Antiche culture hanno invece fatto del disegno una vera e propria forma di contemplazione ed erano consapevoli degli effetti benefici che questa attività aveva sulla mente.
Basti pensare ai Mandala, disegni elaborati della pratica buddista, costruiti su forme elementari come triangolo, cerchio e quadrato. Il primo studioso che sperimentò l’arte di colorare come una tecnica di rilassamento è stato Carl Jung. Colorare un Mandala è da considerarsi una forma di meditazione a tutti gli effetti.
La coordinazione necessaria tra la testa e le mani permette infatti di dare sfogo agli istinti più reconditi, liberando l’inconscio e visualizzando le emozioni più vere.
Colorare forme predefinite consente inoltre di mettere in pratica un antico (e sempre attuale) insegnamento: quello di sviluppare la creatività imparando però a rispettare le forme e le linee, con dedizione e pazienza.
Tale pratica rientra nella teoria della Mindfullness (consapevolezza).
Si tratta di una modalità di prestare attenzione, momento per momento, a ciò che succede “qui ed ora”, in modo consapevole, intenzionale e non giudicante. L’obiettivo è quello di raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza.
Anticamente alcune civiltà come gli Egizi e i Greci utilizzavano l’arte come mezzo per sperimentare la “catarsi”, ossia liberare le emozioni represse e sentirsi in equilibrio con il mondo circostante.
L’art-therapy come la intendiamo noi oggi si è sviluppata principalmente in Usa e in Gran Bretagna a cavallo tra gli anni ’40 e gli anni ’50, come modalità per curare i traumi di guerra dei reduci.
I primi ad occuparsi di tale disciplina applicata alla psicanalisi sono stati Freud e Jung. Con il passare del tempo l’arte terapia ha ampliato il campo di applicazione strutturandosi come una disciplina del tutto autonoma, utile per prevenire e intervenire nella guarigione di disturbi di tipo psicologico e sociale.
L’arte terapia affonda le sue radici negli studi sull’arte e la creatività, ma anche in quelli psicodinamici. In America è considerata la fondatrice dell’Arte terapia una psicanalista seguace di Sigmund Freud, il suo nome è Margaret Naumburg.
L’arte terapia arreca numerosi benefici psico-fisici.
Non ci sono limiti di età per praticarla. Disegnare e colorare sono attività che mantengono la mene in forma poiché vanno a stimolare sia la parte razionale che emotiva del cervello.
Trattandosi di azioni che implicano una certa precisione e attenzione, viene particolarmente attivata la corteccia cerebrale legata al senso di visione e alle abilità motorie raffinate.
Ciascuno di noi può iniziare, anche da domani: basta procurarsi un album da colorare e il gioco è fatto. Molti studiosi paragonano l’arte del colorare al fare la maglia: entrambi sono gesti ripetitivi, quasi ipnotici che però procurano un grande senso di rilassamento psico-fisico. Quando tiriamo fuori le matite è come se la nostra mente faccia un salto nel passato, a quando eravamo bambini.
Il semplice gesto di temperare una matita e annusare il profumo del legno ci fa sentire improvvisamente a casa, in un ambiente protetto e familiare. Osservare come un disegno in bianco e nero prende vita attraverso i colori è un’esperienza che induce un senso di pace totalizzante. L’unico suono che si percepisce mentre si colora è quello della matita che sfrega delicatamente sulla carta: in questo modo la mente si rilassa e dimentica i pensieri negativi e le tensioni.
Gli psicologi sono tutti concordi nel sostenere che l’Art-Therapy è una tecnica che serve a combattere lo stress.
Non a caso, infatti, i libri da colorare per adulti stanno diventando dei veri e propri best seller. Il successo editoriale di questi volumi è partito da Gran Bretagna e Francia, dove i quaderni da colorare sono più venduti di quelli di cucina.
Quello realizzato da Johanna Basford, ad esempio, ha venduto fino ad ora oltre 350mila copie. Si tratta di una collezione di disegni in bianco e nero da riempire a piacimento. Di solito i motivi sono floreali, geometrici, oppure rappresentano volti di personaggi famosi.
Bastano venti minuti al giorno di matite e pastelli per rilassarsi, accendere la fantasia e diventare più consapevoli dell’ambiente circostante. Ogni volta che ci dedichiamo a questo tipo di attività abbassiamo l’azione dell’amigdala, una parte fondamentale del cervello che controlla le emozioni che così fluiscono, mentre lo stress diminuisce.
L’arte-terapia interviene efficacemente nei programmi riabilitativi intrapresi nei confronti di soggetti portatori di handicap e disturbi psichici come l’autismo e la schizofrenia. Può essere inoltre utilizzata con bambini, adolescenti e anziani come esperienza ludica a tutti gli effetti, affinché i destinatari vengano guidati in un percorso di maggiore consapevolezza di se stessi e delle proprie capacità relazionali.
Le tecniche espressive dell’arte-terapia si rivelano utili anche in un’ottica preventiva ed educativa, attraverso la realizzazione, ad esempio, di laboratori artistici.
]]>Tra i principali tipi di amore di cui discute troviamo: amore fraterno, amore tra genitori e figli, amore erotico, amore per sé stessi, amore per Dio.
Tutte queste forme di amore descritte da Fromm presentano elementi comuni e devono essere sempre basati sul senso di responsabilità, rispetto e conoscenza per funzionare al meglio.
Continuano le delucidazioni da parte dell’autore sul tema amore, che viene dunque indicato come un tentativo di superare quel senso di isolamento che ci attanaglia.
Infatti, qualsiasi tentativo d’amare è destinato a fallire se non si cerca di sviluppare più attivamente la propria personalità e, in secondo luogo, la soddisfazione, nell’amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede e coraggio.
E’ inoltre errato sostenere che l’amore venga inteso solo come una reciproca soddisfazione sessuale poiché una completa felicità sessuale si raggiunge soltanto quando il sentimento risulta autentico agli occhi di tutti.
La concentrazione sulla tecnica sessuale porta all’insoddisfazione e rappresenta una delle ragioni per cui l’amore è diventato così raro nella nostra moderna società capitalistica.
L’autore studia le varie correlazioni tra le relazioni sentimentali e la cosiddetta società moderna.
Spesso si parla di una realtà sempre troppo focalizzata sul potere, sul denaro e sull’egoismo, finendo per ridurre ogni relazione sentimentale ad un mero scambio di beni, facendoci dimenticare i veri sentimenti.
Fromm poi definisce l’amore come un’arte, in quanto richiede sforzo e saggezza.
La maggior parte delle persone cade nell’errore di pensare che ci sia qualcosa da imparare sul sentimento perché in realtà si ritiene che “amore significhi essere amati, anziché amare”. In più esistono forme di pseudo-amore che fanno parte della nostra vita sentimentale.
Inoltre, Fromm afferma che, per assurdo, prima di essere capaci di amare, dobbiamo imparare a stare bene da soli.
L’amore è un trasporto verso un qualsiasi oggetto, compreso se stesso.
La Bibbia parla di “amore per se stessi” quando ordina di “amare il prossimo come noi stessi” e lo stesso teologo e religioso tedesco Meister Eckhart parla di amore per se stessi allo stesso modo.
Tra le altre teorie di Fromm illustrate: solo conoscendo obiettivamente un essere umano, si è in grado di penetrarne l’essenza più profonda nell’atto d’amore.
Questa dichiarazione ha un significato molto importante nel ruolo della psicologia nella civiltà occidentale moderna, diventando così un surrogato della conoscenza completa nell’atto d’amore, anziché essere un passo verso di essa.
Secondo l’autore, l’amore oggi è paragonato ad un sentimento schiavo delle richieste e dei ritmi della società in cui viviamo, diventando quindi un obiettivo imprescindibile nella vita che porta l’individuo a sposarsi, avere dei figli e ripetere in modo calcolato lo stesso schema di generazione in generazione, formando un’alleanza a due contro il mondo, e questo egoismo a due non può essere lontanamente paragonato né all’amore né all’intimità.
È l’amore un’arte? Allora richiede sforzo e saggezza.
Oppure l’amore è una piacevole sensazione, qualcosa in cui imbattersi è una questione di fortuna? Questo volumetto contempla la prima ipotesi, mentre è fuor di dubbio che oggi si creda alla seconda.
La gente non pensa che l’amore non conti. Anzi, ne ha bisogno; corre a vedere serie interminabili di film d’amore, felice o infelice, ascolta canzoni d’amore; eppure nessuno crede che ci sia qualcosa da imparare in materia d’amore.
In conclusione, possiamo dire che l’amore non nasce dal bisogno, piuttosto è il bisogno di te che nasce come naturale conseguenza del mio amore per te.
L’arte di amare e “amare” non è facile, ecco perché l’autore utilizza la parola arte, perché l’arte, per dirsi tale, richiede le capacità dell’artista, il quale la impiega per operare attivamente e in sostanza “creare”, proprio come si dovrebbe creare nelle relazioni d’amore, senza trovare escamotage alla solitudine o osservando il principio del “do ut des“. “Io ti do quanto tu mi dai”, in beni materiali come in amore, è la prevalente massima etica della società capitalistica.
Il tema centrale dell’opera è l’amore, seppur ne esistono di diverse tipologie: intorno ad esso, gravitano tutti quei pianeti che fanno parte del nostro immancabile universo emotivo.
Nella sua opera sono frequenti i richiami alla mitologia greca e perfino all’Antico Testamento.
L’autore descrive anche le devianze dell’amore, focalizzandosi sui temi del sadismo e del masochismo e critica fortemente la concezione patriarcale del sesso di Sigmund Freud che vede l’eros come un principio di sintesi e di unificazione, ma si pone su un piano completamente differente rispetto alla sua concezione della libido. In tutti i casi, il tema dell’amore resta un argomento attuale, infatti l’amore è quell’ospite imprevisto al quale nessuno dovrebbe rimanere immune.
]]>Per cyberbullismo, si intende un tipo di attacco continuo e offensivo ai danni di un soggetto attuato mediante gli strumenti della rete. Si tratta sostanzialmente di una versione informatica del bullismo, ossia un genere di violenza e di umiliazione che viene effettuata da giovani ai danni di soggetti terzi che sono vittime bersagliate e derise per colpa di un motivo sociale, fisico o comportamentale.
Con l’avvento di internet e della tecnologia, questo tipo di fenomeno, il cyberbullismo, ha consentito anche l’intensificarsi di scambi di immagini e registrazioni video calunnianti. Ciò promuove il fenomeno del public shaming, ovvero l’umiliazione pubblica del soggetto sulla rete. Chiunque può diventare un cyberbullo. E molto spesso coloro che effettuano questo tipo di attacchi possono essere anonimi. La vittima è così incapace di riconoscerli e di difendersi.
Il cyberbullo approfitta del suo stato invisibile e anonimo per agire sulla vittima predestinata che comunque subisce dei danni alla sua immagine usando una fredda consapevolezza. Il cyberbullo predilige molto spesso comunicazioni definite sadiche e può agire 24 su 24. La diffusione del materiale audio-video prodotto non ha limiti geografici. I cyberbulli spesso commettono online tutto ciò che non farebbero nella vita reale, creando dei veri propri problemi alla vittima che è schiacciata psicologicamente (ma non solo) da questi atti riprovevoli.
Queste sono le principali categorie del cyberbullismo:
Per bullismo, invece, si indica una forma di comportamento sociale molto violento che crea disagi al soggetto che ne è vittima. Si può trattare di violenza fisica, verbale e psicologica che viene commessa da uno o più soggetti a danni di terzi. Questa forma di violenza è usata principalmente in ambiti di aggregazione sociale come le scuole.
Molto spesso questa forma di atteggiamento, il bullismo, sfocia in abusi gratuiti. Può arrivare a un livello di violenza fisica o psicologica oltre alla normale presa in giro, all’umiliazione e alla ridicolizzazione del soggetto stesso.
Sono necessari degli interventi specifici per scongiurare questo tipo di fenomeno. Nel bullismo, vengono coinvolti gli studenti della classe o dell’Istituto. Il bullo normalmente è fisicamente prestante o sa usare il corpo per fare del male. E agisce durante gli orari scolastici o solitamente nel tragitto casa-scuola.
Compiere degli atti di bullismo porta il bullo a rendersi visibile agli occhi di tutti e a commettere forme di sadismo. E a volte a compiere anche atti di vera e propria criminalità minorile. Inoltre il bullo vede concretamente la propria vittima e l’effetto delle proprie azioni usando una fredda consapevolezza. Non si raccapriccia del male che viene fatto al soggetto, ignorando completamente la sua persona.
Dal 2017 è stata istituita la giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. La giornata ricorre il 9 febbraio.
]]>Secondo stime recenti, in Italia soffrono di anoressia e bulimia circa tre milioni di persone [fonte: agi.it, aprile 2018], la maggior parte di queste ha un’età piuttosto giovane. Le due patologie spesso sono facce di una stessa medaglia: i soggetti predisposti, infatti, tendono ad oscillare tra anoressia e bulimia, in un’altalena che – se non fermata e curata in tempo – può portare a conseguenze gravi oppure estreme.
A determinare la differenza tra una condizione di anoressia e di bulimia è il peso.
Chi soffre di anoressia tende a non mangiare, a privarsi del cibo e quindi a perdere peso oltre i limiti del normale. Gli anoressici hanno il terrore di ingrassare, e questo è indice di una scarsa autostima.
Tenendo sotto controllo l’alimentazione e di conseguenza il peso, il soggetto anoressico crede (erroneamente) di acquisire una maggiore fiducia in sé stesso.
La bulimia, invece, comporta una modalità di ingerimento del cibo compulsiva, vorace, come se si volesse trattenere maggiore quantità di cibo per compensare alcune mancanze nella propria vita.
In entrambi i disturbi è presente una richiesta di aiuto. La persona che soffre di bulimia percepisce i sintomi legati al suo disturbo come particolarmente fastidiosi e in genere chiede aiuto per potersene liberare.
Chi soffre di anoressia, invece, si rallegra della sua continua e progressiva perdita di peso, e quindi non crede di dover essere aiutata in questa spirale auto-distruttiva.
La persona bulimica, spesso in sovrappeso, si cimenta in lunghe ed estenuanti sedute di palestra oppure esercizi fisici prolungati; fa anche uso di lassativi perché crede, in questo modo, di alleggerirsi dai chili di troppo accumulati con le abbuffate di cibo.
Per eliminare ciò che ha ingerito, il bulimico ricorre al vomito auto-indotto – cosa che invece è più rara nella persona anoressica.
Chi soffre di anoressia e/o bulimia va incontro a conseguenze pesanti legate alla malnutrizione. Succede spesso ad anoressici e bulimici di avere problemi a livello cardio-circolatorio (ad esempio frequenti aritmie), di avere problemi nella concentrazione e nella resistenza fisica.
Il vomito autoindotto, a lungo andare, crea problemi alla cavità orale e alla salute dei denti.
Dinanzi ad un soggetto che mostri sintomi dell’uno, dell’altro disturbo o di entrambi, è necessario chiedere l’intervento integrato di più professionisti esperti: un medico, uno psicologo ed un nutrizionista.
Non è possibile trattare questi disturbi come puramente medici o comportamentali: corpo e mente sono strettamente legati, quindi occorre un approccio che consideri tali parti come costituenti un unicuum.
Nella maggior parte dei casi bisogna intervenire a modificare l’idea che il soggetto ha del corpo e che lo conduce a voler essere diverso da ciò che è.
Le donne anoressiche sono quasi sempre vittime di un ideale di perfezione e di bellezza che si sforzano di perseguire nonostante tutto.
Le donne soffrono anche di anoressia nervosa, una particolare forma del disturbo alimentare che di solito segue ad una delusione d’amore.
Alcune recenti scoperte scientifiche hanno rilevato che la cura più efficace per questo tipo di anoressia (la cui frequenza è più alta tra gli adolescenti) è l’ossitocina, l’ormone dell’amore. Pare che la somministrazione di tale sostanza riesca a distrarre il soggetto dal cibo e dall’accumulo del grasso nelle varie parti del corpo.
Tra corpo e anima vige un rapporto materia-forma, come se l’anima fosse la vera forma del corpo. Chiedersi se corpo e anima siano la stessa cosa è una domanda priva di senso: è come domandarsi se sono la stessa cosa la cera e la forma della candela.
ARISTOTELE. Tratta da: Frasi sull’anima
Anoressia e bulimia sono problemi dell’anima, e come tali vanno curati. Rispettando al massimo la sensibilità delle persone che ne soffrono e assecondando il loro desiderio di essere ascoltate e comprese.
]]>Protagonista del romanzo dello scrittore Italo Svevo è Alfonso Nitti, un intellettuale fallito che si è spostato dalla campagna in città, a Trieste. E’ un impiegato di banca e vive presso una famiglia di affittacamere.
L’uomo, che conosce il latino e ama le poesie, si sente imprigionato da un lavoro ripetitivo e arido: quindi aspira ad una vita diversa dalla sua routine. Alfonso Nitti vorrebbe fare lo scrittore. Ma tutto sembra riportarlo alla realtà in cui vive, dai condizionamenti sociali, dal suo mondo d’affari e dal mondo borghese in cui fatica ad inserirsi.
Il romanzo inizia con le parole di Alfonso alla madre, scritte in una lettera:
Il sogno di Alfonso, stretto da un’umanità meschina che lo avvilisce, è quello di riscattarsi attraverso la letteratura. Viste le sue qualità da intellettuale, gli si presenta un’occasione. Viene infatti ammesso nella casa borghese del direttore di banca, il signor Maller. Ma Alfonso senza neppure accorgersene, seduce Annetta Maller, figlia del direttore di banca.
Anche lei come il protagonista del romanzo Una vita, è appassionata lettrice e aspirante scrittrice. Così la giovane Annetta Maller propone ad Alfonso Nitti di scrivere un romanzo a quattro mani.
La ragazza, figlia del direttore di banca, si innamora di Nitti al punto che desidera sposarlo, andando contro tutti gli ostacoli sociali che si oppongono alla loro relazione. Ma Alfonso, disinnamorato della giovane, si rende conto di non voler convolare a nozze: in modo insensibile rifiuta il matrimonio con Annetta e all’occasione che le nozze potevano offrirgli di una scalata sociale.
Col pretesto di assistere la madre malata, Alfonso torna in campagna nel suo paese d’origine, dove assiste la madre sino alla fine. Qui comincia a mettersi alla ricerca delle sue origini.
Poi il protagonista del romanzo si ammala ed è costretto a vendere ogni bene familiare. Ma questo non lo fa tornare indietro sui suoi passi.
Decide infatti di non farsi più vivo con Annetta, pur essendo consapevole che finirà per essere giudicato dalla giovane un vile, perdendo la sua stima.
Passato il periodo, decide di tornare a Trieste, dove l’aspetta il suo impiego in banca per riprendere la vita di sempre. L’attende però una prova ancora più difficile perché viene considerato dai colleghi un cacciatore di dote: viene anche trasferito ad un incarico meno redditizio, dal suo direttore Maller.
A questo punto Nitti decide di licenziarsi, dà le dimissioni, poi invia ad Annetta una lettera che viene letta dalla famiglia di lei, come tentativo di ricatto. Alfonso Nitti viene così sfidato a duello dal fratello di Annetta.
La giovane nel frattempo si è fidanzata con Macario; questi è un personaggio antagonista di Nitti, è una persona sicura di sé, determinata e soprattutto adatta alla vita.
Alfonso declina l’invito alla lotta, preferendo suicidarsi.
Alfonso Nitti rappresenta un uomo che possiede aspirazioni ideali alte e profonde che però vanno a cozzare con la società borghese e con le sue convenzioni. Ma l’uomo si propone come un inetto al mondo borghese, mostrando passività ed estraneità.
Non persegue infatti mai i suoi propositi fino in fondo. Trasforma tutte le sue passioni e aspirazioni in velleitarie. Si dimostra non all’altezza di sostenerle sino in fondo ed è confinato in un limbo fatto di paralisi o di stasi.
Alfonso decide di rifiutare il duello, preferendo la morte con il suicidio. Anche in questo suo gesto il protagonista si dimostra un inetto: non c’è niente di eroico nel suo suicidio. Solo la conferma della sua posizione di subalternità e inferiorità rispetto al mondo reale che lo circonda.
La figura dell’inetto caratterizza gran parte della letteratura di fine Ottocento e gli inizi del Novecento.
Si veda ad esempio il protagonista del romanzo di Robert Musil, dal titolo “L’uomo senza qualità”. Tuttavia l’inetto non si deve confondere con il fallito.
L’inettitudine del protagonista Alfonso Nitti sta proprio nella sua rinuncia alla lotta, alla vita e nella mancanza di capacità che dimostra ad esprimere la propria personalità.
Al contrario di Macario, fidanzato di Annetta, che dimostra di essere perfettamente a suo agio con la vita, sicuro di sé e determinato, Alfonso è invece predestinato alla sconfitta.
Italo Svevo disegna Nitti come un personaggio che si dimostra pieno di paure e di apprensioni. Si dimostra non un lottatore, ma contemplatore debole e passivo in ogni circostanza importante.
Lo stile del primo romanzo di Italo Svevo è di tipo psicologico di formazione. Svevo narra in terza persona con un narratore estraneo rispetto la vicenda raccontata nel romanzo.
Il protagonista Nitti è un anti-eroe, che è immerso in una routine senza colore e senza splendore.
Svevo offre una prosa che è priva di preziosismi e rifugge da ogni ricerca linguistica: essa va invece ad adeguarsi alla realtà grigia che rappresenta.
L’obiettivo di Svevo è quello di rappresentare la problematicità della coscienza dei suoi personaggi.
Il commento che segue è tratto dalla prefazione del libro, a cura dello scrittore Mario Lunetta (1934-2017), edito da Newton Compton Editori nel 2011.
Fin dal suo primo romanzo, il triestino percepisce di essere partecipe di una crisi: la crisi di una borghesia che in sede culturale sconta l’esaurirsi della spinta ottimistica incarnata dal positivismo, e in sede economico-politica è costretta a pagare un disagio e una serie di conflitti interni, che i diversi imperialismi europei si sforzeranno di eludere scatenando una competizione tanto serrata da concludersi con una guerra generale.
Quella di Svevo è, fin dagli esordi, una percezione critica e una percezione autocritica: la sua scrittura, ancora per tanti versi così naîve, trova già in Una vita, e proprio in forza di queste doti, momenti forti di libertà e di
invenzione.[…] Svevo s’impegnò a fondo al suo primo romanzo, probabilmente convinto di avere in qualche modo toccato il centro nevralgico della sua ricerca. Questo centro nevralgico è la malattia: e la malattia si chiama, appunto, inettitudine.
L’autore Italo Svevo in una lettera a Valery Larbaud (1881-1957), datata 16 marzo 1925, parla della sua opera prima in questo modo:
«Ho riletto Senilità e vedo il libro che m’ero rassegnato a considerare assolutamente inesistente, nella luce che gli è stata data dal vostro giudizio. Ho riletto Una vita. James Joyce diceva sempre che nella penna di un uomo c’è un solo romanzo (allora egli non aveva neppure pensato a Ulysses) e che quando se ne scrivono diversi si tratta sempre del medesimo più o meno trasformato. Ma in questo caso il mio solo romanzo sarebbe Una vita».
La pellicola “Prendimi l’anima” è ispirata alla figura della psicoanalista russa Sabina Spielrein, nata a Rostov, sul Don, nel 1885, paziente di Carl Gustav Jung, con il quale successivamente intrattiene anche un rapporto amoroso. Sabina è interpretata dalla magnifica Emilia Fox, mentre il dottor Jung dallo strepitoso e affascinante Iain Glen.
A portare alla luce la storia della paziente e amante del dottore ci pensano Marie, studiosa francese e Fraser, studioso scozzese, che si incontrano su un autobus e fanno reciproca conoscenza mentre viaggiano per le strade di Mosca, dove stanno svolgendo delle ricerche sulla vita della psicoanalista russa ed ebrea Sabina. Da qui, ne ricostruiscono insieme la vita, attraverso il diario che Sabina scrive durante il suo ricovero presso l’ospedale Burgholzli, di Zurigo, avvenuto nel 1904 in seguito alla morte della sorella, a causa di una forma grave di isteria dalla quale la dolce Sabina viene colpita.
E’ proprio in ospedale che la giovane donna conosce Carl Gustav Jung, che prova su di lei i nuovi metodi di psicoanalisi del suo maestro Freud, grazie ai quali riuscirà a guarirla un anno dopo. Sabina riesce a guarire e, uscita dall’ospedale, dietro consiglio del suo medico, la giovane si interessa alla psicoanalisi, studia medicina, specializzandosi in psicoanalisi e pedagogia e, contemporaneamente, apre le porte del suo cuore.
Tra Jung e Sabina nasce una meravigliosa storia d’amore. Storia d’amore scoperta dalla moglie del medico, che avvisa con una lettera i genitori di Sabina, ostacolando il loro amore, tanto che Jung, per paura di uno scandalo, lascia la ragazza.
Seppure innamorata di Jung, Sabina, nel 1912, sposa il medico russo Pavel Scheftel. Un anno dopo, nasce sua figlia Renate. Sabina torna in Russia con la figlia, nel 1923, stabilendosi a Mosca e si specializza nel settore della psicoanalisi e della psicologia infantile, diventando direttrice dell’Asilo bianco, che prende il nome dal colore delle pareti. Un posto, l’Asilo bianco, dove i bimbi vengono fatti crescere in libertà, ma che viene chiuso nel corso della dittatura di Stalin. Viene bandita altresì la psicoanalisi. Contemporaneamente, anche la famiglia di Sabina non viene risparmiata: due fratelli vengono deportati e uccisi. Mentre Sabina muore, nel 1942, sotto la mano crudele dei nazisti durante l’occupazione di Rostov, proprio dove aveva trovato riparo dopo la chiusura dell’Asilo bianco. E’ qui che Sabina e sua figlia Renate vengono uccise a fucilate nella sinagoga insieme a circa un centinaio di ebrei.
Il film “Prendimi l’anima” merita di essere visto. Esso conferisce una carica emotiva e dà il giusto riconoscimento storico alla biografia di Sabina. Sottolinea anche l’aspetto umano dell’uomo di scienza. La figura di questa giovane donna è il ritratto di una donna sensuale, esplosiva e ribelle. Non quello di una folle da curare. Jung appare fragile, innamorato ma pronto a rinunciare a favore della sua carriera.
Sabine ha scritto nel suo diario durante la sua relazione con Jung:
Ma poi: lo voglio veramente? Potremmo essere felici? Nessuno di noi due, credo, perché il pensiero di sua moglie e dei suoi figli non ci darebbe pace. Non sono affatto nemica di sua moglie, posso capire fin troppo bene la sua posizione nei miei confronti.
Anche se la conosco poco, credo sia una brava persona, visto che il mio amico l’ha scelta. Quante volte ho dovuto soffrire per lei, quante volte nel pensiero le ho chiesto perdono per il dolore che ho portato nella sua casa tranquilla.
Del resto anche a me questo amore non ha portato altro che dolore. Erano pochi gli attimi in cui, riposando sul suo petto, potevo dimenticare tutto e nemmeno pensare alla tragedia della nostra situazione poteva turbare il mio sentimento di gioia profonda; neanche la derisione del critico dentro di me — l’essere umano è uno strano meccanismo — poteva distogliermi. E ora? Egli mi si avvicina di nuovo. … (1910).
Un altro film – con produzione internazionale – che tratta le stesse tematiche è “A Dangerous Method” (2011) di David Cronenberg; in quest’ultimo film troviamo Michael Fassbender nel ruolo di Carl Gustav Jung; Keira Knightley nel ruolo di Sabina Spielrein; Viggo Mortensen nel ruolo di Sigmund Freud.
]]>Le Costellazioni familiari si pongono l’obiettivo di rendere le persone consapevoli di poter risolvere in maniera definitiva i blocchi esistenti nella propria vita: la consapevolezza è un requisito che caratterizza la maggior parte delle discipline olistiche.
Il fondatore delle Costellazioni familiari è uno psicologo tedesco, Bert Hellinger. Le sue teorie cominciarono a diffondersi a partire dal 1980, influenzando alcuni studiosi che vennero dopo di lui e approfondirono l’argomento (vedi la francese Anne Schutzenberger). Secondo Bellinger la nostra vita è influenzata da tutto ciò che i nostri antenati hanno subito in passato. Per fare un esempio pratico, può essere che se le donne antenate della famiglia hanno subito vessazioni da parte dei mariti il soggetto si troverà a vivere (anche se con modalità diverse) ed accettare una situazione simile.
Ciascuno di noi fa parte di una famiglia con cui vive ed a cui è legato, che lo voglia o meno.
Spesso continuiamo a ripetere conflitti e malesseri nelle nostre esperienze, oppure portiamo sulle spalle pesi che non ci appartengono. O anche, viviamo a nostra insaputa il tragico destino di un familiare, scomparso da tanto tempo e mai conosciuto.
Tutte queste dinamiche ci legano in modo negativo alla famiglia, impedendoci di guardare in avanti con forza gioiosa e di avere successo nella nostra vita. (Bert Hellinger)
Le ragioni di tale inspiegabile accettazione andrebbero appunto ricercate nel contesto familiare. Le dinamiche inconsce che si trasmettono di generazione in generazione fanno sentire la loro influenza in ogni contesto della vita: salute, rapporto con il denaro, salute, rapporto di coppia.
La consapevolezza dell’esistenza di blocchi familiari favorisce la guarigione non solo del singolo individuo, ma anche di tutti i membri della stessa famiglia. Esistono diverse interpretazioni circa le modalità di azione delle Costellazioni familiari (ogni scuola adotta il metodo in base a proprio orientamento), ma in genere il soggetto viene invitato ad osservare come vengono rappresentati scenicamente i livelli inconsci che portano alla scoperta del disagio e alla sua risoluzione.
Quando il disagio viene individuato e portato a galla si procede alla reintegrazione dell’elemento che manca oppure si rimette ordine nel sistema che ha perduto il suo originario equilibrio. Una volta riconosciuto il blocco viene rielaborato a livello coscienziale e poi assimilato dal soggetto: in questo modo comincia il percorso che conduce alla completa e definitiva guarigione.
Le Costellazioni familiari vengono inquadrate come metodo sistemico in quanto prendono in considerazione un sistema, quale appunto la famiglia, in cui i singoli membri sono in funzione l’uno dell’altro. Proprio questo approccio sistemico consente di individuare legami e connessioni tra i membri di una stessa famiglia quando si intraprende una terapia con le costellazioni familiari.
Hellinger individuò i c.d. “Ordini dell’Amore”, ossia ordini fissi che servono a mantenere in equilibrio la struttura familiare assicurandone la sopravvivenza. Tale ordine potrebbe essere paragonato ad una sorta di “karma familiare”, in base al quale ogni torto subito da un antenato viene compensato da chi viene dopo.
In pratica, se nella famiglia vi è stato un membro “escluso” i successori devono riconoscerlo e in seguito riscattarlo e difenderlo. Uno dei membri della famiglia, in particolare, si identificherà con il componente “escluso” ed infatti si ritroverà a vivere un destino simile oppure subirà una morte precoce. Gli Ordini dell’Amore dovrebbero essere sempre rispettati per evitare ogni squilibrio, altrimenti possono provocare conflitti familiari e problemi vari.
Il metodo delle Costellazioni familiari prevede una serie di sedute nelle quali un gruppo di soggetti rappresenta la propria costellazione. La seduta si svolge appunto in gruppo: i partecipanti si dispongono a cerchio e tra di loro vi è anche un facilitatore, di solito un professionista in campo psicologico, che ha il compito di agevolare l’approccio tra i membri. Al facilitatore spetta formulare la domanda di apertura della seduta, focalizzando l’argomento di cui si vuole trattare.
Dopo aver ottenuto le risposte, il facilitatore procede con la messa in scena, invitando il soggetto individuato a scegliere, tra i presenti, un rappresentante di se stesso e di un suo antenato. Il soggetto si siede accanto al facilitatore/conduttore del gruppo e resta in silenzio a guardare gli altri partecipanti che rappresentano i vari componenti della famiglia.
Il conduttore procede ad interpellare i vari partecipanti alla messa in scena, infine invita il soggetto interessato a prendere il posto del proprio rappresentante. Questo serve a riportare equilibrio sia nel singolo individuo che nella famiglia. Le Costellazioni familiari portano il soggetto ad intraprendere un percorso di trasformazione interiore che però il più delle volte avviene a livello inconscio e non razionale.
]]>Con il termine Pet-Therapy ci si riferisce ad un insieme di terapie e attività che si svolgono tramite la collaborazione e l’ausilio degli animali, e che vengono effettuate per lo più ad integrazione di quelle mediche e neuro-psicologiche tradizionali, per ottenere una più efficace riabilitazione psico-fisica. La relazione che si instaura tra uomo e animale nell’ambito della pet-therapy è sempre vista in un’ottica terapeutica, quindi di solito si svolge in particolari contesti (ad esempio una clinica) e non tra le mura di casa.
Mentre con il proprio animale domestico si tende ad instaurare un rapporto basato principalmente sulla spontaneità dei gesti, nella Pet-therapy il rapporto mira ad ottenere effetti terapeutici e benefici in termini psico-fisici nei confronti della persona che vi si sottopone. Ciò significa che la relazione uomo/animale viene seguita e monitorata da professionisti esperti e si struttura secondo un protocollo ben preciso.
Partendo dall’etimologia della parola proveremo a spiegare in cosa consiste questa particolare disciplina che si sta diffondendo ovunque. “Pet” in inglese significa “animale domestico”, ma questo non significa che la terapia può essere svolta con l’ausilio di qualunque animale che si è soliti tenere in casa.
A coniare la parola “Pet-Therapy” è stato il neuropsichiatra statunitense Boris Levinson, considerato il fondatore di questa disciplina basata sull’interazione tra uomo e animale. I primi studi che dimostrarono gli effetti positivi di tale legame risalgono al 1792. Da questo periodo in poi i primi psicologi cominciarono a sollecitare i propri pazienti a prendersi cura di un animale domestico per potenziare la capacità di scambio affettivo e quella di autocontrollo.
Successivamente in Germania, a partire dal 1867, fu inserito l’ausilio degli animali nei programmi terapeutici rivolti ai pazienti colpiti da epilessia. Negli Usa e in Francia i cani furono utilizzati per la prima volta nel 1919, per aiutare i reduci della prima guerra mondiale a superare problemi di depressione e traumi derivanti dal conflitto armato. Tra gli esperimenti di Boris Levinson vi fu anche quello di far interagire i cani con i bambini affetti da autismo: i risultati furono a dir poco sorprendenti.
Nel 1962 Levinson pubblicò un libro, intitolato “Il cane come co-terapeuta” nel quale raccontò gli effetti benefici che aveva riscontrato lasciando interagire i cani e le persone con disagi psicologici. Mentre in America già nel 1981 la Pet-therapy venne ufficializzata con la creazione dell’associazione “Delta Society” che aveva l’obiettivo di approfondire le conseguenze dell’interazione tra animali domestici e uomini. In Italia serve attendere il 1987 per cominciare a sentire parlare di tale argomento.
Per la sua innata vicinanza all’uomo, il cane è sicuramente l’animale più adatto a svolgere le terapie e le attività rientranti nella Pet-therapy. Il cane favorisce il relax fornendo al paziente la motivazione per muoversi ed uscire di casa, e stimola il senso di accudimento. Alcuni giochi ed esercizi messi a punto durante la Pet-therapy, servono a favorire la concentrazione ed accrescono l’autostima, e grazie a questi le persone con problemi relazionali riscoprono il piacere della condivisione e dello svago.
Gli anziani che vivono soli, grazie alla compagnia di un cane si sentono motivati ad uscire e condividere con altre persone che possiedono un animale, esperienze di vita e problemi. Effetti benefici dell’interazione con i cani sono stati anche dimostrati nel caso di giovani usciti dal coma e di bambini ricoverati in ospedale, che con gli amici pelosi hanno trovato la voglia di giocare e divertirsi anche in corsia.
Come abbiamo visto, la pet-therapy interviene attraverso attività assistite con e attraverso gli animali. Tra le altre cose, uno degli obiettivi che tale disciplina si prefigge è di educare ad un corretto rapporto con gli animali, soprattutto verso quelli domestici, stimolando il rispetto reciproco.
L’animale domestico viene quindi considerato un “mediatore” da utilizzare per la risoluzione di problematiche umane come la gestione del conflitto e dell’aggressività. Inoltre l’animale diventa un veicolo importante all’interno di programmi educativi per lo sviluppo delle capacità relazionali e cognitive dei bambini, soprattutto di quelli più sensibili o con disagi psichici.
Durante le sedute di Pet-therapy sono presenti queste figure professionali che lavorano in equipe: un medico veterinario, un responsabile di progetto (in genere si tratta di un operatore sanitario esperto), un coadiutore dell’animale, un coordinatore (può trattarsi di un educatore, di un infermiere, di uno psicologo/psicoterapeuta, ecc).
]]>La psicosintesi ha un approccio olistico ed integrato nei confronti dell’individuo, considerato come un insieme inscindibile di corpo e spirito. In quanto tale, ogni individuo è in costante evoluzione al fine di realizzare al meglio il proprio potenziale e vivere un’esistenza più piena e appagante.
La psicosintesi individua tre momenti interconnessi tra loro, che formano il processo psicosintetico: “Conosci te stesso/a”; “Possiedi te stesso/a”; “Trasforma te stesso/a”.
La prassi psicosintetica si basa su alcuni aspetti principali: i concetti di “disidentificazione”, “auto-identificazione”, “volontà” e “accettazione”. Nella vita psichica noi veniamo dominati da tutto ciò in cui il nostro io si identifica, mentre la disidentificazione ci permette di dominare e utilizzare ciò che ci circonda. Da questi due principi deriva la nostra schiavitù o, viceversa, la nostra libertà di esseri umani.
L’obiettivo della psicosintesi è di risvegliare l’esperienza della volontà, intesa come facoltà di gestire le relazioni sociali per condurre l’individuo a cogliere significati esistenziali più ampi. Il processo di autorealizzazione di cui l’uomo è protagonista si compie attraverso l’espressione della potenzialità e della volontà nella vita di tutti i giorni. Attraverso l’autocoscienza è possibile entrare in contatto con i livelli superiori della psiche, realizzando in questo modo un vero e proprio risveglio spirituale.
Potremmo ben dire che la Psicosintesi tende a far luce sugli aspetti che la psicologia classica ha tralasciato, e ad integrare gli elementi della psiche che lo stesso Freud aveva già scoperto. Piuttosto, il modello cui si ispira la psicosintesi è di derivazione analitica-junghiana.
Il percorso di psicosintesi si svolge attraverso diverse tecniche basate sul silenzio interiore, la visualizzazione e la meditazione. L’ideatore della disciplina, Roberto Assagioli, invitava a praticare la disidentificazione per poter dirigere e governare i nostri pensieri e le nostre emozioni (anziché esserne schiavi). Un primo esercizio consiste nel ripetere in modo attento e consapevole le seguenti frasi: “io ho un corpo, ma non sono il mio corpo”; “io ho queste emozioni, ma non sono queste emozioni”; io ho questi pensieri, ma non sono questi pensieri”; “io ho questi sentimenti, ma non sono questi sentimenti”. Altro elemento imprescindibile per una pratica efficace è il rapporto che si instaura tra il cliente e il suo terapeuta, che deve essere il più possibile paritetico. Il terapeuta deve essere in grado di favorire l’autonomia intellettuale ed emotiva del cliente, deve cioè trattarsi di un libero incontro senza alcuna forzatura o dipendenza.
Il percorso della Psicosintesi conduce ad una maggiore conoscenza di se stessi, ed è tesa ad uno sviluppo armonico della personalità senza trascurare gli aspetti che la compongono: quello fisico, mentale e spirituale. La Psicosintesi è una disciplina umanistica particolarmente indicata per coloro che vivono situazioni di difficoltà e disagio emotivo e intendono scoprirne le cause per riportare equilibrio in se stessi e per quelli che soffrono di uno stato di insoddisfazione costante, unito ad una condizione di inquietudine esistenziale e incompletezza apparentemente immotivata. Intraprendere un percorso di psicosintesi aiuta gli individui a sviluppare un atteggiamento più autentico, creativo e consapevole.
La Psicosintesi si rivolge a persone che non abbiano funzioni psicologiche patologiche, e che anzi abbiano il desiderio di intraprendere un processo di evoluzione ed armonizzazione del Sé. La psicosintesi, inoltre, non va considerata una “psicoterapia” in senso stretto, anche se le sedute di psicoterapia possono essere improntate sul modello psicosintetico.
In Italia esiste l’Istituto di Psicosintesi, che ha sede a Firenze in via San Domenico 16. Questi i riferimenti telefonici: 055-578026; fax: 055-570499; indirizzo e-mail: [email protected]. L’Istituto conta alcune sedi dislocate in tutta Italia, che fanno capo ad associazioni. In Puglia, di recente, si è costituita l’associazione COR SOLIS a Cerignola (Fg) con l’intento di promuovere e diffondere la Psicosintesi sul territorio. Presso tale associazione, a breve, partiranno corsi introduttivi alla Psicosintesi. Per informazioni: tel. 366.70.47.061; e-mail: [email protected].
]]>Per psicologo si intende un laureato in psicologia che, dopo aver superato l’esame di Stato che gli permette in seguito di essere iscritto all’Ordine degli psicologi, esercita la psicoterapia. Questo esercizio si può praticare solo dopo aver conseguito il titolo abilitante a seguito della frequentazione di una scuola di psicoterapia riconosciuta dal MURST (Ministero dell’Università e della Ricerca).
Per psicoterapia si intende la pratica terapeutica applicata dal professionista che permette la cura di disturbi psicopatologici che partono dal modesto disadattamento, o disagio personale, fino alla sintomatologia più grave caratterizzata da sintomi nevrotici o psicotici. In questi casi lo psicologo, per aiutare il paziente, si limita a colloqui di sostegno, a consulenze, a eventuali tecniche di rilassamento, ma non può mai prescrivere farmaci, dare indicazioni di tipo medico, né tantomeno effettuare diagnosi sull’individuo, quando non fa parte dell’ordine dei medici.
Lo psicologo effettua quindi accertamento psicodiagnostico e, nel caso in cui venga evidenziato un disturbo psichico, il paziente viene messo nelle mani esperte dello specialista di riferimento, lo psichiatra.
Lo psicologo abilitato e iscritto all’Albo (Legge 56/89, detta “legge Ossicini”) può fare diagnosi psicologica e di intelligenza, di personalità, di competenze emotive, attitudinali, ecc., attraverso l’utilizzo di test proiettivi o misurativi.
La figura dello psicologo si può occupare di molteplici settori: clinica, scuola, sport, lavoro, comunità, ambito giuridico. Differente è invece il lavoro dello psichiatra.
Lo psichiatra è un laureato in medicina che ha conseguito la specializzazione in Psichiatria ed è un medico che si occupa di prevenire, curare e tenere sotto controllo i disturbi psichici o le malattie mentali del paziente. Dato che è un medico, ha la possibilità di prescrivere farmaci se lo ritiene necessario.
Alcuni specialisti, oltre all’uso di farmaci, prediligono affiancare alla cura anche interventi di terapie psicologiche. Lo psichiatra, comunque, non si occupa di svolgere l’attività dello psicoterapeuta. Si occupa maggiormente di disturbi gravi come schizofrenia, disturbo bipolare, depressione maggiore, etc.
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