Odalisca Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 25 Sep 2017 08:45:26 +0000 it-IT hourly 1 La dormiente di Napoli, quadro di Ingres https://cultura.biografieonline.it/la-dormiente-di-napoli-quadro-di-ingres/ https://cultura.biografieonline.it/la-dormiente-di-napoli-quadro-di-ingres/#comments Fri, 29 Apr 2016 06:30:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17920 L’odalisca perduta di Jean Dominique Ingres (1780-1867) trasse e infine nuovamente diffuse il bagliore di una nobile bellezza dallo sguardo inebriante di una donna reale, amata nella platonica intenzione di unire lo spirito dell’amata al capolavoro celebrativo di un amore verosimilmente clandestino, ma che si rivelò maledetto e destinato a essere obliato. “La dormiente di Napoli” (1808) di Ingres riemerse dall’oscurità, ridestando l’ignaro fascino tra i connotati levigati delle odalische realizzate nel periodo tardo, cosicché, mostrandosi in forme nuove, riscattò il fallimento dell’illusoria promessa di essere glorificata dall’arte, quale promessa di quell’anima romantica che la ritrasse e cui mai si concesse.

La dormiente di Napoli - Sleeping Odalisque
La dormiente di Napoli – Ingres

Le sfortunate sorti dell’odalisca smarrita sembrano legarsi inevitabilmente alle disfatte subite dall’impero napoleonico a partire dal 1814, congiungendo gli esiti del dipinto alla figura del generale francese Gioacchino Murat (1767-1815) e della moglie e regina consorte di Napoli Carolina Bonaparte (1782-1839), sorella di Napoleone.

Nato per esprimere grazia e prestigio nelle blasonate dimore francesi dei Murat, la dormiente non giunse mai al fianco della tela conosciuta come “La grande odalisque” (1814), quale dipinto nato per essere combinato ed esposto con la tela smarrita.

La dormiente di Napoli: genesi del dipinto

La storia del dipinto, che richiama ineluttabilmente quella de “La grande odalisca“, si conclude nell’eclissi compenetrante ogni aspetto legato alle urgenti vicissitudini del Regno. Creata per Carolina Bonaparte, la tela di Ingres, raggiunse le dimore dei Murat intorno al 1814, per svanire nel nulla in seguito all’esecuzione per fucilazione del marito Gioacchino Murat, il 13 ottobre del 1815.

La dormiente di Napoli
La dormiente di Napoli – Foto di uno studio per il dipinto

L’incresciosa sorte di un dipinto perduto accende periodicamente l’interesse verso la figura del pittore francese, aprendo la strada a piacevoli supposizioni legate alla figura della donna rappresenta.

Sarebbe estremamente emozionante rivedere quelle pallide membra rifiorire di attenzioni e lustro al fianco de “La grande odalisque“, in quella felice unione che mai si realizzò e che fece di una il riflesso esistente e dell’altra il mito da onorare nel ricordo.

La dormiente di Napoli - Disegno
La dormiente di Napoli – Disegno

Note tecniche e descrittive

Era bella quella donna, sorridea nel sonno… Le nude forme del suo seno accusavano una sanità perfetta e una rigogliosa gioventù“. Il drammaturgo e giornalista italiano Francesco Mastriani descriveva così uno dei personaggi del noto romanzo d’appendice i “Misteri di Napoli” (1869), aprendo chiaramente l’attenzione su quella descrizione in cui è facile sentire gli echi di un secolo impregnato e continuamente influenzato dalla figura femminile della cortigiana.

La figura dell’odalisca, nella dormiente e svenevole espressione di una giovane donna abituata al destino di un corpo assiduamente in vendita, colpisce nella sua inesistenza, portando con sé il potere espressivo del corpo nudo e corrotto in molti dei capolavori di Ingres, quasi fosse il continuo rimando a un’eredità perduta, in quell’involontario tentativo di rivalsa verso un destino che aveva privato il pittore di quella bellezza raggiungibile solo attraverso degli strati di colore.

Ingres amava le donne, adorava e conquistava l’anima femminea attraverso l’arte. Il corpo femminile si fece vessillo di un’arte pienamente neoclassica, votata al romanticismo e a quella grande passione per le ambientazioni esotiche.

Il pittore francese era noto per le ricerche ossessive volte al miglioramento e arricchimento dei dettagli sulla tela, tanto da non risparmiarsi “nessuna pena pur di assicurare l’assoluta precisione dei dettagli nelle sue ricostruzioni pittoriche dei fatti del mondo intorno a lui (tanto che solo per l’accuratezza del costume e del décor, i suoi ritratti, al contrario di quelli di Delacroix, sono facilmente collocabili in uno specifico momento del XIX secolo)“.

Jean Dominique Ingres aveva l’abitudine di consultare un catalogo riccamente illustrato sui costumi orientali chiamato “Recueil de cent estampes représentant les diverses nations du Levant” (Raccolta di cento stampe che rappresentano le diverse nazioni del Levante, Parigi 1714-1715): molti dei capolavori di Ingres legano la propria iconografia al motivo dell’harem, come nel caso della stessa dormiente napoletana o de “La grande Odalisque”, che nascevano e traevano ispirazione dall’illustre e quanto meno raro “recueil” francese.
Ingres dimostrò di avere un profondo legame con l’arte persiana pur non avendo mai visitato l’Oriente, ma la “raffigurazione delle donne orientali rimane quella di oggetti passivi”.

Lo scrittore e poeta Pierre Jules Théophile Gautier (1811-1872), che aveva viaggiato in Oriente, non dissimulò mai la meraviglia che destava la conoscenza di Ingres in materia di harem, fascinazione profonda ed echeggiante in ogni suo capolavoro.
Le sue odalische“, affermava Gautiere, “farebbero ingelosire il sultano dei Turchi, tanto l’artista pare a suo agio con i segreti dell’harem“.

La dormiente di Napoli” rispecchiava probabilmente questa passione esotica, sentimento evidente anche nella celebre “Odalisca con schiava“, che per la tematica orientaleggiante richiama il nudo della donna assopita.

Odalisca con schiava - Ingres - Odalisque with slave
Odalisca con schiava (Ingres)

La bellezza de “La dormiente di Napoli” risuona tra le lettere dei romanzi ottocenteschi, riportando ciò che l’arte ha perduto nell’incantevole e spregiudicata letteratura romantica del XIX secolo; la cortigiana francese, la dea erotica di ogni matrimonio infelice, perde di ogni mistero nella lettura dell’illustre Gautiere, dove l’odalisca d’Ingres, totalmente disincarnata e idealizzata, lascia la pastosità dei colori e la durezza della tela per rinascere tra carta e inchiostro: “Era bruna e pallida, i suoi capelli ricci e inanellati, neri come quelli della notte, erano morbidamente appuntati alle tempie secondo la moda greca e, sull’incarnato diafano del suo volto, brillavano due occhi scuri e dolci, carichi di un’indefinibile espressione di tristezza voluttuosa e appassionato languore“.

La letteratura lascia posto alla pittura nelle uguaglianze che legano il capolavoro de “La dormiente di Napoli” a “La grande odalisca”, corrispondenze evidenti nella scelta nelle pose contrapposte (l’una di fronte con la testa a destra e una di schiena con la testa a sinistra ) e nel tema (un nudo occidentale e uno orientale).

Il mistero dell’odalisca smarrita di Ingres riempie l’immaginazione, lasciando la verità sopita tra le iridi vezzose dell’odalisca del Louvre.

Note Bibliografiche
P. Daverio, Louvre, Scala, Milano, 2016
F. Mernissi, L’harem e l’occidente, Giunti, Milano, 2010
F. Mastriani, I misteri di Napoli, Stabilimento tipografico del Commend. G. Nobile, Napoli, 1870
P. Tornese (a cura), T. Gautiere, Arria Marcella – Jettatura, Giunti, Milano, 1984

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La grande odalisca (dipinto di Ingres) https://cultura.biografieonline.it/la-grande-odalisca/ https://cultura.biografieonline.it/la-grande-odalisca/#comments Thu, 07 Apr 2016 13:44:59 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17887 Vestita di semplice bellezza, “La grande odalisca” (La Grande Odalisque, 1814) di Jean Dominique Ingres (1780 – 1867) si circonda di pregiate stoffe, nella morbidezza di un letto languidamente reso nel disordine di un evento che non c’è dato conoscere. Una fisicità bianca e tonicamente tornita, nell’eleganza di un volto tristemente giovane e bello, dove il corpo è esposto, esaltato nell’avvenenza di una scelta estetica che richiama gli echi delle superbe veneri cinquecentesche.

La grande odalisca - La Grande Odalisque - Ingres
La grande odalisca (La grande odalisque) • Olio su tela: 88,9 cm×162,56 cm • E’ uno dei quadri più celebri del pittore francese Ingres.

Un capo riccamente avvolto da pietre preziose e broccati degni di un alto lignaggio, regala l’eternità di un attimo intenso, perdurante nel tempo, in una prodigiosa attesa che fugacemente rende immortale lo sguardo svenevolmente proteso verso lo spettatore, in quella fisionomia ambigua, dove risulta difficoltoso estrapolare un’espressione serena o indifferente.

La grande odalisca di Ingres non fu solitaria nell’ideazione, né unica bellezza eternizzata dalla mano del pittore francese, collocandosi, di fatti, nelle vicine e risplendenti sorti “Odalisca con schiava“, custodita nella Walters art Gallery, a Baltimora

Esempio mirabile di una pittura ottocentesca d’incantevole magnificenza, Ingres colpì nuovamente nel segno di una seduzione fatta di un classicismo nuovo, di forme morbide e di colori intensamente brillanti.

Le scultoree membra della Grande Odalisca trovano rifugio nelle sontuose sale del Louvre ospitanti i capolavori della pittura francese, riportando lo spettatore verso la contemplazione di un artefatto d’ingegno illustre, e che inevitabilmente conduce al raffronto teorico con la premonitoria bagnante di Valpinçon (La Baigneuse, “La grande bagnante“, 1808 ) e al consecutivo capolavoro conosciuto come “La sorgente” (“La Source”, 1820) dello stesso Ingres.

La grande odalisca - dettaglio del volto
La grande odalisca: dettaglio del volto

La grande odalisca: genesi del dipinto

Il dipinto fu commissionato nel 1813 da Carolina Murat (1782 – 1839), sorella di Napoleone (1769 – 1821) e moglie di Gioacchino Murat (1767 – 1815), il generale francese e maresciallo dell’Impero con Napoleone. La tela nasceva per fare da pendant al nudo dipinto intorno al 1808 chiamato “La dormiente di Napoli“, andato perduto nel 1815 per la caduta del Regno e noto solo grazie ad una versione più tarda.

“Alla Grande Odalisca sarebbe toccata la stessa sorte, se non fosse rimasta nello studio di Ingres più a lungo: alla caduta di Murat, infatti, non era stata ancora consegnata”. (DAVERIO)

Note tecniche e descrittive

La rappresentazione pittorica di una schiava vergine al servizio degli ottomani (“odalik“) è la giusta espressione di un secolo, l’Ottocento, in cui l’evasione dalle noiose pratiche della vita matrimoniale avveniva attraverso l’adulterio.
Lo spirito del “secolo lungo” ribolliva e vibrava sovente nella clandestinità dei rigidi valori vittoriani, in quella moralità che più rinvigoriva lo spirito bohemien e che in ogni misura sfociava nell’eccesso, spesso ghigliottina sotto cui calava e infine si spegneva la vita di molte menti geniali.

In un parallelo letterario, nei connotati di una vergine dalle memorie fortemente legate alla “Fornarina” (1518) di Raffaello (1483 – 1520) e al nudo di schiena della Paolina Borghese, vediamo risplendere il nobile pallore della cortigiana Margherita Gautier, la sublime creatura nata dalla penna di Alexandre Dumas figlio (1824 – 1895), nell’intreccio dello spirito flaubertiano di Emma Rouault, l’adultera Madame Bovary.

La Fornarina - Raffaello Sanzio
“La Fornarina” (1518, dipinto di Raffaello Sanzio)

L’inebriante bellezza di un corpo nudo, giovane e di una verginità intatta racchiude in sé molto del proprio secolo, omaggiando e dando lustro ai grandi maestri del Rinascimento italiano, che verosimilmente insegnarono al mondo il potenziale espressivo di una casta nudità.

Quando Alfredo Germont, l’amante di Violetta Valéry, intonava le celebri note del “Libiamo, libiamo ne’ lieti calici, che la bellezza infiora; e la fuggevol, fuggevol ora s’inebri a voluttà“, qualcosa ridestò la verità negli animi, portando la realtà, quanto meno diffusa, della “Traviata” di Giuseppe Verdi (1813 – 1922) negli altisonanti e nobili teatri europei.

L’Odalisca diviene così riflesso reale ed emblema pittorico esaltante le eroine dell’Ottocento, di una figura di donna non più sottomessa, ma sagacemente in grado di dominare la propria sessualità.

E’ dunque facile dedurre, come spesso accade per il mondo dell’arte, la stretta correlazione d’ideali che ben penetrava ogni ambito dello scibile umano, connettendo in affini schemi arte, letteratura e teatro.

La Grande Odalisca di Ingres è simbolo di una bellezza ideale, minacciata, intonsa ma allo stesso tempo corrotta, vivida e livida di un lusso che disarma e arma lo spirito verso le più sconvolgenti imprese, in quell’arte che insegnò ad ardire.

Nel gusto esotico che arricchiva di nuove avvolgenti iconografie l’arte e che dava la nascita alle più interessanti collezioni private, la cortigiana si staglia nuda, mostrando la schiena oltre ogni misura allungata con l’espediente di due vertebre in più, esponendo in tal modo una forte spinta manieristica e neoclassica.

Il candore di un viso di un’innocenza illusoria è esaltato dallo sfondo nero, quasi a voler lasciar intendere la spazialità di un luogo ampio, quello di un palazzo o di una ricca dimora.

Charles Pierre Baudelaire (1821 – 1867) soleva affermare che “Ciò che distingue il talento di Sig. Ingres è l’amore per la donna. Il suo libertinaggio è serio e assai scrupoloso“, come a voler nuovamente ridisegnare i confini di una concezione impregnante lisere’ e chine’, nel tintinnante gioco di seduzione che portava a scoprire le crinoline.

L’audacia sentimentale di Ingres tonificò ogni strato della vita privata e artistica, rispecchiando la foga sentimentale nell’amore nato con Madeleine Chapelle, un sentimento germogliato per corrispondenza e che non privò il pittore francese dell’abilità di dirigere la propria umana e artistica affettuosità nei confronti del gentil sesso:

“A Parigi non mancheranno certo le modelle, ma è l’Italia che egli ha canonizzato a pantheon delle divinità femminili, a cui, come pittore, rimarrà sempre fedele: Thérèse, la Mariuccia, o altre senza nome fissate in eterno nella posa di “Angelica” legata allo scoglio, oppure della “Venere di Anadiomene” o della “Sorgente” ” (DAVERIO).

Ingres dedicò molta attenzione alla resa dei tessuti e dei contrasti cromatici, com’è facilmente visibile dal rosa ambrato della carnagione, l’azzurro intenso del tendaggio ricamato in oro, le note raffinate e preziose dei gioielli, del ventaglio e del turbante; un’attenzione cromatica che non viene in nessun modo estesa alla resa del disegno, volgendo a “deformazioni anatomiche funzionali alla resa di un’ideale di armonia visiva“.

La mancata verità anatomica fu aspramente criticata al Salon nel 1911, portando il pittore e critico d’arte francese Charles Paul Landon (1760 – 1826) a disapprovare l’esito pittorico di una vergine senza ossa, né muscoli, né sangue, nel plausibile e inatteso tentativo di “resuscitare la maniera pura e primitiva dei pittori dell’antichità“.

Note Bibliografiche
P. Daverio, Louvre, Scala, Milano, 2016
M. F. Apolloni, Ingres, Giunti, Roma 1994

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