Pompei Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 04 Jun 2024 17:12:01 +0000 it-IT hourly 1 Priapo, il mito. Riassunto, storia e affreschi simbolici https://cultura.biografieonline.it/priapo-mito-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/priapo-mito-riassunto/#comments Tue, 28 Jul 2020 09:58:39 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29748 Quando il mito si fa eros

Quello di Priapo è un mito che affonda le sue radici nel mondo greco e che poi prosegue in quello romano. Priapo è il dio dell’istinto, della forza sessuale maschile e della fertilità. Tale associazione caratteriale giunge, nel mito, da una notoria caratteristica fisica di Priapo ovvero la lunghezza importante del suo pene.

Priapo, Mito: Affresco di Pompei, casa dei Vettii
Priapo: affresco presso la casa dei Vettii, Pompei

Priapo: le origini del mito

Si racconta, nel mito greco come poi in quello approdato nella cultura romana, che Priapo fosse figlio di Afrodite e Dioniso. Seppur le caratteristiche dell’una, dea della bellezza, e dell’altro, dio dell’estasi e dell’ebbrezza, si sposino bene a tale figlio, alcune opere minori danno Priapo come figlio di Afrodite e Ermes, messaggero degli dei, o Adone, incarnazione archetipica della bellezza giovanile maschile, o ancora Zeus, padre di tutti gli dei.

In ogni caso, la storia vuole che Era, moglie di Zeus, gelosa per il rapporto adulterino del marito con Afrodite, scagliò su Priapo la sua ira rendendolo grottesco nel corpo e, in particolare, ingrandendo fuori misura i suoi genitali.

Un dio mai salito all’Olimpo

Il culto di Priapo ha un certo legame con il suo essere più terreno che divino. Oltretutto il mito narra che mai ascese o fu accolto nell’Olimpo. Fu infatti cacciato dal monte degli dei per avere abusato di Estia, figlia di Crono e Rea.

In questa cacciata prende un ruolo anche l’asino – spesso poi iconograficamente associato a questo mito, anche per le dimensioni dei genitali – che, seppur simbolo della lussuria, gli raglia contro perché se ne vada. Da allora il sacrificio a Priapo consta di un asino l’anno.

Il culto: fertilità della terra da secoli

La figura di Priapo viene richiamata nel tempo come portatore di forza e fertilità soprattutto in connessione alla terra, all’agricoltura e quindi alla ricchezza da essa derivata per le società primordiali. Si riscontrano eventi legati al culto di Priapo già con Alessandro Magno. Saranno i Romani, però, che in linea con i riti dionisiaci segneranno l’inizio di una lunga tradizione.

Le falloforie, la festa di Priapo

Il culto di Priapo fu nella cultura greca e romana al centro di un festeggiamento specifico, accoppiato al culto di Dionisio. Le celebrazioni si risolvevano in processioni solenni con lunghi cortei. In questi, l’uno dietro l’altro, si avvicendavano, rispettivamente, adulti, fanciulli, corteo rituale (detto komos), attori di commedie e attori di tragedie.

Una nota merita il komos o corteo rituale. In questa compagine sfilavano le persone, sui carri o a piedi, che si davano ai festeggiamenti fra ebbrezza, canti, suoni, baldoria e manifestazioni giocose con esplicite allusioni sessuali.

Atto finale delle falloforie era il lancio di un liquido misto di acqua, miele e succo d’uva sulla terra, una sorta di eiaculazione propiziatoria che avrebbe assicurato fertilità e abbondanza. Tali pratiche pare siano avvenute anche in Italia, al tempo dei romani, e in particolari nella zona di Foggia e Taranto, in Puglia.

Cippi fallici, l’eredità (perduta) di Priapo alla cultura contadina

Come detto il richiamo alla fertilità, alla capacità indefessa di seminare, lega la figura di Priapo alla terra e alla produzione agricola. Nel mondo agricolo, infatti, dove ancora le tradizioni sono rimaste vivide, sono in uso i cippi fallici. Si tratta di tocchi di legno a forma, più o meno abbozzata, di pene messi a delimitare i terreni o le coltivazioni e, ovviamente, propiziatori rispetto al raccolto.

Tali abitudini, nate nel mondo classico, sono andate perse nel tempo anche perché furono aspramente ostacolate e demonizzate durante il medioevo. Durante questo periodo storico, infatti, la società fu attraversata da una forte ondata moralizzatrice ad opera delle religioni (cristianesimo, ebraismo, induismo, buddismo) che vollero diffondere il monachesimo.

Priapo: Affresco Pompei trovato nel 2008
Affresco pompeiano scoperto nel 2008 raffigurante Priapo

Priapo oggi a Pompei: due affreschi

La vera eredità di Priapo oggi sopravvive nella magica Pompei con due affreschi che lo ritraggono. In entrambi il dio è raffigurato nell’atto di pesare il proprio membro con una bilancia a due piatti, per alimenti, del tempo. Il primo ritrovamento è datato 1894. L’affresco fu rinvenuto nella Casa dei Vettii, una casa signorile su via del Vesuvio. Il soggetto nel pezzo fece scandalo al punto che restò a lungo visibile solo agli uomini.

Più recentemente, nell’agosto del 2018, un nuovo capitolo di lavori di scavo sul tesoro storico inestimabile che è Pompei ha portato alla luce un secondo affresco di Priapo: la figura è presente ancora nell’atto di misurare il peso del suo pene. Si trova in bella mostra sull’ingresso di una casa di lusso. E’ un tassello che si aggiunge a quella Pompei erotica ormai conclamata da studiosi e addetti ai lavori.

Libri su Priapo

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Breve storia di Pompei https://cultura.biografieonline.it/breve-storia-di-pompei/ https://cultura.biografieonline.it/breve-storia-di-pompei/#comments Wed, 04 Apr 2012 19:24:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1345 Alla morte del grande imperatore Vespasiano, avvenuta il 23 giugno del 79, suo figlio Tito eredita un impero florido, dinamico e pacificato. Di animo gentile, il nuovo imperatore si appresta a calcare le orme paterne nella tutela della pace sociale e militare, desideroso di vedere il suo popolo crescere e prosperare. Non immagina che di lì a poco, su una zona dell’impero, si abbatterà una immane tragedia che avrà risonanza perpetua nei secoli a venire.

Pompei oggi
Pompei oggi

L’ammiraglio e scienziato Gaio Plinio Secondo, più noto come Plinio il Vecchio, autore della celebre “Naturalis Historia”, nell’estate di quello stesso anno si trova a Miseno, nell’ameno golfo di Pozzuoli, al comando della flotta imperiale romana, la “Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex”. Egli vive con una sorella rimasta vedova e con il promettente figlio di lei, Plinio, che per distinguerlo dallo zio verrà detto “il Giovane”.

Quasi cinquantaseienne, pur rimanendo nel servizio militare attivo, è ormai quasi del tutto dedito ai suoi studi, immerso nella tranquillità, nella mitezza del clima e nella suggestione della natura incantata di quello scorcio di mondo che egli stesso definisce “Campania felix”. Dalla cima di Capo Miseno, che si erge per oltre 160 metri, si domina l’intero golfo di Pozzuoli e si apre la vista sul golfo di Napoli, con il Vesuvio sullo sfondo e le antichissime città, erette sulle sue pendici, di Pompei, di origine osca, poi sannita e quindi romana, Ercolano, Stabia ed Oplontis (che, più che una città, è una zona suburbana di Pompei).

Ed è per l’appunto immerso nelle sue letture, Plinio, nella tarda e calda mattinata del 24 agosto 79, quando sua sorella lo distoglie per indicargli una strana nube all’orizzonte, verso i monti. L’uomo si alza e va alla ricerca di un punto che consenta una vista migliore di quella nuvola che s’innalza a formare un fungo dai colori cangianti fra il bianco e il grigio scuro. Gli è subito chiaro che qualcosa di grave, spaventoso ma anche estremamente interessante, dal punto di vista scientifico, sta accadendo, e la sua tipica ostinata curiosità di studioso lo porta subito a superare ogni esitazione ed a decidere di salpare per poter osservare più da vicino il fenomeno.

La sua decisione viene ulteriormente rafforzata quando, poco dopo, gli giunge la richiesta di aiuto della nobildonna romana Rectina, moglie di Tasco – entrambi suoi amici – la cui villa sorge ai piedi del Vesuvio. Plinio comprende dunque che si tratta di un’eruzione vulcanica e predispone la sua spedizione che, a questo punto, assume il carattere di soccorso alla gente del posto. Dirige verso Stabia, a sud di Pompei e dello stesso Vesuvio, per raggiungere il suo amico ed amanuense Pomponiano. Intanto sta calando la sera e sulle navi in avvicinamento piovono già cenere e detriti.

Giunto a casa dell’amico, che trova spaventatissimo tanto per quella pioggia inquietante quanto per le fiamme che la montagna sprigiona in lontananza, lo tranquillizza e, dopo aver cenato, chiede di poter riposare. Poco dopo, però, viene svegliato perché alla cenere si vanno aggiungendo lapilli incandescenti accompagnati da scosse sismiche. L’aria tutt’intorno va facendosi irrespirabile per il diffondersi dell’odore di zolfo e di altre esalazioni.

Plinio si fa accompagnare verso la spiaggia per verificare la possibilità di riprendere il mare, ma quelle esalazioni gli sono fatali: si accascia a terra ed esala l’ultimo respiro. A Miseno, intanto, il giovane Plinio con sua madre e tutti gli abitanti del posto non chiudono occhio perché anche lì, nonostante la distanza dall’eruzione, si verificano scosse continue e cenere e lapilli vanno depositandosi dovunque a formare uno strato sempre più consistente, mentre una enorme nuvola nera si avvicina.

La gente fugge allontanandosi dagli edifici del centro abitato per paura dei crolli. Viene giorno, ma non c’è luce: quella nuvola oscura il cielo mentre continua ad adagiarsi lentamente per terra. Dovranno passare alcuni giorni prima di ritrovare un po’ di tranquillità e quel minimo di lucidità per apprendere che l’eruzione ha cancellato le città di Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabia, luoghi, peraltro, già duramente provati e semidistrutti da un violento terremoto verificatosi 17 anni prima, nel 63.

La storia dell’eruzione del Vesuvio del 79 è giunta sino a noi grazie alla descrizione che Plinio il Giovane ne fa quando, molti anni dopo, lo storico Tacito gli chiede di raccontargli della morte dello zio e degli accadimenti di quei giorni. Ecco la sua descrizione di quanto accaduto a Miseno:

…Allora, finalmente ci parve bene di uscire dalla città. Ci segue una folla sbigottita e ciò che nello spavento appare come prudenza, antepone il proprio parere all’altrui e in gran massa incalza e preme chi fugge. Usciti dall’abitato ci fermammo. Quivi assistiamo a molti fenomeni e molti pericoli. Infatti i carri che ci facemmo venire dietro sebbene il terreno fosse pianeggiante andavano indietro e neppure con il sostegno di pietre restavano nello stesso punto. Inoltre si vedeva il mare riassorbito in sé stesso e quasi respinto dal terremoto. Certamente il litorale si era allargato e molti pesci restavano a secco. Dal lato opposto una nera ed orrenda nube squarciata dal rapido volteggiare di un vento infuocato si apriva in lunghe lingue di fuoco; esse erano come lampi e più che lampi … né passò molto tempo che quella nube discese a terra e coprì il mare. Aveva avvolto e nascosto Capri e tolto dalla vista il promontorio di Miseno … Avresti udito i gemiti delle donne, le urla dei bambini, le grida dei mariti; gli uni cercavano a gran voce i padri; gli altri i figlioli; gli altri i consorti; chi commiserava la propria sorte; chi quella dei suoi. Vi erano di coloro che, per timore della morte, la invocavano. Molti supplicavano gli dei; molti ritenevano che non ve ne fossero più e che quella notte dovesse essere l’ultima notte del mondo … Fece un po’ di chiaro; né questo ci sembrava giorno, ma piuttosto la luce del fuoco che si avvicinava. Se non che il fuoco si arrestò più lontano; nuova oscurità e nuovo nembo di fitta cenere; noi ci alzavamo a tratti per toglierla di dosso; altrimenti ne saremmo stati se non coperti schiacciati… Finalmente si attenuò quella caligine e svanì come in fumo e nebbia; quindi fece proprio giorno ed apparve anche il sole, ma scolorito come suol essere quando è in ecclisse. Agli occhi ancor tremanti tutto si mostrava cambiato e coperto da un monte di cenere, come se fosse nevicato … Intanto continuavano le scosse di terremoto…”.

E’ soprattutto la cenere mista ad altro materiale lavico ad aver sepolto per alcuni metri i centri abitati tranne quello di Ercolano che, diversamente dagli altri, viene sommersa per circa 20 metri da fango incandescente. Stabia sarà in parte ricostruita, ma dell’ubicazione di Pompei ed Ercolano si perderà memoria. Dovranno passare ben 1500 anni perché, fra il 1594 ed il 1600, nel corso dei lavori per la realizzazione di un canale irriguo fra il fiume Sarno e Torre Annunziata, vengano rinvenuti alcuni reperti e monete, ma questo ritrovamento rimane solo una traccia per i posteri in quanto non vengono avviate altre ricerche e l’eruzione del 1631 provvede a ricoprire nuovamente il tutto.

Bisognerà attendere circa un altro secolo affinché, durante lo scavo di un pozzo nelle campagne di Resina, si rinvengano nuovi reperti alla profondità di otto metri; siamo nel 1713 e finalmente, grazie prima al duca Emanuele Maurizio d’Elboeuf e poi a Carlo III di Borbone, hanno inizio scavi regolari che portano alla luce molti reperti di grande interesse fino ad una iscrizione su una lastra di marmo dalla quale si desume con certezza che quegli insediamenti sono l’antica Ercolano.

La scoperta di Pompei

Altrettanto casuale è la scoperta di Pompei, dovuta ad un contadino che, nel dissodare il suo terreno, nel 1748, si accorge che pochi metri lì sotto c’è tutto un mondo da portare alla luce.

L’indicibile tragedia, per quanto immensa, ha tuttavia creato le condizioni affinché giungesse fino a noi, dopo 2000 anni, uno spaccato autentico ed inviolato della vita dell’epoca, dalle più semplici abitudini quotidiane delle persone all’organizzazione sociale, all’architettura e all’arte.

Quello che oggi sappiamo della pittura romana fra il II secolo a.C. ed il 79 lo si è appreso proprio grazie agli scavi di Pompei ed Ercolano – se si eccettua qualche sporadica testimonianza a Roma – che ci hanno consentito di conoscere la pittura decorativa romana dalle pareti affrescate delle case. Da tali studi si sono potuti individuare ben quattro “stili pompeiani”, riferiti alle epoche di appartenenza: il primo va dal 150 a.C. fino all’80 a.C.; il secondo dall’80 a.C. alla fine del I secolo a.C.; il terzo giunge fino all’epoca di Claudio (41-54) ed il quarto riguarda l’età neroniana.

Gli ultimi due sono particolarmente importanti perché, trattandosi spesso di riproduzioni di grandi opere pittoriche greche andate perdute, ci hanno consentito di approfondire anche la conoscenza della pittura ellenica. Lo stesso discorso vale per l’arte decorativa a mosaico, testimoniata in particolare dal mosaico di Alessandro, nella casa del Fauno di Pompei, ma anche da insegne di negozi, da superfici pavimentali e dagli usi più diversi, come ad esempio l’avvertenza “cave canem”, sempre a Pompei. Di grande interesse sono altresì gli edifici e gli spazi pubblici rinvenuti, come il Foro, il tempio di Giove e della Triade Capitolina, l’edificio degli edili, la basilica per l’amministrazione della giustizia, il tempio di Apollo, il mercato coperto, il larario pubblico, il tempio di Vespasiano, l’edificio di Eumachia, il Comintium per l’elezione dei magistrati, l’arco di Druso, nonché le numerose case e ville private, quali la villa dei Misteri, villa di Diomede, una grossa azienda agricola, la casa dei Vetti, la casa del Fauno, la casa degli Amorini dorati, la casa dei Dioscuri, la casa del Poeta tragico, la casa di Elpidio Rufo, importante per i suoi dipinti, la casa del Menandro.

L’imperatore Tito durerà in carica soltanto 27 mesi per la sua prematura scomparsa avvenuta a soli 42 anni. In tale breve frangente si distingue e si fa benvolere per la generosità e capacità di comprensione delle esigenze del popolo. Si trova a fronteggiare le due grandi calamità dell’eruzione del Vesuvio e, l’anno successivo, di un gigantesco incendio a Roma. Egli si recherà ben due volte a Pompei partecipando anche con proprie risorse ai pochi interventi possibili in favore della popolazione colpita. Qualche decennio più tardi lo storico Gaio Svetonio Tranquillo definirà l’imperatore Tito, nell’opera “De vita Caesarum”, “amore e delizia del genere umano“.

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