Risorgimento Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 18 Mar 2022 18:26:26 +0000 it-IT hourly 1 Le cinque giornate di Milano, riassunto https://cultura.biografieonline.it/milano-cinque-giornate/ https://cultura.biografieonline.it/milano-cinque-giornate/#comments Fri, 18 Mar 2022 17:17:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=6587 Le cinque giornate di Milano rappresentano una delle tappe per la conquista della libertà e dell’indipendenza del popolo italiano dalle dominazioni straniere. Si svolsero dal 18 marzo al 22 marzo del 1848 e furono combattute dalla popolazione milanese contro le truppe austriache che controllavano la città di Milano.

Le cinque giornate di Milano
18-22 marzo 1848: le cinque giornate di Milano

Il contesto

Alcuni giorni prima e più precisamente dal 16 marzo del 1848, cominciarono a girare insistentemente voci su moti rivoluzionari avvenuti in Francia, Austria, Ungheria, Boemia e Croazia che avrebbero dato vita ad una concatenazione di eventi che avrebbe portato alla Prima guerra di indipendenza. Milano era sotto la dominazione dell’impero austo-ungarico e le truppe di stanza nella città erano sotto il comando del maresciallo Radetzky.

I primi 3 giorni

Nei primi tre giorni di scontri e con vicende alterne le truppe austriache si trovarono in difficoltà, tanto che il terzo giorno, il 20 marzo del 1848, chiesero un armistizio che fu respinto dai rivoltosi, i quali costituirono un governo provvisorio. Il 21 marzo l’esercito rivoluzionario conquistò tutte le caserme, gli avamposti e le zone controllate dall’esercito austriaco. Radetzky, di fronte ai successi dei suoi nemici, decise di ripiegare ritirandosi con il suo esercito. La città era di fatto libera.

Cosa avvenne dopo le Cinque giornate di Milano

Il 23 marzo del 1848, dopo il termine delle Cinque giornate di Milano, la città era ormai in mano ad un nuovo governo, il quale decise di aprire le sue porte ai simpatizzanti che con decisione volontaria provenivano da altre città per dare man forte ai rivoltosi milanesi. Il re Carlo Alberto, considerata la vittoria degli insorti milanesi, si decise a dichiarare guerra all’Impero Austro-Ungarico.

Proclamò ai popoli lombardi e veneti che sarebbe sceso con il suo esercito in aiuto degli insorti.

Iniziava così, proprio il 23 marzo e grazie a questo proclama, la Prima guerra di indipendenza.

Il ricordo oggi

Ogni anno successivo, ad esclusione dei periodi bellici, la città di Milano celebre l’evento delle 5 giornate ponendo in braccio alla Madonnina del Duomo di Milano, la bandiera Tricolore. La tradizione dell’imbandieramento.

La Madonnina del Duomo di Milano con la bandiera d'Italia
La Madonnina del Duomo di Milano con la bandiera d’Italia

Il terzo giorno dell’insurrezione furono Luigi Torelli (valtellinese) e Scipione Bagaggi (trevigiano) ad alzare per la prima volta il tricolore accanto alla statua di Maria Assunta: il gesto segnalava alla città l’evacuazione delle truppe nemiche.

Oggi questo rito si ripete più volte durante l’anno. Si commemorano così:

]]>
https://cultura.biografieonline.it/milano-cinque-giornate/feed/ 4
Terza guerra di indipendenza italiana: riassunto https://cultura.biografieonline.it/3-guerra-indipendenza-italiana/ https://cultura.biografieonline.it/3-guerra-indipendenza-italiana/#comments Fri, 29 Jan 2016 13:39:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16305 Dopo la Seconda guerra di indipendenza, l’Italia era stata fatta ma non era completa: all’appello mancavano ancora il Veneto, il Tirolo (Trentino), Trieste – tutte e tre in mano agli austriaci – e infine Roma, che era nelle mani di Papa Pio IXVittorio Emanuele II decise di assecondare una campagna militare per annettere il Veneto invece di preoccuparsi per la Questione Romana (la controversia dibattuta durante il Risorgimento relativamente al ruolo di Roma, sede del potere temporale del papa ma, al tempo stesso, capitale del Regno d’Italia, risolta poi nel 1870 con la presa di Roma), poiché era conscio che Napoleone III non avrebbe mai assecondato un attacco a Roma.

Terza guerra di indipendenza italiana - Battaglia di Custoza - 1866
La fanteria italiana respinge un attacco della cavalleria austriaca durante la battaglia di Custoza – Affresco del 1880 di Raffaele Pontremoli, conservato presso la Torre di San Martino della Battaglia (Brescia).

L’Alleanza italo-prussiana

Nello stesso periodo, il primo ministro prussiano Otto von Bismarck era intento a muovere una guerra contro l’Austria per ottenere maggior presenza e visibilità negli Stati Tedeschi; egli cercava un alleato e, conoscendo la questione del Veneto, propose ad Alfonso La Marmora, capo del governo italiano un accordo di massima intesa.

Bismarck, uomo molto astuto e cinico, sapeva che sulla posizione italiana pesava molto l’opinione di Napoleone III, perciò propose a quest’ultimo un accordo d’alleanza che venne accettato; di conseguenza l’Italia fu convinta e rassicurata dalla Francia che aveva confermato il patto, il quale prevedeva che se l’Austria l’avesse attaccata, l’esercito francese sarebbe intervenuto in suo soccorso; per cui l’8 aprile 1866 venne firmato a Berlino il trattato d’alleanza fra Bismarck e La Marmora (l’alleanza portò alla Guerra austro-prussiana che sul fronte italiano prese il nome di Terza guerra di indipendenza).

L’Austria venne a conoscenza dell’accordo e immaginando che una guerra sarebbe stata catastrofica, propose il passaggio del Veneto all’Italia; gli italiani e La Marmora in primis, tentennarono davanti ad un “regalo” del genere, ma la Prussia non aspettò ed attaccò l Austria nel nord; l’Italia a sua volta, dagli accordi presi, doveva intervenire in favore dell’alleato e così il 20 giugno 1866 dichiarò guerra all’Austria.

Italia - Prussia
Una vignetta satirica dell’epoca sull’alleanza italo-prussiana – Tratta dal giornale austriaco “Humoristické listy” (9 maggio 1866). La scritta in alto è in lingua ceca e dice: “Cosa darebbero i due per vedere anche all’indietro?”; sono rappresentati Vittorio Emanuele II in barca, con il peso del Veneto, e Bismarck con il peso dei ducati danesi; entrambe precipitano verso la guerra (“Valka”) e contro la roccia delle forze unite dell’Impero austriaco.

La Terza guerra di indipendenza italiana

Il 23 giugno le truppe si prepararono all’assalto del Veneto; il 24 giugno 1866 ci fu il primo incontro fra i due eserciti che avvenne a Custoza (Verona), l’Italia attaccò sotto gli ordini di La Marmora; dopo alcune ore di battaglia l’esercito italiano fu costretto alla sconfitta e alla ritirata dietro l’Oglio e il Panaro.

In seguito a questo sciagurato inizio, scese in campo Garibaldi, che insieme ai suoi volontari, fu protagonista delle operazioni in Val Vestino (nel bresciano) e dell’invasione del Trentino.

Furono giorni caldissimi e molto accesi. I garibaldini accumulavano vittorie su vittorie e conquistavano territori, dopo la battaglia di monte Suello il 2 luglio 1866; qualche giorno dopo Garibaldi e volontari furono sconfitti nella battaglia di Vezza d’Oglio. Contemporaneamente a queste guerriglie, il 20 luglio 1866 ci fu la battaglia navale di Lissa, sul mare Adriatico, tra la marina Italiana con al comando Carlo Pellion di Persano e quella austriaca con Wilhem von Togetthoff a dirigere gli austriaci. Il combattimento ebbe come episodio principale ma, anche come epilogo, l’affondamento della Re d’Italia dopo lo speronamento subiìo dalla nave austriaca.

La fine del conflitto

Dopo questa dolorosa sconfitta, la fine della terza guerra di indipendenza italiana era vicina, infatti poco dopo, precisamente il 12 agosto 1866 con l’Armistizio di Cormons, venne stabilita la fine delle ostilità tra Italia e Austria.

Qualche giorno prima, il 9 agosto, alle 6, il generale La Marmora telegrafò a Garibaldi che, aveva ben figurato nel Tirolo, l’ordine di ritirare le truppe e i suoi volontari. La risposta del generale provenne da Buzzecca poche ore dopo, essa fu essenziale e cinica, tanto da essere ricordata come una citazione storica tra le più celebri: “Obbedisco”.

A questi episodi seguì il trattato di Vienna, un accordo firmato il 3 ottobre 1866 da Italia e Austria con la supervisione della Francia – e quindi di Napoleone III – con il quale veniva ufficialmente dichiarata la fine della guerra; con il trattato il Veneto insieme al Friuli vennero ceduti dall’Austria all’Italia indirettamente, perché prima il passaggio avvenne dall’Austria alla Francia che a sua volta smistò il Veneto all’Italia; ciò avvenne perché l’Austria si rifiutò di avere accordi diplomatici diretti con l’Italia; il passaggio ufficiale dalla Francia all’Italia avvenne il 19 ottobre 1866. Il regno d’Italia dunque si trovò arricchito di una provincia facendo cosi un ulteriore passo verso l’unità nazionale.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/3-guerra-indipendenza-italiana/feed/ 1
Seconda guerra d’indipendenza italiana https://cultura.biografieonline.it/seconda-guerra-indipendenza-italiana/ https://cultura.biografieonline.it/seconda-guerra-indipendenza-italiana/#comments Thu, 21 Jan 2016 15:51:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16320 Ci eravamo lasciati nel 1849 con la sconfitta del Piemonte subita dagli austriaci seguita dall’inevitabile abdicazione di Carlo Alberto, al quale subentrò il figlio Vittorio Emanuele II. In questo periodo possiamo notare l’ ascesa di un nuovo personaggio, Camillo Cavour. Cavour, aveva un sogno, quello di fare l’Italia, renderla finalmente uno stato unitario sotto la monarchia dei Savoia, perciò, serviva un’altra guerra contro l’Austria: la Seconda Guerra d’indipendenza italiana.

Seconda guerra d'indipendenza italiana: Cavour e Napoleone III nella satira dell'epoca
Una vignetta satirica dell’epoca che si rifà ai Promessi Sposi di Manzoni – La satira piemontese vedeva nella Francia un’antagonista del Piemonte nel controllo della penisola: nella rappresentazione Don Abbondio è dipinto con le fattezze di Cavour, Renzo e Lucia rappresentano rispettivamente Piemonte e Italia, e Don Rodrigo è dipinto con il volto di Napoleone III.

Cavour era ben conscio che il solo esercito piemontese non poteva bastare allo scopo, decise così di rivolgersi al Re di Francia Napoleone III.

Nel 1858 l’Italia si presentava divisa in diversi staterelli: Regno Sardo, il Lombardo-Veneto degli austriaci e tre stati indipendenti ma sotto la tutela dell’Austria ossia i Ducati di Parma, Modena e Toscana; al centro c’era lo Stato della Chiesa e al sud il Regno delle Due Sicilie, sotto i Borboni.

L’antefatto principale alla Seconda guerra d’indipendenza italiana è sicuramente l’incontro che avvenne nell’estate del 1858 a Plombiers tra Cavour e Napoleone III, che, avevano in mente di cambiare la carta d’Europa e neutralizzare l’impero austriaco; da non sottovalutare che questo era un accordo difensivo, cioè, sarebbe scattato solo in caso di aggressioni dell’Austria al Piemonte, inoltre in caso di vittoria, Cavour si impegnava a cedere Nizza e Savoia alla Francia; possiamo tranquillamente definirlo un matrimonio di convenienza fra i due.

Napoleone III
Napoleone III fu uno dei protagonisti della Seconda guerra d’indipendenza italiana

Nel Frattempo, l’Austria, era a conoscenza dell’accordo di Plombiers, anche perché il 1° gennaio 1859 ci furono le enigmatiche parole di Napoleone III all’ambasciatore austriaco:

A me duole che le nostre relazioni non siano più’ cosi’ buone come io desideri che fossero…

A ciò seguì un discorso di Vittorio Emanuele II in parlamento:

Noi non possiamo restare insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi.

La Seconda Guerra d’indipendenza italiana

Indubbiamente l’Austria si sentiva minacciata, ma il piano di Cavour rischiò di saltare perché nella primavera del 1859 le grandi potenze europee lavorarono per un congresso di pace (Francia e Austria erano presenti). Per la gioia del conte non fu cosi’, perché tra il 23 e il 24 aprile 1859 l’Austria inviò l’ultimatum al Piemonte accusandolo di continue provocazioni.

L’Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna il 26 aprile. Il giorno seguente iniziò quindi la Seconda Guerra d’Indipendenza che vedeva alleati la Francia con 200.000 soldati e il Regno Sabaudo, in una serie di battaglie terribili e violentissime. Vi furono già da principio alcune battaglie importanti, come quella di Magenta, nei pressi di Milano, dove l’ esercito franco-sabaudo risultò vincitore costringendo gli austriaci alla ritirata.

La conquista della Lombardia fu sancita dalle vittorie importantissime, ma anche sanguinosissime per via della perdita di innumerevoli francesi, di Solferino e San Martino, del 24 giugno 1859. Queste battaglie fecero vacillare sia l’opinione dei francesi, sia Napoleone III che, chiese la tregua, inizialmente in segreto, con l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe a Villafranca, dove era presente anche Vittorio Emanuele II, il quale sembrò accettare l’armistizio e quindi la fine della guerra.

Cavour fu indispettito, credendo che non ci si dovesse fermare proprio in quel momento: litigò aspramente con il Re dimettendosi dal ruolo di primo ministro.

Nel frattempo gli stati del centro chiesero l’annessione al Piemonte e Vittorio Emanuele non sapendo come comportarsi, decise di richiamare Cavour, perché in fondo tutti sapevano che senza di lui il processo unitario non poteva avere futuro; il conte tornò al governo nel 1860 (dopo che Alfonso La Marmora non riuscì a risolvere la situazione di stallo internazionale), periodo in cui, anche nel sud Italia vi furono numerose rivolte; così un migliaio di volontari, capitanati da Garibaldi, partì nel maggio 1860 da Quarto, territorio Sabaudo, alla volta di Marsala, in Sicilia.

Dopo diversi giorni furono conquistati dalle camice rosse garibaldine Palermo, Milazzo e Messina, che furono seguite dall’insurrezione lucana. Si arrivò dunque in Campania, ove l’ingresso a Napoli fu dei più trionfali; il Re Francesco II di Borbone fu costretto alla ritirata e abbandonò la città, le sue truppe si arresero dopo poco.

La Seconda Guerra di Indipendenza italiana durò dal 27 aprile 1859 al 12 luglio 1859.

Garibaldi incontra Vittorio Emanuele II
Un’immagine che ritrae lo storico incontro tra Giuseppe Garibaldi e il Re Vittorio Emanuele II – L’episodio sancisce la fine della Seconda guerra d’indipendenza italiana

Con la Battaglia del Volturno, nel mese di ottobre 1860, Cavour ottenne finalmente ciò che più desiderava: Garibaldi si fece da parte e consegnò di persona al Re Vittorio Emanuele i territori appena conquistati nel famoso incontro a cavallo, a Teano il 26 ottobre 1860.

Il Re decise di intervenire personalmente con il proprio esercito per annettere l’Umbria e le Marche unendo così il Nord con il Sud; con i Plebisciti autunnali del 1860, dopo il successo della Spedizione dei Mille, i territori conquistati diventarono parte integrante del Regno d’Italia che venne dunque proclamato il 17 marzo 1861 con Re Vittorio Emanuele II.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/seconda-guerra-indipendenza-italiana/feed/ 4
Prima Guerra d’Indipendenza italiana: riassunto https://cultura.biografieonline.it/prima-guerra-indipendenza/ https://cultura.biografieonline.it/prima-guerra-indipendenza/#comments Mon, 18 Jan 2016 13:53:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16283 Prima di trattare della Prima Guerra d’Indipendenza italiana, bisogna inevitabilmente far riferimento al periodo ad essa precedente, un trentennio fondamentale per la storia d’Italia: il Risorgimento. Tengo moltissimo a riportare una famosa citazione del giornalista, storico e scrittore Indro Montanelli, il quale affermava che “se siamo fatti in un certo modo è perché il Risorgimento ci fece in un certo modo”.

Prima Guerra d'Indipendenza italiana: La battaglia di Pastrengo
La battaglia di Pastrengo (30 aprile 1848) fu uno dei momenti salienti della Prima Guerra d’Indipendenza italiana – il dipinto è opera di Vincenzo Giacomelli, pittore,che combatté durante la difesa di Venezia del 1848 in qualità di tenente della Guardia nazionale veneta.

Viene convenzionalmente definito come ‘Risorgimento’ quel periodo che va dal 1831 fino al 1861, anno della tanto desiderata unità del nostro paese; per tanti storici, invece, il Risorgimento prende vita nel 1815 con il Congresso di Vienna, per altri ancora con la rivoluzione francese. Effettivamente è proprio dopo questo periodo che la società europea diventerà più complessa con il delinearsi di nuovi ceti e di nuovi protagonisti.

Lo scenario storico e politico

L’Italia, in base ai trattati del Congresso di Vienna, restava divisa in otto stati: il Regno sardo-piemontese sotto il governo dei Savoia, il Lombardo-Veneto sotto la custodia dell’Austria-Ungheria, che esercitava una posizione di forza su tutta la penisola; poi vi erano altri piccoli staterelli come il Ducato di Modena e Reggio, il Ducato di Parma e Piacenza, Il Granducato di Toscana, il Principato di Lucca, gli Stati della Chiesa e infine il Regno delle Due Sicilie.

All’interno di questo quadro politico, nei primi anni dell’800 si sviluppò la Carboneria, vale a dire, in parole povere, una società segreta “rivoluzionaria” dagli ideali liberali e valori patriottici. Vi facevano parte molti personaggi di rilievo, tra cui il giovane Giuseppe Mazzini e il futuro Re del Piemonte, Carlo Alberto, il quale assecondava, almeno inizialmente, questi ideali. In seguito al fallimento della Carboneria, lo stesso Mazzini fondò a Marsiglia nel 1831 la Giovine Italia, che aspirava alla creazione di un’ Italia repubblicana. Mazzini e soci diedero vita alle prime rivolte, spesso dall’esito disastroso, e tra le quali grande rilievo ebbero episodi come il cosiddetto Fiasco di Savoia e l’ uccisione dei fratelli Bandiera.

Ma ormai diverse zone d’Italia avevano iniziato la mobilitazione: la scintilla partì dalle Due Sicilie, nel 1847, quando re Ferdinando attuò alcune riforme, osteggiate dai liberali che invece volevano la libertà e ricorsero all’ insurrezione. Ci furono diverse congiure in Basilicata, Calabria e Sicilia, che richiamarono i veterani carbonari, decisi a schierarsi contro Napoli per l’indipendenza siciliana ma chiaramente, alla lunga, l’esercito regio riuscì ad avere la meglio contro i ribelli. Questa guerriglia ebbe comunque dei risvolti importanti in quanto il re Ferdinando concedette la costituzione, gesto successivamente emulato anche da Carlo Alberto per il Piemonte con la nascita dello Statuto Albertino.

Intanto la rivoluzione che avanzava in tutta Europa colpiva anche l’Impero d’Austria e la stessa Vienna. I territori italiani dell’Impero, il cosiddetto Regno Lombardo-Veneto, ben presto si infiammarono e poco dopo a Milano, precisamente tra il 18 e il 22 marzo 1848 (le cosiddette Cinque giornate di Milano), ci fu una grandissima insurrezione che ebbe come partecipanti tre fazioni, unite nella lotta, ma dalle diverse ideologie: i mazziniani repubblicani, i democratici riformisti, tra cui Carlo Cattaneo, e i nobili e patrizi che volevano l’annessione al regno sardo-piemontese.

Le cinque giornate di Milano
Le cinque giornate di Milano

Dopo 4 giorni di battaglie, il 22 marzo i milanesi sembravano aver ottenuto la vittoria, con gli austriaci costretti a ritirarsi nel cosiddetto “quadrilatero”, ossia un’area delimitata dalle città di Legnago, Peschiera del Garda, Mantova e Verona.

Nel frattempo a Torino, il 23 aprile, il Re Carlo Alberto, conscio di tutto quello che accadeva a Milano e a Venezia, aveva indetto il Consiglio dei Ministri. Anche per le strade torinesi la gente esortava ufficiali e soldati ascendere in campo: era arrivato il momento di agire e questo era ben chiaro allo stesso Carlo Alberto, il quale, la sera del 23 aprile, evocato al balcone del palazzo reale dalla folla, comparve con una sciarpa tricolore dichiarando finalmente la Guerra all’impero austriaco.

La Prima Guerra d’Indipendenza italiana

Tra il 24 e il 26 aprile 1848 inviò le prime truppe nel Lombardo-Veneto; con l’ attraversamento del ponte Mincio, ci fu la prima battaglia tra piemontesi e austriaci, la battaglia del ponte di Goito (8 aprile 1848), dove rimase gravemente ferito il colonnello Alessandro La Marmora, ma l’esito della battaglia risultò comunque favorevole ai piemontesi.

Altra battaglia vittoriosa per l’esercito regio fu quella di Pastrengo, alla presenza di Carlo Alberto, protetto dai carabinieri che costringevano alla fuga gli austriaci; ma da qui in avanti iniziarono i primi problemi per il Re, in quanto l’esercito dello Stato della Chiesa si era ritirato insieme a quello borbonico e con la battaglia di Santa Lucia ci fu la prima sconfitta; l’iniziativa passò quindi agli austriaci, che iniziavano a mandare rinforzi sul fronte.

La battaglia decisiva fu a Custoza, avvenuta tra il 22 e il 27 luglio 1948, durante la quale il generale austriaco Radetzky ebbe la meglio su Carlo Alberto. Questa sconfitta risultò fatidica in quanto l’esercito regio fu costretto prima a ritirarsi a Milano, dove poi capitolò, con gli austriaci che ripresero il controllo del Lombardo-veneto.

L’anno successivo Carlo Alberto tentò un nuovo attacco, ma fu tremendamente sconfitto dall’avanzata degli austriaci a Novara che sancì definitivamente la sconfitta dell’esercito regio e determinò l’abdicazione del re.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/prima-guerra-indipendenza/feed/ 4
Il giornalismo nell’età del Risorgimento https://cultura.biografieonline.it/storia-stampa-risorgimento/ https://cultura.biografieonline.it/storia-stampa-risorgimento/#respond Thu, 29 Oct 2015 19:23:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15483 Dopo la caduta di Napoleone Bonaparte, le potenze vincitrici (Inghilterra, Austria, Prussia e Russia) si riuniscono a Vienna per stabilire il nuovo assetto politico dell’Europa. Il Congresso di Vienna si apre il 4 ottobre 1814 e termina il 9 giugno 1815. L’Austria ottiene i territori della ex Repubblica di Venezia e l’egemonia su tutta l’Italia centro-settentrionale, mentre il Regno di Sardegna viene incorporato con la Savoia e Genova.

Il Risorgimento - giornale - gazzetta
Una pagina de “Il Risorgimento” (Torino) datata 13 dicembre 1847: di impronta moderata, vide tra i suoi organizzatori Camillo Benso conte di Cavour.

Durante il periodo della Restaurazione, sino alla promulgazione degli editti del 1847-48, in Italia non esiste un giornalismo politico. Nelle capitali e nei maggiori centri urbani di ogni Stato, i sovrani e i governi restaurati fanno uscire un foglio ufficiale “privilegiato”, intitolato “Gazzetta”, dove vengono pubblicate le leggi e gli altri atti di governo, un notiziario arido e manipolato. Se escono altri periodici non possono occuparsi di politica.

Milano conferma il suo ruolo di capitale culturale e giornalistica, anche se il panorama giornalistico si presenta pieno di ombre. Le cose vanno meglio per i periodici di varietà (Corriere delle Dame), agevolati dalle illustrazioni. Il foglio ufficiale del Lombardo-Veneto è la “Gazzetta di Milano” compilata da Francesco Pezzi. È un foglio arido ma diffuso, perché tutti i comuni devono abbonarsi. La più interessante novità milanese è un mensile promosso dagli austriaci nel 1816 “La Biblioteca italiana”, d’impronta classicista: lo scopo degli austriaci è quello di accattivarsi simpatie nel mondo intellettuale.

Nel 1818 nasce il “Conciliatore” promosso da una cerchia di giovani romantici tra cui Silvio Pellico e Giovanni Berchet, d’impronta liberale. Il foglio azzurro suscita la reazione della “Biblioteca italiana” e, dopo un’intimazione  a Pellico, la società del “Conciliatore” decide di chiudere.

Peggiore è la situazione nello Stato Sardo, che include Genova, e in quello Pontificio, dove domina la censura ecclesiastica. Tuttavia, la situazione cambia con i moti carbonari del 1820-21. I nuclei carbonari delle Romagne e del Napoletano riescono a fare circolare dei fogli clandestini, stampati artigianalmente o addirittura manoscritti, in cui proclamano guerra ai preti e al potere temporale del papa e chiedono libertà e unità sotto una monarchia costituzionale.

A Firenze, nel 1821, nasce “L’Antologia”, giornale di scienze, lettere ed arti. Il suo fondatore è Gian Pietro Vieusseaux, ricco mercante e uomo colto, a cui collabora Mazzini. Anche a Genova si manifesta un certo risveglio con il “Corriere mercantile” fondato dal commerciante Luigi Pellas. Si tratta di un bisettimanale di notizie sui mercati e sul movimento del porto. Sul piano politico un’autentica novità è “L’Indicatore genovese”, nato nel 1828, al quale Mazzini e i suoi amici conferiscono accenti polemici verso i conservatori e i reazionari. Succede però che, dopo un anno, il foglio viene interdetto dalle autorità, così Mazzini collabora con “L’Indicatore livornese”, fondato nel 1829 da Guerrazzi.

Si verifica una nuova stretta di freni in vari Stati italiani per la stampa. Tra le vittime di questa nuova situazione c’è “L’Antologia”, che il granduca di Toscana fa sopprimere. Nel regno sardo, dove nel 1831 è salito al trono Carlo Alberto, aumentano le censure. Mazzini, che nel 1830 aderisce alla Carboneria, nel novembre del 1830 viene arrestato e costretto all’esilio, a Marsiglia, nel 1831 fonda “La Giovane Italia”, un’organizzazione rivoluzionaria segreta dotata di un programma unitario e repubblicano, nonché una rivista con lo stesso nome, con la quale egli vuole educare il popolo agli ideali di unità, indipendenza e repubblica.

A Torino, lo stesso Carlo Alberto decide la trasformazione della “Gazzetta piemontese” da trisettimanale a quotidiano, il direttore è Felice Romani, ma la vera novità è quella del tipografo-editore Giuseppe Pomba, che chiede al sovrano di poter introdurre a Torino la macchina da stampa a doppio cilindro mossa dal vapore. Il periodico di Pomba più significativo è il “Teatro Universale”, una raccolta enciclopedica e scenografica ed ogni fascicolo è composto da 16 pagine di un formato simile al tabloid.

Nel 1847, Pio IX emana un editto che apre soltanto uno spiraglio, perché si limita a semplificare le procedure censorie, affidandole a uomini più tolleranti. Dopo quasi due mesi, anche il granduca di Toscana promulga un editto analogo e nel frattempo Carlo Alberto accoglie le richieste dei riformatori e allenta le maglie della censura civile, abolisce quella ecclesiastica sulla pubblicistica che non riguarda la religione. Il risultato di questa nuova apertura è la nascita di due quotidiani: “Il Risorgimento”, d’impronta moderata, organizzato da Cavour e l’altro è la “Concordia” (democratico), creato da Valerio.

I moti e le agitazioni che scuotono il regno delle Due Sicilie costringono Ferdinando II a concedere la costituzione. Sull’esempio del re Ferdinando II, il granduca di Toscana, il re di Sardegna e il Papa concedono gli statuti ai loro sudditi. Nel 1848 viene promulgato Lo Statuto Albertino e L’Editto sulla Stampa, norme che hanno un’importanza basilare nelle vicende della stampa, in quanto resteranno in vigore, con lievi modifiche, anche dopo l’unità d’Italia.

Nel clima della guerra d’Indipendenza (il 23 marzo 1848, Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria) compare a Torino “La Gazzetta del Popolo”, creata da Giovan Battista Bottero; d’impronta liberale, contiene le principali notizie del mattino e viene distribuita tutti i giorni a un’ora precisa, rivolgendosi a un pubblico popolare.

Napoli e Palermo battono il primato per il numero di testate apparse nel biennio rivoluzionario, con più di 130 a Napoli e 140 a Palermo.

Dopo la sconfitta di Novara, che vede i piemontesi sconfitti dagli austriaci, l’assolutismo ricade su tutti gli Stati italiani, ad eccezione del regno sardo. A Torino e a Genova resta una libertà di stampa abbastanza ampia. Molti patrioti di ogni parte d’Italia si rifugiano a Torino, dove si sta affermando l’egemonia liberale di Cavour. E ancora a Torino, nel corso del 1854, escono 13 quotidiani. Tra questi, i più diffusi sono: la “Gazzetta del Popolo” e “L’Opinione”, entrambi di sostegno a Cavour.

Cavour
Cavour

Nel 1852 Cavour, dopo le dimissioni del ministero D’Azeglio, diventa presidente del Consiglio dei Ministri. Alla fine del 1852, viene attivato il collegamento fra Torino e Parigi col telegrafo elettrico (Samuel Morse), che permette di ricevere rapidamente le informazioni parigine e quelle delle altre capitali collegate con Parigi. L’idea di dotare la capitale del regno sardo di un’agenzia moderna è di Cavour. Viene scelto come direttore della “Gazzetta piemontese” il giornalista Guglielmo Stefani. L’impresa nasce il 25 gennaio 1853.

La politica repressiva dell’Austria nel Lombardo-Veneto diventa particolarmente severa. Esce regolarmente la “Gazzetta di Milano”, quotidiano ufficiale del governo. Ci sono anche alcune novità milanesi, quali il settimanale “Nuovo Emporio”, basato soltanto su notizie di cronaca, e settimanali umoristico-letterari: “L’uomo di pietra”, il “Pungolo” di Fortis e il “Crepuscolo” di Tenca.

In questo periodo il giornalismo si è sviluppato con una forte connotazione politica ed è praticato soprattutto come un’attività politica. La figura del giornalista ha cominciato ad assumere lineamenti propri, tuttavia l’impegno politico ha il sopravvento su quello professionale.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/storia-stampa-risorgimento/feed/ 0
La Spedizione dei Mille di Garibaldi https://cultura.biografieonline.it/la-spedizione-dei-mille-di-garibaldi/ https://cultura.biografieonline.it/la-spedizione-dei-mille-di-garibaldi/#comments Wed, 15 Aug 2012 19:27:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3481 Siamo in pieno Risorgimento: nel 1859 il primo ministro Cavour manifesta con decisione la volontà di liberare il Nord Italia e di conseguenza iniziare le ostilità belliche contro l’Austria. La guerra comincia il 27 aprile dello stesso anno, e termina l’11 luglio, con l’armistizio di Villafranca, in base al quale la Lombardia (con esclusione di Mantova) viene annessa al Regno di Sardegna.

Cavour
Camillo Benso conte di Cavour

Per l’annessione del Veneto bisogna invece aspettare la Terza Guerra di Indipendenza. In altre zone (Bologna, Romagna, Granducato di Toscana, Ducato di Parma e Ducato di Modena) c’è grande fermento, perché gli abitanti chiedono a gran voce l’annessione al Regno di Sardegna.

Le popolazioni di Marche e Umbria, invece, patiscono la sovranità dello governo pontificio.

Il compromesso tra Cavour e Napoleone III

Il 24 marzo 1860 Cavour e Napoleone III giungono ad un compromesso: Cavour cede alla Francia il circondario di Nizza e la Savoia, ottenendo in cambio il consenso di Napoleone ad unire l’Emilia Romagna e la Toscana al Regno di Sardegna. Nel 1860 in Italia vi sono quindi tre Stati: oltre al Regno di Sardegna (che riunisce grosso modo il Nord), vi è lo Stato della Chiesa (che comprende, oltre a Roma, anche le zone centrali dell’Umbria, delle Marche e del Lazio) ed il Regno delle Due Sicilie (che raccoglie i territori del Sud).

La Repubblica di San Marino rimane del tutto indipendente. Il Veneto, il Friuli, il Trentino e il territorio di Mantova restano invece nelle mani dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe.

Napoleone come ago della bilancia

Con la sua funzione di “ago della bilancia” Napoleone mantiene la sua influenza, impedendo al Regno di Sardegna di avviare un’azione militare sia contro Roma che contro l’Austria.

L’obiettivo dei piemontesi si sposta quindi sul Regno delle Due Sicilie, guidato dall’inesperto successore di Ferdinando II, Francesco II. Il regno borbonico è territorialmente assai esteso e dispone sia di un esercito di terra molto numeroso, che di una flotta potente.

Il casus belli

Per attaccare il Regno delle Due Sicilie, però, occorre un “casus belli”, un motivo valido. Questo è un principio che vige nella politica estera di Cavour, e al quale non si può transigere. L’unica ragione per rendere plausibile un attacco viene dall’interno, da una sollevazione popolare. D’altronde, in Sicilia ci sono già fermenti di questo tipo, guidati dai liberali meridionali.

Ed infatti in passato i Borboni sono dovuti intervenire spesso per sedare le frequenti ribellioni. Francesco II di Borbone è incapace di mantenere l’ordine pubblico. Tra le forze popolari che si oppongono con decisione alla dinastia dei Borboni vi sono quelle che fanno capo all’autonomismo siciliano.

Nella sollevazione in Sicilia un posto di primo piano è occupato da Rosolino Pilo, che coinvolge ricche famiglie e latifondisti nell’organizzazione della rivolta. I primi episodi cominciano nell’aprile 1860, con la rivolta di Palermo.

Garibaldi
Giuseppe Garibaldi

Rosolino chiede a Giuseppe Garibaldi di schierarsi a fianco dei rivoltosi. Mentre Giuseppe Mazzini esorta il popolo a mettersi insieme per realizzare l’unità di Italia, Vittorio Emanuele II decide di appoggiare i rivoltosi. La posizione di Cavour, invece, è differente: egli non può discostarsi dagli interessi di Napoleone. Infarciti di idee patriottiche, i mille volontari raccolti da Giuseppe Garibaldi passano all’azione nei primi giorni di maggio del 1860.

La Spedizione dei Mille di Garibaldi

E’ il 5 maggio 1860 quando da Quarto di Genova partono i due piroscafi, il Piemonte ed il Lombardo. Politicamente i volontari (tra cui vi è anche una donna) appartengono alla Sinistra, mentre la composizione è formata da professionisti, intellettuali, commercianti, artigiani, affaristi, operai.

I Mille di Garibaldi indossano una camicia rossa, divenuta ormai leggendaria. A loro si uniscono contadini e braccianti che chiedono a gran voce una riforma agraria per eliminare ingiustizie e soprusi.

Dopo la battaglia di Calatafimi (vinta dai Mille di Garibaldi), il condottiero Eroe dei Due Mondi riesce anche a battere le truppe regie a Milazzo. Il re di Napoli cerca di fermare Garibaldi ed i suoi volontari, ma invano. La spedizione viaggia ormai verso la completa liberazione dell’Italia meridionale.

Garibaldi incontra Vittorio Emanuele II
Garibaldi incontra Vittorio Emanuele II

Il 7 settembre 1860, accolto da liberatore, Giuseppe Garibaldi entra a Napoli con il suo esercito dei Mille. La battaglia di Volturno vede le truppe garibaldine trionfare su quelle borboniche, che vengono costrette a ritirarsi a Gaeta.

Il 20 ottobre 1860 Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano: il risultato di tale incontro è l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno Sabaudo. Finisce così la Spedizione dei Mille di Garibaldi.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/la-spedizione-dei-mille-di-garibaldi/feed/ 6
La Breccia di Porta Pia https://cultura.biografieonline.it/la-breccia-di-porta-pia/ https://cultura.biografieonline.it/la-breccia-di-porta-pia/#comments Fri, 30 Mar 2012 20:03:20 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1266 La Breccia di Porta Pia fu un evento – ricordato anche come “presa di Roma” – che nell’epoca del Risorgimento italiano sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Riassumiamo di seguito il contesto storico e i principali fatti.

Il processo di unificazione dell’Italia si innesca, inesorabile, nel 1848, quando sommosse spontanee si verificano un po’ dovunque, dalla Lombardia alla Liguria, al Veneto fino alla Sicilia, passando per la Toscana, dando vita a governi locali.

Sollecitato dai liberali piemontesi, Carlo Alberto di Savoia, che aveva simpatizzato per le idee illuministiche, dichiara guerra all’Austria con l’intento di liberare le aree del nord Italia dalla sua oppressione. Nasce la prima guerra d’indipendenza, ma gli accadimenti che ci interessa porre in rilievo in questo frangente sono quelli che attengono allo Stato Pontificio.

La breccia di Porta Pia
La breccia di Porta Pia

Pio IX, infatti, che in un primo momento si mostra favorevole ai moti rivoluzionari inviando un proprio esercito a sostegno di Carlo Alberto, poco dopo si rende conto che la guerra contro l’Austria, potenza cattolica, potrebbe determinare uno scisma nella chiesa. Il 29 aprile 1848, dunque, abbandona l’alleanza. Il popolo romano, che aveva accolto con grande entusiasmo la partecipazione al conflitto, ora è preda di un furore cieco che porta all’assassinio del ministro pontificio Pellegrino Rossi e minaccia lo stesso Papa.

Pio IX lascia Roma e si rifugia a Gaeta, mentre nella città viene proclamata la Repubblica Romana che adotta il tricolore “per ispirare nell’animo delle truppe l’amore all’Italia”, e alla cui guida è posto un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Ma per la neonata Repubblica i problemi iniziano immediatamente: con un esercito composto da 14.700 uomini, compresi gli “irregolari” di Garibaldi, deve far fronte a quelli, in arrivo, delle potenze amiche del Papa: Francia, Regno di Napoli, impero asburgico e Spagna. Anche se a difesa della repubblica giungono a Roma forze costituite da patrioti provenienti da tutt’Italia, i rapporti di forza rimangono notevolmente sproporzionati.

Iniziato il conflitto, la difesa della città assume in molti casi un carattere epico. Garibaldi ottiene molti successi sui nemici, pur con forze risicate, a Porta Angelica, Porta Cavalleggeri, Castel Guido, Tivoli, Velletri, Palestrina. Così scrive alla sua Anita:

Noi combattiamo sul Gianicolo e questo popolo è degno della passata grandezza. Qui si vive, si muore, si sopportano le amputazioni al grido di ‘Viva la Repubblica’. Un’ora della nostra vita in Roma vale un secolo di vita!

Ma ogni resistenza è vana. Fra le tantissime vittime vi sono Enrico Dandolo, Luciano Manara, Emilio Morosini, Goffredo Mameli morto in seguito all’amputazione di una gamba.

Pio IX, che aveva lasciato Roma il 24 novembre 1848, vi fa ritorno il 12 aprile 1850. La caduta della Repubblica non fa che congelare per circa un ventennio, per quel che riguarda la città di Roma, il processo di unificazione nazionale. Negli anni che seguono lo Stato Pontificio è scosso da ripetute sommosse un po’ dovunque, fino al 1959, quando la Romagna viene annessa al regno di Sardegna. Questo evento determina la rottura dei rapporti diplomatici fra lo Stato Pontificio e il regno di Sardegna, e segna l’apertura della cosiddetta “questione romana”.

Il 14 giugno 1959 a Perugia esplodono moti popolari che le truppe papaline reprimono nel sangue saccheggiando la città. Nel marzo 1860 anche la Toscana autodetermina la propria annessione al regno sardo.

Il 18 settembre Vittorio Emanuele II, succeduto nel 1849 a Carlo Alberto, nella battaglia di Castelfidardo sconfigge l’esercito pontificio conquistando l’Umbria e le Marche e annettendole al regno di Sardegna. I territori del Papa sono ormai ridotti al solo Lazio. Con la spedizione dei Mille, Garibaldi annette il sud dell’Italia determinando un quadro politico che vede lo stivale ormai praticamente unificato, ad eccezione del Veneto e di quel che resta dello Stato Pontificio.

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele prende il titolo di Re d’Italia e la soluzione della “questione romana” assume ormai carattere improrogabile. Anche nel mondo ecclesiastico è nata da tempo una considerevole fronda liberale che si rivela in tutta la sua consistenza con l’”Indirizzo” del sacerdote Carlo Passaglia la cui petizione – con la quale si chiede al Papa di rinunciare al potere temporale – raccoglie le firme di circa 10.000 sacerdoti liberali.

Per tutta risposta Pio IX intraprende l’unica via di cui dispone: chiama a raccolta tutto il mondo della Chiesa cattolica con un Giubileo straordinario seguito dal ventesimo Concilio ecumenico della storia per ribadire e rinsaldare i concetti di inviolabilità del potere spirituale e temporale della Chiesa di Roma e per condannare quanto sta avvenendo. Ma il Pontefice sa che può fare la voce grossa perché protetto dalla Francia, non potendo prevedere la caduta di Napoleone III che, sconfitto a Sedan, è fatto prigioniero dai prussiani.

Vittorio Emanuele II si preoccupa subito di informare tutte le potenze straniere delle sue intenzioni di occupare Roma garantendo al Papa la sua indipendenza. Subito dopo scrive al Papa, al quale si rivolge “con affetto di figlio, con fede di cattolico, con lealtà di re, con animo d’italiano”, informandolo che sta inviando a Roma proprie truppe per evitare disordini di piazza ed assicurare la sicurezza del Pontefice. Dalla Santa Sede giunge una risposta nella quale si stigmatizza l’arbitrarietà delle decisioni del sovrano e la conseguente impossibilità a condividerne i principi ispiratori. Pio IX, del resto, già nel dicembre 1864 aveva esternato tutta la sua rigorosa intransigenza verso le istanze liberali – ma non solo – con la pubblicazione del “Sillabo”, un elenco dei principali “errori del secolo”. E’ l’11 settembre 1870 quando al generale Raffaele Cadorna (padre di Luigi), di stanza in Umbria con 50.000 uomini, giunge perentorio l’ordine di entrare nello Stato Pontificio e quindi in Roma, dove le forze avverse contano appena 13.000 soldati al comando del generale Hermann Kanzler.

Il 19 settembre Roma viene circondata e la mattina del 20 settembre 1870 inizia l’assalto. Edmondo De Amicis, (l’autore di Cuore) che partecipa alle operazioni, così descrive quelle ore:

Via via che ci avviciniamo (a piedi s’intende) vediamo tutte le terrazze delle ville affollate di gente che guarda verso le mura. Presso la villa Casalini incontriamo i sei battaglioni bersaglieri della riserva che stanno aspettando l’ordine di avanzarci contro Porta Pia. Nessun corpo di fanteria aveva ancora assalito. L’artiglieria stava ancora bersagliando le porte e le mura per aprire le brecce. Non ricordo bene che ora fosse quando ci fu annunziato che una larga breccia era stata aperta vicino a Porta Pia, e che i cannoni dei pontifici appostati là erano stati smontati. Quando la Porta Pia fu affatto libera, e la breccia vicina aperta sino a terra, due colonne di fanteria furono lanciate all’assalto… I soldati erano tutti accalcati intorno alla barricata; non si sentiva più rumore di colpi; le colonne a mano a mano entravano… Entrammo in città… È impossibile esprimere la commozione che provammo in quel momento; vedevamo tutto in confuso, come dietro una nebbia. Alcune case arse la mattina fumavano, parecchi zuavi prigionieri passavano in mezzo alle file dei nostri, il popolo romano ci correva incontro. Salutammo, passando, il colonnello dei bersaglieri Pinelli; il popolo gli si serrò intorno gridando… Giungiamo in piazza del Quirinale (allora residenza del Papa). Arrivano di corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo… Nel Corso non possono più passare le carrozze. I caffé di piazza Colonna sono tutti stipati di gente; ad ogni tavolino si vedono signore, cittadini e bersaglieri alla rinfusa. Una parte dei bersaglieri accompagna via gli zuavi in mezzo ai fischi del popolo; tutti gli altri sono lasciati in libertà. Allora il popolo si precipita in mezzo alle loro file. Ogni cittadino ne vuole uno, se lo piglia a braccetto e lo conduce con sè. Molti si lamentano che non ce n’è abbastanza, famiglie intere li circondano, se li disputano, li tirano di qua e di là, affollandoli di preghiere e d’istanze. I soldati prendono in collo i bambini vestiti da guardie nazionali. Le signore domandano in regalo le penne.

Va detto che la difesa della città Eterna è volutamente blanda, per ordine del Papa: alle 14,00, a villa Albani, i due generali firmano la resa di Roma. Ed è così che la più antica diplomazia del mondo cede il passo, inerme e sgomenta, all’impeto travolgente della storia. Pio IX si rifugia in Vaticano dichiarandosi prigioniero politico ed impedendo, in tal modo, che la “questione romana”, sebbene risolta sul piano pratico, venga definita anche su quello formale.

La sua risoluzione si avrà soltanto con la sottoscrizione dei Patti Lateranensi, nel 1929, che daranno vita alla città del Vaticano e con i quali si perfezionerà, tra l’altro, il grande progetto di Cavour, racchiuso nel motto “Libera Chiesa in libero Stato”. Pio IX continuerà a dirsi “prigioniero dello Stato italiano” per il resto della sua vita, respingendo la “Legge delle Guarentigie” che regola i diritti e i doveri dell’autorità papale.

Intanto a Roma nasce la “Giunta provvisoria di governo di Roma e sua provincia”, riconosciuta dal Cadorna. Il referendum del 2 ottobre 1870 sancisce l’annessione al regno d’Italia della città che, subito dopo, ne viene proclamata capitale. La breccia di porta Pia rimarrà a simboleggiare una svolta storica della massima importanza, una pietra miliare che segna l’inizio della storia di Roma come capitale d’Italia e, soprattutto, la fine, dopo circa duemila anni, dello Stato Pontificio.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/la-breccia-di-porta-pia/feed/ 3