Opere di Pascoli Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 10 Aug 2023 09:11:14 +0000 it-IT hourly 1 X Agosto: analisi della poesia di Giovanni Pascoli https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/#comments Thu, 10 Aug 2023 08:58:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8989 10 agosto

Il X Agosto di Pascoli è una poesia dedicata al padre del poeta, morto nel 1867, il 10 agosto. Giorno questo in cui si festeggia San Lorenzo ed è quello in cui si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. In questa poesia Giovanni Pascoli descrive oltre al fenomeno delle stelle cadenti, anche l’uccisione di una rondine, che stava per portare il cibo al nido.

X Agosto, San Lorenzo
Il 10 agosto, giorno di San Lorenzo, è il momento dell’anno in cui più è probabile osservare nitidamente le stelle cadenti

E l’uccisione del padre, che stava portando due bambole a casa. Conclude prendendosela con il cielo che non dà alcun aiuto all’uomo, non una lue che illumini il suo doloroso cammino.

Testo completo della poesia

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Parafrasi e analisi

San Lorenzo, io lo so il perché di quel pianto di stelle sfavilla nel cielo. Questa è la trasposizione di un fenomeno naturale che ha un significato più profondo: la legge di sofferenza, d’ingiustizia e di morte. Ritornava una rondine al suo nido e l’uccisero: cadde tra gli spini: aveva nel becco la cena per le sue rondini. La morte della rondine prefigura quella dell’uomo.

Rondine
Una rondine: come spiegato nella parafrasi, questo uccello è usato simbolicamente nella poesia di Giovanni Pascoli

La rondine abbattuta ha le ali aperte come se fosse in croce; e sembra richiamare il sacrificio di Cristo. La rondine uccisa tende quel verme al cielo inaccessibile; e il suo nido è nell’ombra della sera e il pigolio dei rondinini diminuisce lentamente nel languore dell’agonia.

Anche un uomo tornava a casa (il padre del poeta, ma Pascoli non lo nomina): l’uccisero; disse:Perdono; resta negli occhi sbarrati un grido: portava due bambole in regalo…

Ora là nella casa solitaria, lo aspettano invano: egli è immobile, attonito, e anch’egli, come la rondine, ha quel gesto di disperata protesta verso il cielo lontano e impassibile. E tu, cielo infinito, immortale, inondi la terra, atomo sperduto e dominato dal male, di un pianto di stelle.

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Lavandare, analisi, parafrasi e commento alla poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/lavandare-pascoli/ https://cultura.biografieonline.it/lavandare-pascoli/#comments Wed, 24 May 2023 07:14:21 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18565 Il componimento “Lavandare” viene inserito da Giovanni Pascoli solo nella terza edizione di Myricae (1894) e fa parte della sezione L’ultima passeggiataMyricae è stata la prima raccolta del poeta ed ha avuto una vicenda editoriale piuttosto complessa. Una prima edizione, composta da sole 22 liriche, venne pubblicata nel 1891 in occasione del matrimonio di un amico. Negli anni successivi il poeta ampliò il corpus delle liriche fino ad un totale di 156 e l’edizione definitiva fu quella del 1900.

Lavandare - testo della poesia di Giovanni Pascoli

Il titolo è in latino ed indica la pianta delle tamerici (piccoli arbusti della macchia mediterranea): il poeta lo ha ricavato da un verso delle Bucoliche di Virgilio che recita:

non omnes iuvant arbusta humilesque myricae
(non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici).

Pascoli rovescia però questa negazione e dedica la sua raccolta di poesie proprio ad una pianta umile e semplice perché vuole dare spazio alla descrizione delle piccole cose di campagna. La raccolta comprende 15 sezioni e prevalgono i testi brevi, come Lavandare. Per quanto riguarda i temi, Myricae può considerarsi una sorta di diario ricco delle impressioni del poeta e quindi un romanzo autobiografico: predominano quindi il tema della morte del padre, del paesaggio che diventa il simbolo della condizione interiore.

Lavandare: il testo

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.

Parafrasi

Nel campo che è per metà arato per metà no
c’è un aratro senza buoi che sembra
dimenticato, in mezzo alla nebbia.

E scandito dalla riva del fiume si sente
il rumore delle lavandaie che lavano i panni,
sbattendoli, e lunghe cantilene:

Il vento soffia e ai rami cadono le foglie,
e tu non sei ancora tornato!
da quando sei partito sono rimasta
come un aratro abbandonato in mezzo al campo.

Analisi della poesia

Lavandare è un madrigale, composto da due terzine e una quartina di endecasillabi con rime ABA CBC DEDE.

La lirica descrive le sensazioni del poeta che, mentre i campi sono avvolti dalla nebbia, sente in lontananza i suoni provenienti dal lavatoio e i lunghi canti delle lavandaie. Nella prima strofa viene descritto un campo immerso nella nebbia su cui spicca un aratro abbandonato. Dominano i colori spenti: il campo viene descritto infatti come mezzo grigio e mezzo nero.

Nella seconda strofa viene descritto il rumore dei panni che vengono lavati nell’acqua e il canto delle lavandaie. Qui prevalgono le sensazioni uditive (suono dei panni, il canto triste, il tonfo).

Nella terza strofa viene riportata la canzone cantata dalle lavandaie che parla di una giovane donna abbandonata dall’innamorato e che è rimasta sola come l’aratro in mezzo al campo. La lirica è quindi circolare: si apre e si chiude con l’immagine- simbolo dell’aratro abbandonato che rappresenta la solitudine. Questa scena descritta nella poesia serve proprio a trasmettere la sensazione di abbandono e malinconia che rinvia proprio al poeta stesso: egli si sente abbandonato dai suoi cari perché è rimasto orfano del padre e la sua vita è stata funestata da una serie di lutti. Il paesaggio diventa quindi un simbolo per raccontare il proprio stato d’animo.

La poesia Lavandare si caratterizza per il ritmo lento, quasi da cantilena, l’utilizzo di molte allitterazioni (v. 8 tu non torni, v. 10 in mezzo alla maggese) di rime interne (v. 5 sciabordare-lavandare).  Importante l’utilizzo transitivo del verbo nevicare al verso 7: il ramo fa cadere le foglie come fossero fiocchi di neve.

Giovanni Pascoli
Una foto di Giovanni Pascoli

È presente anche una similitudine al verso 10 come paragone tra la ragazza abbandonata e l’aratro in mezzo al campo.  Questa rappresentazione della natura in una delle liriche più lette del Pascoli aiuta il lettore a percepire la sensazione di vuoto e abbandono, sempre presente nell’animo del poeta, come una ferita mai sanata.

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L’assiuolo: testo, parafrasi e spiegazione della poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/assiuolo-parafrasi-spiegazione/ https://cultura.biografieonline.it/assiuolo-parafrasi-spiegazione/#respond Fri, 02 Dec 2022 12:14:43 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40663 La poesia L’assiuolo è una delle più celebri di Giovanni Pascoli. Essa è inclusa nella raccolta Myricae. È ispirata ad una specie di uccello notturno: l’assiolo è simile al gufo (in inglese assiolo si dice: scops owl). Questa creatura invita il poeta a riflettere sulla morte e sul mistero della vita.

L'assiuolo
Un assiuolo

Proponiamo qui il testo completo della poesia, una breve analisi con parafrasi e spiegazione. Ma prima parliamo del suo autore.

L’autore: Pascoli e la sua poetica

Pascoli è uno degli esponenti più rappresentativi del Decadentismo italiano, insieme a Gabriele D’Annunzio. Egli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855, quarto di dieci figli.

La sua vita fu funestata dai lutti familiari: perse il padre il 10 agosto 1867 in circostanze misteriose (forse un omicidio); poi la madre, la sorella e due fratelli. Questi lutti lasciarono un segno profondo nella sua personalità e nella sua visione della vita.

Grazie a delle borse di studio, riuscì a laurearsi in Lettere; fu allievo di Giosuè Carducci. Pascoli si dedicò all’insegnamento prima nei Licei e poi all’Università di Bologna. Cercò di ricostruire l’unità della sua famiglia andando a vivere con due sorelle; trascorse la maggior parte della vecchiaia nelle campagne di Lucca.

Morì a Bologna nel 1912.

L’attività letteraria di Giovanni Pascoli fu molto prolifica: egli infatti scrisse molte raccolte poetiche. Tra le più importanti si ricordano:

  • Myricae (1891), ispirata a temi familiari e campestri;
  • Primi poemetti (1897);
  • Canti di Castelvecchio (1903);
  • Nuovi poemetti (1909), che riprendono i temi familiari e anche il mistero della morte;
  • Poemi conviviali (1904), che traggono ispirazione dal mondo classico;
  • Odi e inni- Poemi italici;
  • Poemi del Risorgimento che invece sono poesie di ispirazione civile e patriottica;
  • infine i Carmina, poesie in latino.
Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli

Le vicende familiari hanno influenzato profondamente la visione della vita di Pascoli: secondo il poeta, essa è un immenso mistero in cui prevalgono sofferenza e dolore. Il segreto è guardare tutto con meraviglia, proprio come fanno i bambini, e vivere come un fanciullino che vede tutto per la prima volta.

Le piccole cose diventano quindi importanti e assumono un significato simbolico. In questo senso infatti l’autore appartiene al Decadentismo: la poesia diventa ricca di simboli e i versi si accorciano.

L’assiuolo: testo della poesia

Dov’era la luna? chè il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù…

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?…);
e c’era quel pianto di morte…
chiù…

Parafrasi

Dov’era la luna?

Perché il cielo era immerso in un’alba di colore perlaceo e sembrava che il mandorlo e il melo si allungassero per vederla meglio.

Arrivavano fremiti di lampi dalle nubi nere in lontananza: si sentiva una voce dai campi: chiù…

Le poche stelle risplendevano fra la nebbia che sembrava del colore del latte:

sentivo il rumore del mare come se mi cullasse, sentivo un fruscio tra i cespugli, sentivo un sussulto nel cuore come l’eco di un grido che fu.

In lontananza si sentiva un singhiozzo: chiù…

Sulle cime degli alberi lucide alla luce della luna passava un alito di vento, le cavallette suonavano come dei sistri d’argento (forse come dei tintinnii di porte che non si aprono più?) e si sentiva ancora quel pianto di morte… chiù.

Spiegazione e commento

La poesia L’assiuolo è composta da tre strofe di otto versi ciascuna; tutte terminano con il verso onomatopeico: chiù.

Esso allude al verso dell’uccello (assiolo – molto simile al gufo).

Lo schema metrico è il seguente:

ABABCDCD

La lirica è il racconto di una notte nebbiosa nella campagna emiliana. Le stelle sono poche, si sente il verso delle cavallette, si vede l’ombra del mandorlo e del melo baciato dalla luna. Ma tutto è sospeso, perché risuona il verso dell’assiolo come un grido di morte.

L’onomatopea chiù crea un senso di angoscia e attesa: da una voce al termine della prima strofa si trasforma in un pianto di morte nell’ultima (climax ascendente).

Ci sono anche altre onomatopee: fru fru tra le fratte (che è anche un’allitterazione); essa indica il rumore tra i cespugli; c’è poi la parola tintinni.

Il ritmo è quasi quello di una ninna nanna che però termina con un senso di angoscia e di morte.

Il tema dominante de L’assiuolo è quindi quello della morte, che non regala la pace ma porta solo al nulla (porte che non si aprono più).

Tutto è attraversato da un’atmosfera carica di mistero e angoscia.

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Novembre: parafrasi della poesia di Giovanni Pascoli https://cultura.biografieonline.it/novembre-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/novembre-parafrasi/#respond Sat, 05 Nov 2022 07:02:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8906 La poesia intitolata Novembre di Giovanni Pascoli venne pubblicata nel 1891. In questa opera il Pascoli descrive una giornata d’autunno.

Novembre, la poesia

Dall’incipit gioioso si passa poi a versi di tristezza: c’è l’illusione di una bella giornata primaverile o addirittura estiva, ma poi il poeta tratteggia i particolari di una giornata autunnale: il pruno secco, le foglie che cadono dagli alberi. Parla, infatti, del periodo che va dal 2 novembre, giorno dei morti, alla settimana, cosiddetta estate di San Martino.

Albicocchi in fiore - Van Gogh
Albicocchi in fiore, quadro di Vincent van Gogh

Incipit e testo completo

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…

(Continua a leggere il testo completo della poesia)

Parafrasi

L’aria è limpida e fredda come una gemma, il sole è talmente spendente che tu cerchi gli albicocchi in fiore e senti nel cuore il profumo amaro del biancospino.

Il desiderio di primavera svanisce con la visione non del biancospino fiorito ma del pruno secco, il cielo sereno appare ora solcato dai rami nudi e oscuri degli alberi, il terreno è duro, compatto e risuona sotto il piede.

Intorno c’è silenzio: solo, ai soffi del vento, senti lontano, dai giardini e dagli orti, le foglie che cadono dal ramo morte. Rumore che è avvertito più che dai sensi, dall’anima.

È il giorno dei morti: il periodo che va dal 2 novembre all’11, l’estate di San Martino.

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Arano, poesia di Pascoli: significato e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/arano-poesia-pascoli-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/arano-poesia-pascoli-parafrasi/#respond Tue, 01 Nov 2022 14:08:31 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40390 La poesia in esame si intitola Arano. È una delle prime entrata a far parte della famosa raccolta Myricae. È stata scritta probabilmente già nel 1885 da Giovanni Pascoli. Il poeta qui immagina di compiere un’ultima passeggiata nella campagna toscana prima di tornare in città. Ci descrive la vita di campagna in quadretti immaginari, fatti di luoghi e persone.

Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli

Il poeta e la raccolta Myricae

Giovanni Pascoli è stato uno dei poeti decadenti più importanti insieme a Gabriele D’Annunzio. La sua vita fu funestata da numerosi lutti che lo segnarono per sempre.

Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855, quarto di dieci figli. Il 10 agosto 1867 il padre venne assassinato in circostanze misteriose; morì poi la madre e altri tre tra fratelli e sorelle. Egli continuò a studiare grazie a borse di studio. Si laureò in Letteratura, che insegnò poi all’università di Bologna.

Insieme alle sorelle cercò di riformare un piccolo nido, rifugiandosi insieme come nuovo nucleo familiare nelle campagne vicino Bologna fino alla morte, avvenuta nel 1912.

Tra le sue raccolte poetiche più importanti ricordiamo:

  • Myricae, pubblicata nel 1891 e ispirata a temi familiari e campestri;
  • Canti di Castelvecchio (1903);
  • Poemi conviviali (1904);
  • Odi e inni (1906);
  • Carmina (poesie in latino)

Myricae fu la prima raccolta poetica vera e propria dell’autore. Conteneva inizialmente solo 22 componimenti, ampliati poi nell’edizione definitiva a 116. Il titolo deriva da una citazione virgiliana:

non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici

Pascoli intende utilizzare queste piante come simbolo delle piccole cose che vuole inserire nelle sue poesie.

I componimenti sono molto brevi e, all’apparenza, sembrano quadretti di vita di campagna: in realtà essi sono carichi di senso misterioso e diventano il simbolo di qualcos’altro: sentimenti e sensazioni.

I temi principali della raccolta poetica sono la morte, la realtà enigmatica e i legami spezzati.

Da un punto di vista stilistico, Pascoli compie una vera rivoluzione: inserisce i suoni attraverso le onomatopee, utilizza il linguaggio analogico e la sintassi frantumata, in antitesi rispetto alle poesie degli autori precedenti.

Arano, testo della poesia

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinnio come d’oro.

Parafrasi

Al campo, dove spicca qualche intensa macchia di colore rosso delle foglie di vite (pampano),
e la nebbia del mattino sembra risalire come un fumo dai cespugli, arano (i contadini):
uno di loro spinge le vacche lente con grida altrettanto lente;
altri stanno seminando;
uno ribatte i rialzi di terra fra i solchi con una zappa leggera (marra paziente);
così che il passero esperto già gode nel suo cuore e guarda tutto dai rami ormai spogli del gelso (sa che tra poco potrà mangiare le sementi);
e il pettirosso: nelle siepi si sente il suo verso sottile come il tintinnio dell’oro.

Seminatore al tramonto (Sower-at-Sunset), quadro di Vincent van Gogh del 1888
Seminatore al tramonto (Sower-at-Sunset), quadro di Vincent van Gogh del 1888

Spiegazione e commento

La poesia “Arano” è un madrigale formato da:

  • due terzine
  • una quartina

con il seguente schema di rime:

ABA CBC DEDE

Apparentemente essa descrive un quadro bozzettistico della campagna emiliana: i contadini stanno arando i campi, alcuni stanno radunando le vacche, altri preparano i solchi per le sementi e vengono tutti descritti oggettivamente.

Ad essi fa da sfondo un paesaggio mattiniero nebbioso che viene inserito nella prima terzina (il colore rosso della vite, la nebbia che sale come se fosse fumo).

Nella seconda terzina sono presenti le descrizioni delle figure umane ovvero i contadini stanno svolgendo i lavori tipici autunnali.

Il verbo “arano” al verso 4 è messo in evidenza poiché si trova ad inizio del verso stesso. Fa parte di un lungo enjambement che ne accentua l’importanza, tanto da dare il titolo alla poesia.

Questo lavoro paziente e lento dei contadini viene descritto con una certa malinconia; essa è data dalla nebbia e dal lessico scelto dall’autore (lente grida, paziente, etc), e da ciò che accade nella terza strofa: gli uccelli già godono del fatto che tra poco potranno mangiare tutti i semi.

La poesia Arano si conclude con la sinestesia del verso 10: il canto del pettirosso viene paragonato al tintinnio dell’oro, al suo luccichio che assume quindi un tono gioioso.

La lirica è di semplice lettura solo apparentemente ma, come tutta la poetica pascoliana, nasconde un significato profondo fatto di suggestioni e sensazioni della vita personale del poeta stesso.

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Nebbia, analisi del testo della poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/nebbia-poesia-analisi/ https://cultura.biografieonline.it/nebbia-poesia-analisi/#comments Fri, 07 Oct 2022 09:47:29 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40232 La poesia Nebbia non è una delle più note del poeta Giovanni Pascoli, ma è forse una delle più rappresentative della sua poetica. L’autore in queste rime descrive la nebbia che avvolge tutte le cose: non è un problema per lui, anzi, gli impedisce di vedere quelle che sono a lui più lontane, come il suo passato doloroso. Essa gli permette inoltre di rifugiarsi nel suo “nido” semplice e familiare.

Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli

L’autore e la poetica

Giovanni Pascoli è uno dei principali esponenti del Decadentismo, insieme a Gabriele D’Annunzio. Egli visse una vita funestata da molti lutti familiari, che inevitabilmente cambiarono il suo modo di vedere le cose, oltre a lasciare un segno profondo dentro l’animo.

Fu professore universitario di Letteratura Italiana e scrisse poesie per tutto l’arco della vita.

Per Pascoli vivere corrisponde a soffrire: per questo la cosa migliore è cercare la felicità nelle piccole cose della vita quotidiana; il poeta diventa un fanciullino, che riesce a vedere tutto con meraviglia, proprio come fosse la prima volta.

Le piccole cose assumono poi un significato simbolico per Pascoli: diventano quindi il segno di un’emozione o un sentimento. Il modo migliore per vivere serenamente è rifugiarsi nel nido, negli affetti familiari.

Nebbia: paesaggio nella nebbia
Un paesaggio nella nebbia

Nebbia: testo completo della poesia

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valerïane.

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!

Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane…

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.

Parafrasi

Nascondi le cose lontane, tu nebbia immateriale e di colore grigio pallido, tu fumo che ancora scaturisci dalla terra, all’alba, come residuo dei lampi della notte e dei tuoni dei temporali!

Nascondi le cose lontane, allora nascondimi anche i ricordi dolorosi del mio passato! Fa’ in modo che io veda soltanto la siepe del mio orto, il muro di cinta che ha le crepe piene di valeriana.

Nascondi le cose lontane: quelle cose che sono piene di lacrime! Fa’ in modo che io veda solo i due peschi, i due meli che procurano le dolci marmellate per il mio pane scuro.

Nascondi le cose lontane che vogliono che io le ami ancora e che vada da loro! Che io veda solo quel tratto della bianca strada che conduce al cimitero, che un giorno dovrò percorrere tra il suono lento delle campane a morto.

Nascondi le cose lontane, nascondile, allontanale dal mio cuore che potrebbe sentirne il desiderio! Che io veda il cipresso là, solo, qui solo quest’orto vicino al quale sonnecchia il mio cane.

Analisi e commento

La poesia è composta da cinque strofe di sei versi (novenari, ternario e senario); lo schema metrico è ABCBCA.

Ci sono molte figure retoriche: in primis l’anafora (ripetizione) dell’incipit “Nascondi le cose lontane” all’inizio di ogni strofa, ma anche la formula “ch’io veda” che viene ripetuta al v. 9-15-21-27.

La nebbia viene descritta come una persona (personificazione v. 2-3); si trova poi un’onomatopea (don don di campane v. 24), molti enjambement e allitterazioni (v. 1-2 e v.26).

La poesia fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Flegrea e venne inserita nella raccolta Canti di Castelvecchio (1903).

Nebbia è la poesia emblema dell’esaltazione del “nido”: la nebbia diventa quell’espediente che impedisce al poeta di vedere ciò che è più distante dalla sua casa di campagna, implica la necessità di chiudersi nel nido e di sfuggire ai pericoli della vita.

L’unica cosa che l’autore vuole vedere sono i cipressi e la strada bianca che porta al cimitero: è il luogo che egli stesso un giorno dovrà percorrere.

Ciò che gli regala serenità è proprio la sua vita semplice, di campagna, quella che la nebbia mostra allontanando il dolore delle cose passate.

È una poesia ricca di malinconia ma che incarna perfettamente lo stile e le emozioni del poeta Giovanni Pascoli.

Esiste un’altra poesia dello stesso autore con un titolo simile: “Nella nebbia”, che fa parte della raccolta “Primi poemetti” (1897).

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L’aquilone, parafrasi della poesia di Giovanni Pascoli https://cultura.biografieonline.it/aquilone-parafrasi-poesia-pascoli/ https://cultura.biografieonline.it/aquilone-parafrasi-poesia-pascoli/#comments Thu, 15 Apr 2021 05:22:12 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19784 Quello che proponiamo di seguito è il testo completo della poesia di Giovanni Pascoli, “L’aquilone”. Più sotto forniamo anche la parafrasi della poesia. In un altro articolo di approfondimento è possibile leggere l’analisi e commento alla poesia “L’aquilone”.

Aquilone
Foto di un aquilone

L’aquilone, testo della poesia

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch’erbose hanno le soglie:

un’aria d’altro luogo e d’altro mese
e d’altra vita: un’aria celestina
che regga molte bianche ali sospese…

sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera

bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.

Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.

S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.

S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla,
lassù lassù… Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto… – Chi strilla?

Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all’improvviso,
una dolce, una acuta, una velata…

A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l’omero il pallor muto del viso.

Si: dissi sopra te l’orazioni,
e piansi: eppur, felice te0 che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!

Tu eri tutto bianco, io mi rammento:
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.

Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!

Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore

ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch’io presto verrò sotto le zolle,
là dove dormi placido e soletto…

Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!

Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda

tua madre… adagio, per non farti male.

Parafrasi della poesia

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi di antico: io vivo da un’altra parte, e sento
che qui intorno sono nate le viole.

Sono nate nel bosco del convento
dei cappuccini, sotto le foglie morte che il vento
fa turbinare intorno ai ceppi delle querce.

Si respira un’aria tiepida che rende più soffice
il terreno gelato, e fa visita alle chiese
di campagna, circondate d’erba fino all’ingresso.

un’aria che proviene da un altro luogo,
da un altro mese e da un’altra vita: un’aria primaverile
che regga molte ali bianche sospese nel cielo…

sì, gli aquiloni! Questa è una mattina in cui
non c’è scuola. Siamo usciti tutti quanti
tra le siepi di rovo e di biancospino.

Le siepi erano riarse, irte; ma c’era
ancora qualche mazzo rosso di bacche autunnali,
e qualche fiore bianco primaverile;

e il pettirosso saltellava sui rami nudi
e la lucertola mostrava il capino
tra le foglie secche del fossato.

Ora siamo fermi: abbiamo di fronte Urbino
lambita dal vento: ognuno fa volare da un salto
del terreno la sua cometa per il cielo azzurro.

Ed ecco che ondeggia, oscilla, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco che piano piano
si innalza in mezzo alle grida dei bambini.

Si innalza; e tira il filo dalla mano dei bambini,
come un fiore che fugge dal suo stelo
esile, per andare a fiorire di nuovo più lontano.

Si innalza; e porta in cielo i piedi trepidanti
del bimbo, e il petto che respira profondamente
e gli occhi avidi e il viso e il cuore.

Più su, più su: è già un punto lontano,
lassù, lassù… Ma ecco un colpo di vento
di traverso, ecco un grido acuto… – Chi strilla?

Sono le voci della mia camerata:
le riconosco tutte improvvisamente,
una dolce, una acuta, una tenue…

A uno a uno vi ricordo tutti,
o miei compagni!! e te, sì, che abbandoni
sul braccio il viso pallido e smunto.

Sì: pronunciai orazioni su di te,
e piansi: ma sei beato tu che l’unica cosa che hai
visto cadere al vento sono gli aquiloni!

Tu eri completamente pallido, me lo ricordo:
di rosso avevi solo i ginocchi,
perché pregavamo ingonicchiati sul pavimento.

Oh! Felice sei tu che hai chiuso gli occhi
sereno, stringendo sul cuore
il più prezioso tra i tuoi amati giochi!

Oh! Si muore dolcemente, lo so bene io,
stringendo la propria fanciullezza al petto,
come i candidi petali stringe a sé un fiore

non ancora sbocciato! O morto da giovane,
anche io presto arriverò sottoterra,
là dove dormi sereno e solo…

Meglio venirci ansando, roseo, bagnato
dal sudore, come dopo una divertente
gara di corsa per salire su una collina.

Meglio venirci con la testa coperta da capelli biondi,
che, dopo che giacque fredda sul cuscino,
tua madre pettinò a onde coni bei capelli

…delicatamente, per non farti male.

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La cavalla storna, commento alla poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/cavalla-storna-commento/ https://cultura.biografieonline.it/cavalla-storna-commento/#comments Mon, 12 Sep 2016 09:44:54 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19797 La vita del poeta Giovanni Pascoli è funestata da perdite premature e disgrazie. Uno degli episodi che ha segnato profondamente la sua esistenza è stata la morte prematura del padre.

Nella raccolta pascoliana dei “Canti di Castelvecchio” (1903) è compresa una celebre lirica intitolata “Cavalla storna“. Essa è dedicata appunto dal poeta a suo padre, che fu ucciso il 10 Agosto 1867. Il delitto rimase impunito.

Cavalla Storna - Cavallina Storna

L’uomo fu raggiunto da un colpo di fucile mentre guidava un calesse e l’autore dell’omicidio non fu mai trovato.

Il Pascoli aveva solo undici anni quando il padre morì in circostanze così misteriose.

La cavalla storna: storia della poesia

In apertura della lirica si fa riferimento ad una tenuta, “La Torre”, nei pressi di San Mauro in Romagna, il cui amministratore era appunto il padre di Giovanni, Ruggero Pascoli. Nelle scuderie di questa villa si trovava la “cavalla storna“, nera con le macchie bianche, la stessa che guidava il calesse il giorno in cui l’uomo fu colpito a morte.

Nel testo della poesia, il poeta si rivolge più volte all’animale con un ritornello:

O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna.

E’ stata Maria, la sorella di Giovanni Pascoli, a riprendere questa lirica nel 1912, dopo che il poeta era già morto, e a spiegare che la protagonista, la cavallina storna, era un animale un po’ ribelle che però diventava mansueta solo con il padre. Nella lirica infatti si legge:

tu capivi il suo cenno e il suo detto

Dopo la morte del  padrone, la cavalla cominciò a farsi guidare dal fratello maggiore, Giacomo, come se avesse capito la disgrazia che lo aveva colpito.

Testo completo della poesia

Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;

che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano
tu dai retta alla sua piccola mano.

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla„

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti la tua via,
perchè facesse in pace l’agonia…„

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dovè pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole,
perchè udissimo noi le sue parole„

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera.

“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come„

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote;
dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.

Temi

Anche in questa poesia del Pascoli il tema principale è quello della morte. La scena descritta evoca un’atmosfera angosciosa e permeata dalla sensazione che la vita è caduca, e che anche il nido familiare è provvisorio. Il paesaggio che il poeta descrive (quello della tenuta “La Torre” immersa nella campagna romagnola a tarda sera) fa da sfondo alla tragedia che è avvenuta e che ha gettato nello sconforto la sua famiglia.

Il calesse trainato dalla cavallina storna torna riportando il corpo del padre ucciso, e la madre del poeta si rivolge all’animale chiedendogli chi è il responsabile della sua morte.

La lirica si apre con una scena straziante: la cavalla è l’unica testimone della morte di Ruggero Pascoli. E’ a lei che la moglie, disperata, chiede il nome dell’assassino.

E’ in atto un processo di umanizzazione dell’animale. Ad un certo punto, incalzata dalle domande della donna, la cavalla nitrisce dopo che questa proferisce il nome del probabile assassino. Il poeta, con questo dialogo tra la cavalla e la madre ricco di pathos, introduce il tema della fedeltà degli animali rispetto agli uomini.

Mentre questi ultimi, pur sapendo, preferiscono tacere per vigliaccheria, la cavalla che vorrebbe parlare non ha la parola per raccontare ciò che ha visto. Non è la prima volta che il Pascoli utilizza la Natura e il suo simbolismo per trasmettere un messaggio.

Breve analisi e commento

Per diverso tempo questa lirica è stata considerata una delle più famose del Pascoli. Solo in tempi recenti la critica ne sta apprezzando il valore simbolico.

La scelta metrica del poeta fa sì che questo componimento si avvicini molto ad una filastrocca ritmica.

Il Pascoli è stato molto abile a rinnovare il pathos ad ogni ritornello, l’emozione sembra acquietarsi solo nell’epilogo finale. Soltanto nella chiusa il poeta scorge la soluzione del drammatico dialogo tra la madre e la cavallina. Attraverso un nitrito l’animale sembra confermare il nome del colpevole proferito dalla donna.

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Cavallina storna (La cavalla storna), testo della poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/cavalla-storna-testo/ https://cultura.biografieonline.it/cavalla-storna-testo/#comments Mon, 12 Sep 2016 09:43:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19809 Quello che segue è il testo completo della famosa poesia di Giovanni Pascoli, “La cavalla storna”. E’ possibile inoltre leggere un articolo di approfondimento con una breve analisi e commento alla poesia “La cavalla storna”.

Cavalla Storna - cavallina storna

La cavalla storna: testo della poesia

Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;

che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano
tu dai retta alla sua piccola mano.

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla„

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti la tua via,
perchè facesse in pace l’agonia…„

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dovè pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole,
perchè udissimo noi le sue parole„

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera.

“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come„

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote;
dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.

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Digitale purpurea, poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/digitale-purpurea-pascoli/ https://cultura.biografieonline.it/digitale-purpurea-pascoli/#comments Fri, 26 Aug 2016 23:16:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19344 La poesia “Digitale purpurea” è una delle più particolari della produzione di Giovanni Pascoli. La lirica descrive un dialogo tra due compagne di studio in un convento, Maria e Rachele che parlano di un fiore. La pubblicazione avvenne per la prima volta sulla rivista “Il Marzocco” nel 1898. Digitale purpurea venne poi inserita nell’edizione dei Poemetti del 1900.

Digitale Purpurea - poesia
Foto del fiore della digitale purpurea (Digitalis purpurea)

Questa raccolta fu pubblicata per la prima volta nel 1897. La seconda edizione (quella del 1900) venne poi arricchita con molti più testi: quella definitiva fu divisa in Primi Poemetti (1904) e Nuovi Poemetti (1909).

I Poemetti di Pascoli

Pascoli inserisce come epigrafe a questa raccolta due versi del poeta Virgilio: “Paulo maiora” (un po’ più in alto) perché in essa vuole innalzare sia i contenuti che la forma della sua poesia, distaccandosi dall’esperienza della precedente raccolta Myricae, nella quale aveva descritto la poesia delle piccole cose.

I testi di Poemetti sono infatti più ampi, hanno un andamento narrativo e soprattutto sono costituiti da terzine dantesche.

Le tematiche sono sempre simili a quelle di Myricae. Vengono descritte le vicende di una famiglia di contadini che vive nella campagna  di Lucca, in maniera semplice e modesta.

Uno degli intenti della raccolta è la celebrazione della piccola proprietà terriera, in modo da criticare in maniera velata la società industriale che all’epoca stava nascendo

Tra i Poemetti più importanti si ricordano: Italy (che racconta la storia di una famiglia di Lucca emigrata in America), La vertigine (che rappresenta il senso di vuoto dell’uomo moderno) e Digitale purpurea, la poesia che andiamo qui ad analizzare.

Questa poesia è composta da 75 versi, divisi in terzine dantesche con rima ABA-BCB etc. (rima incatenata).  Più che poesia, essa si può definire un poemetto narrativo perché racconta l’incontro tra due amiche che ricordano gli anni trascorsi in un convento.

Il componimento prende nome dal fiore, Digitalis Purpurea, che le due amiche scoprirono proprio in convento. Una delle due protagoniste del dialogo è Maria Pascoli, la sorella di Giovanni Pascoli, l’altra, di nome Rachele, è invece invenzione del poeta.

Leggi: il testo completo di Digitale purpurea.

Digitale purpurea: le tre parti

Il poemetto è diviso dall’autore in tre parti.

Nella prima parte del componimento, alle ragazze  torna in mente proprio questo fiore, che viene definito strano, triste e fiore di morte. Esse, da fanciulle, avvistarono il fiore nel giardino e ne furono incuriosite. La suora, che a quel tempo le sorvegliava, intimò loro di non avvicinarsi ad esso perché emanava un odore talmente intenso che faceva morire.

Nella seconda parte del poemetto, esse ricordano l’atmosfera del convento, pieno di incenso, dove si potevano sentire sempre le litanie. Le fanciulle erano vestite con abiti candidi e risuonava nel corridoio il suono delle loro voci. Alla fine compare sempre un riferimento al fiore, che viene definito come dita macchiate di sangue.

Nella terza, ed ultima parte, Rachele confessa a Maria di aver sfidato la paura ed essersi avventurata nel giardino per sentire il profumo del fiore. Qui è ormai evidente che il fiore è diventato la metafora della pulsione erotica, che può portare alla perdizione e alla morte.

Analisi della poesia

Il componimento può definirsi pienamente decadente per la sua atmosfera inquieta e sensuale allo stesso tempo. Prevalgono le sensazioni visive ma soprattutto olfattive. Il passato e il presente si alternano continuamente nel discorso, creando un senso di ambiguità.

Dal punto di vista stilistico, sono presenti moltissimi enjambement, quindi i versi vengono spesso frantumati. Si ricorda poi il gioco di allitterazioni già nel primo verso (l’una…l’altra, l’una). Questo viene utilizzato proprio per contrapporre le parole delle due ragazze, e anche il loro modo di affrontare la vita.

Maria, che rappresenta il poeta, resta in disparte e non sente il profumo del fiore. Rachele invece sì, ha il coraggio di lanciarsi nella sfida con l’ignoto, con l’amore e quindi con la vita.

Nel componimento Digitale purpurea, si avverte quanto il rapporto con l’eros fosse complicato per il poeta Giovanni Pascoli. Egli infatti utilizza la metafora del profumo del fiore proprio per indicare la pulsione erotica. Essa, come il fiore, emana un profumo talmente intenso che però porta alla morte.

Questo evidenzia quanto sia stato difficoltoso il modo di avvicinarsi del poeta a questa sfera della vita. Soprattutto quali erano le sue contraddizioni interiori, oggi rilevabili dai suoi componimenti straordinariamente innovativi e moderni.

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