parafrasi Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 06 Nov 2024 07:57:22 +0000 it-IT hourly 1 In morte del fratello Giovanni: testo, parafrasi, analisi e commento alla poesia di Foscolo https://cultura.biografieonline.it/in-morte-del-fratello-giovanni/ https://cultura.biografieonline.it/in-morte-del-fratello-giovanni/#comments Wed, 06 Nov 2024 05:45:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21576 La poesia In morte del fratello Giovanni è uno dei sonetti più famosi di tutta la produzione di Ugo Foscolo. Il sonetto è stato composto sicuramente dopo la primavera del 1803 ed è dedicato alla morte del fratello del poeta, Gian Dionisio detto Giovanni. Questi si tolse la vita con un pugnale l’8 dicembre 1801 mentre era soldato a Venezia. Giovanni Foscolo, fratello maggiore (nato a Zante il 27 febbraio 1781) di Ugo, scelse di suicidarsi perché aveva pagato un debito di gioco con del denaro sottratto alla cassa dell’esercito. Questo fu un avvenimento molto doloroso per il poeta, che – oltre alla poesia In morte del fratello Giovanni – affronta l’argomento soprattutto nel suo epistolario.

Ugo Foscolo - Poesie

La raccolta Poesie

La lirica fa parte della raccolta di poesie dell’autore, che sono state pubblicate in un’edizione definitiva nel 1803.

Le Poesie raccolgono dodici sonetti e due odi, composte tra il 1798 e il 1803, e restituiscono ai lettori un ritratto dell’autore.

Tra i componimenti più noti vi sono:

I sonetti sono notevolmente autobiografici, mentre le due odi neoclassiche (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata) si discostano dalla vena personale.

Una parte importante della raccolta è rappresentata dai 12 sonetti, che mettono in luce l’animo tormentato dell’autore e i suoi pensieri.

Ugo Foscolo rinnova completamente la forma del sonetto, inserendovi tematiche lontane dalla tradizione metrica e stilistica precedente.

Nella lirica in esame l’autore inserisce il tema dell’esilio e della morte, vista nei suoi risvolti più tristi.

In morte del fratello Giovanni è un sonetto di endecasillabi, che segue lo schema di rime:

ABAB ABAB CDC DCD

In morte del fratello Giovanni, testo completo

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de’ tuoi gentili anni caduto:

La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,

Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.

Parafrasi

Un giorno, se non andrò sempre vagando
di popolo in popolo,
mi vedrai seduto sulla tua tomba,
o fratello mio, piangendo il fiore reciso della tua giovinezza.

Solo adesso la madre, portando con sé i giorni della sua vecchiaia (suo dì tardo),
parla di me con il tuo corpo silenzioso,
ma io tendo invano verso di voi le mie mani
e solo da lontano saluto la mia patria.

Sento le avversità del destino e i travagli dell’animo
che hanno provocato la tempesta nella tua vita,
e anche io prego di poter raggiungere la quiete del tuo porto (la morte).

Solo questo mi rimane oggi di tutta speranza!
O genti straniere, restituite al cuore di mia madre triste
almeno le mie ossa.

Analisi

La struttura del sonetto è ben definita. Nella prima quartina vengono introdotti subito i due temi principali: l’esilio e la morte dell’amato fratello.

Nella seconda quartina viene introdotto il terzo personaggio della lirica: la madre che piange per la morte del figlio.

Nella prima terzina il poeta esprime tutti i suoi affanni e le pene del suo animo.

Nella seconda terzina egli rovescia la visione negativa della morte, che diventa così un luogo di pace, che il poeta vuole raggiungere.

Il modello a cui si ispira Foscolo è il Carme 101 di Catullo. I primi versi corrispondono ad una perfetta traduzione dei versi del poeta latino (traduzione del carme di Catullo: “Condotto per molte genti e molti mari, sono giunto a queste tue tristi spoglie, o fratello“). Foscolo, però, non si limita a copiare o citare i versi di Catullo, ma li reinterpreta in chiave moderna, aggiungendovi maggiore pathos e sentimento, perché dubita che possa mai tornare sulla tomba del fratello.

Dal punto di vista stilistico, bisogna ricordare: i numerosi enjambements che spezzano i versi (v. 1-2, v. 2-3., v. 3-4 etc.) sia nelle due quartine che nelle due terzine, la rima in gerundio (fuggendo-gemendo v. 1-3) e l’utilizzo di questo modo verbale anche in altri versi della poesia (v.5).

È presente, inoltre, il latinismo “cenere” al verso 6 e un utilizzo accentuato dei pronomi personali.

Foto di Ugo Foscolo, In morte del Fratello Giovanni
Ugo Foscolo

Commento

Il sonetto In morte del fratello Giovanni è uno dei più intensi della produzione dell’autore.

Qui Ugo Foscolo mette in evidenza il tema dell’esilio, che provocherà sempre un dolore in lui. Evidenzia anche il valore della tomba, che sarà poi approfondito nel carme Dei sepolcri.

Spicca però l’importanza della famiglia: questo è il valore che consola il poeta, in particolare la figura della madre, che crea una connessione tra lui e il fratello morto.

Si tratta di un sonetto intenso e struggente, nel quale Foscolo utilizza il tema della morte del fratello Giovanni per esprimere il dolore per il suo esilio e i suoi affanni.

Questa poesia rappresenta non solo un lamento funebre per la morte del fratello, ma anche una riflessione più ampia sulla condizione umana e sull’esilio. La distanza fisica dalla tomba del fratello diventa metafora della distanza esistenziale che separa i vivi dai morti.

Dal punto di vista letterario vi sono 3 elementi innovativi:

  1. La fusione tra elemento autobiografico e riflessione universale.
  2. L’intreccio tra dolore personale e condizione storica.
  3. La modernità della riflessione sulla solitudine dell’individuo.

La perfezione formale del sonetto si fonde con l’intensità emotiva del contenuto, creando un equilibrio magistrale tra forma e sostanza.

Il tema dell’esilio, così centrale nella vita di Foscolo, si intreccia qui con il dolore per la perdita del fratello, creando un doppio livello di separazione: quella fisica dalla patria e quella esistenziale dalla persona amata.

Il componimento rappresenta uno dei momenti più alti della lirica foscoliana, dove l’esperienza personale si trasforma in poesia universale.

Foscolo riesce di fatto a trasformare un evento tragico personale in una riflessione universale sulla condizione umana.

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Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, sonetto di Dante Alighieri: analisi e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/ https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/#comments Fri, 10 Nov 2023 07:37:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20860 Il sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io è uno dei più celebri di tutta la produzione di Dante Alighieri. Probabilmente risale alla prima fase dell’attività lirica di Dante, databile intorno al periodo tra il 1283 e il 1290. Nella lirica in esame, il poeta si rivolge a Guido Cavalcanti, il “primo amico” (come viene definito nella Vita Nova), che gli risponde anche lui con un sonetto intitolato “S’io fosse quelli che d’amor fu degno“, di atmosfera però più cupa. Guido è citato dal padre Cavalcante dei Cavalcanti nel Canto X dell’Inferno. L’altro amico citato nel titolo è Lapo Gianni, anch’egli poeta.

Dante Alighieri - Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
Dante Alighieri

Il componimento dantesco fa parte delle Rime, che sono state raccolte non dall’autore ma dagli studiosi e filologi. Esse sono un corpus di poesie composte tra il 1283 e il 1307 che comprende:

  • rime giovanili (prestilnoviste su modello di Guittone d’Arezzo);
  • rime stilnoviste in senso stretto;
  • rime allegoriche e dottrinali;
  • le rime petrose dedicate alla donna Petra;
  • rime varie.

Alla raccolta appartengono anche tutte le rime che sono state poi inserite dall’autore all’interno della Vita Nova e del Convivio, lavori considerati tra le opere minori di Dante, rispetto al suo capolavoro La Divina Commedia. Le Rime, che racchiudono diversi stili al loro interno, sono un esempio importante dello sperimentalismo e del plurilinguismo dantesco, precedente alla Commedia.

La lirica in esame – Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io – è un sonetto, composto quindi da due quartine e due terzine con il seguente schema di rime:

ABBA, ABBA, CDE, EDC

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

Parafrasi

Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io
fossimo soggetti ad un incantesimo
e posti su un vascello, che ad ogni soffio di vento
andasse lungo il mare secondo il nostro volere;

cosicché la tempesta od ogni altra sventura
non ci potesse essere d’ostacolo,
ma anzi, avendo gli stessi desideri,
crescesse il desiderio di stare assieme.

E che Monna Vanna e Monna Lagia,
oltre a colei che è la trentesima
il nostro mago ci ponesse vicino:

e qui discutere sempre sull’amore,
e ciascuna di loro fosse felice,
così come, credo, lo saremmo noi [poeti].

Analisi del testo

Il tema centrale del sonetto “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è incentrato sulla visione stilnovista dell’amore e dell’amicizia. Dante Alighieri sogna di trovarsi su una nave incantata con Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, i suoi migliori amici, circondati dalle donne che amano e a parlare d’amore. I modelli a cui Dante si ispira sono quelli del plazer, un componimento tipico francese che è un elenco di cose piacevoli e desideri, e del ciclo bretone e carolingio per il tema della magia e dell’incanto.

Le quartine

La prima quartina quindi inizia in un clima di amicizia tra tre poeti. L’incipit presenta i primi tre personaggi maschili. Dante li immagina presi da una magia e messi insieme in un piccolo vascello che può navigare con ogni tipo di vento. I termini rinviano tutti alla tradizione medievale del ciclo bretone, in particolare la nave incantata, che ricorda quella di Mago Merlino.

Nella seconda quartina Dante continua la descrizione dell’atmosfera magica del vascello. Egli auspica che essi possano continuare a navigare in qualunque condizione atmosferica e uniti sempre da una comune volontà (vivendo sempre in un talento, v.7).

Nella prima terzina vengono presentate le tre figure femminili:

  • Donna Vanna, amata da Cavalcanti (di questo poeta abbiamo analizzato la poesia d’amore Perch’i’ no spero di tornar giammai);
  • Donna Lagia, amata da Lapo;
  • quella che è sul numer de le trenta, ossia la donna che si trova al 30° posto. Ella non è Beatrice, bensì una donna schermo che Dante avrebbe nominato in un sirventese (composizione poetica) ormai perduto.

Dante immagina che il buon incantatore (l’artefice di questo sogno, forse Mago Merlino) possa portare su questo vascello le donne, e che tutti insieme (seconda terzina) possano parlare sempre dell’amore.

L’atmosfera è rarefatta. Questo gruppo di poeti è ovviamente isolato dal resto del mondo perché la nave è un luogo privilegiato dove essi possono immergersi completamente nei loro discorsi sull’amore. Il pubblico a cui l’autore si rivolge è elitario, infatti soltanto gli intellettuali possono apprezzare i valori di cortesia e gentilezza. Il lettore è quindi immerso in pieno clima stilnovistico.

Commento all’opera

Dal punto di vista stilistico bisogna evidenziare la presenza del polisindeto (presenza di congiunzioni) al v.1 “che tu e Lapo e io” e la forte ricorrenza di verbi al plurale. Dal punto di vista delle scelte lessicali, prevalgono i termini che ricordano la letizia, la felicità (es. ripetizione della parola “sempre” ai versi 7 e 12, la parola “disio” al v. 8, “contenta” al v. 13 etc.). Molti sono poi i termini che rinviano alla dimensione fiabesca: “incantamento” (v. 2), “incantatore” v. 11, “vasel” v. 3.

La poesia “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è senz’altro una delle più belle testimonianze che ci ha lasciato Dante Alighieri della sua produzione. E’ un componimento che proietta immediatamente il lettore in un mondo fantastico, in cui i letterati si dedicano all’amore tutto il giorno e rappresentano a pieno gli ideali del Dolce stil novo.

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X Agosto: analisi della poesia di Giovanni Pascoli https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/#comments Thu, 10 Aug 2023 08:58:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8989 10 agosto

Il X Agosto di Pascoli è una poesia dedicata al padre del poeta, morto nel 1867, il 10 agosto. Giorno questo in cui si festeggia San Lorenzo ed è quello in cui si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. In questa poesia Giovanni Pascoli descrive oltre al fenomeno delle stelle cadenti, anche l’uccisione di una rondine, che stava per portare il cibo al nido.

X Agosto, San Lorenzo
Il 10 agosto, giorno di San Lorenzo, è il momento dell’anno in cui più è probabile osservare nitidamente le stelle cadenti

E l’uccisione del padre, che stava portando due bambole a casa. Conclude prendendosela con il cielo che non dà alcun aiuto all’uomo, non una lue che illumini il suo doloroso cammino.

Testo completo della poesia

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Parafrasi e analisi

San Lorenzo, io lo so il perché di quel pianto di stelle sfavilla nel cielo. Questa è la trasposizione di un fenomeno naturale che ha un significato più profondo: la legge di sofferenza, d’ingiustizia e di morte. Ritornava una rondine al suo nido e l’uccisero: cadde tra gli spini: aveva nel becco la cena per le sue rondini. La morte della rondine prefigura quella dell’uomo.

Rondine
Una rondine: come spiegato nella parafrasi, questo uccello è usato simbolicamente nella poesia di Giovanni Pascoli

La rondine abbattuta ha le ali aperte come se fosse in croce; e sembra richiamare il sacrificio di Cristo. La rondine uccisa tende quel verme al cielo inaccessibile; e il suo nido è nell’ombra della sera e il pigolio dei rondinini diminuisce lentamente nel languore dell’agonia.

Anche un uomo tornava a casa (il padre del poeta, ma Pascoli non lo nomina): l’uccisero; disse:Perdono; resta negli occhi sbarrati un grido: portava due bambole in regalo…

Ora là nella casa solitaria, lo aspettano invano: egli è immobile, attonito, e anch’egli, come la rondine, ha quel gesto di disperata protesta verso il cielo lontano e impassibile. E tu, cielo infinito, immortale, inondi la terra, atomo sperduto e dominato dal male, di un pianto di stelle.

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Amai, poesia di Saba: analisi, commento e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/amai-poesia-saba/ https://cultura.biografieonline.it/amai-poesia-saba/#respond Wed, 10 May 2023 09:05:51 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18149 La poesia “Amai” rappresenta il manifesto della poetica del suo autore, Umberto Saba. Questa poesia fa parte della sezione Mediterranee (1946) del Canzoniere di Saba, opera che racchiude tutti i suoi componimenti poetici. L’autore scelse questo titolo proprio per ricollegarsi alla poetica degli autori classici della letteratura (in primis Petrarca) e prendere le distanze dalla poesia ermetica e difficile da comprendere che si stava diffondendo in quegli anni.

Amai trite parole che non uno osava. M’incantò la rima fiore amore, la più antica difficile del mondo. Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato, che il dolore riscopre amica. Con paura il cuore le si accosta, che più non l’abbandona. Amo te che mi ascolti e la mia buona carta lasciata al fine del mio gioco.
Amai

Canzoniere

Il Canzoniere venne pubblicato nel 1961 nell’edizione definitiva, diviso in tre volumi. Il tema centrale è la scissione dell’io, la divisione in due parti della personalità del poeta, che trova le sue origini proprio nell’infanzia (altro tema centrale della raccolta insieme all’eros – passione amorosa e l’amore per la moglie Lina).

In quest’opera Saba rifiutò la poesia troppo artificiosa e ricercata, per questo scelse di praticare una poesia fatta di chiarezza e soprattutto di onestà, parola chiave della sua poetica.

Il testo in esame, la poesia “Amai“,  è infatti la dichiarazione nella quale il poeta afferma i caratteri della sua poesia: sceglie un lessico apparentemente banale e semplice ma, proprio per questo, adatto a descrivere la vita degli uomini, con i suoi turbamenti.

Amai : testo della poesia

Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.

Parafrasi

Amai parole consuete, convenzionali e consunte, che nessun poeta
osava più utilizzare. Mi piacque particolarmente
la rima “fiore – amore”,
la più antica e difficile al mondo.
Amai la verità che si trova in fondo all’animo umano,
quasi un sogno dimenticato, che – tuttavia – il dolore
riscopre essergli amica. Il cuore con timore
le si accosta, ma una volta scoperta non l’abbandona più.
Amo te che mi ascolti e amo la mia poesia,
lasciata come una carta vincente alla fine del mio gioco.

Analisi e commento

Il componimento è costituito da tre strofe di diversa lunghezza (due quartine e un distico) formate per la maggior parte da versi endecasillabi (tranne al verso 3: amore, un trisillabo). Sono presenti molte rime baciate : fiore- amore, mondo- fondo, dolore-cuore, abbandona-buona.

La prima strofa inizia proprio con la parola amai, che diventa il titolo della poesia e introduce gli argomenti che il poeta vuole utilizzare per i suoi componimenti (trite parole che non uno osava, ossia le parole già utilizzate dalla tradizione poetica). Importante è il ruolo della parola amore, che viene messa in evidenza perché rappresenta il centro della poesia stessa: la rima fiore-amore viene definita dal poeta la più difficile da usare ma anche la più antica di tutte. Egli infatti sceglie di utilizzare un lessico già ampiamente sfruttato dai poeti precedenti ma non vuole correre il rischio di banalizzare i suoi componimenti.

All’inizio della seconda strofa torna la parola amai, in anafora: il poeta dichiara di amare la verità che si trova a fondo delle cose umane e viene spesso dimenticata come un sogno. Il cuore le si accosta con paura perché la verità, una volta scoperta, non lo abbandonerà più.  La poesia svolge quasi una funzione terapeutica nei confronti del dolore: è meglio scoprire ciò che a volte si cerca di non vedere perché troppo doloroso, piuttosto che vivere nell’oblio.

L’ultimo distico è un appello al lettore: amo te, lettore, e la mia buona poesia lasciata alla fine del mio gioco. Per Saba è come se il destino fornisse agli uomini delle carte e bisogna saper giocare la propria fino alla fine. Il suggerimento del poeta è quindi quello di vivere la vita fino in fondo, nonostante la verità riemersa e il dolore.

Saba dichiara quindi il proprio amore verso il lettore e soprattutto la soddisfazione di essere riuscito a creare una poesia onesta. La conclusione è quindi tutta improntata a ristabilire il valore della propria poetica e soprattutto a credere fortemente nella comunicazione con i suoi lettori.

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Traversando la Maremma toscana: riassunto, figure retoriche e parafrasi della poesia di Carducci https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/#comments Tue, 03 Jan 2023 17:38:02 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40819 La lirica Traversando la Maremma toscana è una delle più apprezzate di Giosuè Carducci. Essa descrive la commozione del poeta nel ripercorrere in treno l’itinerario tra Livorno e Roma passando per la sua adorata Maremma, dove egli aveva trascorso la sua infanzia.

L’autore e la poetica

Giosuè Carducci nacque in Versilia nel 1835 e trascorse l’infanzia proprio in Maremma. Si laureò in lettere alla Normale di Pisa e poi intraprese la carriera di insegnante del ginnasio in diversi paesi toscani. Si trasferì a Bologna dove insegnò all’Università fino a quando non gli subentrò Giovanni Pascoli.

Carducci era un grande appassionato della classicità ma poi col tempo ampliò i suoi interessi anche alla letteratura europea.

Da giovane fu un attivo anticlericale (scrisse l’inno A Satana nel 1863), poi però con gli anni divenne più moderato; accettò il Regno d’Italia e anche l’attivismo ecclesiastico.

Le sue raccolte poetiche più importanti sono:

  • Giambi ed epodi – composti in età giovanile, ricchi di vena polemica;
  • Rime nuove (1861-87);
  • Odi barbare (1873-89).

Venne eletto senatore a vita e ricoprì il ruolo di ultimo poeta-vate dell’Italia a lui contemporanea, come cantore della patria.

Nel 1906 Carducci vinse il Premio Nobel per la Letteratura.

Giosuè Carducci
Giosuè Carducci

Morì nel 1907 a Bologna.

La sua raccolta più importante è Rime Nuove, che include la poesia qui analizzata, Traversando la Maremma toscana, come numero 34, del libro II.

I temi della raccolta sono autobiografici e storici; il poeta infatti celebra eventi contemporanei ma anche ricordi della sua giovinezza e della terra natale. Egli ha un atteggiamento anti-romantico: celebra il culto dei classici contro la barbarie della moderna società italiana a lui contemporanea.

Altri temi importanti sono il contrasto tra ideale e reale, vita e morte e lo scorrere inesorabile del tempo.

Leggi anche:

Traversando la Maremma toscana: testo completo

Dolce paese, onde portai conforme
L’abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov’ odio e amor mai non s’addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
Erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
E dimani cadrò. Ma di lontano

Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine.

Parafrasi

O dolce paese, da cui trassi la fierezza del mio carattere e la mia poesia sdegnosa (di compromessi)e il cuore, le cui passioni non si calmano mai, finalmente ti rivedo e il cuore mi balza nel petto.

Ritrovo in te, Maremma, i profili familiari con gli occhi tra il sorriso e il pianto, e in quelle immagini ricerco e ritrovo le tracce dei miei sogni giovanili.

Oh, molte cose che ho amato e sognato sono state vane, mi affannai sempre e non raggiunsi mai lo scopo e presto morirò.

Ma da lontano mi regalano gioia le tue colline con la nebbia che sale e le verdi pianure tra le piogge mattutine.

Maremma Toscana
Maremma Toscana

Traversando la Maremma toscana: analisi, spiegazione, figure retoriche e commento

Questa poesia è un sonetto.

Lo schema metrico è:

ABAB ABAB CDC DCD

Si tratta di una lirica molto intensa nella quale il poeta descrive il paesaggio della Maremma toscana, dove era vissuto fin da bambino.

Egli ricorda le sue emozioni con tanta nostalgia perché sente che la morte è vicina.

La lirica infatti ruota intorno a due nuclei tematici importanti:

  1. la nostalgia del tempo passato e della giovinezza;
  2. la sensazione dello scorrere del tempo e della precarietà del presente.

Il sonetto parte con un’invocazione (O dolce paese): la Maremma è un luogo di favola perché gli ricorda la sua infanzia. Ma ci sono anche tante opposizioni:

  • odio e amore;
  • sorriso e pianto;
  • speranza e delusione.

Il verso 9 arriva ad una triste conclusione: tutto ciò che ha sognato è stato vano e tra un po’ la morte sopraggiungerà: Carducci era infatti reduce da una malattia e temeva di morire.

Nell’ultima strofa invece si ritorna alla dolcezza iniziale grazie all’enjambement (lontano-pace v. 11-12); si conclude quindi in un modo meno amaro.

Altre poesie

Tra le altre poesie di Carducci comprese in Rime nuove qui analizzate, ci sono:

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Arano, poesia di Pascoli: significato e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/arano-poesia-pascoli-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/arano-poesia-pascoli-parafrasi/#respond Tue, 01 Nov 2022 14:08:31 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40390 La poesia in esame si intitola Arano. È una delle prime entrata a far parte della famosa raccolta Myricae. È stata scritta probabilmente già nel 1885 da Giovanni Pascoli. Il poeta qui immagina di compiere un’ultima passeggiata nella campagna toscana prima di tornare in città. Ci descrive la vita di campagna in quadretti immaginari, fatti di luoghi e persone.

Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli

Il poeta e la raccolta Myricae

Giovanni Pascoli è stato uno dei poeti decadenti più importanti insieme a Gabriele D’Annunzio. La sua vita fu funestata da numerosi lutti che lo segnarono per sempre.

Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855, quarto di dieci figli. Il 10 agosto 1867 il padre venne assassinato in circostanze misteriose; morì poi la madre e altri tre tra fratelli e sorelle. Egli continuò a studiare grazie a borse di studio. Si laureò in Letteratura, che insegnò poi all’università di Bologna.

Insieme alle sorelle cercò di riformare un piccolo nido, rifugiandosi insieme come nuovo nucleo familiare nelle campagne vicino Bologna fino alla morte, avvenuta nel 1912.

Tra le sue raccolte poetiche più importanti ricordiamo:

  • Myricae, pubblicata nel 1891 e ispirata a temi familiari e campestri;
  • Canti di Castelvecchio (1903);
  • Poemi conviviali (1904);
  • Odi e inni (1906);
  • Carmina (poesie in latino)

Myricae fu la prima raccolta poetica vera e propria dell’autore. Conteneva inizialmente solo 22 componimenti, ampliati poi nell’edizione definitiva a 116. Il titolo deriva da una citazione virgiliana:

non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici

Pascoli intende utilizzare queste piante come simbolo delle piccole cose che vuole inserire nelle sue poesie.

I componimenti sono molto brevi e, all’apparenza, sembrano quadretti di vita di campagna: in realtà essi sono carichi di senso misterioso e diventano il simbolo di qualcos’altro: sentimenti e sensazioni.

I temi principali della raccolta poetica sono la morte, la realtà enigmatica e i legami spezzati.

Da un punto di vista stilistico, Pascoli compie una vera rivoluzione: inserisce i suoni attraverso le onomatopee, utilizza il linguaggio analogico e la sintassi frantumata, in antitesi rispetto alle poesie degli autori precedenti.

Arano, testo della poesia

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinnio come d’oro.

Parafrasi

Al campo, dove spicca qualche intensa macchia di colore rosso delle foglie di vite (pampano),
e la nebbia del mattino sembra risalire come un fumo dai cespugli, arano (i contadini):
uno di loro spinge le vacche lente con grida altrettanto lente;
altri stanno seminando;
uno ribatte i rialzi di terra fra i solchi con una zappa leggera (marra paziente);
così che il passero esperto già gode nel suo cuore e guarda tutto dai rami ormai spogli del gelso (sa che tra poco potrà mangiare le sementi);
e il pettirosso: nelle siepi si sente il suo verso sottile come il tintinnio dell’oro.

Seminatore al tramonto (Sower-at-Sunset), quadro di Vincent van Gogh del 1888
Seminatore al tramonto (Sower-at-Sunset), quadro di Vincent van Gogh del 1888

Spiegazione e commento

La poesia “Arano” è un madrigale formato da:

  • due terzine
  • una quartina

con il seguente schema di rime:

ABA CBC DEDE

Apparentemente essa descrive un quadro bozzettistico della campagna emiliana: i contadini stanno arando i campi, alcuni stanno radunando le vacche, altri preparano i solchi per le sementi e vengono tutti descritti oggettivamente.

Ad essi fa da sfondo un paesaggio mattiniero nebbioso che viene inserito nella prima terzina (il colore rosso della vite, la nebbia che sale come se fosse fumo).

Nella seconda terzina sono presenti le descrizioni delle figure umane ovvero i contadini stanno svolgendo i lavori tipici autunnali.

Il verbo “arano” al verso 4 è messo in evidenza poiché si trova ad inizio del verso stesso. Fa parte di un lungo enjambement che ne accentua l’importanza, tanto da dare il titolo alla poesia.

Questo lavoro paziente e lento dei contadini viene descritto con una certa malinconia; essa è data dalla nebbia e dal lessico scelto dall’autore (lente grida, paziente, etc), e da ciò che accade nella terza strofa: gli uccelli già godono del fatto che tra poco potranno mangiare tutti i semi.

La poesia Arano si conclude con la sinestesia del verso 10: il canto del pettirosso viene paragonato al tintinnio dell’oro, al suo luccichio che assume quindi un tono gioioso.

La lirica è di semplice lettura solo apparentemente ma, come tutta la poetica pascoliana, nasconde un significato profondo fatto di suggestioni e sensazioni della vita personale del poeta stesso.

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Il vento scrive, poesia di D’Annunzio: parafrasi e figure retoriche https://cultura.biografieonline.it/il-vento-scrive-parafrasi-analisi/ https://cultura.biografieonline.it/il-vento-scrive-parafrasi-analisi/#comments Thu, 27 Oct 2022 16:20:57 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40420 La poesia Il vento scrive non è una delle più celebri del poeta Gabriele D’Annunzio. Essa fa parte della sezione Madrigali dell’estate della raccolta Alcyone. Non si conosce una data ufficiale circa la composizione dell’opera.

Il vento scrive, poesia di D'Annunzio
Il vento scrive, poesia di D’Annunzio

Il poeta

Gabriele D’Annunzio è uno dei poeti decadenti italiani più famosi in Italia e in Europa. Egli, infatti, non è noto soltanto per essere un celebre scrittore (è autore di romanzi, raccolte di poesie, testi teatrali e giornalistici) ma anche un famoso dandy attivo in tutto il primo Novecento italiano.

Il suo motto era quello di rendere la vita un’opera d’arte: visse intensamente proprio per essere sempre fedele a tale principio.

Egli nacque a Pescara nel 1863 ma fu solo dopo il suo trasferimento a Roma (avvenuto ad appena diciotto anni) che iniziò a frequentare i migliori salotti della capitale e le redazioni giornalistiche. Negli anni Novanta dell’Ottocento si avvicinò alle posizioni dell’Estetismo e maturò in lui l’idea di rendere la sua vita un’opera d’arte: condusse una vita principesca, circondato da oggetti d’arte, ville sfarzose e tantissime amanti (la più famosa fu l’attrice Eleonora Duse).

Nell’immediato primo dopoguerra, D’Annunzio si distinse per le sue posizioni nazionalistiche e portò avanti la marcia su Fiume.

Morì all’età di 75 anni nella sua villa a Gardone, che lui chiamò il «Vittoriale degli Italiani».

La raccolta Alcyione

Per quanto riguarda le sue opere poetiche, Alcyone fa parte del più complesso progetto delle Laudi, che include la maggior parte della sue liriche. Le Laudi restano però incompiute: infatti sono solo cinque i libri completati (Maia, Elettra, Alcyone, Merope e Asterope).

Alcyone ha come tema principale la fusione con la natura e l’evasione: si tratta infatti del diario di una vacanza estiva lungo le coste della Versilia, in cui il poeta finisce con l’identificarsi e fondersi con la natura stessa. Dal punto di vista stilistico, il poeta tocca il suo punto più alto per lo stile suggestivo che ispirerà poi tutti gli altri poeti del Novecento.

Della stessa raccolta fanno parte altre due poesie che abbiamo precedentemente analizzato:

Il vento scrive: testo

Su la docile sabbia il vento scrive
con le penne dell’ala; e in sua favella
parlano i segni per le bianche rive.

Ma, quando il sol declina, d’ogni nota
ombra lene si crea, d’ogni ondicella,
quasi di ciglia su soave gota.

E par che nell’immenso arido viso
della pioggia s’immilli il tuo sorriso.

Parafrasi

Il vento scrive sulla sabbia che si muove dolcemente con le penne dell’ala (è personificato come un dio con le ali); e i segni lasciati sulle spiagge bianche parlano la sua lingua.

Ma, quando il sole tramonta, da ognuno dei segni, da ogni piccola ondulazione lasciata dal vento sulla sabbia, si crea un’ombra lieve come quella di una ciglia sul viso di una donna.

E sembra che nell’immensa aridità della spiaggia il tuo sorriso si moltiplichi infinite volte.

Spiegazione, analisi e commento

La poesia Il vento scrive è un madrigale di endecasillabi, formato da due terzine a rime intrecciate e da un distico a rime baciate con il seguente schema metrico:

ABA CBC DD

Questa poesia è ricca di allusioni e di mistero.

Si parte con la prima strofa in cui l’autore apre con l’immagine di questo dio alato che traccia segni sulla sabbia nella sua lingua misteriosa.

La divinità rappresenta infatti il vento che fa muovere la sabbia stessa, ma regala un senso di mistero.

Nella seconda strofa la sabbia, al tramonto, si muove creando delle ombre che assomigliano a quelle delle ciglia sul volto di una bella fanciulla.

La natura quindi si personifica e diventa umana, come si vede poi nel distico finale: queste increspature ricordano il sorriso di una donna.

Il poeta D’Annunzio utilizza molti termini danteschi: “in sua favella” v.2 termine dell’Inferno dantesco e il neologismo coniato appunto da Dante “s’immilli” che viene utilizzato nel Paradiso.

Sono inoltre presenti numerosi enjambements (v. 1, v.2, v.4 e v.7).

La lirica è breve ma molto suggestiva e delicata. Essa esprime le doti dell’autore di suggerire infinite sensazioni e mostrare la realtà nelle sue forme più segrete.

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Corrispondenze (Baudelaire): analisi del testo e riassunto breve https://cultura.biografieonline.it/corrispondenze-baudelaire-testo-analisi-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/corrispondenze-baudelaire-testo-analisi-riassunto/#comments Thu, 20 Oct 2022 11:16:51 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40393 La poesia Corrispondenze è una delle più significative dell’opera I fiori del male dello scrittore francese Charles Baudelaire. Essa fa parte della prima sezione del libro, Spleen e ideale (Les fleurs du mal, Spleen et idéal).

Charles Baudelaire, autore della poesia Corrispondenze
Charles Baudelaire, autore della poesia Corrispondenze

Charles Baudelaire: il poeta e le sue opere

Baudelaire è stato un grande poeta francese attivo intorno alla metà dell’Ottocento. La sua opera segna il passaggio dal Romanticismo al Decadentismo: egli infatti volle descrivere, mediante un linguaggio simbolico, il lato negativo del mondo moderno in tutti i suoi vizi e la sua corruzione.

L’autore visse una vita dissipata e scandalosa: nacque a Parigi nel 1821 ma, sin da subito, mostrò una propensione alla vita da bohémienne. La sua famiglia, per riportarlo sulla retta via, lo costrinse a fare un viaggio in India ma egli si fermò alle isole Bourbon e tornò indietro.

Da quel momento visse con una piccola rendita e si dedicò alla scrittura, sua grande passione, oltre che alla frequentazione degli ambienti mondani.

Charles Baudelaire morì dopo una lunga malattia, provato dal consumo di oppio, nel 1867.

La sua opera più importante si intitola I fiori del male: la prima edizione venne pubblicata nel 1857 e comprendeva cento poesie divise in cinque sezioni:

  1. Spleen e ideale
  2. I fiori del male
  3. La rivolta
  4. Il vino
  5. La morte

Venne ritenuta talmente scandalosa che fu ritirata e l’autore venne condannato al pagamento di una multa.

L’opera aprì la stagione dei cosiddetti poeti maledetti.

I fiori del male (puoi leggerlo gratis su Amazon) si presenta come una raccolta unitaria di poesie; il titolo è rappresentativo di ciò che è espresso al suo interno: i fiori non sono più il simbolo della bellezza ma vengono associati all’idea del male e della corruzione dell’uomo.

La raccolta rappresenta le fondamenta della poesia moderna perché vengono espressi per la prima volta temi come la morte, l’orrore, il satanismo, con lo scopo di “estrarre la bellezza dal Male”. Insomma, questa raccolta fu un vero e proprio manifesto della rivoluzione poetica.

Corrispondenze: testo della poesia

La Natura è un tempio dove incerte parole
mormorano pilastri che son vivi,
una foresta di simboli che l’uomo
attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari.

Come echi che a lungo e da lontano
tendono a un’unità profonda e buia
grande come le tenebre o la luce
i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi.

Profumi freschi come la pelle d’un bambino,
vellutati come l’oboe e verdi come i prati,
altri d’una corrotta, trionfante ricchezza

che tende a propagarsi senza fine – così
l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzoino
a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.

Il testo originale in francese

La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiars.

Comme de long échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les pafums, les couleurs et les sons se répondent.

Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants,
Doux comme del hautbois, verts comme les prairies,
– Et d’autres, corrompus, riches et triomphants,

Ayant l’expansion des choses infinies,
Comme l’ambre, le musc, le benjoin et l’encens,
Qui chantent les transports de l’esprit et des sens.

Parafrasi

La Natura è come un tempio dove i pilastri sono vivi ed emanano parole confuse;

l’uomo la attraversa tra foreste ricche di simboli nelle quali si trova qualcosa di familiare.

Esiste una corrispondenza tra i profumi, i colori e i suoni che si confondono da lontano in un insieme profondo e tenebroso, come la notte che si mischia alla luce.

Vi sono profumi freschi come l’incarnato di un bambino, come il dolce suono dell’oboe e il verde delle praterie.

E ce ne sono altri corrotti, ricchi e trionfanti che producono forti sensazioni come l’incenso, l’ambra, il muschio e la resina balsamica, ed esprimono le passioni dell’anima e dei sensi.

Corrispondenze, poesia di Baudelaire
Foto: Aforismi.meglio.it, sito dove puoi leggere le più belle frasi di Baudelaire

Spiegazione, analisi e commento

La poesia Corrispondenze fa parte della prima sezione del libro I fiori del male, che si chiama Spleen e ideale: il testo originale era in versi alessandrini, tradotti in italiano con 17 endecasillabi uniti in un’unica strofa.

Questa poesia racconta la visione del mondo del poeta: egli è l’unico che riesce a cogliere le corrispondenze tra le cose della natura e l’interiorità dell’uomo.

Ha una sensibilità diversa, si presenta come un veggente che deve rivelare il mistero delle cose.

La poesia infatti descrive come la Natura racconti qualcosa agli uomini attraverso un linguaggio poco comprensibile: ci sono molti simboli che contengono però qualcosa di familiare.

La poesia si apre con una metafora in cui la Natura stessa viene paragonata ad un tempio.

Esiste poi una corrispondenza misteriosa tra i profumi e i colori che riportano a qualcosa di oscuro.

Baudelaire utilizza diversi piani per descrivere queste corrispondenze (versi 10-14):

  • l’olfatto – il profumo di bimbo);
  • l’udito – il dolce suono dell’oboe;
  • la vista – il verde delle praterie.

Sono tutte sinestesie in quanto accostano piani sensoriali differenti.

Tutte le forme naturali diventano così il simbolo di una realtà misteriosa e autentica: per capirla è necessario che l’uomo non si fermi alla superficie delle cose ma scavi più a fondo.

La poesia si chiude poi con la descrizione di quelle sensazioni che si collegano ad atmosfere di corruzione e ricerca del piacere:

  • incenso;
  • ambra;
  • benzoino – una resina balsamica.

Il linguaggio è evocativo: non è più razionale e non descrive la realtà in maniera oggettiva, ma diventa allusivo e misterioso.

La poesia Corrispondenze, così come tutta la poetica di Baudelaire, non è di facile e immediata comprensione. Tuttavia attraverso essa è possibile immergersi nel mondo e nell’anima del poeta stesso, grazie alla straordinaria descrizione delle sensazioni e delle allusioni.

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La sera fiesolana: testo e parafrasi della poesia di D’Annunzio https://cultura.biografieonline.it/sera-fiesolana-testo-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/sera-fiesolana-testo-parafrasi/#comments Mon, 17 Oct 2022 16:47:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40334 La lirica La sera fiesolana fu scritta nel giugno del 1899 da Gabriele D’Annunzio: appartiene alla raccolta Alcyone. Si tratta di una delle sue liriche più famose; insieme a La pioggia nel pineto, fa parte di un’unica raccolta che racchiude le sensazioni e le descrizioni di un’ideale vacanza estiva, vissuta tra Marina di Pisa e la Versilia.

L’autore 

Gabriele D’Annunzio è stato uno dei più grandi autori del primo Novecento italiano. La sua stessa vita può considerarsi una vera e propria opera d’arte, vissuta seguendo le passioni e i principi dell’Estetismo e del Decadentismo, movimenti a cui l’autore si avvicina.

Egli nacque a Pescara nel 1863; sin da ragazzo scrisse poesie e a 18 anni si trasferì a Roma dove iniziò a frequentare tutti i salotti mondani.

In quegli anni aderì all’Estetismo e al concetto dì superuomo: mirava a creare un’immagine di uomo eccezionale anche nella vita reale oltre che nelle sue opere.

Scrisse molti romanzi, tra cui Il piacere (1889), opere teatrali come La figlia di Iorio (1904), sette libri di liriche intitolate Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi (rimasti incompiuti) e Notturno, appartenente all’ultima fase della sua vita.

Gabriele D'Annunzio
Gabriele D’Annunzio

La sera fiesolana: la lirica 

La poesia appartiene alla raccolta Alcyone; venne pubblicata del novembre del 1899 sulla rivista Nuova Antologia e poi inserita nel terzo libro delle Laudi.

Il tema dominante della raccolta è la fusione con la natura e una sensazione di evasione: il poeta descrive infatti le sensazioni e i panorami dell’estate trascorsa nella sua amata Versilia.

I versi sono stati scritti nella residenza dannunziana chiamata La capponcina, una villa situata nel comune di Settignano, vicinissimo a Fiesole. Fiesole oggi è un comune toscano, parte della città metropolitana di Firenze.

Le poesie seguono l’ordine della stagione estiva, da giugno fino al declino di settembre.

Da un punto di vista formale le poesie sono ricche di musicalità e di analogie; il tema centrale è il rapporto con la natura e l’immedesimazione in essa (panismo). 

La poesia in esame, La sera fiesolana, è composta da tre lunghe strofe di 14 versi ciascuna, intervallate da riprese di tre versi ciascuna.

Non c’è uno schema fisso delle rime e del tipo di versi utilizzati. 

Alcyone
Alcyone – Una copertina dell’opera di Gabriele D’Annunzio

Il testo completo

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.

Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,

su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e su ’l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su ’l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!

Io ti dirò verso quali reami
d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l’ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s’incùrvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire

e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

La sera fiesolana: rami di un albero di gelso, pianta evocata nel testo
La sera fiesolana: rami di un albero di gelso, pianta evocata nel testo

Parafrasi

Le mie parole siano per te come il fruscio delle foglie del gelso, che un contadino coglie silenzioso a sera, e ancora si rallenta sulla scala che si staglia contro il fusto dell’albero con i rami spogli, mentre la luna sta per emergere dalle soglie azzurre del cielo, il cui chiarore si distende come un velo nella compagna dove giace anche il nostro sogno e sembra che la campagna si senta già sommersa dal gelo notturno e assorba come una bevanda la pace senza però vederla. 

O sera, tu sia lodata per il tuo viso del colore della perla, e per i tuoi occhi dove si nasconde l’acqua del cielo. 

In questa serata le mie parole ti siano dolci come il ticchettio della pioggia, calda e rapida, pianto della primavera che si accomiata, sui gelsi, sugli olmi, sulle viti, sulle pigne novelle che sembrano dita che giocano con vento, e sul grano che non è ancora maturo ma non è più verde, e sul fieno già tagliato che sta scolorendo, e sugli ulivi, fratelli, che rendono le colline pallide come santi e sorridenti. O sera, sia lodata per le tue vesti profumate, e per la cintura che ti cinge come il ramo del salice cinge il fieno che profuma. 

Io ti racconterò verso quali regni d’amore ci invita il fiume, le cui fonti perenni si stagliano all’ombra dei rami e raccontano il mistero dei monti sacri e ti racconterò per quale segreto le colline si curvano verso gli orizzonti come delle labbra chiuse da un divieto, e perché la volontà di rivelare il loro segreto le renda belle oltre ogni desiderio umano e nel loro silenzio saranno comunque consolatrici così che sembri che ogni sera l’anima le possa amare di un amore più forte. 

O sera, sia lodata per la tua morte pura e per l’attesa che in te fa luccicare le prime stelle. 

Spiegazione e commento

Questa poesia descrive una sera di giugno, quando la primavera ha ormai lasciato il posto all’estate.

Le tre strofe rappresentano tre momenti diversi della sera:

  1. il tardo pomeriggio;
  2. la sera vera e propria;
  3. l’arrivo della notte.

Il poeta si rivolge ad un tu indefinito, probabilmente la donna amata.

Ogni strofa è indipendente dalle altre.

  • Nella prima il poeta evoca il sorgere della luna, si inizia a diffondere il gelo notturno come un liquido fresco;
  • nella seconda le parole si trasformano in un suono grazie agli accenti e alle rime; si chiude con la figura religiosa dell’ulivo;
  • nella terza il tema centrale è la sensualità, perfino le colline diventano una figura femminile.

Ricorre l’anafora “laudata sii” ripresa dal Cantico delle creature di San Francesco d’Asssisi, qui rivisto in chiave laica (come l’appellativo attribuito agli ulivi che vengono definiti fratelli).

Molte sono le metafore e le similitudini (v.18, v. 15) i francesismi (bruiva v. 19), le personificazioni (la sera, le colline).

La sera fiesolana è una poesia complessa e molto suggestiva che rappresenta pienamente l’estetismo dannunziano e l’immedesimazione nella natura.

Essa termina proprio con un’immagine di sensualità che mette al centro della poesia proprio l’amore, nella sua forma di bellezza sublime.

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Nebbia, analisi del testo della poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/nebbia-poesia-analisi/ https://cultura.biografieonline.it/nebbia-poesia-analisi/#comments Fri, 07 Oct 2022 09:47:29 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40232 La poesia Nebbia non è una delle più note del poeta Giovanni Pascoli, ma è forse una delle più rappresentative della sua poetica. L’autore in queste rime descrive la nebbia che avvolge tutte le cose: non è un problema per lui, anzi, gli impedisce di vedere quelle che sono a lui più lontane, come il suo passato doloroso. Essa gli permette inoltre di rifugiarsi nel suo “nido” semplice e familiare.

Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli

L’autore e la poetica

Giovanni Pascoli è uno dei principali esponenti del Decadentismo, insieme a Gabriele D’Annunzio. Egli visse una vita funestata da molti lutti familiari, che inevitabilmente cambiarono il suo modo di vedere le cose, oltre a lasciare un segno profondo dentro l’animo.

Fu professore universitario di Letteratura Italiana e scrisse poesie per tutto l’arco della vita.

Per Pascoli vivere corrisponde a soffrire: per questo la cosa migliore è cercare la felicità nelle piccole cose della vita quotidiana; il poeta diventa un fanciullino, che riesce a vedere tutto con meraviglia, proprio come fosse la prima volta.

Le piccole cose assumono poi un significato simbolico per Pascoli: diventano quindi il segno di un’emozione o un sentimento. Il modo migliore per vivere serenamente è rifugiarsi nel nido, negli affetti familiari.

Nebbia: paesaggio nella nebbia
Un paesaggio nella nebbia

Nebbia: testo completo della poesia

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valerïane.

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!

Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane…

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.

Parafrasi

Nascondi le cose lontane, tu nebbia immateriale e di colore grigio pallido, tu fumo che ancora scaturisci dalla terra, all’alba, come residuo dei lampi della notte e dei tuoni dei temporali!

Nascondi le cose lontane, allora nascondimi anche i ricordi dolorosi del mio passato! Fa’ in modo che io veda soltanto la siepe del mio orto, il muro di cinta che ha le crepe piene di valeriana.

Nascondi le cose lontane: quelle cose che sono piene di lacrime! Fa’ in modo che io veda solo i due peschi, i due meli che procurano le dolci marmellate per il mio pane scuro.

Nascondi le cose lontane che vogliono che io le ami ancora e che vada da loro! Che io veda solo quel tratto della bianca strada che conduce al cimitero, che un giorno dovrò percorrere tra il suono lento delle campane a morto.

Nascondi le cose lontane, nascondile, allontanale dal mio cuore che potrebbe sentirne il desiderio! Che io veda il cipresso là, solo, qui solo quest’orto vicino al quale sonnecchia il mio cane.

Analisi e commento

La poesia è composta da cinque strofe di sei versi (novenari, ternario e senario); lo schema metrico è ABCBCA.

Ci sono molte figure retoriche: in primis l’anafora (ripetizione) dell’incipit “Nascondi le cose lontane” all’inizio di ogni strofa, ma anche la formula “ch’io veda” che viene ripetuta al v. 9-15-21-27.

La nebbia viene descritta come una persona (personificazione v. 2-3); si trova poi un’onomatopea (don don di campane v. 24), molti enjambement e allitterazioni (v. 1-2 e v.26).

La poesia fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Flegrea e venne inserita nella raccolta Canti di Castelvecchio (1903).

Nebbia è la poesia emblema dell’esaltazione del “nido”: la nebbia diventa quell’espediente che impedisce al poeta di vedere ciò che è più distante dalla sua casa di campagna, implica la necessità di chiudersi nel nido e di sfuggire ai pericoli della vita.

L’unica cosa che l’autore vuole vedere sono i cipressi e la strada bianca che porta al cimitero: è il luogo che egli stesso un giorno dovrà percorrere.

Ciò che gli regala serenità è proprio la sua vita semplice, di campagna, quella che la nebbia mostra allontanando il dolore delle cose passate.

È una poesia ricca di malinconia ma che incarna perfettamente lo stile e le emozioni del poeta Giovanni Pascoli.

Esiste un’altra poesia dello stesso autore con un titolo simile: “Nella nebbia”, che fa parte della raccolta “Primi poemetti” (1897).

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