Piazzale Loreto Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 21 Sep 2022 13:00:13 +0000 it-IT hourly 1 Ai quindici di Piazzale Loreto, poesia di Quasimodo: testo e commento https://cultura.biografieonline.it/quindici-piazzale-loreto-poesia-quasimodo/ https://cultura.biografieonline.it/quindici-piazzale-loreto-poesia-quasimodo/#comments Wed, 21 Sep 2022 12:45:43 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40285 La poesia Ai quindici di Piazzale Loreto non è una delle più famose dell’autore siciliano Salvatore Quasimodo, tuttavia rappresenta al meglio l’impegno civile del poeta dopo aver vissuto l’esperienza della Seconda guerra mondiale. La lirica fa parte della raccolta Il falso e vero verde, pubblicata nel 1956.

Quasimodo dedica la sua poesia ai quindici partigiani fucilati dai fascisti il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto a Milano; dopo la loro fucilazione, i cadaveri furono esposti sotto il sole per tutta la giornata e lasciati agli insulti dei passanti.

Strage Piazzale Loreto Milano - 1944

Solo dopo la guerra sul luogo della strage venne eretto un piccolo ceppo commemorativo, sostituito nel 1960 da un vero e proprio monumento che raffigura un martire e riporta l’elenco delle quindici persone fucilate.

Piazzale Loreto - Monumento ai martiri
Piazzale Loreto, Milano: Monumento ai martiri • scultura di Giannino Castiglioni a ricordo della strage del 10 agosto 1944

L’autore, Salvatore Quasimodo

Quasimodo è stato uno degli autori più importanti del Novecento italiano; nacque a Modica nel 1901. Egli lavorò presso il Ministero dei Lavori pubblici e grazie a quest’impiego si trasferì prima a Firenze, dove entrò in contatto con Elio Vittorini e con l’ambiente ermetico della rivista «Solaria»; in seguito si trasferì  a Milano, dove lavorò come giornalista e scrittore.

Venne poi nominato professore di Letteratura italiana presso il Conservatorio di musica di Milano.

Nel 1959 vinse il Premio Nobel per la Letteratura.

Salvatore Quasimodo
Salvatore Quasimodo

Per le prime fasi della sua produzione, egli si accostò all’Ermetismo: le sue prime raccolte poetiche, come Acqua e terre, Oboe  sommerso, Ed è subito sera appartengono proprio a questa corrente, molto vicina al simbolismo francese, che si caratterizza per la concentrazione formale e l’utilizzo di simboli.

Durante la Seconda guerra mondiale, il poeta iniziò ad interessarsi all’uomo e ai suoi problemi, quindi decide di dedicarsi all’impegno civile per ridare agli uomini la speranza di un futuro migliore. A questa fase appartengono le raccolte:

  • Giorno dopo giorno;
  • La vita non è sogno;
  • Il falso e vero verde;
  • La terra impareggiabile;
  • Dare e avere.

Ai quindici di Piazzale Loreto (testo)

Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d’un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita.

Parafrasi del testo

Esposito, Fiorani, Fogagnolo, Casiraghi, chi siete voi? Siete nomi, ombre?

Soncini, Principato, Temolo, Vertemati, Gasparini?

Siete stati uccisi come foglie di un albero insanguinato, Galimberti, Ragni, voi, Bravin, Mastrodomenico, Poletti?

O sangue che nutre la terra e alimenta la speranza di una rigenerazione dopo il fascismo.

Le vostre ferite provocate dai fucili ci umiliano: è passato troppo tempo.

La morte pende dalle bocche, le bandiere esposte dagli occupanti nazifascisti sulle vostre case chiedono la morte.

(I nazifascisti) Si credono vivi ma anche loro temono la morte.

Noi poeti non scriviamo cose tristi, non vegliamo le vostre tombe con le lacrime, la morte non è più un’ombra quando è vita (la poesia deve celebrare la rinascita e non deve essere solo occasione di pianto).

Spiegazione e commento

La guerra ha cambiato per sempre il modo di fare poesia di Quasimodo: dall’astrattezza dell’Ermetismo, egli passa ad una poesia impegnata, utilizzando un linguaggio più concreto e discorsivo, per impegnarsi nella società e denunciare le ingiustizie.

La lirica Ai quindici di Piazzale Loreto infatti è dedicata ai partigiani uccisi dai fascisti: essi erano detenuti semplicemente perché partigiani; il giorno del 10 agosto vennero condotti in piazzale Loreto e fucilati come rappresaglia ad un attentato compiuto ad un camion tedesco.

I loro corpi vennero lasciati tutto il giorno esposti al sole e restituiti alle loro famiglie solo al calar della sera.

L’autore elenca tutti i nomi delle persone assassinate affinché essi non siano dimenticati, e li inserisce in frasi interrogative ricche di pathos.

La lirica è composta da 19 versi in prevalenza endecasillabi e il tono è epico, ricco di drammaticità.

È da sottolineare la presenza dello straniero, come nella poesia Alle fronde dei salici, e della bandiera (v. 14), posizionata anche sulla casa dei morti e simbolo dell’occupazione nazifascista.

Tra i versi 12 e 19 ricorre ben quattro volte la parola morte, anafora che sottolinea il tema centrale della poesia.

Si trova poi una sinestesia al v. 5-6: foglie di un albero di sangue.

Il messaggio finale, positivo

La poesia “Ai quindici di Piazzale Loreto” si conclude tuttavia con un messaggio positivo: l’affermazione finale infatti delinea l’importanza di scrivere poesie di impegno civile. Esse non devono essere solo un’occasione di tristezza e pianto ma devono rappresentare un canto di rinascita dopo gli orrori della guerra.

Questo è il messaggio che il poeta vuole lasciare ai posteri: non bisogna dimenticare di avere fiducia nel futuro.

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La libraia di Piazzale Loreto (Tinin Mantegazza) https://cultura.biografieonline.it/libraia-piazzale-loreto/ https://cultura.biografieonline.it/libraia-piazzale-loreto/#respond Tue, 08 Mar 2016 10:37:20 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17348 fate l’ammòre non fate la guerra

ho letto un libricino di tininmantegazza, la libraia di piazzale loreto – ed. corriere della sera, 2015. tinin mantegazza è una di quelle persone pazzesche di cui tutti abbiamo visto qualcosa ma che non conosciamo. tipo, avete presente dodò, il pupazzo dell’albero azzurro? ecco, l’ha disegnato lui. ha fatto il disegnatore, il giornalista, ha fondato teatri, lavorato con gente della milano bella, la milano della rinascita del dopoguerra.

La libraia di Piazzale Loreto,  libro di Tinin Mantegazza
La libraia di Piazzale Loreto (Tinin Mantegazza) – Ed. Corriere della Sera, 2015

questo libretto racconta delle storie di guerra. storie ambientate a milano, dove tinin viveva in quegli anni. storie che raccontano di squadre fasciste, di esecuzioni, di piccoli momenti di luce nel grigio-o meglio nero-di milano negli anni ’44-’45. val la pena leggerlo, davvero.

il mio nonno otello (sì, si chiamava davvero otello, suo padre era appassionato di verdi. ecco la lista dei nomi dei figli – fratelli e sorelle del nonno – otello, iago, cassio, ernani detto nani, radames detto ciccio, faust, liliano, violetta, nerina) lui aveva fatto la guerra. era andato in tunisia e siccome lui faceva il macellaio, l’han messo infermiere. ha totalmente senso no? e lui diceva che un po’ si era salvato la vita perché faceva l’infermiere anche se una volta era scoppiata una bomba sotto il cassone del camionambulanza e una scheggia gli aveva lasciato una cicatrice sul naso. io non l’ho mai vista quella cicatrice, ma c’era. poi altre volte era stato nascosto nelle buche con i compagni morti, ma credo queste siano storie che abbiamo sentito tutti.

raccontava che a casa, nonno era di rolo, vicino a carpi, la paura più grande era quando passavano i mongoli, che i mongoli erano i peggio cattivi di tutti. e poi lui era tornato e lavorava in ospedale e una volta era malato e nonna era andata ad avvisare che non poteva lavorare e le suore le han detto digli di non venire più, ché sono arrivati e chiudono tutto. e poi diceva della strada con tutti gli alberi, e ogni albero un impiccato. però lui ci è riuscito a uscirne e poi si è sposato nonna e poi si sono trasferiti e poi vabbe’ sono andati avanti.
però io non me lo ricordo bene quanto vorrei, tutto quello che diceva. perché nonno c’aveva già una certa e io ero regazzina e poi si è ammalato e non riusciva molto a parlare e poi non c’era più.

papà sa tante cose, le aveva anche scritte, in quelle domeniche pomeriggio in cui si andava dai nonni e per andare a brescia ci si metteva un’ora perché non c’era la tangenziale. e i pasticcini (le pastine) d’inverno e il gelato d’estate e la televisione su domenica in o poi su buona domenica e la noia estrema (ma avercene ora di domeniche così) e i giornali come gente che leggevo solo lì e i pranzi di nonna che erano sempre uguali tipo bucatini cotti 45 minuti (eh, li ho cotti la durata solita) e coniglio coi funghi che non se distingueva il coniglio dai funghi.
non era la stessa nonna di prima, era una che è venuta dopo. proud niece of the unica-nonna-in-italia-che-faceva-da-mangiare-demmerda. però questa nonna qui invece diceva di quando nascondevano i partigiani sulla maddalena.
a volte vorrei chiedere a papà di raccontarmi di più, ma io non voglio che si intristisca pensando al nonno e allora non lo faccio.

l’altro nonno invece la guerra non l’ha fatta perché me par che fosse più giovane e stava facendo l’università o robe così.

allora leggendo tinin mantegazza ho pensato che era come avere un nonno che ti racconta le cose. anche se non posso andare a trovarlo la domenica, è memoria storica. sono quelle cose che non ti raccontano quando studi storia (nel mio caso quando? quando è che studi storia annì?) perché ok magari sai di quell’avvenimento lì, ma sai come stava la gente? quanta fatica faceva, cosa succedeva? tinin mantegazza lo racconta senza vittimismo, racconta le persone quelle vere. come il mio nonno, o come il tuo.

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La strage di piazzale Loreto a Milano https://cultura.biografieonline.it/la-strage-di-piazzale-loreto-a-milano/ https://cultura.biografieonline.it/la-strage-di-piazzale-loreto-a-milano/#comments Wed, 14 Mar 2012 08:28:53 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1035 La mattina del 10 agosto del 1944 gli operai milanesi che si recano a lavoro passando da Piazzale Loreto si trovano davanti agli occhi uno spettacolo orribile: i corpi di quindici partigiani trucidati per rappresaglia dai nazisti.

La strage di piazzale Loreto:i nomi delle vittimeStrage Piazzale Loreto Milano - 1944

Le vittime sono:

  • Gian Antonio Bravin,
  • Giulio Casiraghi,
  • Renzo del Riccio,
  • Andrea Esposito,
  • Domenico Fiorani,
  • Umberto Fogagnolo,
  • Tullio Galimberti,
  • Vittorio Gasparini,
  • Emidio Mastrodomenico,
  • Angelo Poletti,
  • Salvatore Principato,
  • Andrea Ragni,
  • Eraldo Soncini,
  • Libero Temolo,
  • Vitale Vertemati.

La bomba

La loro fucilazione è causata dallo scoppio di una bomba in viale Abruzzi. La bomba è stata piazzata l’8 agosto per colpire un camion tedesco parcheggiato nel viale. In realtà, l’attentato non provoca morti tra i nazisti, e persino il conducente del camion che dorme in cabina se la cava solo con qualche lieve ferita. Le vittime sono tutti civili di nazionalità italiana: vengono ferite, infatti, undici persone e ne muoiono sei. Nonostante il comandante del Gap (Gruppi di Azione Patriottica) Giovanni Pesce neghi persino il coinvolgimento dei partigiani negli attentati, il comando nazista reagisce con violenza. A guidarlo è Theodor Saevecke che dirige il suo gruppo dai locali dell’Hotel Regina.

Secondo il bando emanato dal Maresciallo Kesselring devono essere fucilati dieci partigiani per ogni vittima nazista. In questo caso, però, pur non essendo morto alcun nazista, Saevecke  ottiene il lasciapassare per trucidare i quindici partigiani.

La ricostruzione

Secondo la ricostruzione del Tribunale Militare di Torino che vede alla sbarra degli imputati proprio il tenente tedesco, l’intento della strage è intimidatorio. La popolazione milanese comincia, infatti, a nutrire una certa simpatia per la resistenza che i nazisti vogliono stroncare sul nascere. Saevecke, inoltre, è un gerarca molto potente e feroce che può contare su una squadra composta da personaggi come il sergente Walter Gradsack, detto il macellaio, e il caporale maggiore Franze Staltmayer, detto il porcaro.

I quindici partigiani vengono prelevati all’alba del 10 agosto dal carcere di San Vittore in cui sono detenuti. E non paghi, i tedeschi li ingannano persino consegnando loro la famosa tuta da lavoro che è il segnale della partenza per i campi in Germania. Condotti a Piazzale Loreto, i quindici vengono barbaramente fucilati.

Qualcuno tenta la fuga entrando nelle case vicine, ma viene raggiunto dai colpi fascisti. Ad eseguire la strage sono, infatti, dei militari italiani appartenenti alla Guardia Nazionale Repubblicana e alla Legione Muti.

I poveri partigiani vengono lasciati in esposizione fino a sera. A sorvegliarli c’è una squadra di fascisti che impedisce persino ai familiari di avvicinarsi ai corpi, circondati da cartelli con la scritta “Assassini”. La strage e la successiva crudele esposizione impressiona talmente la popolazione che il capo della provincia, Piero Parini, scrive a Mussolini definendolo un “abietto assassinio”.

La triste vicenda, come molti dei crimini commessi in quel periodo, cade nel dimenticatoio.

I documenti

Il colpo di scena avviene nel 1994 quando vengono ritrovati in un armadio una serie di faldoni concernenti proprio la strage di piazzale Loreto.

L’armadio si trova con le ante misteriosamente rivolte verso il muro nel Tribunale Supremo Militare di Roma.

I primi a raccogliere le prove della strage sono stati gli alleati nel 1946, ed hanno messo insieme una quarantina di testimonianze e delle foto che inchiodano Saevecke. Ma quei fascicoli vengono insabbiati fino a quando non ne fa richiesta la Germania nel 1963 in occasione del processo contro il feroce tenente, il quale, alla fine della guerra, riesce a costruirsi una brillante carriera prima come agente segreto al soldo della Cia, e poi come poliziotto a Bonn.

Il fascicolo comincia così a girare per vari ministeri perdendosi di fatto nel nulla, fino alla casuale scoperta nel 1994.

Per la strage di piazzale Loreto Viene, dunque, istruito il processo contro Saevecke a Torino. L’uomo appare quasi seccato alla notizia del procedimento italiano: sostiene, infatti, di essere già stato giudicato da appositi tribunali inglesi e tedeschi. Il dibattimento si conclude nel 1999 con la sua condanna all’ergastolo.

Nel 2003 viene istruita anche una commissione di inchiesta guidata da Guido Salvini con il compito di approfondire le dinamiche che hanno portato all’occultamento degli incartamenti nell’armadio definito della vergogna. Secondo tale ricostruzione, l’occultamento è il frutto di una connivenza tra ambienti nazisti e fascisti a scopo di proteggersi gli uni con gli altri, sfociata anche in un revisionismo storico tendente a screditare la resistenza partigiana.

A questa strage e agli orrori della guerra, il poeta Salvatore Quasimodo dedicò la poesia: Ai quindici di Piazzale Loreto.

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