” con cui firmano un contratto.

I singoli “Cave” e “Uno” precedono l’uscita dell’album di debutto, Showbiz, avvenuta alla fine del 1999. L’album, che conquista i favori del pubblico e diversi premi della critica, procura ai Muse ottimi ingaggi di supporto a band quali i Foo Fighters e i Red Hot Chili Peppers.

Gli anni 2000

Due anni dopo (2001) vede la luce il secondo lavoro del terzetto inglese, The Origin of Symmetry.  Si inizia a conoscere ed apprezzare di più l’individualità musicale della band e, soprattutto, comincia quello che è l’allontanamento dal pedissequo accostamento dei Muse ai Radiohead.

L’album riscuote grande successo grazie a pezzi impegnati come New Born e Space Dementia; all’uso di strumenti poco ortodossi come l’organo, un mellotron (strumento musicale a tastiera), un drumset espanso; e ancora alla voce di Bellamy (frontman del gruppo) che unisce falsetti in crescendo di gran livello alla sua maestria da pianista, che trae ispirazione da Chopin e Rachmaninov.

Absolution: il terzo album

Nel 2003 arriva il terzo album: Absolution. I Muse sono ormai una realtà musicale e questo lavoro consolida la loro fama a livello mondiale e la direzione artistica presa con il precedente Origin of Symmetry. Le influenze classiche si fondono con un suono robusto in una perfetta armonia di contrasti.

La band riconferma la volontà di dare musicalmente voce a tematiche odierne: teologia, scienza, politica e futurismo sono argomenti che attraversano tutto l’album. Oltre al successo di pubblico, nel 2004 e nel 2005 arrivano i riconoscimenti dalla critica, vincono infatti un “MTV Europe Music Awards” come Best Alternative Act e un “Q Awards” come Best Live Act, mentre ai “Brit Awards” vincono per il British Live Act.

Muse
Muse – Matthew Bellamy durante un concerto in uno stadio

Un nuovo disco impegnato

Black Holes and Revelations, che nasce nel 2006, è in parte registrato a Milano, alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani. Anche questo è un album che si può definire “impegnato”, canzoni come Take a Bow (sulla guerra in Iraq), Assassin (critica del governo di Tony Blair), o Invincible (storia dell’uomo fino agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001), mostrano il vivo interesse della band per tematiche attuali.

Ancora una volta i riconoscimenti non si fanno attendere e, vinto il premio come Best Alternative agli “MTV Music Awards” di Copenaghen, nel 2007 si aggiudicano nuovamente il premio come Best Live Act ai “Brit Awards”. L’uscita del disco è seguita da un tour, da cui viene estratto HAARP, il primo album dal vivo registrato allo stadio di Wembley, Londra, nell’estate del 2007.

Il successo di The Resistance

A tre anni di distanza arriva la quinta prova del gruppo, The Resistance. Senza discostarsi troppo dal precedente lavoro, il disco orchestrale (vanta alle sue spalle la presenza dell’orchestra sinfonica della Scala di Milano) è in parte registrato in Italia. Mixato da Mark Stent (Madonna, OasisU2 e Depeche Mode) risulta essere una miscela di influenze, dalla musica classica al metal, dal prog ai motivetti arabi.

Grande il successo di questo album, che a pochi giorni dall’uscita, balza sulla vetta delle classifiche italiane, inglesi, olandesi e australiane, facendo sì che le programmate 30 date del “The Resistance Tour” diventino 144. Anche la critica fa la sua parte e i Muse vincono nella categoria Best Act in the World Today in occasione dei “Q Awards 2009” e nel 2011 ai “Grammy Awards” nella categoria Best Rock Album.

Gli anni 2010

Nel 2011 Bellamy e soci chiedono e ottengono di scrivere il tema ufficiale per le Olimpiadi di Londra del 2012 e la band torna con “Survival”, primo singolo del loro sesto album pubblicato dalla “Warner Bros”, The 2nd Law.

Il gruppo intraprende un altro tour per promuovere l’ultimo lavoro, e la loro spettacolare performance allo Stadio Olimpico di Roma – completa di giochi pirotecnici, pareti video e acrobati – è ripresa in alta definizione per realizzare il film concerto “Muse – Il concerto allo Stadio Olimpico di Roma”, uscito nelle sale e in DVD nel 2013.

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Il 2015 è l’anno di Drones, settimo album della band inglese. Un ritorno alle origini, come ha dichiarato lo stesso frontman dei Muse:

“ Negli ultimi due dischi ci siamo allontanati un po’ da quelli che sono i nostri veri strumenti, concentrandoci su sintetizzatori, batterie elettroniche, effetti vari e via di questo passo. Sento che per il prossimo disco torneremo verso una musica “suonata”, torneremo ad usare i nostri soliti strumenti, ossia chitarra, basso e batteria. Sarà un disco in qualche modo più grezzo, di certo più rock.”

Dopo lunghi tour dal vivo tornano in studio per sfornare nel 2018 un nuovo album complesso e articolato, che non rinuncia alle loro caratteristiche e peculiarità: è il disco “Simulation Theory”, a cui segue un film-concerto omonimo che viene distribuito nel 2020.

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London Calling (The Clash): la celebre foto di Pennie Smith https://cultura.biografieonline.it/foto-london-calling-clash-pennie-smith/ https://cultura.biografieonline.it/foto-london-calling-clash-pennie-smith/#respond Thu, 03 Aug 2017 12:59:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22928 Il disco London Calling fu pubblicato il 14 dicembre 1979. E’ il terzo lavoro della punk rock band The Clash. L’album passato alla storia non solo perché contiene moltissimi generi musicali, ma proprio grazie alla sua copertina, ancora oggi molto riconoscibile. La grafica riprende il primo lavoro discografico di Elvis Presley.

The Clash - London Calling - Famous rock photo - Pennie Smith
La celebre foto di Pennie Smith scattata il 21 settembre 1979

Come nasce la celebre foto della copertina

Pare infatti che alla fine del concerto, tenuto a New York il 21 settembre 1979, Paul Simonon (bassista), insoddisfatto della performance decide di spaccare il proprio basso sul palco. Da qui lo scatto della fotografa inglese Pennie Smith, che si trova sul bordo del palco. Lo scatto è destinato a fare il giro del mondo. La fotografa cattura la scena senza staccare le mani dalla camera. Utilizza una Pentax ESII con una pellicola TRIX400 ASA. Compie tre scatti mentre il musicista si sfoga distruggendo il suo strumento. Oggi il basso elettrico esposto al Rock and Roll Hall Of Fame and Museum.

Si tratta di una delle fotografie più famose della storia del rockSi vede il bassista colto in modo naturale durante lo spettacolo al Palladium, a New York. La foto si è aggiudicata il riconoscimento di migliore fotografia rock and roll di tutti i tempi.

The Clash - London Calling - Cover album
The Clash, “London Calling”: la copertina del disco del 1979

Chi è Pennie Smith

La fotografia di Pennie Smith influenza una giovane generazione di fotografi. Lei è specializzata in bianco e nero. Il suo primo incarico è per la rivista NME: ci sono i Led Zeppelin in tour. Ma vediamo un aneddoto sulla foto scelta dalla band per la copertina del vinile.

La fotografa inglese sconsiglia al gruppo di utilizzarla perché sfuocata e troppo vicino al soggetto che lei fotografa, cioè il bassista intento a rompere il basso. Mentre i Clash ritengono opportuno utilizzarlo proprio per questo “difetto” che, secondo loro, ben ritrae la loro musica.

Pennie Smith
Pennie Smith

La Smith ha lavorato per le più importanti riviste musicali inglesi, ha pubblicato diversi libri, ha esposto i suoi lavori in molte gallerie in giro per il mondo, e ha continuato la sua carriera da freelance.

La band londinese

I The Clash sono nati a Londra, nel 1976, e sono stati attivi sino al 1986.  Senza neppure aver pubblicato un disco, sono riusciti a entrare nel giro delle punk band di Londra e ad esibirsi in numerosi concerti con altri gruppi famosi, quali, ad esempio, Sex Pistols, Buzzcocks e Damned. Un anno dopo dalla formazione, la band viene messa sotto contratto dalla Columbia, all’epoca una delle etichette più importanti.

Nasce così, dopo soli tre mesi, The Clash, un disco (omonimo) punk, vario e leggero. I membri storici della band sono: il cantante Joe Strummer (stroncato nel 2002 da un infarto), il chitarrista Mick Jones e il già citato bassista Paul Simonon.

Il successo per loro arriva nel 1978. Un anno dopo, nel 1979, viene registrato London Calling, un disco che esce come doppio al prezzo di uno. Esso contiene 19 brani. Inizialmente doveva essere intitolato The New Testament, titolo poi abbandonato a favore dell’altro. Il lavoro della band vende oltre due milioni di copie nel mondo, certificato disco di platino e disco d’oro negli Stati Uniti, nonché disco d’oro e d’argento nel Regno Unito.

Il doppio disco si apre con il brano omonimo.

London Calling, la canzone

La canzone recita:

The ice age is coming…the sun is zooming in
Engines stop running and the wheat is growing thin
A nuclear error… but I have no fear
London is drowning… and I…
I live by the river!”

che tradotta significa:

Sta arrivando l’era glaciale…il sole sta precipitando
I motori si fermano e il frumento avvizzisce
Un errore nucleare…ma io non ho paura
Londra sta annegando… ed io…
Io vivo vicino al fiume!

Il significato della canzone

Insomma non si tratta di una canzone felice, in quanto richiama tensioni sociali e la paura causata dall’incidente nucleare di Three Mile Island, avvenuto proprio nel 1979. Eppure è stata proposta come “jingle” per il countdown verso le Olimpiadi londinesi del 2012.

La canzone comincia con le parole: “London calling to the faraway towns, now that war is declared and battle come down. (“Londra sta chiamando le città lontane, ora che la guerra è dichiarata e la battaglia è arrivata”).

In pratica “Londra sta chiamando” è la traduzione letterale del titolo e allude al messaggio che trasmetteva la BBC in radio nel corso della Seconda Guerra Mondiale nei paesi occupati. La frase era pronunciata dall’annunciatore radiofonico Edward R. Murrow.

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Woodstock: il Festival del 1969 https://cultura.biografieonline.it/woodstock-1969/ https://cultura.biografieonline.it/woodstock-1969/#comments Fri, 06 Sep 2013 11:13:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7802 Il Festival di Woodstock fu un evento tanto importante, da diventare un aggettivo: utilizzato per rendere l’idea di una grande manifestazione, soprattutto se a carattere musicale e se popolata da un pubblico numeroso, perlopiù giovanile (e, anche, trasgressivo). È Woodstock, il più grande raduno della storia del rock, andato in scena nella piccola cittadina rurale di Bethel, situata nello stato di New York, in una distesa di prato aperto (per la precisione, si tenne nel caseificio di proprietà di Max Yasgur, poco fuori il White Lake).

Festival di Woodstock 1969
Il Festival di Woodstock si tenne dal 15 al 17 agosto del 1969

Il festival ebbe luogo dal 15 al 17 agosto del 1969, con un’appendice finale “debordata” al 18 agosto (per la verità non prevista), e può ben essere considerato il punto culminante, il vero apice, della diffusione della cultura hippy. Un happening mondiale organizzato allo scopo di riunire gli amanti della musica rock e del movimento della controcultura sessantottina, in tre giorni di “Peace And Music”. Vi presero parte alcune delle migliori espressioni musicali del tempo, vere e proprie leggende della musica, ancora oggi idolatrate in tutto il mondo: da Jimi Hendrix a Janis Joplin passando per Santana, David Crosby e Richie Havens.

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Tutto nacque da un annuncio sul giornale

Conosciuto anche come “An Aquarian Exposition”, Woodstock nacque grazie all’intuizione di quattro giovani organizzatori: John Roberts, Joel Rosenman, Artie Kornfeld e Mike Lang. Il più vecchio dei quattro, aveva appena ventisette anni.  Il gruppo diede vita ad un evento storico di una portata ben più grande rispetto a quella che, almeno all’inizio dei lavori, avevano intenzione di mettere in piedi.

Ad ogni modo, a dare l’abbrivo al festival fu un semplice annuncio pubblicato sul New York Times, il quale diceva pressapoco così: “Giovani con capitale illimitato sono alla ricerca di interessanti opportunità di investimento e business, legali”. I soldi, in pratica, erano quelli di Roberts, il quale li aveva ereditati dal ramo farmaceutico. Con lui, nella missione, era impiegato il suo migliore amico, Rosenman. Ma a far scoccare la scintilla furono i due nuovi arrivati, Kornfeld e Lang.

Il “Piano Woodstock”

La prima proposta di business era legata all’idea di dare vita ad uno studio di registrazione di grande portata, all’avanguardia, punto di riferimento per i rocker, in una località, New York, già famosa per accogliere alcuni dei musicisti più in voga del momento. Subito dopo però, Kornfeld e Lang pensarono che dare vita ad un concerto rock che potesse ospitare fino a cinquantamila persone, avrebbe fatto da trampolino di lancio sia per un successivo studio di registrazione e sia dal punto di vista finanziario.

Gli inizi non sono entusiasmanti. I quattro individuano un luogo utile per lavorare all’allestimento dell’evento e lo trovano in un parco industriale nella vicina Wallkill, sempre nello stato di New York. Stampano biglietti da 7, 13 e 18 dollari ciascuno, rispettivamente per una, due o tre giornate di concerto. Vengono venduti in alcuni negozi selezionati o, anche, per corrispondenza. Tuttavia, la cittadinanza di Wallkill non sembra vedere di buon occhio la cosa: la gente del luogo, semplice e perlopiù operaia e contadina, non vuole “un mucchio di drogati” nella propria località e così, dopo molte dispute legali, la cittadina riesce a far approvare una legge esattamente il 2 luglio del 1969, nella quale viene vietato il concerto tanto a Walkill che nelle immediate vicinanze.

In pratica, ad un mese e mezzo dal Festival, tutto è in alto mare: senza località, il rischio di far saltare tutto all’aria è concreto. Intanto, a seguito dell’ordinanza cittadina, molti musicisti cominciano a declinare l’invito e anche i rivenditori dei biglietti non hanno più intenzione di sostenere un evento così in bilico.

L’uomo della Provvidenza. Anzi, del caseificio

A tirare in ballo Max Yasgur fu il proprietario del Motel El Monaco, Elliot Tiber, titolare di una tenuta di circa quindici acri. Quest’ultimo infatti, contattato dagli organizzatori, pur avendo accettato di dare asilo agli ospiti, ben presto si rese conto che non avrebbe mai potuto accogliere, con i propri mezzi, l’enorme mole di gente prevista. A metà luglio infatti, con il festival in alto mare e nonostante l’annuncio di spostamento della località, erano già stati venduti oltre centocinquantamila biglietti. Per tale ragione allora, Tiber suggerì di interpellare Max Yasgur, proprietario di un caseificio di 600 acri a ridosso di uno stagno il quale a propria volta, successivamente, sarebbe stato reso famoso proprio dagli hippy intervenuti alla tre giorni di concerto (il bagno completamente svestiti divenne infatti uno dei momenti leggendari di Woodstock).

Woodstock 1969 - una foto della folla
Woodstock 1969 – una foto della folla

La nuova location si prestava bene ma l’intera organizzazione era molto, molto in ritardo: tutti i contratti di locazione (e non solo) dovevano essere ancora redatti, stesso dicasi per quanto riguarda la costruzione e l’allestimento del palco, i padiglioni, un parco giochi per i bambini e molto altro ancora, bagni compresi. Infine, cosa ancora più grave, non si riuscì mai a mettere in piedi le biglietterie e le cancellate di recinzione: cosa che trasformò il festival di Bethel in una enorme kermesse gratuita. Da ogni dove, prima e immediatamente dopo il concerto, fioccarono le accuse di aver dato vita ad un evento disorganizzato e pericoloso.

Ciononostante, fu proprio il titolare del caseificio, Max Yasgur, a dare la definizione più giusta del festival di Woodstock, parlando di come mezzo milione di persone, in una situazione che avrebbe permesso risse e saccheggi, avessero creato realmente una comunità motivata dagli ideali di pace e amore: “Se ci ispirassimo a loro potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell’America – dichiarò Yasgur – nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico“.

Un festival “free” in tutto e per tutto

Woodstock divenne Woodstock già nei giorni precedenti all’inizio vero e proprio del festival. I quattro organizzatori intesero che non avrebbero mai potuto nulla contro l’enorme quantità di gente in arrivo da ogni parte degli States. Già mercoledì 13 agosto, due giorni prima dell’inizio della rassegna musicale, circa 50.000 persone campeggiavano nell’area adiacente il palco. La zona infatti, non era recintata e non lo fu mai, in realtà. Le stime salirono ben presto a duecentomila persone, ma alla fine ve ne presero parte circa cinquecentomila (anche se stime mai confermate parlano di un milione di partecipanti).

woodstock 1969 - una scena
Woodstock

La dichiarazione ufficiale di una tre giorni di musica gratuita fu proprio ad opera degli organizzatori ed ebbe un effetto devastante sull’intera cittadina di Bethel (e suoi suoi immediati dintorni). Frotte di giovani si misero in marcia, le automobili vennero abbandonate per strada e ben presto si campeggiò un po’ ovunque, a totale danno dell’ordine pubblico. Per favorire gli spostamenti degli artisti dagli alberghi al palcoscenico, vennero noleggiati degli elicotteri, utilizzati come vere e proprie navette.

La musica ha inizio

Nonostante tutti i problemi degli organizzatori (non solo non si alzarono mai i cancelli a recinzione dell’area delimitata al concerto, ma non si riuscì neanche a provvedere per i servizi igienici), il Festival di Woodstock cominciò quasi in orario. Venerdì 15 agosto, intorno alle 17, Richie Havens salì sul palco e cominciò ufficialmente la rassegna più importante della storia della musica rock.

Il grande cantante e chitarrista afroamericano aprì con il brano “High flyin’ bird”, per poi suonare un paio di cover dei Beatles – ufficialmente già sciolti all’epoca e assenti a causa del rifiuto degli organizzatori di voler includere anche la Plastic Ono Band, secondo le pretese di John Lennon – e per intonare, infine, una delle canzoni improvvisate più note di sempre: “Freedom”.

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L’esecuzione durò diversi minuti e divenne una sorta di inno di Woodstock, il quale in quelle ore di venerdì cominciava a diventare anche per i cittadini della contea ciò che sarebbe stato per tutti: un raduno di giovani desiderosi di cambiare il modo di vivere, la cultura dominante, la società circostante, e di farlo a ritmo di musica, senza rinunciare ad esperienze al limite, come l’uso di droghe a scopo totalmente pacifico.

Venerdì folk

La prima giornata venne dedicata ufficialmente al folk: vero nume ispiratore del movimento giovanile di quegli anni. Assente giustificato Bob Dylan (alle prese con problemi di famiglia piuttosto gravi), dopo Havens suonarono Country Joe (che sarebbe ritornato sul palco domenica, con i suoi “The Fish”), gli Sweetwater, Bert Sommer, Tim Hardin, Ravi Shankar, Melanie, The Incredible String Band e i due grandi musicisti folk americani di quel periodo: il leggendario Arlo Guthrie e la madrina Joan Baez. Quest’ultima, al sesto mese di gravidanza durante la sua performance, successivamente avrebbe dichiarato che suo marito, David Harris, proprio mentre lei suonava a Woodstock, veniva arrestato dall’esercito statunitense in quanto obiettore di coscienza.

Il Sabato degli Who (e non solo)

Fu Quill, poco dopo mezzogiorno, ad aprire le danze della seconda giornata, la quale durò praticamente fino alle nove della domenica. Sul palco si alternarono artisti strepitosi come Carlos Santana (leggendaria l’esecuzione di una delle versioni più spettacolari di sempre del celebre brano “Soul Sacrifice”, senza dimenticare “Evil ways” ed altre canzoni altrettanto importanti) Janis Joplin, i Grateful Dead (che presero “la scossa” sul palco) e gli Who. Questi ultimi salirono sul palcoscenico intorno alle quattro del mattino, molto probabilmente perché non riuscirono subito ad accordarsi economicamente con gli organizzatori.

La loro performance fu importante, con la consueta distruzione della chitarra da parte di Pete Townshend e conseguente lancio dello strumento tra il pubblico presente. Suonarono brani storici come “My Generation”, “I’m free” e “I can’t explain”, oltre ad un’altra dozzina altrettanto importanti. Keef Hartley, i Creedence (altra band leggendaria), i Mountain, i Canned Heat e gli psichedelici Jefferson Airplane completarono la giornata di sabato, che di fatto si concluse intorno alle nove del mattino di domenica. Canzoni come “Somebody to love”, “Volunteers” e “White Rabbit”, a forte connotazione politica e anche acida, firmate proprio dai Jefferson, caratterizzarono definitivamente il festival di Woodstock.

La domenica di Hendrix

Durate questa ultima giornata, la gran parte della gente abbandonò l’accampamento. Woodstock era agli sgoccioli e quando l’ultimo artista in scaletta suonò la sua strabiliante musica, esattamente alle ore nove del lunedì successivo, ad ascoltarlo erano “solo” in duecentomila. Peccato, perché l’artista in questione è considerato il chitarrista rock più grande di sempre e la sua performance (durata oltre due ore) fu la più importante dell’intera rassegna e, forse, della sua stessa carriera.

Jimi Hendrix passò alla storia per il brano The Star-Spangled Banner: una reinterpretazione “molto personale” dell’inno degli Stati Uniti, da interpretare come un vero e proprio inno di protesta nei confronti dell’esercito americano, in quel tempo impegnato nella contestatissima guerra nel Vietnam (una delle motivazioni principali dello stesso festival di Woodstock). Hendrix e la sua Fender Stratocaster destrorsa rovesciata passarono letteralmente alla storia: il chitarrista di Seattle simulò le bombe con le sei corde della sua chitarra, facendole vibrare con il suo grosso anello dorato inserito nell’indice della mano sinistra, evocando anche le urla e il suono dei missili aerei, e intersecando tutto all’interno del contestato inno nazionale statunitense.

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Fu un delirio, naturalmente. E ancora oggi, il video della sua esibizione (e le infinite registrazioni “pirata”) rappresentano uno punto di riferimento per i musicisti di tutto il mondo. Fantastiche anche le esecuzioni di canzoni ormai “classiche” della storia del rock: da “Hey Joe” a Purple Haze”, passando per “Foxy Lady”, “Fire” e “Voodoo Chile”.

La domenica “degli altri”

L’ultima giornata non fu solo Hendrix. Sul palco si alternarono artisti importanti come il bluesman bianco Johnny Winter, i Blood Sweet & Tears, The Band, Sha-Na-Na, The Grease Band e Paul Butterfly. Una menzione a parte la merita anche l’allora giovanissimo Joe Cocker, il quale aprì ufficialmente il festival alle due del pomeriggio, oltre alla chitarra impazzita di Alvin Lee, front-man dei leggendari Ten Years After (straordinario il suo “I’m going home” eseguito alla velocità della luce).

Tuttavia, a riscuotere un grande successo fu soprattutto il quartetto vocale e strumentale di David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young. Questi ultimi iniziarono intorno alle tre del mattino e diedero vita a due esibizioni distinte: una vocale ed una (successiva) strumentale. Magnifiche le esecuzioni di brani come “Helplessy hoping”, “Blackbird”, “Marrakesh Express”, “Bluebird” e “Wooden Ships”.

Da segnalare, infine, un’altra nota di colore: alla fine dell’esibizione di Joe Cocker, su Bethel si abbatté un fortissimo temporale che arrestò il concerto per diverse ore, prima della ripresa di Country Joe and The Fish, intorno alle 18. Durante quelle ore di pioggia, le centinaia di migliaia di persone assiepate diedero vita ad una vera e propria danza della pioggia, intonando un coro improvvisato che diceva solamente le seguenti parole “No rain, no rain, no rain”.

Dopo Woodstock? Un paio di film e tanti, tanti debiti

Gli organizzatori di Woodstock si ritrovarono letteralmente travolti dalla rassegna e dal successo incredibile della tre giorni di musica. Più che altro, non ebbero il tempo di rendersi conto di ciò che erano stati in grado di organizzare. Questo perché immediatamente dovettero fare i conti con il loro debito accumulato, il quale ammontava a circa un milione di dollari. Successivamente, dovettero provvedere alle settanta cause giudiziarie presentate contro di loro: altra grana non da poco.

A dare conforto al gruppo però, furono i diritti ricavati dal film originale del Festival di Woodstock, il quale risultò un grande successo e diede la possibilità ai quattro organizzatori di coprire una larga fetta del debito accumulato. Il titolo del film cui si fa riferimento è “Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica”, per la regia di Michael Wadleigh, datato 1970. Successivamente, nel 2009, anche il regista Ang Lee provò a raccontare la grande esperienza del 1969, con il suo “Motel Woodstock”, il quale però non riscosse un grande successo né di pubblico e né di critica.

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Intervista ai Pollyrock https://cultura.biografieonline.it/intervista-ai-pollyrock/ https://cultura.biografieonline.it/intervista-ai-pollyrock/#respond Tue, 12 Jun 2012 09:55:15 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2521 “Ruspante” è il titolo del primo album dei Pollyrock, giovane band di San Michele al Fiume (Mondavio), in provincia di Pesaro-Urbino. Un gruppo di amici che ha deciso di mettersi in discussione con un lavoro completamente autoprodotto, dal taglio rock, ironico e schietto, ma anche ispirato da tematiche sociali importanti. Un sound che trae spunto dai grandi riff anni ’70, ingentilito con influenze melodiche interessanti e variegate.

I Pollyrock sono composti da Antonio Andreoli, chitarra e voce, Enrico Baldiserri al basso e Federico Campolucci alla batteria. Nonostante la giovane età, hanno già tre anni di esperienza in comune e nel novembre del 2011 sono entrati in sala di registrazione, grazie anche al contributo del percussionista Valerio Trivisonno, il quale si è aggiunto con entusiasmo alla band, collaborando alla stesura di questo primo disco insieme. “Ruspante”, che prende il nome da un brano dell’album, è stato realizzato al Providence Studio di San Costanzo,  e ultimato nel marzo del 2012, con presentazione ufficiale in programma nel mese di giugno. In una interessante intervista fatta al portavoce della band, Valerio Trivisonno, si è cercato di sapere qualcosa in più su questa band rock emergente del panorama italiano.

Partiamo dai nomi: perché Pollyrock e perché “Ruspante”, scelto come titolo del vostro primo lavoro discografico?

In realtà, è nato come un gioco. Tre anni fa, quando i componenti della band erano ancora minorenni, hanno deciso di partecipare a un piccolo festival e quando gli è stato proposto di farlo, uno di loro ha risposto: “Ma dove andiamo, che siamo ancora dei polli?”. E da lì, siccome suonava bene, si è pensato di dare vita a questo nome, ma con la y perché faceva più figo. Quanto a “Ruspante”, oltre ad essere ironicamente ispirato al nome stesso della band, si è voluto valorizzare la voglia di fare una comunicazione genuina, diretta, fatta di poche decorazioni ma, al tempo stesso, intensa, autentica.

Prendendo in considerazione il singolo “Maschere e Fantasia”, si ha l’impressione di un suono pulito, ben coordinato: un buon brano di rock melodico. Tuttavia, qualcuno potrebbe vederci una mancanza di originalità, considerato che negli ultimi vent’anni il panorama nazionale ha prodotto un numero esponenziale di band di rock melodico. Ebbene, quale la vostra forza o peculiarità, rispetto agli altri?

È di sicuro la domanda più intelligente che ci è stata posta ultimamente e ti ringrazio per avermela fatta, perché ci dà modo proprio di spiegare l’identità del disco “Maschera e Fantasia”. Il brano stesso è una ballata, ma contiene in sé una chiave ironica in quanto, rispetto al 99% delle ballate non è una canzone d’amore, ma è incentrata su temi sociali. Paradossalmente, il brano d’amore, apparentemente l’unico del disco, si intitola “Nastro Adesivo” ed è anche quello più punk-rock e veloce dell’intero album.

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Quanto sono importanti i testi nella vostra musica e quali sono le tematiche che affrontano?

I testi sono importantissimi per noi, a conferma di ciò è il fatto che, nonostante l’aspetto un po’ rock americano, si è pensato, in fase di mixing, di trattare la voce alla maniera “italiana”, nel senso di portarla chiara e nitida davanti agli altri suoni. Quanto alle tematiche, il disco affronta in prevalenza un mondo di sogni, il quale si contrappone ad una realtà distaccata e a un disagio giovanile visto all’interno di una società che non rappresenta più nessuno.

Per una band emergente, in tempi di social e promozione on the web, è più facile o più difficile ottenere attenzione? E quali le maggiori difficoltà a livello discografico?

I social sono importanti, è chiaro, ma la differenza si fa sulla strada dei palchi. È lì che, più di ogni altra cosa, vanno strappati i consensi, in modo poi da fare eco sul web, anche attraverso concorsi, recensioni, interviste e quant’altro. A livello discografico poi, i Pollyrock sono ancora in una fase di valutazione. Il primo disco è completamente autoprodotto, autofinanziato, in attesa di proposte importanti cerchiamo di farci conoscere e di ottenere un buon riscontro a livello locale.

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Il disco “Nevermind” dei Nirvana https://cultura.biografieonline.it/il-disco-nevermind-dei-nirvana/ https://cultura.biografieonline.it/il-disco-nevermind-dei-nirvana/#comments Wed, 04 Apr 2012 14:39:19 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1312 Il 24 settembre 1991 usciva Nevermind, il secondo album del gruppo dei Nirvana. Obiettivo della casa discografica Geffen era quello di uguagliare le 250.000 copie vendute del disco Goo dei Sonic Youth, pubblicato nel 1990.

Nevermind, il celebre disco dei Nirvana uscito il 24 settembre 1991
Nevermind, il celebre disco dei Nirvana uscito il 24 settembre 1991

Invece Nevermind si rivelò subito uno degli album del secolo, per la qualità musicale e per l’attenzione mediatica, diventando il manifesto del genere grunge e alternative rock. Ne furono vendute circa 25 milioni di copie, tanto che nel gennaio 1992 diventò il numero uno al posto di Dangerous di Michael Jackson nella classifica di Billboard, in cui rimase per 263 settimane.

Con una struttura apparentemente semplice, il leader Kurt Cobain curò le parole e gli accordi di ogni singolo pezzo. Testi come Smells like Teen Spirit, Come as You Are (questa scritta compare ancora oggi sul cartello stradale che segnala l’inizio della città di Aberdeen – Washington – in cui nacque il gruppo e lo stesso Cobain) sono diventati il simbolo di intere generazioni. Così come lo è diventata la vita breve e ‘dannata’ del leader, sospeso tra un’infanzia difficile, la dipendenza dalla droga, l’amore per Courtney Love e per la loro figlia Francis Bean, fino alla morte per suicidio il 5 aprile 1994, dopo aver scritto una lettera di addio.

L’associazione tra i testi delle canzoni, il rock pungente, e le vicende di Cobain hanno creato una leggenda, una sorta di alone aureo attorno ai Nirvana.

Lo spirito che emana dalla musica e dai testi esprime in pieno il disagio dei giovani dell’epoca, sperimentato in prima persona anche dal leader del gruppo. In Smell like Teen Spirit ad esempio c’è la frase “Here we are now, entertain us” (eccoci qua, divertiamoci),  che veniva usata dallo stesso Cobain ogni volta che si presentava ad una festa. E Teen Spirit era un noto deodorante per adolescenti. Solo che Cobain all’inizio non lo sapeva.

Pare infatti che Kathleen Hanna, delle Bikini Kill, avesse scritto sul muro di casa dello stesso Cobain “Kurt smells like teen spirit” (Kurt profuma di deodorante da adolescenti) accusandolo così di non essere ancora uomo. Cobain invece lo interpretò come un complimento (Kurt profuma di spirito adolescenziale), ovvero, lo reputavano un’anima incorrotta dalle passioni degli adulti. Siccome stava scrivendo l’ultima canzone dell’album, Cobain trovò questa frase adatta allo spirito del testo, e decise di usarla. Solo due anni dopo venne a conoscenza del vero significato di quelle parole.

C’è da dire che il successo dell’album, oltre che per i testi e la musica e le capacità di Cobain e del gruppo, è in gran parte dovuto anche ad una grande operazione pubblicitaria, oltre che ai numerosi video musicali fatti passare continuamente sui maggiori networks. Il disco era stato voluto dalla casa discografica, ma, allo stesso tempo, la musica serviva a Cobain da valvola di sfogo a tutte le sue dipendenze da alcool e droga, al fatto di non aver mai accettato il divorzio dei genitori, al suo legame con un’infanzia mai goduta e sempre ricercata. La durezza delle parole si accompagna alla sua voce unica, e agli accordi particolarmente elaborati e ricercati, che dal pop svoltano decisamente verso il rock.

Kobain era attento, perfino pignolo nell’elaborare i testi, per cercare la sfumatura nella musicalità, e anche quando l’album fu pronto non ne era soddisfatto, tanto meno lo fu degli aggiustamenti operati dai discografici. Ma proprio questo ne ha decretato il successo.

Disperazione e attaccamento alla vita, frustrazione e cedimento. Nella lettera cosiddetta di addio, che Cobain scrisse prima di morire, espresse in questa frase asciutta l’essenza della sua vita, del successo, della sua musica: “it’s better to burn out than to fade away” (meglio bruciare in una fiammata che spegnersi lentamente). E l’augurio di ciò che davvero contava per lui: “Peace, Love, Empathy” (pace, amore, empatia).

Nel settembre 2011, in occasione dei venti anni dalla prima uscita, il disco Nevermind è stato riproposto sia in “Deluxe Edition”, con inclusi pezzi dei lati b dei singoli, che in “Super Deluxe Edition”, corredato anche da DVD dei concerti e di esibizioni pubbliche.

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