politica Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Sat, 29 Jan 2022 21:41:39 +0000 it-IT hourly 1 Franco tiratore: cosa significa e qual è l’origine dell’espressione https://cultura.biografieonline.it/franco-tiratore/ https://cultura.biografieonline.it/franco-tiratore/#respond Thu, 01 Aug 2019 08:35:03 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26862 Il franco tiratore: ieri sul campo di battaglia, oggi al Governo

L’espressione Franco tiratore nasce in ambito militare. Indica un soldato che spara franco cioè libero contro le truppe regolari, da solo o in gruppo, nei centri abitati occupati e non. Questa locuzione, con un riferimento nel tempo chiaro e preciso, a un certo punto della sua esistenza viene assorbita dal linguaggio politico. E qui si ferma.

Franco tiratore Franchi tiratori politica votazione
Votazione in una delle camere del Parlamento italiano

Oggi quella politica è cioè l’interpretazione più diffusa. Il franco tiratore nel linguaggio corrente è inteso come quel politico che nel votare, segretamente, sceglie in opposizione al suo gruppo di appartenenza; anche a dispetto di quanto deciso da questo.

La prima vita del Franco tiratore: campo militare, metà Ottocento, Francia

La lingua italiana di metà Ottocento trae dal francese franc-tireur la locuzione franco tiratore. I francesi, infatti, coniarono questa espressione per definire le milizie volontarie a difesa della Francia fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento; questi divennero poi la fanteria leggera di Napoleone Bonaparte.

Andando avanti, nell’Ottocento i franchi tiratori erano la struttura dell’esercito dei Vosgi, sotto Garibaldi, nella guerra contro la Prussia del 1870.

Franco tiratore franc tireur militare
Il franco tiratore (franc-tireur) nel contesto originale militare.

Ancora, si parla di corpi franchi nella Prima guerra mondiale. Nel secondo conflitto mondiale, infine, sotto il nome di cecchini si opposero alle forze di liberazione sparando dai tetti delle città; in Italia come nella Resistenza francese.

Il passaggio di campo e El Francotirador di Che Guevara

Il primo a utilizzare l’espressione di franco tiratore mutuandola dalla sfera militare per riversarla in quella politica fu Ernesto Che Guevara durante la Rivoluzione Cubana. Il Che, infatti, firmò con lo pseudonimo El francotirador il suo articolo El principio de la fin; l’articolo comparve sul ciclostilato El cubano libre, fra il 1957 e il 1958.

Foto di Che Guevara
Foto di Che Guevara

La seconda vita del franco tiratore: l’Italia di metà 900

La seconda vita di questa espressione ricade nella sfera della politica andando a definire colui che a fronte di una decisione di gruppo in merito ad una votazione spara liberamente, anche se in segreto; in sostanza vota in opposizione ai suoi compagni di partito o coalizione.

Nella storia politica italiana si ricordano bene i franchi tiratori del partito democristiano; essi fecero in modo di negare l’elezione a Presidente della Repubblica di Amintore Fanfani, Arnaldo Forlani e Giovanni Leone, fra gli altri.

Anche, più recentemente, nel 2013 Romano Prodi subì tale arresto per mano dei 101 franchi tiratori delle file del centro sinistra del tempo. Inoltre, si ricorda di “franche tirate” in votazioni di leggi spinose e discusse.

La situazione venne arginata con i regolamenti di Camera e Senato del 1988. Da un sistema di votazione a maggioranza a scrutinio segreto si passò a un regime con il voto a scrutinio palese per tutto, ad eccezione dell’espressione di voto su persone alla Camera; mentre è più complesso il voto segreto al Senato. Non è segreto, infine, il voto sulla legge finanziaria o in merito a spese o entrate.

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Storia dei partiti italiani: la rinascita dopo il fascismo, tra vecchi e nuovi partiti https://cultura.biografieonline.it/storia-dei-partiti/ https://cultura.biografieonline.it/storia-dei-partiti/#respond Fri, 18 May 2018 06:10:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=24793 Il fascismo era stato, come diceva Benedetto Croce, il grande filosofo liberale, «una parentesi» nella storia d’Italia. Un periodo in cui era stato devastato il Paese. Finita la guerra, tuttavia, la politica italiana si presenta con un volto antico: i vecchi partiti prefascisti si rinnovano. Ci sono delle importanti novità: il voto viene esteso alle donne, mentre la monarchia è in procinto di preparare i bagagli per cedere il posto alla Repubblica. Ma i vecchi protagonisti rimangono i partiti politici. L’analisi che segue parte dal 1943 e arriva fino al 1994.

Storia dei partiti

Dalla caduta del fascismo alla rinascita dei vecchi partiti

Il 25 luglio 1943 è la data che segna la caduta del fascismo. Di fatto viene dato il via libera alla ripresa dell’attività politica. Così a partire da quella data, bastano poche settimane e tutti i partiti dell’antifascismo storico si ripresentano: il Partito socialista, la Democrazia cristiana, il Partito liberale, quello Repubblicano, il Partito comunista.

Questi partiti politici rivestono un ruolo importante subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Suppliscono infatti al vuoto di potere lasciato dal collasso delle istituzioni del Paese. Si costituisce il Comitato di liberazione nazionale (Cnl), che agisce come un organo di governo, in contemporanea al governo regio. È composto da sei partiti: Pli, Psi, Dc, PdA e partito demolaburista, fondato da Ivanoe Bonomi (Primo ministro nel 1944 – 1945).

Unità Vota Comunista

Di fatto è un partito che non è destinato a diventarlo, rimarrà infatti una sorta di etichetta su un contenitore vuoto di iscritti e di strutture. Al contrario c’è una formazione nuova nel fronte antifascista. Si tratta del partito d’azione, il PdA, ma che non regge alla prova delle urne. Infatti le prime tornate elettorali (le amministrative della primavera e dell’autunno del 1946, le elezioni per la Costituente del 2 giugno 1946 e le politiche del 18 aprile 1948) confermano ancora una volta i rinati partiti storici.

Il partito d’azione e la lotta al fascismo

È un partito nato e forgiato dalla lotta contro il fascismo. Un partito nato per agire contro l’usurpatore della democrazia, per riconquistare la libertà. Il PdA nasce in due riunioni, a Milano e a Roma, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 1942. I promotori sono Ugo La Malfa e Ferruccio Parri, giovani esponenti dell’antifascismo democratico. Il programma del partito si concentra sulla laicità dello Stato, sull’attenzione ai problemi istituzionali, impostati su principi di autonomia e bilanciamento dei poteri. È un partito che attira intellettuali e giovani.

L’Uomo qualunque, il partito contro tutti i partiti

Il Fronte dell’Uomo qualunque nasce nel 1945. Il suo fondatore è il commediografo Guglielmo Giannini. Il Fuq ha tuttavia un destino analogo a quello del PdA: vive infatti una breve stagione di gloria tra il 1946 e il 1947. È un partito che sfonda nelle grandi città meridionali. Il mezzo di propaganda usato è l’omonimo giornale, che riporta sul frontespizio un uomo schiacciato da un torchio. I due partiti nuovi sono spazzati via dal riconsolidarsi delle tradizioni alternative partitiche.

Fronte Uomo Qualunque
Il simbolo del partito Fronte dell’Uomo Qualunque

Primo parlamento della Repubblica: Ecco i partiti tradizionali

I partiti che entrano a far parte del primo parlamento della Repubblica eletto il 18 aprile 1948 sono quelli tradizionali: la Dc rimane il partito egemone, il Pci è il suo contraltare più forte, il Psi non si smuove da un dieci e quindici per cento, tra scissioni e riunificazioni. Mentre la destra missina e monarchica non supera mai il tetto del 10 per cento. Si attestano al 5 per cento i partiti laici minori: Pli, Pri e Psdi. La stessa sorte tocca al partito Radicale, ultimo nato dei partiti tradizionali.

Simboli di numerosi partiti politici italiani
Simboli di numerosi partiti politici italiani. Immagine tratta dalla pagina “Frasi sui partiti” del sito Aforismi.meglio.it

Sono partiti che hanno tutti radici nell’anteguerra, ad eccezione parziale del Pr e che dominano la vita politica del Paese sino agli anni Novanta. Così nel 1992 gli otto partiti tradizionali, dalla Dc al Pr, sono tutti presenti, unica variante è la trasformazione del Pci in Pds (Partito Democratico della Sinistra). Il segretario che porta a questo passaggio storico per la sinistra è Achille Occhetto.

A loro si affiancano i Verdi, la Lega Lombarda guidata da Umberto Bossi (poi divenuta Lega Nord e infine solo Lega), e i neonati ex comunisti di Rifondazione comunista. Due anni dopo, cambia tutto: il più forte partito del parlamento eletto nel 1994 è Forza Italia, fondato in quell’anno da Silvio Berlusconi.

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Karl Marx e il marxismo: pensiero filosofico e politico https://cultura.biografieonline.it/marx-pensiero/ https://cultura.biografieonline.it/marx-pensiero/#comments Sat, 29 Oct 2016 14:09:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20256 Nel pensiero filosofico e politico di Karl Marx, nel quale sono presenti, oltre alla tradizione dell’utilitarismo e dell’economia politica classica, elementi derivanti sia dalla filosofia hegeliana sia dal positivismo di Auguste Comte. Il pensiero di Marx ha avuto anche una grande influenza sullo sviluppo della teoria sociologica.

Marx e Engels - Karl Marx Friedrich Engels
Un disegno che ritrae Karl Marx e Friedrich Engels

Karl Marx nacque in Renania nel 1818, studiò diritto a Bonn e filosofia a Berlino, ove entrò in contatto con la filosofia di Hegel. Trasferitosi a Parigi per motivi di soppressione da parte del governo Prussiano, egli conobbe Engels. I due diventarono colleghi ed amici. Pubblicarono insieme, nel 1848, il famoso Manifesto del Partito Comunista. Successivamente, Marx passò a Londra, ove morì nel 1883, scrivendo e pubblicando, nel 1859, L’economia politica e, nel 1867, Il Capitale.

Pur non avendo elaborato una vera e propria teoria sociologica, Marx ha profondamente influenzato la sociologia successiva, diventando un punto di riferimento sia per coloro che condividevano la sua teoria sia per chi non la condivideva.

Il pensiero di Marx e la teoria dialettica

Il pensiero di Marx intende sviluppare una teoria scientifica delle leggi che presiedono alla storia e alla dinamica sociale. Egli non adotta e non si ispira al modello comtiano del progresso come sviluppo unico, ma adotta il modello dialettico di Hegel, secondo il quale la storia evolve attraverso conflitti e contraddizioni. Marx interpreta la dialettica come un principio attivo operante all’interno delle condizioni materiali e dei rapporti socio economici. Pensa che l’evoluzione storico-sociale è determinata dalle contraddizioni oggettive legate alla disponibilità di risorse, anche naturali, e ai rapporti di produzione.

Mentre dal punto di vista sociologico, Marx intende la teoria dialettica come un qualcosa che si caratterizza per la rilevanza che assume in essa il conflitto nelle relazioni sociali. Il modello dialettico si articola a partire da un’idea di società come totalità, ovvero insieme di elementi in relazione reciproca tra di loro. La totalità viene concepita in modo diacronico, ovvero un processo in continua trasformazione il cui movimento è determinato dalle contraddizioni oggettive che man mano emergono nella realtà sociale attraverso le strutture materiali e i rapporti sociali.

La filosofia politica di Marx: le classi sociali

In Marx, i veri protagonisti delle trasformazioni sociali sono le classi sociali. Egli intende la classe come l’insieme degli individui che all’interno del sistema sociale si trovano nella stessa posizione. I membri di una classe sociale si presentano tutti alla stessa maniera e hanno le stesse possibilità di accesso alle risorse economico sociali. Su questa base, si formano anche le forme culturali o sub-culturali proprie della classe d’appartenenza, che definiscono appunto lo stile di comportamento di quell’individuo.

L’appartenenza ad una classe sociale è determinata in primis dalla nascita e dal processo di socializzazione nei primi vent’anni di vita e, successivamente, dipende dalle scelte che l’individuo effettua riguardo il lavoro. La classe è un fattore che sussiste indipendentemente dalla coscienza. Gli individui possono appartenerle e dunque è da considerare come classe in sé. Qualora gli individui dovessero diventare coscienti della loro appartenenza in quella determinata classe, essa diventa classe per sé. Dunque, quando una classe diventa cosciente, consapevole, essa può diventare anche soggetto politico promotore di cambiamenti anche rivoluzionari dell’ordine sociale.

L’alienazione

Altro concetto chiave della sociologia ma anche del pensiero di Marx in generale, è quello dell’alienazione. Il concetto di questo termine va compreso in riferimento alla teoria dell’attività produttiva come essenza dell’uomo. Ossia il lavoro è oggettivazione della vita generica dell’uomo.

L’alienazione assume 4 steps:

  1. alienazione dell’oggetto;
  2. alienazione dal processo di produzione;
  3. alienazione da se stessi;
  4. alienazione dalla comunità a cui si appartiene.

La causa principale dell’alienazione dunque è, per Marx, la proprietà privata, il capitalista, perché tende ad appropriarsi della produzione dell’operaio per arricchirsi. Ciò gli vieta di sentirsi ampiamente realizzato. La realizzazione dell’uomo si trova, per Marx, nell’oggetto della sua produzione, dunque dell’attività produttiva e lavorativa. Sopprimendo la proprietà privata e l’economia di scambio, l’uomo potrà liberarsi.

La soluzione del Comunismo

In questa prospettiva, il comunismo appare la vera e propria via di salvezza. Per Marx è l’unica soluzione del contrasto fra uomo e natura. La situazione di alienazione in cui si trova l’uomo è dunque colpa del capitalismo. Tale situazione è fondata sulla sostituzione del valore d’uso, legato ai bisogni affettivi dell’uomo. Il valore di scambio estrania l’individuo dal suo oggetto poiché è oggetto di scambio o merce.

La teoria dei comunisti può essere raccolta in una singola frase: abolizione della proprietà privata.
(KARL MARX)

Possiamo dunque notare come il pensiero di Karl Marx sia principalmente un pensiero di carattere utopico. Marx vorrebbe eliminare le differenze che vi sono tra le diverse classi sociali. Perciò anche con le sue opere cerca di dare delle soluzioni per modificare il capitalismo che ormai si era all’epoca instaurato.

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Sessantotto: il movimento del 1968 in Italia (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/1968-in-italia-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/1968-in-italia-riassunto/#comments Fri, 21 Oct 2016 12:38:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20065 Dopo la morte di esponenti come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, la politica italiana si svolse ancora una volta all’insegna del torpore e della disorganizzazione. Si alternarono alla guida del governo diversi personaggi che portarono avanti dei governi confusi e di breve durata. Governi in abbondanza che, in teoria, dovevano essere diversi. E portare quanto meno delle modifiche ma che, in pratica, portavano sempre gli stessi frutti. All’improvviso vi fu tempesta in Europa, in Francia e in Italia. In particolare nelle università, esplosero delle proteste studentesche che comportarono una serie di occupazioni e rivendicazioni. Esse precedettero e seguirono i moti parigini del maggio 1968. In questo articolo approfondiamo i temi del 1968 in Italia.

Il 1968 in Italia Sessantotto riassunto - Potere studentesco

Il 1968 in Italia: la protesta studentesca

Il primo episodio, in Italia, lo si ebbe nel corso del 1968 nei pressi di Valle Giulia, vicino alla Romana Villa Borghese. E’ una zona in cui aveva sede la facoltà di architettura. Qui alcuni giovani studenti che facevano parte del movimento studentesco furono protagonisti di numerosi scontri con i poliziotti.

Le prime rappresaglie dunque si ebbero a Roma, ma il movimento studentesco milanese era certamente più organizzato e più forte rispetto agli altri. Tra le sue fila vi era il leader e capro espiatorio Mario Capanna. Egli fu uno studente iscrittosi alla statale di Milano dopo essere stato allontanato dalla sede dell’Università Cattolica. Nel maggio del 1968 tutte le università di Milano, esclusa la Bocconi, furono occupate.

In merito a ciò, il famoso poeta e scrittore nonché sceneggiatore e regista Pier Paolo Pasolini prese una posizione alquanto rigida nei confronti di questi studenti. Essi vennero aspramente criticati dal drammaturgo d’origine bolognese, il quale si schierò dalla parte dei poliziotti. Secondo lui, in sintesi, erano proprio loro i figli del popolo, mentre gli studenti erano dei figli di papà, viziati.

Il movimento operaio

La protesta studentesca del 1968 in Italia, raggiunse il livello massimo di consensi. Tutto ciò comportò l’esplosione di numerose rivolte degli operai in fabbrica, nel 1969. Dunque il movimento operaio si amplificò e si collaudò anche più di quello studentesco.

Sessantotto: Scioperi del 1968
Sessantotto: studenti ed operai uniti nella lotta

Dal loro canto, gli operai erano afflitti da un continuo e profondo malessere sociale che fu probabilmente causato (secondo loro stessi) dal cosiddetto “miracolo economico” che caratterizzò l’Italia negli anni ’60, il quale non era stato accompagnato sia a livello governativo e sia dal punto di vista imprenditoriale. Gli operai rivendicarono in gran parte il fatto che loro pagassero molte più tasse e che iniziò ad insediarsi l’evasione fiscale da parte di alcuni ricchi imprenditori.

L’autunno sindacale

Correva l’anno 1969 quando nacque “l’autunno sindacale“, denominato così perché durante l’autunno era in corso l’importante discussione di 32 contratti di lavoro. La loro discussione si svolse in un clima arduo e tempestoso. I sindacati e i comitati dei lavoratori esigevano salari uguali per tutti. La loro richiesta fu esaudita in quanto i contratti vennero firmati dopo numerosi incidenti e scontri tra i protestanti.

Gianni Agnelli
Gianni Agnelli

Dopo tutti questi disordini intervenne anche “l’avvocato” e principale azionista della FIAT, Giovanni Agnelli, in quanto anche nelle sua azienda vi furono diverse proteste. Agnelli disse, riferendosi all’autunno sindacale, che quest’avvenimento fu l’inizio di 10 anni disastrosi e di brutalità in fabbrica. Probabilmente tutto questo introdurrà ciò che sarà poi quel periodo di terrorismo, che si manifestò in Italia negli anni successivi, denominato “anni di piombo” e caratterizzato dalle Brigate Rosse.

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Tangentopoli: il caso Mani pulite https://cultura.biografieonline.it/tangentopoli/ https://cultura.biografieonline.it/tangentopoli/#comments Mon, 16 May 2016 16:11:33 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18181 In questo articolo, raccontiamo uno dei più grandi scandali che colpì l’Italia nel febbraio del 1992, periodo in cui ebbe inizio Tangentopoli. Tutto fu scatenato da un episodio molto particolare, che consisteva nell’azione del socialista Mario Chiesa, presidente e amministratore della casa di cura “Pio Albergo Trivulzio” avente sede a Milano, che ricevette nel suo ufficio l’imprenditore Luigi Magni, il quale assicurò la pulizia dell’edificio con il versamento di una somma di denaro, di una “tangente“, di 7 milioni di lire lestamente chiusa nel cassetto da Chiesa. Mario Chiesa ignorò il fatto che questo versamento fu fatto d’accordo con l’autorità giudiziaria, che aprì un’inchiesta per l’accaduto.

Tangentopoli e l'inchiesta Mani pulite - Craxi in tribunale
Tangentopoli e l’inchiesta “Mani pulite” – Una foto di Bettino Craxi in tribunale

Dal caso Chiesa a “Mani pulite”

Dunque il caso Chiesa fece da detonatore per l’avvio di Tangentopoli che, sostanzialmente, era dovuta alla corruzione che in Italia è sempre esistita, perciò non si può fissare una data ben precisa per stabilire l’inizio di questo caso, ma si può arrivare al perché si sia arrivati a questo punto.

Mi associo chiaramente al pensiero che Indro Montanelli ebbe a riguardo: egli cercò di dare dei perché e partì da un articolo della Costituzione Italiana; tale articolo affermava che i partiti sono delle associazioni private che non figurano fra le istituzioni. I partiti, dunque, avevano lo scopo di fare da collante tra la classe politica e l’elettorato; alcuni di questi partiti erano rappresentati da persone che si mettevano in gioco per affari personali, cioè, per far carriera o per fare soldi. Tutto ciò venne ampliato dalla fine del Partito Comunista che, nel bene o nel male, teneva comunque distante da sé questa situazione.

Tornando all’inchiesta di “Mani pulite“, il 17 febbraio 1992 il sostituto procuratore Antonio Di Pietro inchiodò Mario Chiesa con le mani nel sacco e, dalle confessioni di quest’ultimo, insieme a quelle di altri coinvolti e imputati, si delinearono delle trame assurde che si allargarono con l’inclusione di esponenti del mondo politico ed economico italiano. Venne fatto il nome addirittura di Bettino Craxi, il quale successivamente vedremo che della meccanica tangentizia fu considerato il massimo manovratore; insieme a lui altri esponenti politici vennero tirati in ballo, fra cui Arnaldo Forlani e Severino Citaristi (segretario amministrativo della Democrazia Cristiana).

Tangentopoli

Tra il febbraio 1992 e il febbraio 1994, le procure coinvolte in Tangentopoli inviarono avvisi di garanzia e richieste d’autorizzazione per procedere con le indagini per un totale di circa 500 atti, destinatit a deputati e senatori; davanti alla corte si presentarono e sfilarono addirittura 3 ex presidenti del Consiglio dei Ministri: Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani e appunto Bettino Craxi. Quest’ultimo, nella sua difesa, dichiarò in sintesi che tutti sapevano e tutti pagavano; si sapeva inoltre che delle aziende importanti finanziavano i partiti dando anche delle mazzette ai finanzieri.

Quindi, possiamo dire che Craxi cercò di generalizzare un po’ tutto e, con questa posizione, probabilmente volle mettere in risalto che non fu lui a creare questo sistema, il quale era già presente, ma ne approfittò come un po’ tutti quanti che ne erano a conoscenza; gli imprenditori, dal canto loro, si dichiararono concussi e non corrotti.

Tangentopoli - Mani pulite - Cuore
Una prima pagina del giornale satirico Cuore negli anni di Tangentopoli e di Mani pulite

Le conseguenze

Le rivelazioni sullo scandalo e la crisi economica, che avrebbe portato al crollo della lira, determinarono un’ondata di proteste nelle piazze italiane; ciò portò alla nascita di un governo tecnico, affidato al numero uno di Bankitalia Carlo Azelio Ciampi.

Va ricordato come la tensione a livello istituzionale fosse alta anche per il delicato contesto storico: sono questi infatti gli anni in cui la mafia uccise in un attentato i giudici Falcone e Borsellino (19 luglio 1992).

Nel frattempo, Bettino Craxi si dimise dalla segreteria del Partito Socialista Italiano e poi, mesi dopo, venne addirittura sciolta la Democrazia Cristiana.

Antonio Di Pietro
Antonio Di Pietro

Le sole indagini condotte dal Pool di Mani Pulite fecero finire sotto inchiesta circa 4.520 persone; la fase cruciale dell’inchiesta finì con le dimissioni di Antonio Di Pietro (si dedicò alla vita politica poco dopo) che lasciò la magistratura nel dicembre 1994 per una vicenda di prestiti non dichiarati, passando dall’essere considerato come “Uomo della Provvidenza” all’essere criticato aspramente dopo alcune vicende personali.

Tangentopoli, dunque, può essere considerata e può anche essere vista come una sorta di mafia organizzata senza sangue, senza crimini e senza uccisioni, ma un ente che riuscì comunque ad avere una propria illegalità diffusa.

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Il Secondo dopoguerra e l’Italia di De Gasperi https://cultura.biografieonline.it/secondo-dopoguerra-de-gasperi/ https://cultura.biografieonline.it/secondo-dopoguerra-de-gasperi/#comments Tue, 12 Apr 2016 10:02:54 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17513 Nel Secondo dopoguerra, dopo la nascita della Repubblica Italiana vi furono le elezioni del 1948 dalle quali sarebbe scaturita la formazione del nuovo governo. Con la clamorosa vittoria della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, dovette consolidare e rafforzare il profilo centrista del suo partito; inoltre, dovette eliminare la questione delle colonie, far ripartire l’economia nazionale e dare all’Italia una giusta e stimata collocazione in ambito europeo e internazionale dopo la fallimentare guerra.

Alcide De Gasperi, protagonista del secondo dopoguerra
Alcide De Gasperi

Il Secondo dopoguerra

Nel frattempo, fu scelto anche il nuovo presidente della Repubblica, dopo diversi scontri diplomatici, al posto di Enrico De Nicola fu chiamato in causa Luigi Einaudi che, in realtà, si definì sempre simpatizzante della Monarchia. Un fatto eclatante colpì e sconvolse sia le piazze italiane che il parlamento, il 14 luglio 1948, un fanatico di nome Antonio Pallante ferì gravemente in un attentato Palmiro Togliatti, esponente principale del Partito Comunista Italiano nonché dell’opposizione.

Il momento che seguì l’attentato fu pericolosissimo in quanto si temette che gli estremisti comunisti capitanati da Pietro Secchia, potessero indire una specie di rivoluzione di piazze e un piccolo colpo di stato che, ad ogni modo, prevedevano da diverso tempo ma, proprio Togliatti, una volta rinvenuto bloccò prontamente.

Questa drammatica vicenda sancì una fine importante, quella dell’unità sindacale, poiché nella CGIL vi facevano parte insieme fino a quel momento i cattolici e i socialcomunisti: questi ultimi accusarono il governo di aver creato un’atmosfera favorevole all’attentato di Pallante (supposizioni altamente false). Questa scissione sindacale provocò la nascita del cosiddetto centrismo: i primi problemi del governo centrista con l’opposizione crebbero ancora di più nel 1949 quando l’Italia accettò le condizioni del Patto Atlantico.

Gli anni di De Gasperi

Le decisioni principali passarono sempre da Alcide De Gasperi che, senza ombra di dubbio, fu uno degli uomini più importanti del Secondo dopoguerra sia italiano che europeo; egli fu eletto prima Presidente del Consiglio, prima del Regno d’Italia il 10 dicembre 1945 e, successivamente, lo divenne sotto la Repubblica dal 13 luglio 1946 fino al 17 agosto 1953.

Sotto il governo dello statista trentino l’Italia si avviò verso il miracolo economico (la guerra, come ben risaputo, fu disastrosa soprattutto dal punto di vista economico). Lo Stato italiano, che da anni era stato prevalentemente agricolo, ben presto, in questi anni, iniziò ad assumere le caratteristiche di un paese industrializzato: molte aziende, come la FIAT, aumentarono notevolmente le loro produzioni e assunzioni. Il progresso fu anche caratterizzato dall’apertura delle frontiere per il commercio, dalle tumultuose migrazioni dal Sud al Nord; la maggior parte della popolazione decise di passare dalla campagna alla città per abbandonare il settore primario.

Nei primi anni del 1950, De Gasperi si era ormai reso conto che la Democrazia Cristiana non avrebbe più ripetuto l’exploit elettorale avuto nelle elezioni del 1948; in più, aveva sperimentato la litigiosità dei vari partiti (compreso il suo della DC). Nacque dunque, grazie a lui e ai suoi collaboratori, l’idea di una legge elettorale che attribuì un premio di maggioranza non al partito ma alla coalizione che avesse superato anche per un solo voto il 50% dei consensi. Essa fu bollata come “legge truffa” dall’opposizione; la legge truffa non scattò perché la coalizione della Democrazia Cristiana raggiunse il 49,5% dei consensi, mancarono dunque soltanto 50.000 voti: la sinistra si presentò come trionfatrice.

Foto di De Gasperi
Una foto di Alcide De Gasperi durante un comizio

Dopo le elezioni, De Gasperi presentò le sue dimissioni; da quel momento in poi, egli fu colpito da profonde delusioni tra cui l’esclusione dal ruolo di segretario del partito attraverso una riunione generale della DC, ove venne ripudiato e sfrattato dai suoi successori che volevano iniziare ad avvicinarsi al potere; un’altra delusione si manifestò con lo smantellamento della CED (Comunità Europea di Difesa) , poiché egli era un’europeista convinto e fu considerato come uno dei padri fondatori dell’Unione Europea insieme al francese Robert Schumann e al tedesco Konrad Adenauer.

La morte di De Gasperi

Alcide De Gasperi morì il 19 agosto 1954 e con la sua morte si ebbe probabilmente la fine di un’epoca: fu un uomo dalla idee innovative grazie alle quali lo statista trentino, cresciuto nel parlamento di Vienna, diede all’Italia modo per ripartire e rilanciarsi, poiché lo Stato mise le basi per quello che poi diventerà negli anni successivi “il miracolo economico“.

Ci tengo ad aggiungere che con la scomparsa di De Gasperi l’Italia perse anche un solido punto di riferimento per la sua politica: da non dimenticare la posizione che ebbe nel trattato di pace di Parigi, dove tutto e tutti erano contro l’Italia ma lui riuscì a farsi apprezzare e rispettare da tutte le nazioni presenti; dopo di lui, in Italia si ebbe sempre di più la segmentazione dei vari partiti e governi spezzettati e si avvicendarono diversi uomini al suo posto ma, dal quel momento sino ad oggi, difficilmente abbiamo potuto trovare al capo del governo un uomo di stato affidabile, capace ed onesto come De Gasperi.

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Il compagno, romanzo di Cesare Pavese (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/il-compagno-pavese-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/il-compagno-pavese-riassunto/#respond Thu, 17 Mar 2016 14:51:00 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17473 Tra le varie opere di Cesare Pavese c’è un romanzo molto interessante, intitolato “Il compagno“, che racconta la storia di Pablo, un giovane torinese che entra a far parte di un movimento antifascista. Lo stesso Pavese non ha mai nascosto la sua ideologia politica: aveva collaborato alla rivista “La Cultura” che venne soppressa perché pubblicava contenuti contrari al regime fascista, e si era iscritto al Partito Comunista Italiano.

Il compagno (riassunto del libro di Cesare Pavese)
“Il compagno”, una copertina del libro di Cesare Pavese – Dalle confuse aspirazioni giovanili al maturare di una coscienza antifascista attraverso la disgregante realtà della dittatura.

Il compagno: trama e riassunto

Il protagonista di questo romanzo, Pablo, ama la musica e suona la chitarra, non ha un’idea precisa di cosa fare nella vita.

Mi dicevano Pablo perché suonavo la chitarra. La notte che Amelio si ruppe la schiena sulla strada di Avigliana, ero andato con tre o quattro a una merenda in collina – mica lontano, si vedeva il ponte – e avevamo bevuto e scherzato sotto la luna di settembre, finché per via del fresco ci toccò cantare al chiuso.

Incipit del romanzo “Il compagno”

Uno dei suoi amici, Amelio, lo invita spesso a trovarlo in ospedale, dove è ricoverato a causa di un grave incidente stradale. Pablo e Linda, la fidanzata di Amelio, sono attratti uno dall’altra e cominciano ad incontrarsi anche senza la presenza di Amelio.

Linda fa conoscere a Pablo due suoi amici: uno è Lubrani, di professione impresario teatrale, l’altro si chiama Carletto ed è un faccendiere di Roma. Mentre il povero Amelio perde l’uso delle gambe, Pablo sta cercando il modo di andare a vivere con Linda. Ma proprio quando il giovane si lascia andare a tali fantasie amorose, Linda comincia a frequentare Lubrani e si fidanza con lui.

Per dimenticare il triste epilogo della sua storia con Linda, Pablo abbandona la passione per la musica e si mette a fare il camionista, trasferendosi a Roma. Carletto gli propone di andare a vivere a casa di un’amica, Gina, e Pablo così fa. Per contraccambiare il favore il giovane torinese aiuta la donna a gestire la sua piccola attività.

Non passa molto tempo che Pablo comincia a frequentare l’ambiente politico della Capitale: in particolare il ragazzo entra a far parte di un movimento antifascista che, proprio per questo, mantiene la segretezza. Siccome alcuni degli appartenenti a tale movimento vengono arrestati, Carletto chiede a Pablo di eliminare alcuni libri compromettenti del movimento. Pablo decide incautamente di nasconderli in casa propria.

Finale

Un giorno Pablo e i compagni apprendono dell’arresto di Amelio: Linda va a trovare Pablo per dissuaderlo dalla sua intenzione di restare all’interno del movimento, ma non riesce a convincerlo. Poco dopo anche Pablo viene arrestato, e durante l’interrogatorio gli viene chiesto se sa qualcosa dei libri che nasconde in casa sua. Pablo nega di averli presi, e non confessa la verità neppure dopo essere stato malmenato.

Analisi e commento al libro

Attraverso le parole finali di Pablo, che dice a Gina di essere convinto a non lasciare il movimento, Cesare Pavese esprime il suo punto di vista nei confronti della situazione italiana del periodo storico del fascismo.

Il romanzo “Il compagno” di Pavese, è ambientato durante il periodo del Regime fascista in Italia, ma prima dello scoppio del conflitto mondiale. L’autore preferisce adottare uno stile informale ed un linguaggio diretto, a tratti utilizza anche espressioni dialettali. L’opera è cadenzata da momenti di riflessione dei vari personaggi, per questo il ritmo può sembrare piuttosto lento. Nel romanzo vi sono parecchie parti dedicate alla descrizione di persone e luoghi, il protagonista stesso è il narratore interno che parla al lettore. Per quanto riguarda le tematiche affrontate nel romanzo, “il compagno” affronta l’argomento del regime fascista e dell’ideologia politica.

Pablo, pur non avendo alcun obiettivo preciso nella vita, si appassiona alla politica e resta coerente alle sue idee sino alla fine. L’autore, Pavese, intende dimostrare, attraverso il personaggio simbolico di Pablo, come i valori di una persona possono essere difesi strenuamente anche rischiando gravi conseguenze (Pablo sfidava infatti la repressione del regime). Nella visione di Pavese l’impegno politico è appunto uno di quei valori da portare a compimento anche a costo di sacrifici e sofferenza.

Ciò che fa riflettere, di tutto il libro, sono le parole finali del protagonista. Pablo riesce a trasmettere al lettore la fiducia verso il futuro, una speranza di successo che può essere estesa alla vita in generale, non al movimento antifascista in senso stretto. Il finale del libro sicuramente riscatta in pieno il protagonista, che durante tutto il romanzo resta un personaggio superficiale, non appagato e alla ricerca di conferme.

Il romanzo “Il compagno” di Cesare Pavese è stato pubblicato nel 1947, prima con Einaudi, successivamente con Mondadori.

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Stati Uniti e Russia tra le due guerre https://cultura.biografieonline.it/stati-uniti-e-russia-tra-le-due-guerre/ https://cultura.biografieonline.it/stati-uniti-e-russia-tra-le-due-guerre/#comments Sun, 11 Jan 2015 16:16:32 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12682 Nell’immediato dopoguerra, mentre l’Europa era colpita da una disastrosa svalutazione monetaria, gli Stati Uniti si andavano affermando per capacità produttiva e finanziaria come Stato-guida del mondo capitalistico, in sostituzione della Gran Bretagna.

Woodrow Wilson e Warren G. Harding
Woodrow Wilson e Warren G. Harding, rispettivamente 28° e 29° Presidente degli Stati Uniti d’America

La politica di Woodrow Wilson

A consolidare tale ruolo contribuì la politica dei 14 punti proposta da Wilson al tavolo di pace. Il liberismo wilsoniano non risultò comunque vincente, né nella gestione degli affari internazionali né all’interno del paese, perché l’opinione pubblica statunitense considerava tale politica wilsoniana troppo pericolosa: comportava una piena adesione alle Società delle Nazioni e di conseguenza un’assunzione di responsabilità di fronte alla serie di controversie scaturite dalla guerra ritenute del tutto estranee ai reali interessi del paese. Si crearono così le premesse per un rovesciamento dell’indirizzo di governo: nelle elezioni presidenziali del 1920 – dove le donne votarono per la prima volta – vinse il repubblicano Warren Harding.

La politica di Warren G. Harding

Harding ripristinò la politica isolazionistica e conservatrice, basata sul non intervento negli affari europei. Quindi si rifiutò di prendere parte ai lavori della Società delle Nazioni e anche di ratificare i trattati di pace, negoziando trattati bilaterali di pace con la Germania, l’Austria e l’Ungheria. L’isolazionismo politico ed economico comportarono una serie di provvedimenti contro l’immigrazione straniera e nel paese si creò un clima di ostilità verso gli immigrati, che raggiunse punte di estrema violenza xenofoba e razzista col riemergere della setta segreta Ku Klux Klan, che metteva in atto una serie di inaudite violenze ai danni delle persone di colore e degli immigrati cattolici ed ebrei.

Nel 1919 fu emanata la legge sul proibizionismo, che vietava la produzione e la vendita di alcolici, con la quale si mirava a colpire soprattutto i neri e gli immigrati, accusati di essere inclini all’alcolismo. Il provvedimento provocò il traffico illegale di alcolici. Poi nel 1933 la vendita venne di nuovo permessa. La politica isolazionistica di Harding fu seguita anche dal suo successore Coolidge. Tale politica favorì la ripresa economica americana e il superamento della crisi di sovrapproduzione che si era manifestata tra il 1920-21, in seguito al cessato flusso delle esportazioni di guerra verso l’Europa.

Il piano Dawes

Per soddisfare il mondo industriale statunitense, che chiedeva la ripresa dell’economia e l’apertura di nuovi mercati in cui smerciare la sovrapproduzione, venne creato il piano Dawes (dal nome del suo ideatore Charles G. Dawes), che prevedeva un sistema di aiuti finanziari ai Paesi vinti, in particolare per la Germania, che così potettero procedere al pagamento delle riparazioni ai vincitori, e questi di estinguere i debiti contratti con gli Usa per le forniture belliche.

I fondi americani riuscirono a rivitalizzare l’economia dell’Europa: i capitali così ottenuti furono reinvestiti negli Usa, favorendo un vero e proprio boom economico (1925-1926).

La crisi economica degli Stati Uniti

Nel 1929 il benessere crescente, la speculazione, l’incontrollata produzione industriale e agricola crearono negli Stati Uniti una crisi di sovrapproduzione. Il mercato internazionale diventò a poco a poco stagnante, si trovò nell’impossibilità di assorbire le eccedenze produttive e ciò determinò una crisi, con una serie di conseguenze a catena. La borsa di Wall Street crollò; le fabbriche chiusero e le banche fallirono; la produzione industriale calò vertiginosamente e crebbero disoccupazione e povertà.

La crisi dagli Stati Uniti si propagò in Europa dove il ritiro dei capitali americani e l’arrivo sui mercati di prodotti a prezzi bassissimi provocarono l’arresto della produzione. In Italia molti agricoltori e operai si trovarono disoccupati. A risolvere la crisi fu il presidente democratico Roosevelt che elaborò un piano di emergenza chiamato New Deal (nuovo corso).

Franklin Delano Roosevelt
Franklin Delano Roosevelt, 32° Presidente degli Stati Uniti

Il New Deal di Roosevelt

Il New Deal prevedeva di adottare un’economia guidata (e non più libera di tipo privatistico) basata su un energico intervento dello Stato; basandosi su tali presupposti, operò a livello di politica monetaria (svalutando il dollaro del 40 per cento), realizzò lavori pubblici, risollevò aziende in crisi con capitali statali.

Il dopoguerra in Russia

Nel dopoguerra, in Russia si verificò una sanguinosa guerra civile tra rossi, sostenitori del regime comunista sovietico, e bianchi, sostenitori del regime zarista. L’intervento dell’Intesa a fianco delle truppe bianche ebbe come risposta che il governo sovietico creò l’Armata rossa e riuscì a sconfiggere i bianchi (eccidio di tutta la famiglia imperiale). Pochi mesi dopo i bolscevichi imposero il partito comunista russo come partito unico. Venne creata la Ceka (polizia politica sovietica).

Lenin
Vladimir Ilic Uianov, storicamente noto come Lenin

La politica di Lenin

Lenin iniziò un processo di rinnovamento: diede il via al “comunismo di guerra”, sottoponendo a controllo forzato tutta la produzione. La tensione sociale, aggravata dalla crisi agricola, portò ad un nuovo indirizzo: la Nep (nuova politica economica), ovvero allentare il rigido controllo statale. Si preoccupò di dare vita alla riorganizzazione territoriale e politica del Paese: nacque l’Urss, Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Alle repubbliche federate venne riconosciuta una certa autonomia. Al fine di estendere ovunque la rivoluzione, creò la Terza Internazionale: Komintern. Nel 1924 Lenin morì e fu sostituito da Stalin.

Stalin
Josif Stalin

La politica di Stalin

Stalin diede inizio all’industrializzazione per incentivare lo sviluppo del paese e di conseguenza impose la collettivizzazione forzata della terra. Abbandonò la Nep e tornò ai metodi del “comunismo di guerra” e represse ogni fermento di democrazia, creando un sistema dittatoriale fondato su un potere personale e tirannico. Dette il via al periodo delle “Grandi Purghe”, ovvero processi e condanne a morte contro cittadini incolpati di anticomunismo. Vennero creati i Gulag, campi di lavoro coatto. Paesi occidentali diffidenti nei confronti di Stalin, timorosi della ripresa di un espansionismo tedesco, furono disposti a collaborare, tanto che l’Urss fu ammessa nella Società delle Nazioni.

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La crisi dello Stato liberale italiano nel primo dopoguerra https://cultura.biografieonline.it/crisi-liberale-italia-dopoguerra/ https://cultura.biografieonline.it/crisi-liberale-italia-dopoguerra/#respond Wed, 15 Oct 2014 12:43:29 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12144 Al termine della Prima Guerra Mondiale l’Italia era uscita vincitrice ma stremata per lo sforzo compiuto. Con il primo dopoguerra il paese si trovava in gravi difficoltà economiche e tra contrasti sociali. Le difficoltà economiche erano dovute al fatto che lo Stato aveva accumulato elevatissimi debiti.

La produzione agricola era diminuita per l’abbandono dei campi durante la guerra. Le industrie pesanti (siderurgica e meccanica), sviluppatesi enormemente durante il conflitto, dovevano provvedere ad una riconversione produttiva, ovvero al passaggio da un’economia di guerra a un’economia di pace.

Primo dopoguerra: lo scenario italiano

Un’operazione che era condizionata dalla riduzione del mercato interno, provocata dal ristagno economico e la caduta generale del tenore di vita, e dalla contemporanea crisi delle banche, che durante la guerra avevano concesso consistenti prestiti che non avevano recuperato, quindi non erano in grado di concederne altri.

Le industrie, di conseguenza, tendevano a sospendere ogni attività e a licenziare gli operai, e la disoccupazione era aumentata: i soldati tornati dalla guerra si trovavano senza occupazione.

L’opinione pubblica mostrava un profondo senso di frustrazione per la “vittoria mutilata”, ritenendo che i delegati italiani non fossero stati in grado di trattare con gli alleati e che non avevano fatto rispettare il patto di Londra (prevedeva anche la Dalmazia), né tanto meno il principio di nazionalità, secondo il quale all’Italia doveva spettare Fiume.

Orlando aveva infatti abbandonato la conferenza, così facendo l’Italia fu esclusa anche dalla questione delle colonie tedesche, che le alleate trattarono in sua assenza. Proprio per tali avvenimenti, il governo cadde e si formò un altro ministero liberale presieduto da Francesco Saverio Nitti.

Francesco Saverio Nitti e Giovanni Giolitti
Due protagonisti del periodo storico italiano del primo dopoguerra: Francesco Saverio Nitti (a sinistra) e Giovanni Giolitti (a destra)

Nitti raggiunse un accordo con le potenze vincitrici: far evacuare Fiume dalle truppe italiane e affidarla a reparti alleati in attesa di una soluzione. Decisione che esasperò i nazionalisti: D’Annunzio organizzò la marcia su Ronchi per occupare Fiume, dove instaurò un governo provvisorio “Reggenza del Carnaro” e proclamò l’annessione di Fiume all’Italia.

Gabriele D'Annunzio
Gabriele D’Annunzio

Nitti non assunse una ferma posizione né a favore né contro gli eventi di Fiume, ma si mostrò risoluto nel far approvare in Parlamento il sistema proporzionale e a renderlo esecutivo nel novembre del 1919. Nel frattempo si erano però affermati i due partiti di massa: quello socialista e quello del partito popolare italiano, fondato a Roma nel 1919 per iniziativa di Don Luigi Sturzo. Il pontefice Benedetto XV, infatti, aveva ufficialmente abbandonato il non expedit per permettere la fondazione del partito.

Il programma del nuovo partito prevedeva una radicale riforma agraria: il proprietario diventava un socio e non più padrone, il voto esteso anche alle donne, sistema elettorale proporzionale invece del vecchio uninominale, e l’altra novità riguardava la piena autonomia dalla gerarchia ecclesiastica, molto limitata, infine, l’attenzione del problema operaio.

Nel 1919 le elezioni evidenziarono la prima crisi del governo liberale, che non ottenne la maggioranza assoluta a tutto vantaggio dei socialisti e dei cattolici. A complicare la situazione ci fu la discussione di mantenere inalterato il prezzo politico del pane. Discussione che mise in crisi il governo Nitti, che si era schierato a favore dell’aumento. Nel 1920 Nitti presentò le dimissioni e il re chiamò al governo Giolitti che accettò.

Quando Giolitti prese posto al governo, però, la tensione sociale che nell’estate del 1919 aveva dato vita a una serie di scioperi e violente agitazioni, si aggravò al punto che gli operai procedettero all’occupazione e all’autogestione delle fabbriche, in risposta alla serrata operata dagli industriali. Gli operai chiedevano il rinnovo del contratto salariale al fine di adeguare gli stipendi al costo della vita. Di fronte al rifiuto degli industriali, che si trovavano in difficoltà, di non concedere gli aumenti richiesti, i sindacati di sinistra avevano indetto uno sciopero bianco, al quale gli industriali risposero con la serrata e gli operai con l’occupazione delle fabbriche.

Giolitti, per evitare il pericolo di una guerra civile, si oppose alla richiesta degli industriali di reprimere con la forza l’occupazione e dette ordine alla polizia di non assalire le fabbriche. Di conseguenza, cercò un accordo con i sindacati; l’intesa raggiunta però lasciò tutti scontenti: gli industriali si videro costretti ad accettare il controllo operaio sulle fabbriche e si sentirono poco garantiti dal governo e gli operai dovettero abbandonare la lotta ritenendo di avere perso l’opportunità di conquistare maggiore potere politico.

Uscito indebolito da questa vicenda, Giolitti recuperò terreno in politica estera. Per mezzo del ministro degli Esteri, Carlo Sforza, che aveva preso contatti diretti con la Jugoslavia, venne firmato il trattato di Rapallo: l’Italia ottenne parte della Dalmazia (isole di Cherso), Fiume fu dichiarata città libera, alla Jugoslavia andò la restante parte della Dalmazia. D’Annunzio si rifiutò di abbandonare la città, costringendo Giolitti a fare ricorso all’esercito e, dopo un mese di resistenza, D’Annunzio lasciò Fiume. La difficile situazione che investiva il paese dopo la guerra e la difficoltà ad accettare i cambiamenti culturali intervenuti nelle masse fece accentuare i dissensi all’interno dei partiti politici, in particolare quello socialista.

Il partito socialista era diviso in tre correnti: massimalista, avversa ad ogni collaborazione con lo stato borghese e sostenitrice di una rivoluzione proletaria anche in Italia; quella dei riformisti, che evidenziavano l’incapacità dei massimalisti nel proporre un piano d’azione concreto; quella dei comunisti, che sollecitava la formazione di un partito apertamente rivoluzionario sul modello di quello realizzato da Lenin in Russia.

Il divario fra queste tre correnti finì per provocare la scissione del PSI: Gramsci e Bordiga (minoranza di estrema sinistra) dettero vita nel 1921 al partito comunista. Giolitti, intanto, per risanare il bilancio statale operò una serie di riforme, che gravavano sui ceti abbienti, il che accentuò il malumore delle destre. Giolitti decise di ricorrere allo scioglimento anticipato della camere e indire nuove elezioni, al fine di indebolire socialisti e popolari e ottenere la maggioranza. A tale scopo strinse un’alleanza con i nazionalisti e i fascisti, detta “Blocco nazionale”.

Benito Mussolini
Benito Mussolini

Infatti Mussolini, rientrato dal fronte, approfittando della situazione del paese, si era messo a difendere dalle colonne del “Popolo d’Italia” (suo giornale) i risultati della guerra vittoriosa e si era fatto sostenitore dell’ordine contro le agitazioni di piazza di stampo socialista. Così facendo, riuscì a raccogliere le simpatie di alcuni nazionalisti, ex combattenti e giovani della media borghesia, con l’appoggio dei quali aveva fondato a Milano i Fasci di combattimento 1919.

Il programma del nuovo movimento, o programma di San Sepolcro, prevedeva: lotta contro tutti gli imperialismi e adesione alle società delle nazioni; instaurazione della Repubblica; suffragio universale esteso anche alle donne; abolizione del Senato perché di nomina regia; istituzione del referendum popolare; uno Stato garante dei diritti alla libertà di pensiero, di stampa, di associazione; la terra ai contadini; la riduzione dell’orario di lavoro alle 8 ore giornaliere.

I risultati non premiarono i liberali, ma consacrarono l’ascesa del fascismo al Parlamento e la conseguente trasformazione del movimento in Partito Nazionale Fascista (1921).

Caduto il governo Giolitti, lo sostituì il socialista riformista Bonomi, che si mostrò passivo di fronte alle violenze perpetrate dalle squadre d’azione (bande armate che vestivano la camicia nera e erano muniti di manganelli) ai danni delle organizzazioni sindacali e le associazioni socialiste e cattoliche, alle quali Mussolini dette il via libera.

Convinto di poter frenare i fascisti al momento opportuno, non rendendosi conto che le forze fasciste trovavano il sostegno economico e morale della grande borghesia (industriali), decisa a strumentalizzare per i suoi scopi le azioni antibolsceviche del fascismo; la piccola borghesia, che non protetta dalle organizzazioni sindacali (come lo era il proletariato) e del tutto indifesa nei confronti dello strapotere economico della grande borghesia tendeva a rivendicare un proprio spazio; dei liberali, per lo stesso motivo dell’alta borghesia; degli organi dello Stato, quali prefetture, questure, esercito.

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Differenza tra guelfi e ghibellini https://cultura.biografieonline.it/guelfi-ghibellini-differenze/ https://cultura.biografieonline.it/guelfi-ghibellini-differenze/#comments Tue, 25 Mar 2014 17:27:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10228 Fin dai tempi della scuola abbiamo sentito parlare e studiato i guelfi e ghibellini di Firenze ma non tutti sanno che in origine i ghibellini erano, in Germania, una fazione politica opposta ai guelfi durante le lotte per la successione al trono di Enrico V nel XII secolo. Dopodiché i nomi di queste fazioni vennero prese dai gruppi fiorentini per distinguersi gli uni dagli altri, durante le lotte per la conquista del comune.

Differenze tra Guelfi e Ghibellini
Guelfi e Ghibellini: Dante fu sostenitore dei guelfi bianchi

Guelfi e ghibellini

Per guelfi intendiamo quella fazione politica che sosteneva la supremazia pontificia nella lotta tra Impero e Papato per il dominio di Firenze. I guelfi erano della filosofia che solo il Papa potesse essere legittimato a governare, dal momento che era stato investito direttamente da Dio e solo lui aveva il potere di guidare gli uomini verso gli ideali di giustizia e di correttezza. In particolare distinguiamo i guelfi tra bianchi e neri.

Guelfi bianchi e guelfi neri

Tra i sostenitori dei guelfi bianchi ci fu anche Dante Alighieri. Nei Sepolcri di Ugo Foscolo, Dante veniva indicato come il “ghibellin fuggiasco” poiché dopo un’appartenenza ai ghibellini si avvicinò anche lui all’idea di una convivenza pacifica tra Imperatore e Papa, come optavano i guelfi bianchi.

Infatti i guelfi bianchi sostenevano il Pontefice ma in modo relativo, in quanto non escludevano un ipotetico governo effettuato anche con l’Imperatore mentre i guelfi neri erano invece schierati apertamente ed unicamente dalla parte del Papa che vedevano come l’unico soggetto capace di governare ed erano risoluti nella loro posizione estrema.

La differenza con i ghibellini

A differenza dei guelfi, i ghibellini erano da sempre i sostenitori fedeli dell’Imperatore. I ghibellini erano coloro che nella lotta tra Papato e Impero, sostenevano la causa e la supremazia dell’Imperatore, erano coloro i quali non volevano l’intromissione della Chiesa nella politica di Firenze ed inizialmente furono sostenuti dalle forze imperiali nella lotta contro la fazione opposta, quella dei guelfi. Ma dopo aver perso l’appoggio dell’Imperatore della dinastia Sveva Federico II, persero anche il loro potere, furono costretti a cedere le armi e vennero mandati in esilio.

Con la vittoria dei guelfi tutti i ghibellini furono esiliati da Firenze compreso lo stesso Dante Alighieri. I ghibellini da allora non rientrarono più nel panorama politico italiano di quel periodo storico. Solo nel tempo che risale al 500, il termine ghibellini venne riutilizzato per indicare la fazione politica che sosteneva il Sacro Romano Impero, mentre il termine guelfi venne legato a coloro che simpatizzavano per il potere Papale e del Regno di Francia.

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