Rime nuove Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 03 Jan 2023 18:55:48 +0000 it-IT hourly 1 Traversando la Maremma toscana: riassunto, figure retoriche e parafrasi della poesia di Carducci https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/#comments Tue, 03 Jan 2023 17:38:02 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40819 La lirica Traversando la Maremma toscana è una delle più apprezzate di Giosuè Carducci. Essa descrive la commozione del poeta nel ripercorrere in treno l’itinerario tra Livorno e Roma passando per la sua adorata Maremma, dove egli aveva trascorso la sua infanzia.

L’autore e la poetica

Giosuè Carducci nacque in Versilia nel 1835 e trascorse l’infanzia proprio in Maremma. Si laureò in lettere alla Normale di Pisa e poi intraprese la carriera di insegnante del ginnasio in diversi paesi toscani. Si trasferì a Bologna dove insegnò all’Università fino a quando non gli subentrò Giovanni Pascoli.

Carducci era un grande appassionato della classicità ma poi col tempo ampliò i suoi interessi anche alla letteratura europea.

Da giovane fu un attivo anticlericale (scrisse l’inno A Satana nel 1863), poi però con gli anni divenne più moderato; accettò il Regno d’Italia e anche l’attivismo ecclesiastico.

Le sue raccolte poetiche più importanti sono:

  • Giambi ed epodi – composti in età giovanile, ricchi di vena polemica;
  • Rime nuove (1861-87);
  • Odi barbare (1873-89).

Venne eletto senatore a vita e ricoprì il ruolo di ultimo poeta-vate dell’Italia a lui contemporanea, come cantore della patria.

Nel 1906 Carducci vinse il Premio Nobel per la Letteratura.

Giosuè Carducci
Giosuè Carducci

Morì nel 1907 a Bologna.

La sua raccolta più importante è Rime Nuove, che include la poesia qui analizzata, Traversando la Maremma toscana, come numero 34, del libro II.

I temi della raccolta sono autobiografici e storici; il poeta infatti celebra eventi contemporanei ma anche ricordi della sua giovinezza e della terra natale. Egli ha un atteggiamento anti-romantico: celebra il culto dei classici contro la barbarie della moderna società italiana a lui contemporanea.

Altri temi importanti sono il contrasto tra ideale e reale, vita e morte e lo scorrere inesorabile del tempo.

Leggi anche:

Traversando la Maremma toscana: testo completo

Dolce paese, onde portai conforme
L’abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov’ odio e amor mai non s’addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
Erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
E dimani cadrò. Ma di lontano

Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine.

Parafrasi

O dolce paese, da cui trassi la fierezza del mio carattere e la mia poesia sdegnosa (di compromessi)e il cuore, le cui passioni non si calmano mai, finalmente ti rivedo e il cuore mi balza nel petto.

Ritrovo in te, Maremma, i profili familiari con gli occhi tra il sorriso e il pianto, e in quelle immagini ricerco e ritrovo le tracce dei miei sogni giovanili.

Oh, molte cose che ho amato e sognato sono state vane, mi affannai sempre e non raggiunsi mai lo scopo e presto morirò.

Ma da lontano mi regalano gioia le tue colline con la nebbia che sale e le verdi pianure tra le piogge mattutine.

Maremma Toscana
Maremma Toscana

Traversando la Maremma toscana: analisi, spiegazione, figure retoriche e commento

Questa poesia è un sonetto.

Lo schema metrico è:

ABAB ABAB CDC DCD

Si tratta di una lirica molto intensa nella quale il poeta descrive il paesaggio della Maremma toscana, dove era vissuto fin da bambino.

Egli ricorda le sue emozioni con tanta nostalgia perché sente che la morte è vicina.

La lirica infatti ruota intorno a due nuclei tematici importanti:

  1. la nostalgia del tempo passato e della giovinezza;
  2. la sensazione dello scorrere del tempo e della precarietà del presente.

Il sonetto parte con un’invocazione (O dolce paese): la Maremma è un luogo di favola perché gli ricorda la sua infanzia. Ma ci sono anche tante opposizioni:

  • odio e amore;
  • sorriso e pianto;
  • speranza e delusione.

Il verso 9 arriva ad una triste conclusione: tutto ciò che ha sognato è stato vano e tra un po’ la morte sopraggiungerà: Carducci era infatti reduce da una malattia e temeva di morire.

Nell’ultima strofa invece si ritorna alla dolcezza iniziale grazie all’enjambement (lontano-pace v. 11-12); si conclude quindi in un modo meno amaro.

Altre poesie

Tra le altre poesie di Carducci comprese in Rime nuove qui analizzate, ci sono:

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Il bove (poesia di Carducci): analisi, parafrasi e commento https://cultura.biografieonline.it/il-bove-carducci/ https://cultura.biografieonline.it/il-bove-carducci/#comments Fri, 29 Apr 2016 06:18:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18062 Inserita nella raccolta “Rime Nuove“, la poesia “Il bove scritta da Giosuè Carducci in realtà è un sonetto, il cui testo autografo risale al 23 novembre 1872. Questo componimento può essere considerato una valida sintesi dello stile e della poetica di Carducci. Nonostante il tema sia agreste (il protagonista del sonetto è un bue che pascola placido nei campi della Maremma toscana) in realtà lo stile della poesia è piuttosto ricercato.

Il bove

L’occhio del poeta coglie il bue in una tipica scena rurale, e quindi ancora una volta predomina nel componimento l’idea della Natura che dona pace e serenità all’uomo che la contempla. Accanto ai concetti di lavoro e fertilità che si associano alla terra, il Carducci introduce quelli di “forte tranquillità” e “serenità virile“.

La Natura è infatti lontana dalle inquietudini e dalle suggestioni del mondo, è un luogo in cui rifugiarsi per ritrovare vigore e forza. Il placido bue, “fotografato” dall’autore nell’atto di pascolare, diventa l’emblema di una realtà priva di “contaminazioni” e bassezze moderne. Proprio questo animale serve al poeta per richiamare la sua concezione del mondo, che è appunto caratterizzato dall’osservanza di principi etico-morali e dalla serenità d’animo.

Il bove: testo della poesia

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,

0 che al giogo inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;

E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.

Il bove: parafrasi

Ti amo, o pio bove; che mite mi infondi nel cuore
un sentimento di forza e di pace,
e che imponente come un monumento
guardi i campi vasti e fertili.

O che piegandoti di buon grado al giogo
assecondi lento il veloce lavoro dell’uomo:
egli ti esorta e ti pungola, e tu gli rispondi con il lento
movimento dei tuoi occhi pazienti.

Dalla larga narice umida e nera
esala il tuo alito, e come un canto felice
il muggito si perde nel cielo sereno;

E nella severa dolcezza dell’austero occhio azzurro
si rispecchia vasto e tranquillo il celeste
silenzio della verde pianura.

Analisi e commento

Il testo del sonetto riprende argomenti cari al poeta e che ritroviamo in altre famose opere di Carducci delle “Rime nuove” (ad esempio “Pianto antico“, “San Martino“, “Davanti San Guido“, “Maggiolata“): il mondo bucolico, la funzione morale ed etica dell’arte e la sincerità dei valori.

Nella prima strofa de “Il bove” Giosuè Carducci si sofferma a descrivere il bue mansueto che pascola nei campi fertili e che infonde calma e serenità a chiunque lo guardi.

Nella seconda strofa, invece, si mette in evidenza che il bue aiuta l’uomo a lavorare la terra ma da questo viene purtroppo spesso sfruttato. Girando gli occhi verso il suo padrone, che gli tende le redini per stimolarlo, il bue dimostra di apprezzare con pazienza e gioia il suo duro lavoro.

Nell’ultima strofa il poeta coglie il colore azzurro degli occhi dell’animale, e termina il sonetto scrivendo che in essi si rispecchia il silenzio della verde pianura.

Mansuetudine e laboriosità sono le due caratteristiche che il poeta attribuisce al bue e che suscitano in lui serenità e tranquillità d’animo. Nonostante il duro lavoro che l’animale compie per aiutare l’uomo nel coltivare i campi il bue appare fermo e soddisfatto in quanto consapevole di aver compiuto il suo dovere. In un certo qual modo il bue è contento di aver alleviato, con il suo aiuto, il lavoro campestre del padrone che, invece, spesso non lo tratta come dovrebbe (sfruttando anzi la sua tipica mansuetudine). Il bue acquisisce quindi la solennità di un monumento che si erge placido in mezzo ai campi.

L’esordio del Carducci in questo sonetto è: “T’amo o pio bove“, in cui traspare un sentimento di benevolenza del poeta nei riguardi di uno degli animali più devoti e servili. Il riferimento alla natura e agli animali rende la poetica del Carducci assai vicina a quella virgiliana. Virgilio è infatti il poeta prediletto di Carducci. Si coglie anche una vena nostalgica del paesaggio maremmano, che è particolarmente amato dal poeta per la sua bellezza.

Per quanto concerne la metrica, appare chiaro che il sonetto “Il bove” viene praticamente diviso in due parti. Il passaggio dalla prima alla seconda avviene però in maniera delicata e senza alcuna forzatura, tanto che solo un lettore accorto ed esperto se ne accorge.

Dal punto di vista sintattico si nota la presenza di diverse figure retoriche. Il lessico appare classicheggiante come in tutte le liriche carducciane, anche se non mancano termini più concreti e “rustici” che servono a descrivere la realtà agreste.

Pio bove

Molti critici letterari si sono soffermati a dare un’interpretazione del soggetto scelto dal Carducci nella poesia “Il bove”: il bue, essendo “pio” è in realtà una manifestazione del Divino. L’animale viene descritto in un’ottica religiosa che lo rende appunto solenne come un monumento, poiché ricorda la solennità di una statua, e questo lo fa ancora più amorevole agli occhi degli uomini.

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Pianto antico, parafrasi e commento https://cultura.biografieonline.it/pianto-antico-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/pianto-antico-parafrasi/#comments Tue, 22 Mar 2016 22:42:39 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17510 Una delle poesie più note del poeta Giosuè Carducci (1835-1907) è senza dubbio “Pianto antico“, uno struggente componimento dedicato al figlioletto Dante, morto ad appena tre anni di vita, il 9 novembre 1870.

Pianto antico - poesia di Carducci - parafrasi commento
Il testo della poesia Pianto Antico, di Giosuè Carducci

Parafrasi

L’aggettivo “antico” che accompagna la parola “pianto” sta a significare che la perdita di un figlio è un dolore universale, che si diffonde allo stesso modo in ogni tempo e in ogni spazio.

La lirica appare piuttosto essenziale, semplice e lineare nello stile. La tematica affrontata è il rapporto (anche questo universale perché accomuna ogni uomo) tra la vita e la morte. La prima, simboleggiata da immagini luminose e chiare, e l’altra, caratterizzata da elementi oscuri che esprimono la desolazione e la sofferenza della perdita.

L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior,

Nel muto orto solingo
Rinverdí tutto or ora
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.

Nelle prime due strofe di “Pianto antico” prevalgono gli elementi vitali: il bimbo, figlio del poeta, cerca di raccogliere il melograno dall’albero con la sua piccola mano. Questo frutto dal colore rosso vermiglio rappresenta la resurrezione, la rinascita e la fertilità (era un simbolo utilizzato spesso anche dagli artisti nelle loro opere pittoriche).

Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,

Poi il poeta si sofferma a descrivere l’orto solitario, le cui piante vengono nutrite con il calore del sole e fioriscono nel mese di giugno. Nella terza strofa il poeta introduce una similitudine: lui stesso si paragona ad una pianta il cui unico fiore è morto e per questo si sente arida e inutile. Carducci è molto bravo a descrivere la solitudine e la sofferenza di un padre che perde il suo unico figlio.

Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.

La strofa che chiude la lirica è molto triste: il Carducci pensa a suo figlio Dante che è sepolto sotto la terra dove il sole non può raggiungerlo per riscaldarlo con i suoi raggi e restituirgli la vitalità e l’allegria infantile. Con questa immagine il poeta sottolinea che la morte è una condizione estrema dalla quale, purtroppo, non si torna indietro.

Commento alla poesia di Carducci “Pianto antico”

La poesia “Pianto antico” è stata scritta nel 1871, ed è compresa nella raccolta “Rime nuove” pubblicata nel 1887. Il figlioletto di Carducci, a cui è dedicata questa poesia, morì forse di tifo nel 1870. Questa malattia, all’epoca, rappresentava una delle cause più frequenti di morte nei bambini. Nello stesso anno il poeta subisce un altro grave lutto, perché viene a mancare sua madre. Un’altra dura prova a cui viene sottoposto è la morte del fratello Dante, suicida a venti anni, dal quale Giosuè trovò ispirazione per il nome del figlio.

Come in altri testi di Carducci, anche in questa lirica emerge la quotidianità autobiografica del poeta e l’attenzione verso la Natura. Solo che qui, a differenza di ciò che succede in altri autori, alla ciclicità delle stagioni viene contrapposta la fissità della morte dalla quale non si torna più indietro. Nella lirica di Carducci dedicata al figlioletto Dante non vi è alcuno spiraglio che lascia pensare alla sopravvivenza dell’anima e alla possibilità di rivedersi un giorno (secondo la concezione cristiana della resurrezione), visto che il poeta ha una concezione materialistica e pagana del mondo che lo circonda.

Anche la morte, quindi, è vista come sola causa di sofferenza e desolazione in quanto provoca il distacco dalle persone che amiamo. Il ritmo di questa poesia sembra ricalcare quello di una nenia che si canta ai bimbi per farli dormire, solo che in questo caso si tratta di un canto di morte e non di vita. Per quanto concerne lo stile, si nota un’abbondanza di sostantivi e aggettivi, cui si contrappone uno scarso utilizzo di forme verbali.

Le “Rime nuove” inaugurano una stagione tutta nuova nella produzione carducciana, quella della “lirica greca” caratterizzata dall’introduzione di elementi classici e romantici. Secondo la maggior parte dei critici letterari Giosuè Carducci è uno dei poeti ottocenteschi che contribuì a restituire dignità alla poesia italiana, che era stata sminuita nel corso del tempo.

Giosué Carducci
Giosué Carducci

Carducci è stato soprannominato “Il Poeta Vate” della Terza Italia, inteso come guida morale in un momento storico decadente e confuso. Nel 1906 il Carducci ottenne il Premio Nobel per la Letteratura, l’anno dopo morì a Bologna. Oltre alla produzione di poesia, Carducci ha scritto anche interessanti opere in prosa.

Il mio povero bambino mi è morto; morto di un versamento al cervello. Gli presero alcune febbri violente, con assopimento; si sveglia a un tratto la sera del passato giovedì (sono otto giorni), comincia a gittare orribili grida, spasmodiche, a tre a tre, come a colpi di martello, per mezz’ora: poi di nuovo, assopimento, rotto soltanto dalle smanie della febbre, da qualche lamento, poi da convulsioni e paralisi, poi dalla morte, ieri, mercoledì, a ore due.

A febbraio la mia povera mamma; ora il mio bambino; il principio e la fine della vita e degli affetti.

Ella riposa, e non sente più nulla. Pace! Pace! Ma non è finita, non finisce, non finirà mai, la memoria e il desiderio nostro di lei. Io, che tutti i giorni quasi e spesso nei sogni penso e riveggo il nostro fratello morto, io ricorderò sempre lei, la rivedrò sempre; la ricorderò, la rivedrò, anche, spero, all’ultimo punto della mia vita.

– Estratti dalla lettera di Giosuè Carducci al fratello Valfredo, 10 novembre 1870

No, non è vero, che è meglio che sia morto: me lo volevo crescere e educare a modo mio, doveva sentire, pensare, lottare anche lui per il bene e per il vero. No, no: scambiare in sul primo entrar nella vita l’avvenire dell’esistenza per l’oscurità del non essere non è bene.

– Lettera di Giosuè Carducci a Ferdinando Cristiani, 14 novembre 1870

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San Martino: testo e parafrasi della poesia di Carducci https://cultura.biografieonline.it/san-martino-carducci/ https://cultura.biografieonline.it/san-martino-carducci/#comments Mon, 15 Dec 2014 08:11:50 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12686 San Martino” è una poesia scritta nel terzo libro delle Rime nuove da Giosuè Carducci. In questo periodo, Carducci scrive numerose poesie descrittive e improntate a una sottile malinconia. “San Martino” è una mirabile composizione poetica di serrata pittura e di immediata evidenza, in cui si evidenzia con reale visione l’autunno.

San Martino, testo della poesia
Il testo della poesia “San Martino : La nebbia agli irti colli, piovigginando sale…

Analisi della poesia

Il titolo determina la stagione autunnale in una data: 11 novembre, giorno di San Martino. La poesia fu pubblicata la prima volta con il titolo “San Martino (in maremma pisana)” in “Natale e Capo d’anno”, supplemento dell’Illustrazione italiana del dicembre 1883. Con tutta probabilità, Carducci si ispira ad una poesia di Ippolito Nievo composta nel 1858, che presenta somiglianze nelle immagini e nei luoghi. Infatti, il poeta che aveva viaggiato in Toscana dal 17 al 26 settembre 1883, diretto a Roma e tornato a Bologna alla fine d’ottobre, nella sua visione lirica dei luoghi visitati si è ispirato direttamente a Nievo.

Testo della poesia “San Martino”

La nebbia a gl’irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;

Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de’ tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar

Tra le rossastre nubi
Stormi d’uccelli neri,
Com’esuli pensieri,
Nel vespero migrar.

Parafrasi

Nella poesia, viene descritto un paesaggio in bianco e nero con l’eccezione del colore rossastro alla fine della poesia, che mette in risalto ancora di più il volo degli uccelli neri. Nella poesia, Carducci parla del tardo autunno in Maremma. La nebbia sale dal piano alla collina, il mare è infuriato sotto i colpi di maestrale. Ma l’acre odore del mosto invade le vie della borgata e rallegra i cuori. Lo spiedo gira sul focolare e il cacciatore sull’uscio si ferma a guardare, nell’ora del tramonto, gli stormi di uccelli di passo che migrano lontano, associandoli ai pensieri.

San Martino - poesia di Giosuè Carducci
San Martino è una delle più celebri e belle poesie di Giosuè Carducci

Nella poesia, è evidente il contrasto tra l’atmosfera del borgo ed il suono del mare in tempesta agitato dal vento di maestrale, simbolo di un’inquietudine che, a mano a mano che si sale con fatica verso la cima del colle, quasi svapora attraverso la nebbia che non ci fa percepire la realtà fino a quando non si arriva alla chiara allegrezza del borgo.

Tra le figure retoriche introdotte dal poeta Carducci nella poesia “San Martino” troviamo: la prosopopea, dove viene introdotta ed evidenziata con enfasi l’umanizzazione del mare; successivamente avviene l’inversione tra due elementi nell’ordine naturale delle parole all’interno di una frase, grazie alla figura retorica dell’iperbato, che introduce l’allegria del borgo e solo in seguito si crea una tensione semantica grazie alla figura retorica della paronomasia.

Giosuè Carducci
Una foto di Giosuè Carducci

Carducci, nelle ultime strofe, utilizza anche delle similitudini; infatti il poeta manifesta il suo desiderio e la sua volontà di far volare via i pensieri più tetri, proprio come uccelli neri che spiccano il volo per sempre; invece, secondo altre interpretazioni il termine “com’esuli pensieri” nel senso di “sperduti pensieri”, sta ad indicare il fatto che finalmente le sue idee errano lontano e si abbandonano alla complessità dell’infinito.

Sintesi

Colori e movimenti gagliardi, odori acuti, sensazioni rustiche e caserecce, orizzonti aperti e senso d’infinito si trovano tutt’insieme, in un giro di versi, breve e perfetto.

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Davanti San Guido: analisi della poesia di Carducci https://cultura.biografieonline.it/davanti-san-guido-carducci/ https://cultura.biografieonline.it/davanti-san-guido-carducci/#comments Sun, 30 Nov 2014 13:27:16 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12623 Nella lirica “Davanti San Guido” di Giosuè Carducci possiamo trovare, armonicamente fusi, alcuni dei motivi più autentici della poesia carducciana: il rimpianto per la fanciullezza lontana, l’amore per i paesaggi solari e luminosi, gli affetti familiari, la ricerca senza risultato della felicità. Si tratta di un componimento schietto e spontaneo, anche se a volte piuttosto incerto nella struttura.

Davanti San Guido
San Guido è una località del comune di Castagneto Carducci, in provincia di Livorno, situato nella zona della Maremma. L’oratorio di San Guido (nella foto) è un edificio sacro che si trova in questo luogo. Oggi la chiesa è una famosa meta del turismo culturale, proprio per la celebre poesia di Giosuè Carducci, “Davanti San Guido“.

Rime nuove

La poesia fu pubblicata nella raccolta Rime nuove nel quinto libro, che comprende poesie di vaghi ricordi autobiografici, vibranti di una romantica malinconia. La composizione venne fatta in due tempi, tra loro molto distanti e anche molto diversi per circostanze e condizioni psicologiche, ma riunificati dai temi dell’idillio e della nostalgia.

Parafrasi

Dal treno in corsa verso il nord, lungo il litorale maremmano, sul fare della sera, il poeta vede d’improvviso i luoghi dell’infanzia e improvvisamente sgorgano dalla sua mente e dal suo cuore ricordi, sogni ed affetti. Vede ed è visto, e un dialogo si intreccia tra lui e il paesaggio, fra lui e le entità della natura.

Sono i cipressi del vialone tra l’oratorio di San Guido e il colle di Bolgheri che lo invitano a rimanere con loro, per riposarsi alla loro ombra ed immedesimarsi nel ritmo benefico e vitale della natura. Il poeta si schermisce e respinge gli inviti amaramente consapevole che il passato non ritorna, le illusioni sono cadute, la realtà è dominata dai doveri e dalle cure.

Di seguito il testo della poesia in quartine “Davanti San Guido“.

Testo completo della poesia

I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e – Ben torni omai –
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino –
Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!

Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! –

– Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei –
Guardando io rispondeva – oh di che cuore!

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.

E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.

E massime a le piante. – Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
– Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!

E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;

E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. –

Ed io – Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Titti – rispondea – ; lasciatem’ ire.
È la Titti come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! –

– Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? –
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.

O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!

– Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. –

Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.

Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.

Analisi della poesia

Carducci pensa alla sua Tittì, la sua cara bambina, la minore delle tre figlie che allora aveva circa due anni e che lo aspetta adesso trepidante a Bologna. I cipressi è come se avessero capito che non è altro che un uomo tormentato dagli affanni e dalle delusioni della vita. Lo invitano a rimanere e a non seguire le idee e le passioni vane che sono colpevoli dell’infelicità umana.

Giosuè Carducci
Giosuè Carducci

Tra le immagini evocate dalle parole dei cipressi, sorgendo da un cimitero in cima al colle, dove è sepolta, compare infine nonna Lucia, a ripetere la novella di colei che lungamente e vanamente cercò il suo perduto amore. Si tratta della novella di Re Porco che aveva colpito particolarmente il poeta, soprattutto per la scena in cui Ginevra cerca di svegliare il suo sposo che è immerso in un sonno profondo e fatato, quasi a simboleggiare l’impossibilità umana di trovare la tanto ricercata felicità.

Forse è là il bene sognato e sempre cercato dal poeta: la pace del cimitero. Forse è questa la vera saggezza: il pensiero della morte. La poesia si conclude da un lato con l’immagine dei puledri che ricordano la giovinezza che il poeta insegue e dall’altra con la figura dell’asino che simboleggia gli uomini chiusi che si accontentano e che non trovano mai la vera strada della felicità.

Sintesi

In sintesi, “Davanti San Guido“, è il racconto di un viaggio reale e mentale, una poesia di evocazione e confessione, che si muove tra i termini opposti di sogno e realtà, di fanciullezza e maturità, in armonia con la natura seguendo i fantasmi del pensiero.

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Maggiolata, poesia di Giosuè Carducci https://cultura.biografieonline.it/maggiolata-poesia-di-giosue-carducci/ https://cultura.biografieonline.it/maggiolata-poesia-di-giosue-carducci/#comments Wed, 20 Nov 2013 18:42:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8650 Con il componimento “Maggiolata”, ossia “cantata di maggio”, il poeta e scrittore Giosuè Carducci, si ispira alla primavera inneggiandola a periodo in cui la natura si sveglia col sole a nuova vita. Si tratta di un inno alla primavera, all’amore e alla vita. La poesia è presente nell’opera “Rime nuove“. Il mese di maggio, secondo lo scrittore porta con se una nuova ventata di giovinezza, nonostante arrechi altresì anche cattive novelle.

Maggiolata, poesia di Carducci: un usignolo
Foto di un usignolo, uccello tra i protagonisti della poesia Maggiolata di Giosuè Carducci

Di seguito il testo completo.

Maggio risveglia i nidi,
maggio risveglia i cuori;
porta le ortiche e i fiori,
i serpi e l’usignol.
Schiamazzano i fanciulli
in terra, e in ciel li augelli:
le donne han ne i capelli
rose, ne gli occhi il sol.
Tra colli prati e monti
di fior tutto è una trama:
canta germoglia ed ama
l’acqua la terra il ciel.
E a me germoglia il cuore
di spine un bel boschetto;
tre vipere ho nel petto
e un gufo entro il cervel.

Nella poesia “Maggiolata”, la vita sboccia ed irrompe in modo improvviso attraverso una natura adornata di fiori, dove tra terra, mare e cielo, è tutta un’armonia di colori e di amore.

Carducci ribadisce la sua visione ottimistica della vita in modo semplice e naturale, in contrapposizione con ciò che avviene invece di negativo. La luce, il simbolo del sole e della natura che si risveglia sottolinea gli aspetti positivi della poetica carducciana, in contrapposizione con il buio, il freddo della morte, la parte negativa che comunque non predomina su quella positiva.

Maggio è il mese in cui si risvegliano i cuori degli uomini, nascono e cantano gli uccelli dai nidi, sbocciano i fiori, ma è anche il periodo in cui crescono le ortiche ed i serpenti si svegliano dal loro letargo. Vipere e gufi, simboli di sentimenti dolorosi e pensieri oscuri, riprendono forza.

I bambini giocano all’aperto grazie al clima dolce e mite che lo consente e schiamazzano correndo contenti, si ode il cinguettio festoso degli uccelli nel cielo, le donne sembrano avere la luce del sole nei loro sguardi affascinanti e pieni di vita e si adornano i capelli con boccioli di rosa appena colti.

Giosué Carducci
L’autore Giosuè Carducci

Le colline, i prati ed i monti rinverdiscono, sono lontani i tempi della stagione invernale, possiamo ammirare il tappeto di fiori, che la natura ci regala, simile ad un ricamo (trama), l’acqua dei torrenti gorgoglia. La terra, l’acqua ed il cielo, rinascono a nuova vita ed amano, perché la natura stessa risveglia l’amore che è insito in ogni cosa e contagia anche le persone portandole a provare quella gioia di vivere che si espande per tutto il corpo, attraverso la terra e si dilata fino al cielo. Ma la primavera è anche la stagione che stimola nuove forze oscure e Carducci sottolinea con straordinaria intelligenza anche gli aspetti meno piacevoli della vita.

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