patriottismo Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 12 Feb 2024 23:07:50 +0000 it-IT hourly 1 Inno di Mameli, storia del canto degli italiani https://cultura.biografieonline.it/inno-di-mameli/ https://cultura.biografieonline.it/inno-di-mameli/#comments Mon, 12 Feb 2024 22:02:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20125 Il suo titolo è Canto degli Italiani, ma è conosciuto da tutti come Inno di Mameli. L’inno nazionale d’Italia deve la sua nascita ad uno studente ed entusiasta patriota appena ventenne di Genova, Goffredo Mameli. Il testo venne composto nel 1847 con il titolo “Fratelli d’Italia“. Fratelli d’Italia sono proprio le prime parole del testo.

Bandiera italiana
Il tricolore italiano

Successivamente a Torino Michele Novaro, anche lui genovese, trasformò in musica le parole scritte, componendo la melodia che oggi tutti conosciamo. L’Inno di Mameli è stato realizzato in pieno clima rinascimentale, in perfetto stile patriottico.

Fu composto l’otto settembre del quarantasette, all’occasione di un primo moto di Genova per le riforme e la guardia civica; e fu ben presto l’inno d’Italia, l’inno dell’unione e dell’indipendenza, che risonò per tutte le terre e in tutti i campi di battaglia della penisola nel 1848 e 49. (Giosuè Carducci)

Il contesto storico

L’Italia cominciava la dura battaglia che di lì a poco l’avrebbe condotta alla definitiva unificazione. Anche l’autore dell’Inno, Goffredo Mameli, era un giovane e fervente patriota che aveva combattuto a fianco di Garibaldi. Mameli, in uno scontro con i francesi, morì per la ferita ad una gamba, a 22 anni non ancora compiuti.

Goffredo Mameli
Goffredo Mameli

Goffredo Mameli aveva scritto la poesia che poi sarebbe diventata Inno nazionale in maniera spontanea, appassionata, ed infatti il suo componimento fu subito considerato il più adatto a rappresentare l’Italia del Rinascimento. Fervente e avida di libertà.

Una versione poco convincente

Proprio perché scritta di getto, la poesia “Fratelli d’Italia” del giovane Mameli presentava però alcune lacune stilistiche e dei limiti “artistici”. Per questo il patriota Giuseppe Mazzini, nel 1848, chiese a Mameli di scrivere una nuova composizione, che sarebbe stata completata con la musica di Giuseppe Verdi. Il risultato, però, fu davvero poco convincente, sia nel testo che nella musica. Così si ritornò alla versione originaria, che da allora non fu più modificata.

L’Inno di Mameli durante il Fascismo

Negli anni del Fascismo Il canto degli italiani fu messo un po’ da parte. Esso simboleggiava l’Italia risorgimentale, ed i fascisti preferivano che si intonassero le marce da loro realizzate.

L’ufficialità dell’Inno d’Italia

Il 12 ottobre 1946 l’inno di Mameli fu dichiarato ufficialmente Inno nazionale della Repubblica italiana. Da allora, curiosamente, per quanto la melodia sia ormai famosa e apprezzata in tutto il mondo, l’inno “Fratelli d’Italia” è considerato provvisorio.

Da quel giorno sono stati tanti i tentativi di trovare un altro inno che sostituisse quello di Mameli, poiché molti ritenevano che la musica non fosse granché e che il testo avrebbe potuto infastidire il Pontefice (sembra infatti che l’autore non nutrisse molta simpatia per il Vaticano).

Mentre durante il fascismo l’inno di Mameli era stato snobbato, i partiti di destra cominciarono ad apprezzarlo e a considerarlo un simbolo della Patria, quelli di sinistra invece non lo consideravano con favore.

“Fratelli d’Italia” negli anni ’90

Quando negli anni Novanta sulla scena politica italiana fece irruzione il partito della Lega Nord, capeggiato da Umberto Bossi, qualcuno propose di eliminare l’inno nazionale e metterci al suo posto il coro “Va, pensiero“, del “Nabucco” di Giuseppe Verdi. La sinistra, per tutta risposta, cominciò a rivalutare l’Inno di Mameli (forse per fare un dispetto a Bossi e compagni) e a cantarlo durante le manifestazioni sindacali e politiche.

Per rendere l’inno più piacevole dal punto di vista musicale, intervenne l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che affidò l’inno ad alcuni insigni musicisti, che lo diressero in modo a dir poco magistrale.

Nel 2000, quando Silvio Berlusconi era al potere, un consigliere appartenente a Forza Italia ebbe addirittura la geniale idea di proporre l’eliminazione dell’inno nazionale per farne uno personale a Berlusconi!

L’inno nazionale e gli italiani

La storia dell’inno nazionale è stata sempre alquanto controversa, tra chi ravvisa la necessità di cambiarlo e chi sostiene che gli stessi italiani non lo conoscono come dovrebbero. Ad esempio, ha fatto scalpore che, in occasione di competizioni importanti nel 1994 (quando l’Italia giocò la finale mondiale di calcio contro il Brasile), ma anche più tardi, nel 2002, i giocatori della Nazionale italiana non hanno cantato l’inno di Mameli (forse perché non era di loro gradimento, oppure perché non conoscevano il testo).

Goffredo Mameli, l'autore del Canto degli Italiani, noto anche come Fratelli d'Italia, o Inno di Mameli
Un dipinto che ritrae Goffredo Mameli

Proprio per far sì che l’inno diventasse conosciuto da tutti, tempo fa è stata presentata la proposta di rendere obbligatorio il suo insegnamento nelle ore scolastiche di educazione musicale.

Una cosa è certa: se anche l’inno nazionale non è musicalmente perfetto e il testo presenta qualche difetto stilistico, è innegabile che l’autore Goffredo Mameli fosse giovane e appassionato. Una buona ragione per apprezzarlo e cantarlo nelle varie occasioni in nome di un’Italia che, non dimentichiamolo, ha lottato per raggiungere l’unità.

Canto degli italiani

Testo completo dell’Inno nazionale d’Italia, composto da Goffredo Mameli:

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popoli, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Uniamoci, uniamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può?

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Dall’Alpe a Sicilia, Dovunque è Legnano; Ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano; i bimbi d’Italia si chiaman Balilla; Il suon d’ogni squilla I vespri suonò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Son giunchi che piegano le spade vendute; già l’Aquila d’Austria le Penne ha perdute. Il sangue d’Italia e il Sangue Polacco bevè col Cosacco, ma il Cor le bruciò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

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Marzo 1821: analisi dell’ode di Alessandro Manzoni https://cultura.biografieonline.it/marzo-1821-manzoni/ https://cultura.biografieonline.it/marzo-1821-manzoni/#comments Tue, 08 Mar 2022 20:20:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8133 Le canzoni civili o odi civili di Alessandro Manzoni, ispirate alla storia contemporanea, sono “Marzo 1821” e “Il Cinque Maggio”. L’ode “Marzo 1821” che andremo qui ad analizzare fu scritta quando si diffuse la notizia, risultata poi infondata, del passaggio del Ticino da parte dei patrioti piemontesi, durante i moti del 1821, per strappare con la guerra la Lombardia all’Austria.

Marzo 1821 (di Alessandro Manzoni)
Odi civili: Marzo 1821 (di Alessandro Manzoni)

Il Manzoni la pubblicò nel 1848, durante le Cinque Giornate di Milano (18-23 marzo), dedicandola significativamente «alla illustre memoria di Teodoro Koerner -poeta e soldato – della indipendenza germanica – morto sul campo di Lipsia il giorno 18 ottobre 1813 – Nome caro a tutti i popoli – che combattono per difendere – o per riconquistare una patria». Con questa dedica il Manzoni voleva affermare e dire agli Austriaci che, come era stata giusta e santa la guerra dei Tedeschi contro i Francesi, altrettanto giusta e santa era la guerra degli Italiani contro l’Austria. Nella pubblicistica risorgimentale Tedeschi ed Austriaci erano spesso confusi insieme.

Il motivo ispiratore dell’ode Marzo 1821 è senz’altro patriottico ed oratorio. Con questa ode civile il Manzoni voleva incitare gli Italiani a combattere per l’indipendenza e l’unità della patria, ma il sentimento patriottico del poeta aveva un saldo fondamento religioso e si conformava allo spirito del suo cattolicesimo liberale. Manzoni riteneva che Dio, nei suoi disegni imperscrutabili, ha assegnato ad ogni popolo una patria e una missione da svolgere nella storia. Avviene tuttavia che un popolo, indebolito dalla corruzione dei costumi e da discordie interne, perda la libertà e cada sotto la dominazione di un altro popolo, più giovane e gagliardo, prescelto da Dio come strumento della sua punizione.

Tuttavia, trascorso un lungo periodo di espiazione, durante il quale prova tutte le amarezze della schiavitù, il popolo oppresso, purificatosi delle sue colpe, sente il bisogno di riscattarsi e trova in Dio stesso la forza e il sostegno per rivendicare la libertà. Il Manzoni sente che è questa la condizione dell’Italia del suo tempo che, dopo secoli di divisione e di oppressione, ha espiato le sue colpe e nella lotta per il riscatto è meritevole dell’aiuto di Dio.

L’idea che Dio, quando il popolo si desta dal torpore della schiavitù, si pone alla sua testa e gli dà le sue folgori per scrollarsi di dosso l’oppressione, è il motivo ispiratore della parte centrale dell’ode, là dove il poeta ricorda che il Dio che ascoltò le preghiere dei Tedeschi oppressi, in guerra contro i Francesi oppressori, non può essere sordo alle preghiere degli Italiani: è lo stesso Dio che salvò Israele dall’inseguimento del malvagio Faraone ed armò la mano di Giaele per uccidere un oppressore del suo popolo, è il Dio padre di tutte le genti, che non disse giammai al Tedesco di andare a raccogliere i frutti dei campi che non ha mai arato, di spiegare le unghie per ghermire e straziare l’Italia.

In questa fase del pensiero manzoniano la guerra è giustificata come atto di politicità pura, cioè come strumento di giustizia e di libertà, immune da interesse di parte, di arroganza, di potenza e di oppressione.

Questo spiega il tono tirtaico della penultima strofa dell’ode, là dove il poeta, rivolgendosi ai combattenti, auspica che sui loro volti baleni finalmente il furore contro gli oppressori, finora tenuto segreto nelle congiure, e li invoglia a combattere e a vincere per l’Italia, perché il suo destino dipende dal loro eroismo guerriero.

Nei Promessi Sposi invece il Manzoni considera la guerra e ogni altra forma di violenza come una follia fratricida, che disonora la nostra umanità e grida vendetta davanti a Dio. Per questo Fra Cristoforo rimprovera sempre severamente Renzo, tutte le volte che, trascinato dall’impeto giovanile, accenna a voler farsi giustizia da sé. Egli sa, per esperienza diretta, che la vendetta di un sopruso subito “è un terribile guadagno” (Promessi Sposi, cap. V) e che “una vita piena di meriti non basta a coprire una violenza”.

Ma ancor prima dei Promessi Sposi il poeta condanna la guerra e la violenza nella chiusa della Battaglia di Maclodio (coro del Conte di Carmagnola), dove l’autore dice che siamo tutti fratelli, figli tutti d’un solo riscatto, legati tutti ad un patto d’amore e di solidarietà, e invoca il castigo di Dio su chi viola questo patto e affligge un’anima immortale.

La condanna della violenza e della guerra fatta ripetutamente dal Manzoni, suscitò, durante il Risorgimento, la reazione dei politici estremisti, che lo accusarono di insegnare agli Italiani la rassegnazione alla tirannide e all’oppressione. Ma il Manzoni non insegnava la rassegnazione passiva, che porta all’ignavia e alla viltà, ma, semmai, la rassegnazione attiva, che attinge le sue forze della fede nella Provvidenza e nella giustizia immanente nelle cose, che prima o poi finisce col trionfare. Del resto nel nostro tempo presso i popoli di più matura coscienza democratica i movimenti di non violenza sono quelli, che hanno realizzato le più importanti conquiste politiche e sociali, non escluso il crollo di dittature, come quelle dell’Est, che sembravano irreversibili.

Testo completo dell’ode

Marzo 1821

Alla illustre memoria di Teodoro Koerner poeta e soldato della indipendenza germanica
morto sul campo di Lipsia il giorno XVIII d’Ottobre MDCCCXIII
nome caro a tutti i popoli che combattono per difendere o per conquistare una patria

Soffermati sull’arida sponda
Vòlti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell’antica virtù,
Han giurato: non fia che quest’onda
Scorra più tra due rive straniere;
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!

L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell’ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
Già le sacre parole son porte;
O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suol.

Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell’Orba selvosa
Scerner l’onde confuse nel Po;
Chi stornargli del rapido Mella
E dell’Oglio le miste correnti,
Chi ritorgliergli i mille torrenti
Che la foce dell’Adda versò,

Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor;
Una gente che libera tutta
O fia serva tra l’Alpe ed il mare;
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor.

Con quel volto sfidato e dimesso,
Con quel guardo atterrato ed incerto
Con che stassi un mendico sofferto
Per mercede nel suolo stranier,
Star doveva in sua terra il Lombardo:
L’altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato un segreto d’altrui;
La sua parte servire e tacer.

O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
Da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
Sotto il peso de’ barbari piè?

O stranieri! sui vostri stendardi
Sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito
V’accompagna a l’iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
Ogni gente sia libera e pèra
Della spada l’iniqua ragion.

Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de’ vostri oppressori,
Se la faccia d’estranei signori
Tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v’ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell’itale genti?
Chi v’ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v’udì?

Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio ed il colpo guidò;
Quel che è Padre di tutte le genti,
Che non disse al Germano giammai:
Va’, raccogli ove arato non hai;
Spiega l’ugne; l’Italia ti do.

Cara Italia! dovunque il dolente
Grido uscì del tuo lungo servaggio;
Dove ancor dell’umano lignaggio
Ogni speme deserta non è:
Dove già libertade è fiorita,
Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lacrime un’alta sventura,
Non c’è cor che non batta per te.

Quante volte sull’alpe spïasti
L’apparir d’un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
Ne’ deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
Stretti intorno ai tuoi santi colori,
Forti, armati dei propri dolori,
I tuoi figli son sorti a pugnar.

Oggi, o forti, sui volti baleni
Il furor delle menti segrete:
Per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convito dei popoli assisa,
O più serva, più vil, più derisa
Sotto l’orrida verga starà.

Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
Che da lunge, dal labbro d’altrui,
Come un uomo straniero, le udrà!
Che a’ suoi figli narrandole un giorno,
Dovrà dir sospirando: «io non c’era»;
Che la santa vittrice bandiera
Salutata quel dì non avrà.

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La canzone del Piave https://cultura.biografieonline.it/leggenda-del-piave/ https://cultura.biografieonline.it/leggenda-del-piave/#comments Thu, 28 May 2015 11:01:15 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14403 La canzone del Piave è una canzone patriottica conosciuta anche come La leggenda del Piave, talvolta ricordata con le sue prime parole “Il Piave mormorava“. E’ una delle più famose canzoni italiane in tema di patriottismo.

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio
I primi versi della canzone: “Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio

La canzone del Piave” fu scritta nel 1918 da E.A. Mario, pseudonimo del maestro Ermete Giovanni Gaeta (Napoli, 5 maggio 1884 – Napoli, 24 giugno 1961). Nel 1918, nella notte del 23 giugno, poco dopo il termine della Battaglia del Solstizio, in seguito alla resistenza e alla vittoria italiana sul Piave, E.A. Mario scrisse di getto sia le parole che la musica di questo brano. La “Canzone del Piave” servì a risollevare il morale dei soldati: il generale Armando Diaz inviò addirittura un telegramma per far sapere a Gaeta che la sua canzone era servita a dare coraggio ai soldati del Regno e ad aiutare lo sforzo bellico  ben “più di un generale“.

E. A. Mario - Ermete Giovanni Gaeta
E.A. Mario – Ermete Giovanni Gaeta

Nel periodo costituzionale transitorio durante la fase conclusiva per l’Italia della Seconda guerra mondiale, La Leggenda del Piave fu adottata provvisoriamente come inno nazionale italiano, prima che venisse adottato l’Inno di Mameli, nel 1946.

Il testo della canzone

Il Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio;
l’esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera

Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!

S’udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell’onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
Non passa lo straniero!

Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento,
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!

Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti!

S’udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l’onde:
come un singhiozzo, in quell’autunno nero,
il Piave mormorò:
“Ritorna lo straniero!”

E ritornò il nemico;
per l’orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora

No!“, disse il Piave. “No!“, dissero i fanti,
Mai più il nemico faccia un passo avanti!

Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l’onde
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:
Indietro va’, straniero!

Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti

Infranse, alfin, l’italico valore
le forche e l’armi dell’Impiccatore!

Sicure l’Alpi Libere le sponde
E tacque il Piave: si placaron l’onde
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri!

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