Opere di Pirandello Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Sun, 23 Oct 2022 07:57:06 +0000 it-IT hourly 1 Il naso di Moscarda: sintesi, spiegazione e riassunto https://cultura.biografieonline.it/naso-di-moscarda-sintesi-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/naso-di-moscarda-sintesi-riassunto/#respond Sun, 23 Oct 2022 07:19:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40278 Il brano ricordato come “Il naso di Moscarda” fa parte dell’inizio del romanzo Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, pubblicato nel 1926. Esso riassume uno dei momenti fondamentali che cambierà per sempre la vita del protagonista. Il giovane benestante Vitangelo Moscarda, di 28 anni, viene sconvolto a causa di una semplice osservazione della moglie: il suo naso pende verso destra.

Questo banale avvenimento rappresenterà per lui un punto di svolta e gli provocherà una crisi esistenziale, le cui conseguenze sono narrate nel romanzo.

Uno nessuno e centomila, Pirandello
Sulla sinistra: una foto di Luigi Pirandello. Sulla destra: la copertina di un’edizione di “Uno, nessuno e centomila

L’autore e la poetica

Luigi Pirandello è uno degli autori più importanti del Novecento italiano. A lui venne conferito il premio Nobel per la Letteratura nel 1934. Scrisse numerose opere, tra queste i romanzi Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila; la raccolta di novelle Novelle per un anno e Maschere nude, raccolta delle sue numerose opere teatrali.

Pirandello si fa portavoce della crisi dell’uomo contemporaneo: per lui è impossibile conoscere la realtà con certezza perché non esiste una sola verità ma tante molteplicità che ognuno interpreta a suo modo.

L’uomo non riesce a riconoscere neppure sé stesso: non è più “uno” ma si accorge di essere percepito dagli altri in “centomila” modi diversi, ma egli non si riconosce in “nessuno” di essi.

L’uomo quindi indossa una maschera, interpreta cioè il suo ruolo nella società ma alla fine si accorge di essere solo e quindi si sente “nessuno”.

I grandi temi affrontati da Pirandello sono la solitudine e l’esclusione, dei quali l’unico rimedio è la follia: attraverso essa, secondo l’autore, l’uomo si libera dalle costrizioni della società e riesce a vivere secondo la sua vera natura.

Il naso di Vitangelo Moscarda

Il protagonista del libro e dell’episodio che viene qui esaminato è Vitangelo Moscarda, un ragazzo che vive la sua vita borghese insieme alla moglie.

Un giorno, mentre si trova allo specchio osservando la sua narice, la moglie gli fa notare che il suo naso pende verso destra.

Alla scoperta di questo difetto, che non aveva mai visto, egli si innervosisce.

La moglie allora prosegue elencandogli altri suoi difetti:

  • le sopracciglia creano degli archi circonflessi,
  • le orecchie sono attaccate male e non sono allineate,
  • la gamba destra è leggermente più arcuata dell’altra… e così via.

Dopo averli esaminati tutti, Vitangelo Moscarda li riconosce ma la moglie lo rassicura di essere un bell’uomo, nonostante tutto.

Il naso i difetti degli altri

Da quel giorno egli inizia a chiedere ai suoi conoscenti se anche loro avessero percepito il difetto del naso: tutti, compresi i suoi amici, sono sbalorditi dal fatto che non se ne fosse accorto prima; quasi lo prendono in giro e lo deridono.

Ormai nella sua testa c’è un solo pensiero fisso: egli non è quello che ha sempre pensato di essere.

Inizia quindi a far notare anche ai suoi amici i loro difetti, in particolare ad un conoscente che il mento non era diviso equamente dalla fossetta: anche il suo amico quindi inizia ad osservare il proprio aspetto fisico e riconosce che Vitangelo ha ragione.

Da quel momento è come se tutte le persone del paese avessero iniziato a guardarsi meglio, riconoscendo alcune caratteristiche fisiche mai notate in precedenza.

Il brano “Il naso di Moscarda” si conclude con un conoscente che fa notare a Vitangelo una caratteristica dei suoi capelli che lui non aveva mai notato prima.

La follia e la vera natura

Queste riflessioni spingono il protagonista a percepire la sua vita in modo diverso: egli inizia a riflettere su suo padre, di professione banchiere, ma che ha capito fosse un usuraio.

Siccome ha ereditato la professione e la banca da lui, si rende conto di essere usuraio egli stesso.

Inizia quindi a compiere degli atti che vengono considerati di vera follia dagli altri: prima fa credere a due persone di volerle sfrattare e poi gli regala una casa; ritira poi il proprio capitale dalla banca che lui stesso gestisce.

Un’amica della moglie lo avverte che lo stanno per dichiarare non sano di mente: lui le confida tutti i suoi pensieri e lei inaspettatamente cerca di ucciderlo.

La donna confessa ma Vitangelo vuole farla scagionare, raccontando al processo che si è trattato di un incidente.

Alla fine egli viene rinchiuso in un ospizio ma si sente libero e accetta la sua condizione di escluso dalla vita e dal mondo.

Spiegazione

Vitangelo, dopo questa improvvisa scoperta sul suo naso, non riesce più a vivere la sua vita di prima, entrando in una crisi esistenziale.

Egli non si vede come lo vedono gli altri, che lo percepiscono in centomila modi diversi e non si sente più nemmeno uno.

Per cercare di uscire da questa situazione compie delle azioni che portano gli altri a credere che lui sia completamente pazzo.

Alla fine si ritira nell’ospizio, accettando il fatto di essere “nessuno”.

Solo distruggendo il proprio passato e l’immagine che gli altri hanno sempre avuto di lui, egli recupera la sua salute: non è più nessuno ma vive libero dagli schemi e gli obblighi che la società impone.

Il testo è ricco di sottile umorismo e pessimismo. Il linguaggio utilizzato da Pirandello è un misto tra parole dialettali siciliane e italiano, con anche termini specialisti e tecnici.

Inoltre sono presenti molti monologhi interiori, in cui il personaggio esprime pienamente il suo pensiero dialogando con sé stesso.

Lo stesso titolo del romanzo Uno, nessuno e centomila diventa così il simbolo dell’ideologia di Pirandello, che meglio riassume tutto il suo pensiero.

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Ciàula scopre la luna, novella di Pirandello: riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/ciaula-scopre-la-luna-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/ciaula-scopre-la-luna-riassunto/#respond Wed, 15 Jun 2022 06:34:53 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25365 Ciàula scopre la luna” è il titolo di una della “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello. Una collezione di oltre duecentocinquanta storie scritte dal premio Nobel siciliano fra il 1884 e il 1936. Della collezione fa parte anche la novella La giara, trattata in un precedente articolo. Il tema della novella che andiamo ad analizzare qui, si potrebbe sintetizzare con le parole: la grandezza della natura rivelata.

Ciàula scopre la luna
Ciàula scopre la luna

Trama: la miniera, la “cornacchia” e l’estatica scoperta

Lo sfondo di questa novella è un miniera di zolfo in Sicilia. Nella miniera si muovono indefessi decine di lavoratori sotto l’occhio severo del sorvegliante Cacciagallina. Fra i lavoratori ci sono anche Zi’ Scarda e Ciàula.

Ciàula è soprannominato così perché emette un verso simile a quello delle cornacchia (ciàula nel dialetto siciliano) si riferisce in tutto e per tutto a Zi’ Scarda. Questi fa e disfa a suo piacimento del […] suo caruso (bambino in siciliano), che aveva più di 30 anni (e poteva averne anche 7 o 70, scemo com’era), approfittando della sua ingenuità ai limiti della menomazione mentale.

Accade che il lavoro alla miniera non è compiuto al solito orario di uscita e, così, Cacciagallina intima i lavoratori ad un turno di notte. La maggior parte degli operai disattende questa incitazione fatta eccezione proprio per Zi’ Scarda con annesso Ciàula che non oppone alcuna resistenza. Il caruso si prepara a lavorare come un mulo, ma in cuor suo sa che qualche cosa è differente dal lavoro giornaliero: adesso ad attenderlo alla risalita dalla miniera non sarà il solito sole accecante.

Cosa strana; della tenebra fangosa delle profonde caverne […] Ciaula non aveva paura; né paura delle ombre mostruose, che qualche lanterna suscitava a sbalzi lungo le gallerie […] toccava con la mano in cerca di sostegno le viscere della montagna: e ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno. Aveva paura, invece, del bujo vano della notte.

Ciàula carico come un mulo, col suo sacco di zolfo sulle spalle, intraprende la risalita e quello sforzo gli allontana il pensiero dall’incombente incontro con la vacuità della notte. Quando però il buio si avvicina, tutto cambia.

La paura lo aveva assalito […] Si era messo a tremare […] Il bujo, ove doveva esser lume, la solitudine delle cose che restavan lì con un loro aspetto cangiato e quasi irriconoscibile, quando più nessuno le vedeva, gli avevano messo in tale subbuglio l’anima smarrita, che Ciaula s’era all’improvviso lanciato in una corsa pazza […].

Ciàula scopre la luna

In un climax ascendente di narrazione e sensazioni, arriviamo al confronto con il buio e alla scoperta della Luna in cielo. Avviene, grazie alla penna di Pirandello, in un passaggio della letteratura perfetto, in fatto di parole ed emozioni mescolate mirabilmente.

Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Si, egli sapeva cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciaula, che in cielo ci fosse la Luna?
[…]

Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… […] E Ciaula si mise a piangere senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.

Commento all’opera

Ciàula, l’assenza di consapevolezza per restituire la bellezza della natura

La trama è semplice e il commento è tutto direzionato, certamente, alla critica relativa alle condizioni lavorative nel Meridione alla fine dell’Ottocento. Una macchina mangia uomini che poco tempo perdeva a discernere per età o per caratteristiche mentali. Tutte le braccia erano braccia buone, persino quelle di Ciàula.

Eppure la scelta di Pirandello di questo particolare protagonista si fa sostegno primario alla narrazione. Proprio l’assenza di consapevolezza di Ciaula sarà il giusto campo dove seminare lo stupore per la natura tutta. Un’operazione che riesce alla perfezione in doppio rimbalzo. In primis, nel piccolo discorso, cioè, del lavoratore che sempre fatica a testa bassa e nell’oscurità del suo antro per poi sconvolgersi completamente alla vista della Luna, al punto da rispondere subitaneamente con una riflessione indiretta di grande portata filosofica.

La scoperta della Luna, cioè, eleva Ciaula da bestia lavoratrice ad essere umano capace di stupirsi e piangere. Ciàula si sente piccolo in confronto alla Luna ignara delle umane vicende. E così la scelta pirandelliana compie un passo in più parlando all’intera umanità come solo la letteratura eterna sa fare.

In poche pagine tutti siamo Ciàula, nelle nostre limitazioni mentali e sensoriali, nelle gabbie della nostra vita quotidiana. E come Ciàula piangiamo alla scoperta di appartenere a qualcosa di più grande e più magico. Con Ciàula andiamo in estasi nel perdere la nostra dimensione di semplici bestie lavoratrici per spingerci, in quanto e infine, parte di essa stessa, al cospetto della grandezza della natura tutta che si rivela a noi, violenta e totalizzante da lasciar senza parole.

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L’uomo dal fiore in bocca, opera di Pirandello https://cultura.biografieonline.it/uomo-dal-fiore-in-bocca-pirandello/ https://cultura.biografieonline.it/uomo-dal-fiore-in-bocca-pirandello/#respond Fri, 02 Aug 2019 06:01:54 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26774 In questo spazio vogliamo dedicarci al testo teatrale scritto nel 1923 da Luigi Pirandello: “L’uomo dal fiore in bocca”. Si tratta di un atto unico, breve ma intenso, carico di emotività e drammaticità. Si colloca successivamente ad altre celebri opere dell’autore siciliano, quali Sei personaggi in cerca d’autore, Così è (se vi pare) o La Giara.

Uomo dal fiore in bocca

L’uomo dal fiore in bocca: riassunto dell’opera

La scena della novella/commedia si svolge in un caffè di una piccola stazione di provincia. Un posto misero, spoglio, dove due uomini conversano a tarda notte.

Gli argomenti della conversazione dei due personaggi sono basati sulla quotidianità: dalle compere di cui sono incaricati dalle rispettive mogli, al treno perso per un minuto di ritardo. E ancora: l’arte con cui i commessi fanno i pacchetti per confezionare gli oggetti acquistati nei negozi.

Il dialogo iniziale

“Ah, lo volevo dire! Lei dunque un uomo pacifico è… Ha perduto il treno?

L’avventore: Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.

L’uomo dal fiore: Poteva corrergli dietro!

L’avventore: Già. E` da ridere, lo so. Bastava, santo Dio, che non avessi tutti quegli impicci di pacchi, pacchetti, pacchettini… Più carico d’un somaro! Ma le donne – commissioni… commissioni… – non la finiscono più. Tre minuti, creda, appena sceso di vettura, per dispormi i nodini di tutti quei pacchetti alle dita; due pacchetti per ogni dito.

L’uomo dal fiore: Doveva esser bello! Sa che avrei fatto io? Li avrei lasciati nella vettura.

L’avventore: E mia moglie? Ah sì! E le mie figliuole? E tutte le loro amiche?

L’uomo dal fiore: Strillare! Mi ci sarei spassato un mondo.

L’avventore: Perché lei forse non sa che cosa diventano le donne in villeggiatura!

L’uomo dal fiore: Ma sì che lo so. Appunto perché lo so.

Dicono tutte che non avranno bisogno di niente.”

I personaggi e la storia

In particolare, tra i due uomini, c’è quello più predisposto alla chiacchiera che parla in continuazione; mentre l’altro ascolta parlando raramente, quando riesce ad inserirsi nel discorso. Quindi viene rappresentato più un monologo che un dialogo vero e proprio.

Poi dal dialogo banale il discorso fa emergere il dramma quando il primo personaggio, l’uomo dal fiore in bocca, rivela all’altro che è affetto da un epitelioma: si tratta di un tumore della bocca, male che lo condannerà a morte nel giro di poco tempo.

Egli racconta di questo male descrivendolo con dovizia di particolari; questo male dal nome dolce che potrebbe benissimo adattarsi ad un fiore; ma che invece di un fiore è un tumore maligno che si trova sul suo labbro e che lo costringe a pochi mesi di vita.

L’uomo spiega al suo interlocutore che è un ottimo osservatore e se mentre i conoscenti gli riportano alla mente il suo stato di vita, gli estranei no; così li osserva e ha la sensazione di sentirsi libero di immaginare la sua vita senza quella condanna a morte e alla sua illusoria volontà di vivere.

In questo modo sfugge anche alla moglie, per lo stesso motivo. L’uomo la respinge e lei lo segue nell’ombra per stargli vicino; ma il marito vuole scacciare il passato, i ricordi e la stessa vita.

Finale

I due uomini si congedano; prima però l’uomo dal fiore in bocca raccomanda all’avventore sconosciuto di raccogliere un

cespuglietto di erba su la proda, ne conti i fili per me…Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona notte caro signore.

Lo stile della novella: analisi e commento

Il lessico e la sintassi ne “L’uomo dal fiore in bocca” non danno volutamente carica espressiva alla prosa. L’espressività si coglie invece dal ritmo dei periodi, dando anche pause e accensioni improvvise.  

Con questa novella Pirandello affronta il dilemma di come l’uomo si pone davanti alla morte. L’autore evidenzia come cambia in maniera radicale il modo di vedere il mondo, la propria vita e quella degli altri. Anche piccoli avvenimenti scontati assumono un’importanza vitale.

Per quanto riguarda i due protagonisti, c’è l’uomo comune, che rappresenta la normalità con i suoi problemi di routine e le sue preoccupazioni banali, offuscato dalla banalità del vivere quotidiano, che è rappresentato dall’avventore. L’altro personaggio si contrappone all’avventore: l’uomo dal fiore in bocca vive con la consapevolezza che è destinato a morire.

È diventato capace di elevarsi e di avere la capacità di penetrare l’essenza dell’esistenza, comprendendo quanto sia futile la vita quotidiana e borghese.

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello

Breve note biografiche su Luigi Pirandello

Drammaturgo, scrittore e poeta siciliano, nel 1934 venne conferito a Luigi Pirandello il Premio Nobel per la letteratura: nacque il 28 giugno 1867 a Girgenti (denominata poi Agrigento). Grazie all’incoraggiamento della madre, Caterina Ricci Gramitto, Luigi manifestò sin da ragazzino la sua passione per la letteratura. È nel 1889 che scrisse i suoi primi versi: “Mal Giocondo” e poi nel 1891 “Pasqua di Gea”, una raccolta dedicata all’amata Jenny Schulz-Lander, di cui, a Bonn, si innamorò.
Per approfondire: biografia di Luigi Pirandello.

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La giara, di Luigi Pirandello: riassunto e commento alla novella brillante sul tema del possesso https://cultura.biografieonline.it/la-giara-pirandello/ https://cultura.biografieonline.it/la-giara-pirandello/#comments Mon, 22 Oct 2018 08:45:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25377 La giara è una delle numerose novelle scritte da Luigi Pirandello. In particolare, questa fu scritta nel 1906 per divenire poi una commedia nel 1916 ed essere inclusa, infine, nelle “Novelle per un anno” del 1917. In modo brillante, “La giara” di Pirandello racconta la disavventura di Don Lolò Zirafa. Zirafa è un proprietario terriero, ancorato saldamente ai propri possedimenti e pronto sempre ad andare allo scontro con chiunque per difenderli.

La Giara - Pirandello - riassunto

La giara, trama e riassunto

La storiella si svolge nel periodo della raccolta delle olive e quindi della produzione dell’olio. Proprio per la conservazione dell’olio, Zirafa si procura, al prezzo di quattr’onze, una grande e panciuta giara. In attesa di essere utilizzata, una volta arrivata nella proprietà, la giara viene riposta nel palmento. Fra stupore e timore, tre lavoranti di Don Lolò scoprono la mattina seguente che il contenitore si è spaccato.

Superato il primo momento di smarrimento per l’acquisto andato in malora, sotto il consiglio dei suoi collaboratori, Don Lolò chiama in aiuto l’artigiano Zi’ Dima. Questi, infatti, non solo si occupa di riparazione di otri e contenitori di terracotta ma, in più, sostiene di aver creato e brevettato un mastice miracoloso. Un prodotto che, da solo avrebbe senz’altro risolto il problema della nuova giara. Se non che Don Lolò, incredulo e malfidato, inizia ad insistere con l’artigiano a ché comunque dia alla giara dei punti con il fil di ferro.

Dopo una breve discussione, Zirafa ha la meglio e Zi’ Dima si mette a lavoro. Prima il silicone, poi i punti. Per farlo entra nella giara e inizia a cucire con l’aiuto di un contadino. A lavoro finito, la tragicomica rivelazione: Zi’ Dima non riesce più a venire fuori dalla giara.

Imprigionato, imprigionato lì, nella giara da lui stesso sanata, e che ora – non c’era via di mezzo – per farlo uscire, doveva esser rotta daccapo e per sempre.

Come Don Lolò perse la sua giara

Viene quindi chiamato Don Lolò che, pur su tutte le furie, come sua abitudine in caso di contrasto con altrui ragioni, prende la mula e si reca dall’avvocato. Questi non trattiene le risate, per il racconto della triste vicenda quanto per la richiesta, alquanto bislacca, di Don Lolò.

E lui, don Lollò, che pretendeva? Te… tene… tenerlo là dentro… ah ah ah… ohi ohi ohi … tenerlo là dentro per non perderci la giara?

Don Lolò torna a casa sconsolato e va dritto da Zi’Dima per stipulare un accordo: lui gli pagherà il lavoro, ma in cambio sarà risarcito di un terzo del valore della giara giacché a causa dell’incuria dell’artigiano dovrà distruggerla per liberarlo. Zi’ Dima è irremovile.

<<Io, pagare?>>, sghignò Zi’ Dima. <<Vossignoria scherza! Qua dentro ci faccio i vermi>>.

Don Lolò aveva già gettato la paga dentro la giara, come anche si era assicurato che l’artigiano avesse da bere e da mangiare, altro non fosse per non mettersi nel torto. Ma Zi’Dima investe la paga in osteria e se la spassa con tutti i contadini, fumando e bevendo, alla faccia del padrone.
La notte trascorre così, in festa per i contadini e Zi’Dima.
Al risveglio la conclusione tanto attesa. Zirafa pone fine alla ridicola situazione.

[…] si precipitò come un toro infuriato e, prima che quelli avessero tempo di pararlo, con uno spintone mandò a rotolare la giara giù per la costa. Rotolando, accompagnata dalle risa degli ubriachi, la giara andò a spaccarsi contro un ulivo.
E vinse Zi’ Dima.

Da Verga a Pirandello: il ritorno della “roba”

Affonda nel Verismo verghiano, ma appartiene al racconto della Sicilia di fine Ottocento. La “roba” è il possedimento esterno che genera il valore interiore. Avere terra per la cultura del tempo era il biglietto verso il rispetto e la dignità. Questo spiega l’attaccamento morboso dei personaggi di Giovanni Verga, vinti e non.

Pirandello, a distanza di cinquant’anni o poco più, rispolvera il tema per farne commedia e oggetto di scherno. Don Lolò, infatti, è spogliato dai valori del sacrificio e dell’onore di memoria verghiana, ma è rappresentato con un taccagno, burbero, capace di ricorrere all’avvocato per pochissimi denari. A lui, infatti, in questa svolta pirandelliana del tema si oppone Zi’ Dima, certo vecchio, ma dotato di ingegno e legittimato nella sua azione – che pur vedrà risvolti comici – dall’essere lavoratore.
E se Verga volge tutto in pessimismo, Pirandello, in teatro e fuori, manda tutto in commedia; e per la felicità dei non possidenti manda la giara in frantumi.

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Sei personaggi in cerca d’autore (Pirandello): riassunto https://cultura.biografieonline.it/riassunto-sei-personaggi-in-cerca-d-autore/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-sei-personaggi-in-cerca-d-autore/#comments Tue, 07 Apr 2015 11:56:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13942 Una delle commedie drammatiche più conosciute di Luigi Pirandello è Sei personaggi in cerca d’autore. L’opera è stata rappresentata e pubblicata a Firenze nel 1921, senza l’esito sperato. Solo nel 1925 è uscita un’edizione definitiva, in cui l’autore si prodigò ad aggiungere una prefazione nella quale chiariva la genesi, gli intenti e le tematiche fondamentali della sua opera.

Pirandello - Sei personaggi in cerca d'autore
Luigi Pirandello – Sei personaggi in cerca d’autore

Sei personaggi in cerca d’autore: trama e riassunto

Il dramma di Pirandello ha inizio con la visione di un palcoscenico apparentemente in corso di allestimento, che permetterà a sei personaggi di raccontare le loro storie proprio mentre degli attori stanno provando il secondo atto di un’opera teatrale di Luigi Pirandello ovvero “Il giuoco delle parti“. I sei personaggi nella commedia si sostituiscono agli attori. Si tratta di persone comuni ovvero: il Padre, la Madre addolorata, la Figlia selvaggia (Figliastra), il Figlio, un Giovinetto e una Bambina. Il direttore-capocomico, inizialmente indispettito dall’interruzione delle prove, si lascia poi convincere dai sei personaggi che vogliono raccontare il loro vissuto anche se in maniera piuttosto confusa e caotica.

La madre

La prima a raccontarsi è la Madre che racconta la sua storia. Dopo alcuni anni di matrimonio con il padre e la successiva nascita del figlio, la donna dopo la separazione, ha voluto cambiare strada e iniziare un nuovo rapporto con il segretario del marito, con il quale ha successivamente concepito altri tre figli: la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina.

La donna racconta però che, dopo la morte del suo nuovo compagno, la famiglia vive di stenti e quindi, per mantenere lei e i suoi figli, si vede costretta a lavori di cucito nella sartoria di Madama Pace, che in realtà si rivela essere una casa di appuntamenti. Madama Pace non compare mai sul palco ma è descritta dall’autore come una donna grassa ed appariscente, che presenta capelli di lana color carota adornati da una rosa fiammante e abbigliata da un abito di seta rossa.

Il padre

Il Padre racconta della delusione recata dall’abbandono e dalla separazione dalla moglie, ma è un personaggio che non perde mai l’entusiasmo, ha sempre un occhio di riguardo anche verso il nuovo nucleo familiare della ex moglie e si cura di tutto quello che succede attorno. La storia continua con moltissimi colpi di scena e scottanti rivelazioni.

La figliastra

La Figliastra è costretta ad intrattenersi, suo malgrado, dietro obbligo di Madame Pace, con degli uomini se non vuole che la Madre rimanga senza lavoro alla sartoria e cresca con stenti e da sola i quattro figli. Un giorno, però, il Padre entra da Madame Pace come cliente e solo l’arrivo tempestivo della Madre scongiura il possibile rapporto semi-incestuoso. Il Padre viene a conoscenza dell’accaduto e, dopo quel momento, decide di accogliere tutti nella sua dimora. Ma la convivenza tra le varie parti è difficile.

Il figlio

Il Figlio entra in scena e, a quel punto, si lamenta della situazione e non nasconde tutto il suo odio nei confronti della Madre, della Figliastra e degli altri poveri innocenti. La Bambina e il Giovinetto risentono anche loro della situazione che si è venuta a creare.

Luigi Pirandello
Una foto di Luigi Pirandello, autore di “Sei personaggi in cerca d’autore”

Finale

Nel finale la scena si sposta. Essa è ambientata in un giardino dove la Madre scopre, suo malgrado, la terribile tragedia che si era consumata. Ovvero che la Bambina era affogata nella vasca. A quel punto, il Giovinetto, che aveva assisto impotente alla scena dietro un albero, scioccato dell’accaduto, decide di farla finita. Lo fa con un colpo di rivoltella, a cui segue il grido di disperazione della Madre. Il pubblico e gli stessi autori rimangono stupiti da un finale così tragico. Non capiscono bene se si tratti di finzione oppure di realtà.

A questo punto, il capocomico perde la pazienza e licenzia tutti i personaggi presenti sul palco. Li invita a ritornare più tardi. Inaspettatamente, però, dietro lo sfondo rimangono le sagome delle quattro grandi ombre. Quelle del Padre, della Madre, del Figlio e della Figliastra.

L’epilogo non è dei più felici. L’ultima a scomparire dalla scena è la Figliastra. Ella viene inquadrata mentre rivolge una risata stridula agli altri personaggi e corre verso le scalette, fino a dileguarsi definitivamente dalla scena.

Sei personaggi in cerca di autore - Pirandello

Analisi e comento all’opera

Nell’opera di Pirandello, i personaggi appaiono in modo “reale”, “vivi”. Ma l’autore non li vuole fissare in una forma definitiva. Dona invece loro la massima libertà d’espressione e di movimento scenico. Il tema affrontato dall’autore è quello della comunicabilità. Cioè del rapporto tra il capocomico e la sua compagnia teatrale che segue impotente le vicende dei sei personaggi, non riuscendo ad immedesimarsi nelle loro vicende. Le rappresenta con artificiosità. Tanto che ad un certo punto la scena è rubata solo dai sei personaggi.

Sei personaggi in cerca d’autore è probabilmente uno dei testi teatrali più importanti di tutta la letteratura italiana. Nel dramma si evince la contraddizione e la discordanza tra l’attore ed il personaggio. Così come l’impossibilità a fare dei due una sola unità. Questa opera pirandelliana, è la prima della trilogia del “Teatro nel teatro”. La trilogia comprende inoltre “Ciascuno a suo modo” e “Questa sera si recita a soggetto”.

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Così è (se vi pare) di Pirandello: riassunto https://cultura.biografieonline.it/riassunto-cosi-e-se-vi-pare/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-cosi-e-se-vi-pare/#comments Thu, 12 Feb 2015 09:49:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13239 Una delle opere più significative dello scrittore e poeta italiano Luigi Pirandello è “Così è (se vi pare)”. La trama è ambientata agli inizi del Novecento ed è tratta dalla novella “La signora Frola e il Signor Ponza suo genero”, in un periodo in cui decadono gli ideali borghesi. La prima rappresentazione a teatro risale al 18 giugno 1917 (presso il Teatro Olimpia di Milano).

Così è se vi pare

Trama

L’opera di Pirandello inizia con l’arrivo in una cittadina di provincia di una strana famiglia che suscita i pettegolezzi degli abitanti del paese e che scampa miracolosamente al terribile terremoto della Marsica. Si tratta del Signor Ponza e della suocera, la Signora Frola, e della moglie del signor Ponza, mai avvistata veramente da nessuno, ma comunque sulla bocca di tutti. Il trio viene così trascinato nei vari pettegolezzi sorti in paese. Il Signor Ponza e la sua coniuge vivono in periferia, mentre la Signora Frola vive in un’abitazione sita in centro città.

Corre voce che il Signor Ponza sia raffigurato come un “mostro” che impedisce alla Signora Frola di vedere la figlia tenuta chiusa a chiave nella propria abitazione. Nessuno, in paese, riesce a spiegarsi il perché. Alla discussione prendono parte, in fase iniziale, la Signora Amalia Agazzi, sua figlia Dina e il fratello Lamberto Laudisi, ma in seguito una schiera di amici si ritrova nel salotto di casa Agazzi per tentare di risolvere la questione e scovare la verità su questa strana famigliola. Solo il cognato Laudisi difende a spada tratta i nuovi arrivati, dichiarando l’impossibilità di conoscere realmente gli altri e, più in generale, di comprendere la verità assoluta.

Nel tentativo di risolvere l’enigma, il consigliere Agazzi organizza addirittura delle ricerche in Prefettura per cercare dei documenti che possano testimoniare a favore del Signor Ponza o della Signora Frola, ma ogni documento è andato distrutto durante il terremoto; infine, esausto della situazione, programma un incontro tra suocera e genero, ma ne derivano solo scene di concitata violenza. Vengono quindi interrogati la Signora Frola e il Signor Ponza ma con scarsi risultati e generando un’ulteriore confusione tra i presenti alla discussione. La Signora Frola si giustifica all’interrogatorio, affermando che suo genero è pazzo e crede di essere rimasto vedovo e di essersi risposato con un’altra donna che non avrebbe nessuna parentela con lei; dall’altra parte, il Signor Ponza sventola ai quattro venti la pazzia della suocera.

La Signora Frola sarebbe impazzita a causa della perdita della figlia Lina, sua prima moglie, e attualmente sarebbe convinta che Giulia (la sua seconda moglie) sia la sua attuale figlia, purtroppo scomparsa prematuramente. Per questo motivo, i due coniugi avrebbero messo in atto una serie di precauzioni per tener viva l’illusione nella donna. Le due versioni contrastanti generano ancora più confusione. Non resta allora che interrogare la Signora Ponza.

Così è se vi pare - Una scena teatrale
Così è (se vi pare) – Una foto tratta da una rappresentazione a teatro

Così è (se vi pare): il finale

Nell’ultimo atto, dopo una vana ricerca di prove certe tra i superstiti del terremoto, a casa di Agazzi arriva la moglie del Signor Ponza, l’unica in grado di risolvere l’enigma, nel tentativo estremo di far conoscere a tutti la verità. Ma anche la Signora Ponza genera confusione: con il viso coperto da un velo nero, ribadisce di essere al contempo sia la figlia della Signora Frola che la seconda moglie del Signor Ponza, lasciando tutti nello sconcerto e affermando di non essere nessuna: “Io sono colei che mi si crede“, non svelando a nessuno la sua vera identità.

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In ultimo interviene Lamberto Laudisi che, dopo una sonora risata che lascia tutti attoniti, con uno sguardo di sfida derisoria nei confronti di tutti i presenti, chiude la scena con la seguente frase: “Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?“, lasciando ancora l’enigma irrisolto.

Analisi

Il lavoro di Luigi Pirandello si ispira ad un tema molto caro al poeta: l’inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che può non coincidere con quella degli altri. È impossibile riconoscere la verità assoluta, che è ben rappresentata dal personaggio Laudisi. Secondo Pirandello e Laudisi, non esiste un’unica forma di verità.

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello

La realtà viene percepita da ciascuno in modo diverso, generando così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell’esteriorità. Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui fonda il suo pensiero si scontra con il conseguente problema della mancanza di comunicazione tra gli uomini: poiché ogni persona ha un proprio modo di vedere la realtà, non esiste un’unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono le persone che credono di possederla e dunque ognuno ha una propria “verità”.

La commedia è divisa in tre atti, articolati a loro volta in sei scene il primo e nove i restanti. Nella sua opera teatrale, Pirandello fa riferimento al terremoto della Marsica veramente avvenuto nel 1915, durante il quale sarebbero morti tutti i parenti della Signora Frola. Rimane ancora nella mente dello scrittore il paese raso al suolo che evoca ricordi spiacevoli.

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Il fu Mattia Pascal: riassunto https://cultura.biografieonline.it/il-fu-mattia-pascal/ https://cultura.biografieonline.it/il-fu-mattia-pascal/#comments Sun, 12 Jan 2014 15:20:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9252 L’opera Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello venne pubblicato a puntate sulla rivista Nuova Antologia per la prima volta tra aprile e giugno del 1904. Uscì poi un volume nello stesso anno. Pirandello collegò sin da subito questo romanzo con saggio dell’Umorismo, uscito nel 1908 che è appunto dedicato a Mattia Pascal, il personaggio principale del libro che stiamo analizzando. È il protagonista che racconta la sua storia.

Pirandello, Il fu Mattia Pascal (1904)
Il fu Mattia Pascal: copertina di un’edizione del romanzo e foto dell’autore, Luigi Pirandello

Il romanzo è diviso in tre parti che corrispondono a tre diversi modelli di vita. Negli ultimi due capitoli si narra la trasformazione del protagonista nel “fu” Mattia Pascal, egli ormai è un estraneo per la vita che ha vissuto. Prima di cominciare la storia, ci sono due capitoli in cui l’autore afferma che sta per scrivere una sorta di antiromanzo.

Nel terzo capitolo inizia il racconto vero e proprio: si narrano le vicende nel giovane Pascal, partito per la Francia a seguito di alcuni problemi familiari. Vince una somma alla roulette e decide di non rientrare a casa ma stabilirsi a Roma, dove si inventa la nuova identità di Adriano Meis.

Le vicende iniziano a complicarsi in quanto il protagonista si innamora ma è cosciente di non poter sposare la ragazza in quanto non in possesso di una vera identità. Finge il suicidio di Adriano Meis e torna al suo paese natio. Qui scopre che era stato dato per morto e seppellito al cimitero. Trova sua moglie sposata con un altro uomo ed è quindi costretto a farsi una nuova vita come fu Mattia Pascal. Incoraggiato a scrivere la storia della sua vita, dà corpo al romanzo.

Vive come fuori dalla vita stessa: lavora in una biblioteca che non è frequentata da nessuno, in una condizione di inettitudine e distacco dalla società. Il tema dell’inetto è uno dei fondamentali del romanzo, accompagnato a quello della famiglia considerata come prigione dalla quale il protagonista scappa per inseguire il sogno facile dell’arricchirsi mediante il gioco d’azzardo.

Il fu Mattia Pascal: Finale

Alla fine del libro Pascal obietta di non essere fatto per rientrare nella legge né tantomeno di volerlo fare. Ormai ha rinunciato a qualunque illusione sull’identità, che è il fattore che riduce l’uomo ad una maschera, una forma. Non resta altro che vivere al di fuori della vita, libero dalla forma ma solo.

Incipit del romanzo

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:
– Io mi chiamo Mattia Pascal.
– Grazie, caro. Questo lo so.
– E ti par poco?
Non pareva molto, per… (incipit de Il fu Mattia Pascal)

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Uno, nessuno e centomila: riassunto https://cultura.biografieonline.it/uno-nessuno-centomila-pirandello/ https://cultura.biografieonline.it/uno-nessuno-centomila-pirandello/#comments Fri, 20 Dec 2013 13:01:24 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9053 Il romanzo di Luigi Pirandello Uno, nessuno e centomila risale al periodo in cui l’autore si occupa della narrativa umoristica (1904-1915). Fa parte di quel ciclo di romanzi che hanno fatto conoscere Pirandello a tutta l’Italia: il Fu Mattia Pascal, il saggio de L’umorismo, I vecchi e i giovani. In questo periodo l’autore sviluppa nella sua narrativa la poetica umoristica : non propone soluzioni ma offre un’immagine della vita nella sua cruda realtà.

Uno nessuno e centomila, Pirandello
Sulla sinistra: una foto di Luigi Pirandello. Sulla destra: la copertina di un’edizione di “Uno, nessuno e centomila

L’aspetto fondamentale è che l’umorismo pirandelliano mostra la contrapposizione tra la forma e la vita: le persone appaiono diversamente da come sono realmente, ognuno crea una sorta di maschera di sé diventando un personaggio. L’umorismo sottolinea come gli uomini reprimono la loro vera esistenza. Uno, nessuno e centomila è infatti l’emblema della rappresentazione che gli altri hanno di noi.

Riassunto, analisi e commento

Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre la sua forma originaria arrivando a riporre tutte le sue maschere. Il romanzo fu iniziato nel 1909 ma pubblicato solo nel 1925. È una narrazione retrospettiva, la storia viene quindi raccontata quando i fatti sono già accaduti.

Vitangelo comincia a ribellarsi dell’opinione che gli altri hanno di lui, che lo vedono come uno. Egli è infatti figlio di un banchiere usuraio e viene etichettato negativamente da tutti per questa ricchezza acquisita in maniera illecita. Si getta quindi a capofitto nel lavoro in banca e gestisce lui gli affari, incappando in un certo Marco di Dio che occupa abusivamente la sua casa. Il rapporto con quest’uomo simboleggia il suo rapporto con il padre, ma con una riconciliazione finale.

Egli decide di donare tutti i suoi beni in opere di carità e si innamora di un’amica della moglie. Questa lo spara alla testa mentre lui cerca di baciarla ma egli al processo la scagiona e si presenta con una tuta da malato di mente, la stessa che indossano i pazienti all’ospedale che egli ha fatto costruire per i poveri.

Il senso del libro è che Vitangelo si ribella alla maschera che ha indossato (uno), alla visione che gli altri hanno di se (centomila) per acquisire la sua forma originaria (nessuno). Egli diventa infatti nessuno, fuoriesce dalle forme che la vita gli ha imposto per acquisire la sua reale natura. Secondo la visione pirandelliana egli è quindi libero di vivere la vita allo stato puro, finalmente senza vincoli e maschere.

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Enrico IV di Pirandello: trama e storia dell’opera https://cultura.biografieonline.it/enrico-iv-trama/ https://cultura.biografieonline.it/enrico-iv-trama/#comments Fri, 16 Nov 2012 18:28:59 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4784 Il 24 febbraio 1922 fu rappresentata per la prima volta al Teatro Manzoni di Milano la tragedia in tre atti Enrico IV di Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936), drammaturgo, scrittore e poeta italiano, che nel 1934 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura.

Enrico IV - Pirandello - teatro
Enrico IV di Pirandello a teatro: una scena tratta da una recente rappresentazione

L’opera appartiene a quella che viene definita la Terza Fase del teatro pirandelliano, il “teatro nel teatro”, dopo il “teatro siciliano” ed il “teatro umoristico/grottesco”, e prima del “teatro dei miti”.

Enrico IV fu scritto per Ruggero Ruggeri (Fano, 14 novembre 1871 – Milano, 20 luglio 1953), uno degli attori più noti del periodo, che faceva parte della “Compagnia del Teatro D’arte”, fondata a Roma dallo stesso Pirandello il 6 ottobre 1924.

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello

La trama

La tragedia inizia con il racconto dell’antefatto. Un nobile del primo ‘900, di cui non viene mai fatto il nome, partecipa ad una festa in maschera travestito da Enrico IV. Egli ha scelto di vestire i panni di quel sovrano per poter stare vicino alla donna amata, Matilde di Spina, mascherata da Matilde di Canossa.

All’evento partecipa anche il barone Belcredi, suo rivale in amore, che disarciona da cavallo Enrico IV, il quale cade battendo violentemente la testa. A seguito del trauma subìto, Enrico IV si convince di essere davvero il personaggio storico di cui portava le vesti.

Credendolo pazzo, tutti lo assecondano ed il nipote di Nolli cerca di alleviare le sue sofferenze per dodici anni ricostruendo l’ambientazione in cui aveva vissuto il vero sovrano. Trascorso questo tempo, Enrico guarisce e si accorge che era stato Belcredi a farlo cadere intenzionalmente per toglierlo di mezzo e poter sposare la donna contesa da entrambi. Infatti, dopo l’incidente, Matilde era scappata con Belcredi, si erano sposati ed avevano avuto una figlia. Enrico decide di continuare a fingersi pazzo per riuscire a sopportare in qualche modo il dolore che gli procura la presa di coscienza della realtà.

Dopo venti anni dall’incidente, si ritorna al presente, come all’inizio. Matilde con Belcredi, la loro figlia, Frida, e uno psichiatra fanno visita ad Enrico. Lo psichiatra è molto incuriosito dal suo caso, e , per farlo guarire, consiglia di ricostruire l’ambientazione di venti anni prima e di ripetere la caduta da cavallo.

Durante la messa in scena, Enrico si trova davanti la figlia della donna che ama da sempre e per la quale è costretto a fingersi pazzo. La giovane Frida è identica alla madre, quando aveva la sua età, ed Enrico non può fare a meno di abbracciarla. Belcredi non tollera che Enrico si avvicini alla figlia, ma, quando tenta di opporsi, Enrico sguaina la spada e lo ferisce a morte. Per sfuggire alla realtà di dolore, che per di più lo costringerebbe anche ad un processo e alla prigione, Enrico si rassegna a vivere per sempre fingendosi pazzo.

Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia […] questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontarii quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere […] Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! – Il guajo è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia. […] La mia vita è questa! Non è la vostra! – La vostra, in cui siete invecchiati, io non l’ho vissuta! (Enrico IV, atto terzo)

Enrico IV, Luigi Pirandello tra gli attori
Una rara foto con Luigi Pirandello tra gli attori che hanno rappresentato la Commedia ENRICO IV.

Questa tragedia mette in evidenza il relativismo psicologico in cui credeva Pirandello. Tutti gli uomini nascono liberi, ma il Caso interviene impedendo loro di esprimere le proprie volontà, imprigionati come sono dalle convenzioni di società precostituite, in cui ciascuno ha un ruolo prefissato.

L’io non riesce a venire fuori, e così non c’è comunicazione tra esseri umani, perché ciascuno è costretto ad indossare una maschera, dietro la quale si nascondono infiniti io. Un concetto che viene espresso nel romanzo Uno, nessuno, centomila: l’individuo è uno, perché ogni persona crede di essere unica e avere caratteristiche peculiari; centomila, perché ciascuno ha, dietro la maschera che indossa, tante personalità quante sono le persone che lo giudicano; nessuno, perché nel suo continuo cambiare personalità non può dare mai spazio al suo vero io.

Da qui deriva inevitabilmente l’incomunicabilità tra individui, perché ciascuno ha un proprio modo di vedere, e non esiste un criterio oggettivo ed universale su cui basare uno scambio di opinioni. Questo crea solitudine ed emarginazione dalla società, ma anche da se stessi, in quanto l’io è sempre frammentato, nonostante gli sforzi per trovare un senso all’esistenza e all’identificazione di un ruolo che vada oltre la maschera.

Luigi Pirandello con Ruggero Ruggeri
Luigi Pirandello con Ruggero Ruggeri

Pirandello pone tre tipi di reazioni degli individui a questo relativismo: una reazione passiva, in cui si accetta la maschera e l’infelicità che ne consegue, senza opporre resistenza, come nel caso de Il fu Mattia Pascal; oppure una reazione ironico-umoristica, come ne La patente, in cui si accetta la maschera con un atteggiamento ironico e aggressivo, cercando almeno di trarne vantaggio.

Oppure c’è una reazione drammatica, come nel caso di Enrico IV: l’uomo si rende conto che l’immagine che ha sempre avuto di sé non corrisponde a quella che gli altri hanno di lui, e cerca di comprendere questo lato sconosciuto del suo io.

Vuole togliersi la maschera che gli hanno imposto, ma non riesce a strapparsela di dosso, ed egli sarà sempre come gli altri lo vogliono, anche se continuerà a lottare per impedirlo, arrivando fino alle tragiche conseguenze delle pazzia, del dramma e del suicidio.

L’unico modo per vivere e trovare il proprio io è accettare il fatto di non avere un’identità, ma tanti frammenti, essere consapevoli di essere completamente alieni da se stessi. Eppure, la società non accetta questo relativismo, e chi lo fa è ritenuto pazzo.

Dell’Enrico IV sono state fatte due trasposizioni cinematografiche, una del 1943, per la regia di Giorgio Pàstina, e uno del 1984, per la regia di Marco Bellocchio.

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