novecento Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 28 Oct 2022 08:52:20 +0000 it-IT hourly 1 Rivoluzione russa: storia e riassunto https://cultura.biografieonline.it/rivoluzione-russa/ https://cultura.biografieonline.it/rivoluzione-russa/#comments Wed, 02 Mar 2022 09:02:29 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16895 La rivoluzione russa fu uno degli eventi più importanti della storia dell’attuale Federazione Russa. Fu un avvenimento invocato, previsto e poi scoppiato nel terzo inverno della Prima Guerra Mondiale, nel febbraio 1917 (calendario giuliano).

Rivoluzione Russa
Rivoluzione russa: un simbolico quadro intitolato “Bolscevico” (1920), del pittore Boris Kustodiev (1878-1927)

Presupposti della rivoluzione russa

I presupposti nacquero quando l’Impero russo scese in guerra al fianco dell’Intesa contro gli imperi centrali. Dopo neppure un anno di guerra, venne alla luce l’arretratezza dell’economia e tutto ciò, condito da sconfitte irreparabili che costarono le perdite della Galizia e della Polonia, portò miseria, fame e carestia. A Pietrogrado si crearono numerose folle e code in piazza, che diventarono ben presto comizi di protesta: gli operai iniziarono gli scioperi contro le speculazioni dei profittatori di guerra e per la diminuzione dei salari reali, proprio mentre lo zar Nicola II si trovava sul fronte di battaglia a dirigere le operazioni belliche.

I giorni della rivolta

Durante i primi due giorni di rivolta, alcuni dati della polizia russa contarono circa 90.000 protestanti che gridavano “pane, pane!”. Tra il secondo e il terzo giorno, i protestanti diventarono 200.000 e risultarono essere anche più aggressivi, agitando bandiere rosse e aggiungendo al grido pane, “basta con l’autocrazia”. La polizia non riuscì più a contenere la folla e dunque, in assenza dello zar, la Zarina decise di dichiarare fermamente agli operai che era proibito scioperare e, in caso d’oltraggio, i trasgressori sarebbero stati mandati sul fronte per punizione. Intanto, Nicola II inviò l’ordine di far presidiare per le piazze delle truppe e, d’improvviso, vi furono i primi scontri. Il quarto giorno risultò essere quello decisivo: il numero degli insorti aumentò, ma i soldati rifiutarono di sparare sui loro padri e fratelli.

La rivoluzione di febbraio

L’esercito diventò il protagonista nell’ultimo giorno quando, nelle caserme, si registrarono diversi casi di ammutinamento: molti soldati si unirono alla folla e, tutti insieme, s’impadronirono della città; furono inoltre liberati i detenuti politici e i soldati arrestarono ufficiali e funzionari zaristi. In 5 giorni, i protestanti di Pietrogrado abbatterono il regime zarista, ponendo fine al regno dei Romanov, nell’insurrezione che verrà denominata la “rivoluzione di febbraio”, perché si svolse tra il 17 e il 23 febbraio 1917.

I Bolscevichi

Da qui in poi, entrarono in scena i Bolscevichi (il Bolscevismo era una corrente del partito operaio socialdemocratico russo fondato nel 1898) e Lenin, capo del partito che si trovava da alcuni anni in Svizzera, decise di ritornare in Russia. Al ritorno in patria, avvenuto il 3 aprile, Lenin fu accolto da una folla immensa; le tesi bolsceviche cominciarono ad avere un’importante rilevanza nel movimento rivoluzionario. Il 4 aprile 1917, Lenin espose le “Tesi d’aprile”, ossia le linee guida del partito per i mesi futuri, tra le quali il leader propose anche di cambiare il nome del partito in Partito Comunista Russo, costruendo, dunque, la storia della rivoluzione.

Famosa foto di Lenin - Rivoluzione russa
Una famosa foto di Lenin durante la rivoluzione russa

Il governo Kerenskij e il comitato militare rivoluzionario

Nel frattempo, fu stanziato un governo provvisorio, il governo Kerenskij, che riuscì a reprimere un tentativo di rivoluzione a luglio e Lenin, accusato di ricevere denaro dai tedeschi per finanziare un colpo di stato Bolscevico in Russia, si nascose in Finlandia. Il colpo di stato fallito avvicinò Kerenskij sul viale del tramonto, poiché, tra luglio ed agosto, i bolscevichi riuscirono ad acquisire la maggioranza nei due soviet; il 9 ottobre 1917, Lenin, tornato a Pietrogrado, decise di prendere il potere creando, insieme a Trotsky, il comitato militare rivoluzionario.

Con il termine rivoluzione d’ottobre si indica la fase finale e decisiva della Rivoluzione russa.

Il 24 ottobre, i bolscevichi cominciarono ad occupare la capitale: si verificarono indubbiamente degli scontri, ma i comportamenti degli insorti non si rivelarono molto violenti. Il 25 ottobre Kerenskij fuggì dalla città e il potere passò nelle mani di Lenin. Nel gennaio del 1918, il governo russo passò a Mosca, che diventò la nuova capitale.

La nascita del regime comunista

Fra i primi provvedimenti del governo vi furono la nazionalizzazione delle banche, la creazione della CEKA (polizia segreta) e l’istituzione del tribunale rivoluzionario; i soviet vennero soppressi e gli anarchici subirono delle violenze; tutte le pubblicazioni non bolsceviche vennero soppresse. Fu così, dunque, che nacque il regime comunista, il quale farà da padre e da padrone in Russia per circa 70 anni.

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Il giornalismo agli inizi del Novecento https://cultura.biografieonline.it/storia-giornalismo-novecento/ https://cultura.biografieonline.it/storia-giornalismo-novecento/#respond Mon, 10 Jan 2022 11:13:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15703 Agli inizi del Novecento per l’Italia si aprono prospettive di progresso civile, sociale ed economico. Tuttavia, il giornalismo e l’editoria giornalistica sono ancora fragili. Di conseguenza, si verificano alcuni cambiamenti necessari per lo sviluppo editoriale.

La Gazzetta dello Sport - Il primo numero del 7 aprile 1896
La Gazzetta dello Sport: una foto del primo numero (7 aprile 1896)

Il contesto storico

Il tenore di vita delle zone più sviluppate del paese è elevato. Si amplia la rete ferroviaria e migliora il servizio postale. La circolazione delle informazioni è resa più veloce dall’utilizzo del telegrafo. Entrano in funzione, tra il 1902 e il 1903, le linee telefoniche a lunga distanza Milano – Roma e Milano – Parigi.

Nel 1901, il 48,7 per cento degli italiani è ancora analfabeta. Si entra in una condizione di libertà più ampia sotto la guida di Giolitti, anche se il diritto di voto è riconosciuto a un numero ristretto di cittadini; si dovrà attendere il 1913 per estendere il suffragio a tutta la popolazione adulta maschile.

Il giornalismo all’inizio del Novecento

Il “Secolo”, “Il Corriere” e la “Tribuna” all’inizio del Novecento sono gli unici quotidiani che tirano 100.000 copie circa. Alla rotativa, nel 1906, viene invece sostituita la Linotype: ne vengono installate novanta prevalentemente a Milano. A Palermo, nel 1900, nasce il quotidiano “L’Ora” finanziato dall’armatore Florio.

Cambiano, all’inizio del secolo, la fisionomia e la struttura del quotidiano: si passa al formato grande con la pagina suddivisa in cinque colonne con una foliazione di sei pagine e, già nel 1906, alcuni giornali – “Il Corriere” in testa – cominciano ad uscire a otto pagine, alcune volte la settimana.

Il giornale viene diviso per argomenti con testatine ad hoc: la cronaca cittadina, quella giudiziaria, alla quale viene assegnato molto spazio, le notizie teatrali, “le recentissime”.

Resta il romanzo d’appendice, ma non compare più a “fogliettone” in prima pagina. Occasionali e succinte sono invece le notizie sportive.

Il lunedì non escono i quotidiani del mattino. La prima pagina non si trasforma nella pagina – vetrina che Dario Papa aveva tentato di importare da New York: in prima pagina vengono infatti collocate le informazioni politiche, quelle culturali e le corrispondenze di un inviato.

Il giornale collettivo e i ruoli

Nasce il giornale collettivo, con la conseguenza che il lavoro nelle redazioni viene suddiviso. Il direttore è la più alta carica gerarchica del giornale, seguito dal redattore capo, che è il suo factotum per la realizzazione del giornale. Un rilievo professionale è riconosciuto agli inviati speciali, ai cronisti e al critico teatrale e letterario.

La Stefani continua ad essere l’unica agenzia nazionale di notizie ed opera ancora in condizioni di arretratezza. Per le informazioni dall’estero ha un accordo con la Wolff, che a sua volta è collegata con la Reuters. Contrariamente ai giornali stranieri, come i quotidiani francesi, inglesi e statunitensi dove si delinea la differenza tra i giornali di qualità e quelli popolari, in Italia i quotidiani scelgono la formula “per tutti”, mentre i settimanali di attualità e varietà operano sulla strada della diversità del pubblico.

Aumenta la diffusione della stampa femminile, di quella per bambini e per ragazzi. Mentre la stampa sportiva è agli albori. I primi settimanali sono dedicati al ciclismo.

È nel 1896 che nasce La Gazzetta dello Sport, della casa editrice Sonzogno, ma subirà la trasformazione in quotidiano solo nel 1919. Nasce, nel 1908, la Federazione nazionale della stampa italiana.

All’inizio del XX secolo

Nel 1900 e nel 1901 inizia una straordinaria stagione dell’editoria e del giornalismo d’opinione e di informazione grazie a:

Luigi Albertini
Luigi Albertini

Albertini è legato alla destra storica, sarà sempre avverso a Giolitti e ai suoi metodi di governo e alle sue idee. Sotto il profilo giornalistico, si ispira al giornalismo inglese, prendendo come modello il “Times”. In Corriere, in pochi anni, ha una fitta rete di corrispondenti dalle capitali europee, tra i quali quello che si mette in luce durante la guerra russo-giapponese è Luigi Barzini.

Il “Corriere” riesce a diventare in breve tempo il giornale più ricco e accurato del Paese. Cambia veste la sua impaginazione che diventa più vivace perché la suddivisione della pagina in sei colonne obbliga a introdurre qualche titolo di taglio, anche se la veste resta sostanzialmente austera. Quando gli altri quotidiani iniziano con la pubblicazione delle fotografie, “Il Corriere” non ne pubblica più di due per numero, aprendosi invece a nuovi argomenti, quali l’aviazione e lo sport.

Proprio nel 1900 Albertini può intimare a Romussi (Secolo) di togliere dai manifesti e dalle locandine la dicitura “il più diffuso quotidiano d’Italia”. Avviene, dopo un inseguimento durato quasi trent’anni, il sorpasso.

Alfredo Frassati
Alfredo Frassati

Altro personaggio di spicco del giornalismo dell’età giolittiana è Alfredo Frassati, il creatore delle fortune de “La Stampa”. Al contrario di Albertini, appoggia Giolitti e diverse sono la matrice culturale e professionale. Frassati aveva trascorso tre anni in Germania, quindi i suoi modelli sono alcuni giornali tedeschi come il “Frankfurter Zeitung”.

La terza pagina

Ad Alberto Bergamini, terzo uomo importante di questo inizio Novecento alla guida del “Giornale d’Italia”, si deve la creazione della Terza pagina. Bergamini fa del suo giornale un foglio movimentato, introducendo alcuni propositi “americanizzanti” di Dario Papa: le notizie e gli articoli più interessanti in prima pagina, servizi dall’estero ma anche una ricca cronaca cittadina.

Storia del giornalismo - La prima Terza pagina - 10 dicembre 1901
Storia del giornalismo: la prima “Terza pagina” risale al 10 dicembre 1901; fu voluta da Alberto Bergamini, alla guida del “Giornale d’Italia”

Primo esemplare di Terza pagina è considerata quella uscita il 10 dicembre 1901, nella quale Bergamini riunisce quattro articoli di critica e di cronaca dedicati alla prima rappresentazione della “Francesca da Rimini” di Gabriele D’Annunzio.

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Sessantotto: il movimento del 1968 in Italia (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/1968-in-italia-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/1968-in-italia-riassunto/#comments Fri, 21 Oct 2016 12:38:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20065 Dopo la morte di esponenti come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, la politica italiana si svolse ancora una volta all’insegna del torpore e della disorganizzazione. Si alternarono alla guida del governo diversi personaggi che portarono avanti dei governi confusi e di breve durata. Governi in abbondanza che, in teoria, dovevano essere diversi. E portare quanto meno delle modifiche ma che, in pratica, portavano sempre gli stessi frutti. All’improvviso vi fu tempesta in Europa, in Francia e in Italia. In particolare nelle università, esplosero delle proteste studentesche che comportarono una serie di occupazioni e rivendicazioni. Esse precedettero e seguirono i moti parigini del maggio 1968. In questo articolo approfondiamo i temi del 1968 in Italia.

Il 1968 in Italia Sessantotto riassunto - Potere studentesco

Il 1968 in Italia: la protesta studentesca

Il primo episodio, in Italia, lo si ebbe nel corso del 1968 nei pressi di Valle Giulia, vicino alla Romana Villa Borghese. E’ una zona in cui aveva sede la facoltà di architettura. Qui alcuni giovani studenti che facevano parte del movimento studentesco furono protagonisti di numerosi scontri con i poliziotti.

Le prime rappresaglie dunque si ebbero a Roma, ma il movimento studentesco milanese era certamente più organizzato e più forte rispetto agli altri. Tra le sue fila vi era il leader e capro espiatorio Mario Capanna. Egli fu uno studente iscrittosi alla statale di Milano dopo essere stato allontanato dalla sede dell’Università Cattolica. Nel maggio del 1968 tutte le università di Milano, esclusa la Bocconi, furono occupate.

In merito a ciò, il famoso poeta e scrittore nonché sceneggiatore e regista Pier Paolo Pasolini prese una posizione alquanto rigida nei confronti di questi studenti. Essi vennero aspramente criticati dal drammaturgo d’origine bolognese, il quale si schierò dalla parte dei poliziotti. Secondo lui, in sintesi, erano proprio loro i figli del popolo, mentre gli studenti erano dei figli di papà, viziati.

Il movimento operaio

La protesta studentesca del 1968 in Italia, raggiunse il livello massimo di consensi. Tutto ciò comportò l’esplosione di numerose rivolte degli operai in fabbrica, nel 1969. Dunque il movimento operaio si amplificò e si collaudò anche più di quello studentesco.

Sessantotto: Scioperi del 1968
Sessantotto: studenti ed operai uniti nella lotta

Dal loro canto, gli operai erano afflitti da un continuo e profondo malessere sociale che fu probabilmente causato (secondo loro stessi) dal cosiddetto “miracolo economico” che caratterizzò l’Italia negli anni ’60, il quale non era stato accompagnato sia a livello governativo e sia dal punto di vista imprenditoriale. Gli operai rivendicarono in gran parte il fatto che loro pagassero molte più tasse e che iniziò ad insediarsi l’evasione fiscale da parte di alcuni ricchi imprenditori.

L’autunno sindacale

Correva l’anno 1969 quando nacque “l’autunno sindacale“, denominato così perché durante l’autunno era in corso l’importante discussione di 32 contratti di lavoro. La loro discussione si svolse in un clima arduo e tempestoso. I sindacati e i comitati dei lavoratori esigevano salari uguali per tutti. La loro richiesta fu esaudita in quanto i contratti vennero firmati dopo numerosi incidenti e scontri tra i protestanti.

Gianni Agnelli
Gianni Agnelli

Dopo tutti questi disordini intervenne anche “l’avvocato” e principale azionista della FIAT, Giovanni Agnelli, in quanto anche nelle sua azienda vi furono diverse proteste. Agnelli disse, riferendosi all’autunno sindacale, che quest’avvenimento fu l’inizio di 10 anni disastrosi e di brutalità in fabbrica. Probabilmente tutto questo introdurrà ciò che sarà poi quel periodo di terrorismo, che si manifestò in Italia negli anni successivi, denominato “anni di piombo” e caratterizzato dalle Brigate Rosse.

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La guerra di Etiopia del 1935 (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/#comments Wed, 04 May 2016 09:52:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18135 Prima di arrivare a riassumere ed analizzare la Guerra di Etiopia del 1935 (talvolta nota anche come guerra d’Abissinia o campagna d’Etiopia), facciamo una breve introduzione ricordando lo scenario storico: in passato, le più grandi potenze europee si vantarono di avere numerose colonie: alla fine dell’Ottocento, l’Impero Britannico risultò vastissimo; non da meno fu quello francese, mentre Germania e Belgio ebbero un numero inferiore di colonie rispetto alle altre due, ma un numero ad ogni modo rispettabile. Alla fine dell’Ottocento, fu in possesso di sole due colonie in Africa orientale, l’Eritrea e gran parte della Somalia; nel 1902, ottennero una piccola concessione in Cina a Tientsin e, per ampliare il colonialismo italiano, bisogna attendere il 1912, anno in cui avvenne la conquista della Libia.

Guerra di Etiopia: Emilio De Bono in Abissinia
Una foto del generale Emilio De Bono in Abissinia durante le prime fasi della Guerra di Etiopia

L’Etiopia e le intenzioni di Mussolini

A partire dal 1923, poco dopo l’assunzione del potere al governo, Benito Mussolini credette di creare una nuova era coloniale per l’Italia, allargando soprattutto il predominio in Africa Orientale; la regione Africana nella quale Mussolini pensò di estendere l’influenza italiana fu l’Etiopia, rimasta uno Stato indipendente, amministrata dal Negus e dai ras, dei governatori locali.

Benito Mussolini a cavallo
Benito Mussolini

D’altro canto, gli italiani tentarono già una volta, nel 1896, di occupare l’Etiopia ma la battaglia di Adua fu clamorosamente fatale per il Regio esercito. L’Etiopia, negli anni 30, si presentava come uno Stato, anzi un Impero, di tipo feudale, dove vi furono diversi tentativi dell’imperatore Hailè Sellassiè, ma fu un paese che nonostante gli sforzi non riuscì mai a crescere.

L’invasione dell’Etiopia e l’opinione pubblica

Nel 1928, Mussolini dichiarò che le due nazioni si erano riappacificate, stipularono anche il patto d’Amicizia ma, negli anni seguenti, vi furono diversi incidenti, soprattutto verso il confine con la Somalia italiana a Ual Ual, ove vi fu uno scontro armato nel 1934.

L’attacco etiopico fece da collante con le idee che il fascismo stava maturando ossia quella di creare una sorta d’impero per controllare gran parte del Mediterraneo. L’opinione pubblica europea, soprattutto quella britannica, si oppose all’intenzione del Duce di invadere l’Etiopia, perché temevano un possibile scoppio di eventuali guerre ed erano inoltre preoccupati per ogni tipo di avvenimento che l’invasione avrebbe potuto provocare.

Mussolini non diede affatto importanza all’opinione pubblica internazionale e, sul finire del 1934, fornì nuove istruzioni al generale Pietro Badoglio, nelle quali disse chiaramente che il rapporto con gli abissini poteva risolversi solo con l’intervento delle armi.

Il 2 ottobre 1935 ci fu la “chiamata alle armi”; il 3 ottobre 1935 le truppe italiane presenti in Eritrea diedero inizio all’invasione dell’Etiopia: essa fu una guerra coloniale come mai si era vista prima per la ricchezza dei mezzi, sia in termini numerici sia in termini quantitativi. Oltre ad essere una guerra coloniale, la spedizione ebbe anche un altro importante significato, quello del consenso, poiché con la guerra d’Etiopia, i referti storici dissero che in quel momento tutta l’Italia fu fascista e il regime assunse il suo consenso assoluto.

Nel frattempo l’opinione pubblica mondiale, che già da prima dell’invasione fu ostile, divenne irremovibile e l’Italia fu condannata dalla Società delle Nazioni che decise di applicare delle sanzioni; ben 52 Stati furono contro l’operato italiano; di seguito, la nazione che sarebbe diventata il nemico numero uno fu proprio l’Inghilterra di Churchill che, fino a poco tempo prima stimava il Duce. Per le ingenti spese che lo Stato dovette affrontare per la campagna etiopica, il 18 dicembre 1935 venne indetta la giornata della fede (o dell’oro), giorno in cui tutti vennero invitati a donare la propria fede e altri ori personali; parteciparono anche diversi antifascisti ed accademici come Pirandello.

I contatti con la Società delle Nazioni, soprattutto con Francia e Inghilterra, continuarono imperterriti, ma Mussolini fu sempre restio nei confronti di soluzioni diplomatiche.

Intanto, in Etiopia fu mandato Pietro Badoglio, il miglior maresciallo e generale che l’Italia avesse in quel periodo, per dirigere le operazioni belliche facendo ritornare in Italia Emilio De Bono, perché il Duce non poteva rischiare di far prolungare le battaglie e rischiare di non vincere. Pur di sconfiggere gli abissini, gli italiani fecero uso di armi chimiche (gas asfissianti) e gli abissini, dal canto loro, usarono le pallottoledum dum” (ossia proiettili ad espansione) che esplodevano all’interno dei corpi; furono delle armi vietate dalle convenzioni internazionali, ma utilizzate da entrambi gli eserciti.

Gli ascari e le tappe principali della Guerra di Etiopia

Un grande ruolo nella guerra d’Etiopia fu giocato dagli “ascari” che, erano un gruppo di soldati indigeni dell’Africa orientale, inquadrati come componenti regolari delle truppe italiane: vennero considerati come punta di diamante e, difatti, nel febbraio 1936 portarono alla prima grande vittoria italiana ad Amba Aradam.

Ascari
Ascari

In marzo, la resistenza abissina capeggiata direttamente dal Negus venne piegata; il 3 maggio, il Negus abbandonò l’Etiopia atterrando in Palestina; il 5 maggio 1936, gli italiani occuparono Addis Abeba ponendo fine alla Guerra di Etiopia.

La guerra etiopica fu un successo per il regime e come detto sopra, in quel momento tutta l’Italia fu fascista, ma questo successo dimostrò ben presto il suo carattere fallimentare sia dal punto di vista economico e sia per il fatto che quelle terre appena conquistate erano indifendibili; durante la Seconda Guerra Mondiale vennero lasciate sole poiché, per l’appunto, l’economia scarseggiava e per raggiungere l’Etiopia, o meglio l’Africa orientale, le navi italiane dovevano per forza passare dal canale di Suez, che era controllato dagli inglesi, i quali erano in guerra proprio contro l’Italia; dunque, l’Africa orientale fu ben presto perduta.

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Nascita della Repubblica Italiana https://cultura.biografieonline.it/nascita-della-repubblica-italiana/ https://cultura.biografieonline.it/nascita-della-repubblica-italiana/#comments Thu, 10 Mar 2016 15:15:08 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17284 La fine della Monarchia in Italia passò attraverso l’evento storico del referendum del 2 giugno 1946 cha sancì la nascita della Repubblica Italiana. Facciamo prima un passo indietro: l’Italia del 1945 era un paese cosparso di macerie, sovrastato dall’orribile spettacolo di piazzale Loreto, minacciato dalla carestia che fu prevenuta grazie all’intervento degli americani i quali, con le loro navi, trasportarono dei beni come il grano; ma, nonostante tutto, la voglia e la grinta per ripartire nel migliore dei modi fu notevole.

Nascita della Repubblica Italiana - Referendum 2 giugno 1946
Nascita della Repubblica Italiana: la scheda con cui si votò allo storico referendum del 2 giugno 1946

Indebolimento della Monarchia

La crisi della Monarchia dei Savoia fu uno dei temi più gettonati poiché, dalla metà del 1943 in poi, il Re Vittorio Emanuele III iniziò a perdere decisamente il consenso; ma egli fu ostinato, non si accorse che ormai la Monarchia stava per crollare e anzi, fu convinto di essere il solo a poter risollevare le sorti dell’Italia, rifiutando consigli e quant’altro, perché in quel momento iniziò a disprezzare tutti, a cominciare dal figlio Umberto II.

Monarchia o Repubblica?

Dopo la fine della guerra, fu nominato capo del governo l’antifascista Ferruccio Parri, succeduto il 10 dicembre 1945 da Alcide De Gasperi. Con l’entrata in scena dello statista trentino cresciuto nel parlamento di Vienna, un dilemma dominava le prospettive future: Monarchia o Repubblica. La fine del consenso monarchico, per molti, si ebbe quando vi fu la cosiddetta “fuga di Brindisi”, durante la quale il Re Vittorio Emanuele III e il maresciallo Badoglio (in quel periodo capo del governo), abbandonarono Roma ormai in preda ai tedeschi per non cadere come loro prigionieri. I monarchici giustificarono sempre questo gesto, difendendo il Re che voleva assicurare la continuità dello Stato e della Monarchia; altri, invece, pensarono che se il Re, o chi per lui, in questo caso il principe ereditario Umberto II (che si era proposto di rimanere a Roma ad affrontare i tedeschi, ma si vide negata tale possibilità dal re) fosse rimasto a Roma ed eventualmente fosse stato fatto prigioniero dai tedeschi, assumendosi le proprie responsabilità, probabilmente, gli italiani avrebbero apprezzato e anche premiato questo gesto votando Monarchia per il Referendum del 2 giugno 1946.

La Repubblica Italiana
Il simbolo della Repubblica Italiana

Il Referendum del 2 giugno 1946

Questa appunto, fu la data decisiva che scelsero per decidere le sorti dell’Italia; si svolsero delle campagne elettorali, la stampa del nord fu maggiormente repubblicana, mentre quella del sud prettamente monarchica e la sfortuna della Monarchia fu che il solo Re, Umberto II (divenuto Re fino al Referendum dopo l’abdicazione inevitabile del padre che finalmente arrivò) era l’unico propagandista; invece, per la Repubblica scesero in campo le piazze, furono fatti degli slogan molto decisi, come quello di Nenni, “o la Repubblica o il caos” e il che aveva un fondo di verità poiché, se la monarchia avesse perso per qualche voto, non sarebbe insorto nessuno perché del tutto moderati, ma, se la Repubblica avesse perso per qualche voto, probabilmente ci sarebbero state delle insurrezioni. Quasi tutte le forze politiche antifasciste erano a favore della Repubblica. Anche nella Democrazia Cristiana, ove le posizioni erano alternanti, si decise di appoggiare, sotto la spinta di De Gasperi; invece, i Liberali si ritrovarono in posizioni discordi tra di loro. L’esito del voto lo si conobbe il 10 giugno 1946, con lo spoglio delle schede: la repubblica ebbe 12.717.923 votanti, mentre la monarchia 10.719.284.

Storia di Italia - Dalla Monarchia alla Repubblica
Dalla Monarchia alla Repubblica: Foto di un manifesto che invitava la popolazione a votare a favore della monarchia

Il sospetto di brogli elettorali

Al giorno d’oggi, ma anche in quello stesso periodo, ci si chiede se questo referendum fu leale o adulterato: molti pensarono che vi furono dei brogli in favore della Repubblica, poiché il Re Umberto II contestò, invocando la vidimazione dei risultati presso la corte di cassazione, che aveva bisogno di molto tempo per verificare la validità delle schede autenticate. Per De Gasperi il tempo d’attesa poteva essere pericolosissimo, in quanto la permanenza di Umberto in Italia poteva provocare una divisione ancora più marcata tra repubblicani e monarchici ed inoltre si temettero degli scontri che avrebbero potuto provocare delle guerre civili, per cui il governo, dapprima, supplicò Umberto di lasciar l’Italia e di aspettare l’esito della corte di cassazione presso il luogo del suo esilio (questo giudizio non arrivò mai).

Sembrerebbe inoltre che si arrivò quasi alle minacce e dunque, Umberto, comprendendo il pericolo che poteva comportare la sua permanenza, decise di andar via. Umberto II fu il primo Re di un grande paese ad essere deposto dal trono senza tumulti e subbugli. Il tutto fu deciso dal popolo, attraverso la depositazione delle schede sulle urne; si aprì dunque una nuova pagina per lo Stato italiano. Un paese che poteva sembrare spaccato si riunì in poco tempo, accantonando la monarchia che era rimasta ormai come un fatto storico ma nostalgico per alcuni.

Enrico De Nicola
Enrico De Nicola, 1° Presidente della Repubblica

La nascita della Repubblica Italiana, l’assemblea costituente e il primo presidente della Repubblica Italiana

Enrico De Nicola fu eletto dall’assemblea costituente come capo provvisorio dello Stato, nonché primo tra i presidenti della Repubblica Italiana. L’assemblea costituente era formata dal 35% dai democristiani, 21% dai socialisti e dal 19% dai comunisti, costituita da 75 uomini, divisi successivamente in sottogruppi, ciascuno dei quali aveva delle competenze specifiche per redigere il testo che è caratterizzato da 139 articoli, definendo inoltre le caratteristiche dello Stato italiano: repubblicano, democratico, fondato sul lavoro, parlamentare, decentrato e non confessionale, poiché fu dichiarato che lo Stato sarebbe divenuto Laico.

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Caduta del Fascismo: la fine della Repubblica Sociale Italiana https://cultura.biografieonline.it/fascismo-caduta/ https://cultura.biografieonline.it/fascismo-caduta/#comments Fri, 26 Feb 2016 09:59:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16717 Dopo l’invasione etiopica, Mussolini si mise contro molti stati europei, deludendoli in gran parte, poiché molti di essi, nei primi anni del 1930, lo ammirarono molto. Inevitabilmente, ci fu una crisi riguardo la politica estera: il Duce aggravò la sua posizione alleandosi con Hitler (nonostante diffidò sempre di Hitler e dei nazionalsocialisti) perché credette che alleandosi con il Fuhrer avrebbe potuto ridurre il divario con gli stati più sviluppati. Hitler, tuttavia, vide Mussolini come una sorta di maestro, facendo spesso visita in Italia per vedere come un dittatore doveva comportarsi, muoversi e anche vestirsi. In questo articolo ci occuperemo di quella fase storica italiana che portò alla caduta del fascismo e alla fine della Repubblica Sociale Italiana.

Mussolini e Hitler
Una foto di Benito Mussolini e Adolf Hitler in uno dei loro incontri ufficiali

Indebolimento del regime fascista

Si ebbe un fattore dell’indebolimento fascista, quando scoppiò la guerra civile in Spagna, dove il Duce decise d’intervenire sia perché temette che, se la rivolta di Francisco Franco, sarebbe fallita, le sinistre spagnole si sarebbero unite con la Francia e avrebbero fatto blocco sull’Italia fascista, sia perché si sentì minacciato e sfidato da molti antifascisti italiani che andarono in Spagna a combattere contro Franco. Questa decisione fu influenzata da Hitler; il governo fascista non si accorse della trappola in cui si mise, perché la Germania stava utilizzando queste strategie belliche che Hitler premeditava per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Il 18 marzo 1938, Hitler arrivò in Italia e ad accoglierlo, stavolta, ci fu anche il Re Vittorio Emanuele III, rafforzando ancora di più l’alleanza che, ad ogni modo, fino quel momento non fu totale e militare; l’incontro non fu ben visto da papa Pio XI che non apprezzava Hitler, anzi lo disprezzava, accusandolo di neo Paganesimo.

Gli incontri tra i due dittatori si fecero più frequenti e diedero una svolta ancora più autoritaria al regime, annettendo delle modifiche, come il divieto di utilizzare termini stranieri, non si doveva più usare il “lei” ma solo il “tu” e il “voi” e, nel luglio 1938, venne pubblicato il manifesto degli scienziati razzisti, ove scrissero che gli ebrei non facevano parte della razza italiana; l’8 agosto il duce ordinò che tutti gli ebrei fossero eliminati dai luoghi di diplomazia. Tutto ciò non venne accolto con clamore, tra i più grandi avversi l’Italia trovò la borghesia, che stimava molto gli stati di Francia e Inghilterra.

Nel frattempo, Hitler decise di attaccare la Cecoslovacchia e Mussolini, per non esser da meno, invase l’Albania; lo storico Piero Melograni affermò che tutti questi fermenti di guerra non piacquero agli italiani, poiché il ricordo della Prima Guerra Mondiale era fresco e bruciante; gli italiani non amavano Hitler e del resto anche Mussolini non lo amava, ma agli italiani diede fastidio che Mussolini fu sottomesso alla volontà di Hitler.

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e la RSI

Inevitabilmente scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, la quale si rivelò molto dura per l’Italia già da subito, poiché non era affatto preparata; difatti, si manifestarono numerose sconfitte e, nel maggio del 1943, l’Italia arrivò alla disfatta, gli inglesi invasero prima Pantelleria e successivamente la Sicilia. Con i bombardamenti di Napoli, l’Italia risultò sconfitta, il Re capì che il fascismo era al capolinea; anche Mussolini lo capì e dopo un incontro con Vittorio Emanuele III, il Duce decise di uscire di scena, dimettendosi; abbandonò Villa Savoia preso in consegna dai Carabinieri.

Il nuovo capo del governo fu Badoglio. Mussolini fu portato e rinchiuso in Abruzzo; il 12 settembre fu liberato dai tedeschi e fu condotto da Hitler che era molto deluso dagli italiani.

Badoglio a capo del governo (La Stampa - 23 luglio 1943)
Badoglio a capo del governo – Le dimissioni di Mussolini accettate dal re (La Stampa – 23 luglio 1943)

Il fuhrer disse a Mussolini che bisognava procedere insieme, nonostante tutto, dunque gli disse di creare un nuovo stato, ed è proprio qui che possiamo notare il “terzo Mussolini“, come lo indicava Indro Montanelli, ossia quello patetico, che visse tra le macerie del suo sistema e impotente a tutto.

Difatti, l’ormai ex duce, non fu più quello di un tempo, fu sicuramente prigioniero dei tedeschi; il 18 settembre 1943 annunciò, dunque accontentando Hitler, la creazione di un nuovo Stato, La Repubblica Sociale di Salò. In questo governo, i tedeschi dominavano incontrastati: decisero di processare e di uccidere, a Verona nel gennaio 1944, i traditori che avevano votato contro Mussolini nell’ultimo Gran Consiglio del Fascismo.

In quel periodo vi furono molti episodi di questo genere e non solo a Salò: perciò possiamo affermare che tra la fine del 1943 e fino al 25 aprile 1945 l’Italia fu un campo di battaglia di una guerra tra eserciti stranieri ove gruppi d’italiani, Salò al nord schierata con i tedeschi e il regno del centro sud, co-belligerante con gli alleati, innescarono pure una guerra civile tra italiani.

Con la RSI si schierarono giovani (ventenni e minorenni), i quali credettero che arruolandosi a Salò rappresentavano l’onore nazionale rispettando l’alleato tedesco, altri pensarono che con Salò si poteva salvare la giustizia italiana; vi furono anche dei combattenti che non volevano mettere da parte il loro passato di combattenti e anche gente che proveniva dalla burocrazia delle regioni occupate, i quali non vollero rinunziare allo stipendio e alla carriera.

La caduta del fascismo

La guerra volse nel peggiore dei modi: Mussolini tenne il suo ultimo discorso il 15 dicembre 1944 al teatro lirico di Milano dove affermò che le forze tedesche erano ancora forti e che il Giappone non si sarebbe mai piegato agli Stati Uniti d’America, ma la realtà era diversa.

Il 13 marzo, Mussolini, tramite il cardinale Schuster, consegnò agli alleati una proposta di capitolazione chiedendo l’incolumità per lui e per i fascisti, ma gli alleati chiesero la resa incondizionata. Salò, dunque, era ad un passo dalla fine: così anche il fascismo.

Mussolini giustiziato - Giornale di Sicilia - 29 aprile 1945
“Mussolini è stato giustiziato” (Corriere di Sicilia, 29 aprile 1945)

Mussolini provò la fuga in Svizzera, fu catturato a Como e il 28 aprile 1945 fu fucilato insieme ad altri soci del partito fascista. I cadaveri furono esposti in Piazzale Loreto (lo stesso luogo dove il 10 agosto 1944 furono trucidati 15 partigiani), che per Montanelli fu un orrore, una vergogna l’esposizione dei cadaveri maltrattati, una giustizia di popolo all’italiana, ma inevitabile.

Con la caduta del fascismo e la fine della Repubblica Sociale Italiana, si chiuse dunque uno dei periodi più importanti ma allo stesso tempo uno dei più cupi della storia d’Italia.

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Fascismo: la crescita del consenso e la nascita dell’impero https://cultura.biografieonline.it/fascismo-sviluppo/ https://cultura.biografieonline.it/fascismo-sviluppo/#comments Tue, 16 Feb 2016 17:18:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16715 Nessuna forma di governo può durare a lungo senza una buona dose di consenso e Mussolini fu molto abile nel corso degli anni ad acquistarne tanto. Il regime fascista fu uno dei primi ad utilizzare intensivamente tutti i mezzi di comunicazione che erano presenti in quel momento e questi, difatti, furono soggetti a forme di inibizione: tutta la stampa ricevette delle istruzioni su ciò che si poteva e non poteva scrivere.

Balilla e piccole italiane - Fascismo - Regime fascista
Durante il regime fascista i giovani ragazzi e le giovani ragazze indossavano a scuola specifiche divise: i primi venivano chiamati balilla; le seconde venivano chiamate piccole italiane.

La ricerca dei consensi

Anche il mondo accademico subì quest’influenza: gli intellettuali, per la maggioranza, aderirono al regime fascista; su tutti personaggi come Pirandello e Marinetti, i quali diedero molto al fascismo, credendo realmente in esso. Per il popolo si organizzarono delle cerimonie con gagliardetti e bande musicali, alle quali molti partecipavano indossando le stesse divise; i bambini, il sabato mattina, si dividevano in gruppi – i giovani ‘balilla’ per il sesso maschile e le ‘piccole italiane’ per il sesso femminile – al fine di essere tutti pronti per le adunate pomeridiane del cosiddetto sabato fascista.

Nel 1929, firmando i Patti Lateranensi con la Chiesa, il duce compì un altro grande passo in avanti per il consenso, in quanto sancì, in pochissime parole, la pace tra Stato e Chiesa. Gran parte della retorica si manifestava intorno al mito di Roma antica, poiché ai fascisti piaceva apparire come gli antichi romani: essi costituivano un riferimento obbligato, benché non del tutto appropriato, perché fra i due periodi vi furono tantissimi anni di distanza e le società si erano del tutto evolute, ma Mussolini voleva dimostrare che l’Italia fascista era la diretta erede di Roma.

Le origini dei nomi “Duce” e “Littoria”

La parola “duce” derivava dal latino dux, il fascio littorio, simbolo del fascismo; fu nella Roma antica il simbolo del potere, tutto si rifaceva attorno l’aggettivo “littorio”. La città fondata da Mussolini, l’odierna Latina, fu chiamata Littoria, le gare universitarie erano denominate littoriali, le auto-motrici costruite dalla FIAT, furono chiamate Littorine; altre analogie riguardavano il saluto, manifestato non più con una stretta di mano, ma tendendo il braccio destro, come il saluto romano; i militari marciavano con il passo romano, i bambini delle scuole elementari venivano inquadrati tra le file dei ‘Figli della Lupa’, in quanto la leggenda di Romolo e Remo narrava che furono allattati da una lupa.

Propaganda fascista - Terza pagina del giornale Popolo di Romagna - 15 gennaio 1938
Propaganda fascista: Terza pagina del giornale Il Popolo di Romagna  (15 gennaio 1938)

La propaganda del regime fascista: Cinecittà e lo sport

La propaganda si allargò anche con alcune trasmissioni radiofoniche, con la nascita di Cinecittà (nel 1936) e dell’istituto Luce, che proiettò filmati che ponevano al centro di tutto il duce e i suoi messaggi. Il fascismo, inoltre, fu molto prolifico nell’ambito sportivo: gli atleti e sportivi italiani erano ben preparati nell’affrontare le manifestazioni mondiali, sia nelle categorie maschili che in quelle femminili, ben figurando alle olimpiadi tedesche di Berlino nel 1936.

Fascismo - Propaganda - Cinecittà
“Dux – La cinematografia è l’arma più forte”: la propaganda del regime fscista coinvolse anche Cinecittà

Importanti successi furono le due coppe del mondo conquistate dalla nazionale di calcio nel 1934 e 1938 (sotto la guida di Vittorio Pozzo), nonché l’impresa, nel giugno del 1933, di Primo Carnera, primo campione del mondo dei pesi massimi di boxe “italiano”.

All’interno di questo quadro politico e sociale, la condizione degli oppositori del regime fascista non fu affatto felice: gli antifascisti venivano allontanati con grosse limitazioni, venivano mandati al confine di polizia. Possiamo dunque dire che il che il regime fascista mussoliniano fu autoritario e repressivo, ma non ebbe niente a che vedere con i regimi hitleriano e sovietico, che uccisero milioni di persone.

La campagna militare in Etiopia

Rifacendosi, dunque, agli albori dell’impero romano e mosso anche dalla volontà di non rimanere indietro rispetto alle nazioni europee più sviluppate, Mussolini decise di allargare il colonialismo italiano, che già in passato aveva dato come frutto il controllo della Libia, la Somalia e parte dell’Eritrea. Si decise quindi di estendere l’influenza italiana in Etiopia (chiamata Abissinia dal regime), rimasta uno stato indipendente, governato dall’imperatore e dai governatori locali, i ras. La campagna militare iniziò nell’ottobre del 1934, quando ci fu uno scontro a fuoco fra l’Etiopia e la Somalia italiana, a Ual Ual, teatro di un attacco a sorpresa delle milizie etiopiche.

Mussolini rimase molto infastidito e, spinto dalla voglia di aumentare il proprio consenso in Italia e nel mondo, spiegò nel dicembre 1934 al maresciallo Badoglio che quest’atto si poteva e doveva risolvere solo con l’intervento delle armi. Fu così che, dopo quasi un anno, nell’ottobre del 1935 ci fu la chiamata alle armi.

Gli inglesi fecero di tutto per impedire a Mussolini l’invasione perché temevano che quel conflitto avrebbe potuto farne scaturire degli altri: quindi proposero al duce degli scambi e delle offerte che vennero, però, rifiutate. Secondo Indro Montanelli questo era il ‘secondo Mussolini’. Proprio in questi anni accadde in lui ciò che capitava a chi avesse avuto per troppo tempo un potere così assoluto: perse il senso della realtà, diventando quello che Bottai definiva “il monumento di se stesso”.

Ascari
Ascari

La Società delle Nazioni fu contro l’intervento in Africa: 52 stati furono contro l’Italia, ma il 3 ottobre 1935 le truppe italiane invasero l’Etiopia. Ad esse si unirono gli Ascari, gruppo di etiopi che risultarono essere molto utili al fine della vittoria poiché, a detta di molti, erano più preparati dei soldati italiani. Il 3 maggio 1936 il Negus (re etiope) abbandonò l’Etiopia; il 5 maggio gli italiani conquistarono Addis Abeba, la notizia si diffuse e arrivò in Italia verso il tramonto. Mussolini si preparò ad un solenne discorso alla folla che si accalcò in piazza Venezia, ove il Duce annunciò che l’Italia aveva il suo Impero.

La Guerra d’Etiopia risultò essere il punto di arrivo del fascismo ma, allo stesso tempo, questo successo dimostrò presto il proprio carattere fallimentare sia dal punto di vista economico e militare.

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Fascismo: breve storia delle sue origini https://cultura.biografieonline.it/fascismo-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/fascismo-riassunto/#comments Mon, 15 Feb 2016 13:50:09 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16637 Il ‘900 può essere definito il secolo dei totalitarismi perché in Europa vi fu l’affermazione di diversi regimi “totalitari” che restarono in piedi per tanti anni: il sistema Comunista russo, quello nazionalsocialista di Hitler e, in Italia, il fascismo di Mussolini, seppur considerabile il meno totalitario dei tre.

Mussolini a cavallo
Mussolini a cavallo

Secondo lo storico Piero Melograni, i totalitarismi sfociarono per via dei disordini causati dalla Prima Guerra Mondiale e il loro scopo era quello di riportare all’ordine la nazione. In Italia, dopo il Biennio Rosso, scesero in campo i fascisti e il loro consenso crebbe maggiormente grazie alle difficoltà degli altri partiti.

La nascita del fascismo

Il fascismo nacque e si sviluppò quando la democrazia entrò in difficoltà, esprimendo la ricerca di una soluzione alternativa basata sul nazionalismo; nacquero così i fasci di combattimento, che si definivano come un movimento – quindi non un partito – e che ebbero inizialmente delle buone idee e proposte, prima di passare tuttavia alla violenza.

Fu qui, dunque, che entrò in scena Benito Mussolini, il quale, dopo aver abbandonato il partito socialista, ritenuto ormai debole, decise di unirsi alla nuova fazione per aumentare il suo consenso, diventando dunque l’artefice e personaggio di punta dei successi del movimento, con la creazione, nel 1921, del Partito Nazionale Fascista, risultato dell’evoluzione del movimento in partito.

La nascita del fascismo è strettamente legata alla figura di Benito Mussolini
Il volto di Benito Mussolini

Parallelamente, nel 1921, nacque il Partito Comunista Italiano fondato da Antonio Gramsci: la scissione interna al fronte comunista, con la fondazione di un partito a sé stante, contribuì quindi, senza dubbio, all’avanzata fascista, poiché non riuscì a creare un’alternativa a Mussolini.
La svolta nella storia politica italiana arrivò quando il leader fascista ordinò la marcia su Roma, con lo scopo di far capire al re, al parlamento e al popolo quanto ormai fosse diventato forte il fascismo: il 28 ottobre 1922 le squadriglie entrarono in Roma con lo slogan “o Roma o morte”.

La marcia su Roma
La marcia su Roma

Da questo momento in poi il fascismo diventa Mussolini e la storia del fascismo è quella di Mussolini, come teneva a ricordare Indro Montanelli, il quale affermava anche che di Mussolini ve ne furono 3: quello di questi anni (il primo Mussolini) era un “restauratore”, assolvendo in pieno il suo compito, poiché dalla fine della guerra in poi nessun governo fu capace di governare, lasciando l’Italia nel caos, in preda alla violenza che, se prima era stata rossa, ultimamente era diventata “nera”. Bisogna dire che con Mussolini si tornò alla regolarità, restaurando appunto l’ordine, ma a volte seguendo la volontà dei capi provinciali fascisti.
Infatti, sempre a detta di Montanelli, la difficoltà più grossa del Duce fu quella di dare un inquadramento alle squadre fasciste: Mussolini non amava i fascisti, anzi, al contrario, li detestava, e quindi decise di dare un’istituzione alla milizia fascista, cercando di calmare i loro intenti violenti.

Il governo di Mussolini

Al contempo, il Duce decise di formare il governo con quanto di meglio c’era in Italia, perciò anche con gente che non proveniva dai ranghi fascisti. A causa di queste manovre, si pensò che il suo governo potesse avere una breve durata, ma Mussolini fu furbo: utilizzò infatti i fascisti estremisti ai fini della sua politica di conservazione, allontanando dal governo tutti coloro che si opponevano alla volontà del fascismo, e scagliandosi, inevitabilmente, con quelle personalità che erano contro gli ideali estremisti. Il 2 febbraio 1923 venne arrestato Piero Gobetti, il giorno dopo toccò al comunista Amedeo Bordiga.

Le elezioni del 6 aprile 1924

Il 6 aprile 1924 si andò al voto: la lista nazionale della quale era capo proprio Mussolini raggiunse il 65% dei suffragi. In seguito, i fascisti furono accusati di violenza da Giacomo Matteotti, il quale chiese d’invalidare le elezioni appena svolte poiché credeva che nessun elettore italiano fu libero di decidere.

Giacomo Matteotti
Giacomo Matteotti

L’uccisione di Matteotti e la Secessione dell’Aventino

Il 10 giugno 1924 l’onorevole Matteotti veniva rapito e, in seguito, ucciso suscitando uno scandalo enorme. Mussolini ebbe grandissime difficoltà nel gestire la situazione, dichiarando di non essere coinvolto ma, anzi, addolorato; si passò così alla Secessione dell’Aventino, un atto di protesta attuato da alcuni deputati d’opposizione contro il governo fascista. Qualche mese dopo, nell’agosto del 1924, Mussolini, in seguito al ritrovo del cadavere di Matteotti, cade in una profonda frustrazione, sconfessando pubblicamente l’assassinio e riacquistando così la forza perduta per tenere a bada la squadriglia fascista, scrivendo sul giornale de Il Popolo D’Italia “Fascisti, l’ordine è questo, massima disciplina, nessuna violenza”.

L’Aventino sperava in un intervento del Re Vittorio Emanuele III, poiché solo lui poteva far cadere il governo Mussolini, ma l’intervento regio non ebbe luogo. Fra alterne e drammatiche vicende, il governo Mussolini seppe sempre rialzarsi e rafforzarsi, proseguendo nel suo intento.

Fonti: La Storia del Fascismo con Piero Melograni; La Storia d’Italia di Indro Montanelli e Mario Cervi

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Biennio Rosso italiano (1919-1920): riassunto https://cultura.biografieonline.it/biennio-rosso/ https://cultura.biografieonline.it/biennio-rosso/#respond Thu, 04 Feb 2016 10:39:32 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16438 Senza ombra di dubbio, con la conclusione della Prima Guerra Mondiale, l’Europa risultò profondamente diversa. Il 1919 fu un anno pieno di agitazioni nelle varie nazioni: in alcune di esse scoppiarono delle guerriglie interne, in Germania nacque la Repubblica di Weimar, mentre in Italia si aprì quello che verrà poi definito il “Biennio Rosso”, ovvero un periodo segnato da un’autentica lotta delle classi operaie, scuotendo l’Italia più di quanto non lo fosse stato negli anni precedenti.

Biennio Rosso in Italia
Una foto del 1920 in cui le fabbriche venivano presidiate dalle “Guardie Rosse“, una formazione di difesa proletaria attiva in Italia durante il Biennio Rosso.

Il movimento operaio

Durante il “Biennio Rosso“, tra la primavera e l’autunno del 1919, le piazze italiane, ispirate dagli ideali sovietici, iniziarono ad essere turbolente. Queste agitazioni furono probabilmente causate dal movimento operaio che partì dalla rivendicazione salariale per mirare poi al controllo totale delle fabbriche e alla conquista dello Stato. Il movimento, che si era surriscaldato con tutte le sue rivendicazioni nel 1919, ebbe maggiori consensi nel 1920, quando vi furono in Italia più di 2000 scioperi.

Lo sciopero delle lancette

Tra marzo e aprile di quest’anno, una città fortemente industrializzata quale Torino fu scossa da una forte agitazione operaia presso la FIAT. Questo sciopero fu nominato “Sciopero delle lancette” in quanto gli operai avevano chiesto ai dirigenti di posticipare di un’ora l’ingresso in fabbrica per via dell’introduzione dell’ora legale, senza essere ascoltati. Da qui scaturì lo sciopero generale, introdotto a metà aprile, che coinvolse 120.000 lavoratori di Torino e provincia.

La rivolta dei Bersaglieri

Qualche mese dopo, invece, ebbe luogo la famosa “rivolta dei Bersaglieri”, ad Ancona, nel giugno dello stesso anno. A causarla fu l’ammutinamento dei bersaglieri di una caserma che non volevano partire per l’Albania dove era in corso un’occupazione militare decisa dal governo Giolitti.

Nel settembre 1920, quasi le tutte le fabbriche italiane risultarono occupate; ciò poté verificarsi anche per la decisione del governo Giolitti di non tentare azioni di forza, poiché il ministro temeva lo scoppio di una guerra civile, puntando piuttosto ad agire come mediatore fra gli imprenditori e gli operai, nonostante la pressione degli industriali a far sgomberare le fabbriche con l’intervento dell’esercito. Questa vicenda creò inevitabilmente frustrazione e rabbia negli imprenditori e finì, di conseguenza, per alimentare i loro propositi di rivalsa nei confronti dello Stato che non li aveva affatto tutelati; sul versante opposto, la classe operaia subì anch’essa un contraccolpo psicologico dovuto all’amara constatazione che questi loro sforzi non erano quasi serviti a nulla.

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Conclusione del Biennio Rosso

La conclusione del “Biennio Rosso” fu sancita, difatti, dalle elezioni amministrative alla fine del 1920, in seguito alle quali iniziò a muovere i primi passi il movimento fascista, che fino ad allora non aveva riscosso molto successo: l’avvento delle squadriglie fasciste darà il via, forse, ad uno dei periodi più cupi, ma allo stesso uno dei più importanti, della storia d’Italia.

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Prima Guerra d’Indipendenza italiana: riassunto https://cultura.biografieonline.it/prima-guerra-indipendenza/ https://cultura.biografieonline.it/prima-guerra-indipendenza/#comments Mon, 18 Jan 2016 13:53:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16283 Prima di trattare della Prima Guerra d’Indipendenza italiana, bisogna inevitabilmente far riferimento al periodo ad essa precedente, un trentennio fondamentale per la storia d’Italia: il Risorgimento. Tengo moltissimo a riportare una famosa citazione del giornalista, storico e scrittore Indro Montanelli, il quale affermava che “se siamo fatti in un certo modo è perché il Risorgimento ci fece in un certo modo”.

Prima Guerra d'Indipendenza italiana: La battaglia di Pastrengo
La battaglia di Pastrengo (30 aprile 1848) fu uno dei momenti salienti della Prima Guerra d’Indipendenza italiana – il dipinto è opera di Vincenzo Giacomelli, pittore,che combatté durante la difesa di Venezia del 1848 in qualità di tenente della Guardia nazionale veneta.

Viene convenzionalmente definito come ‘Risorgimento’ quel periodo che va dal 1831 fino al 1861, anno della tanto desiderata unità del nostro paese; per tanti storici, invece, il Risorgimento prende vita nel 1815 con il Congresso di Vienna, per altri ancora con la rivoluzione francese. Effettivamente è proprio dopo questo periodo che la società europea diventerà più complessa con il delinearsi di nuovi ceti e di nuovi protagonisti.

Lo scenario storico e politico

L’Italia, in base ai trattati del Congresso di Vienna, restava divisa in otto stati: il Regno sardo-piemontese sotto il governo dei Savoia, il Lombardo-Veneto sotto la custodia dell’Austria-Ungheria, che esercitava una posizione di forza su tutta la penisola; poi vi erano altri piccoli staterelli come il Ducato di Modena e Reggio, il Ducato di Parma e Piacenza, Il Granducato di Toscana, il Principato di Lucca, gli Stati della Chiesa e infine il Regno delle Due Sicilie.

All’interno di questo quadro politico, nei primi anni dell’800 si sviluppò la Carboneria, vale a dire, in parole povere, una società segreta “rivoluzionaria” dagli ideali liberali e valori patriottici. Vi facevano parte molti personaggi di rilievo, tra cui il giovane Giuseppe Mazzini e il futuro Re del Piemonte, Carlo Alberto, il quale assecondava, almeno inizialmente, questi ideali. In seguito al fallimento della Carboneria, lo stesso Mazzini fondò a Marsiglia nel 1831 la Giovine Italia, che aspirava alla creazione di un’ Italia repubblicana. Mazzini e soci diedero vita alle prime rivolte, spesso dall’esito disastroso, e tra le quali grande rilievo ebbero episodi come il cosiddetto Fiasco di Savoia e l’ uccisione dei fratelli Bandiera.

Ma ormai diverse zone d’Italia avevano iniziato la mobilitazione: la scintilla partì dalle Due Sicilie, nel 1847, quando re Ferdinando attuò alcune riforme, osteggiate dai liberali che invece volevano la libertà e ricorsero all’ insurrezione. Ci furono diverse congiure in Basilicata, Calabria e Sicilia, che richiamarono i veterani carbonari, decisi a schierarsi contro Napoli per l’indipendenza siciliana ma chiaramente, alla lunga, l’esercito regio riuscì ad avere la meglio contro i ribelli. Questa guerriglia ebbe comunque dei risvolti importanti in quanto il re Ferdinando concedette la costituzione, gesto successivamente emulato anche da Carlo Alberto per il Piemonte con la nascita dello Statuto Albertino.

Intanto la rivoluzione che avanzava in tutta Europa colpiva anche l’Impero d’Austria e la stessa Vienna. I territori italiani dell’Impero, il cosiddetto Regno Lombardo-Veneto, ben presto si infiammarono e poco dopo a Milano, precisamente tra il 18 e il 22 marzo 1848 (le cosiddette Cinque giornate di Milano), ci fu una grandissima insurrezione che ebbe come partecipanti tre fazioni, unite nella lotta, ma dalle diverse ideologie: i mazziniani repubblicani, i democratici riformisti, tra cui Carlo Cattaneo, e i nobili e patrizi che volevano l’annessione al regno sardo-piemontese.

Le cinque giornate di Milano
Le cinque giornate di Milano

Dopo 4 giorni di battaglie, il 22 marzo i milanesi sembravano aver ottenuto la vittoria, con gli austriaci costretti a ritirarsi nel cosiddetto “quadrilatero”, ossia un’area delimitata dalle città di Legnago, Peschiera del Garda, Mantova e Verona.

Nel frattempo a Torino, il 23 aprile, il Re Carlo Alberto, conscio di tutto quello che accadeva a Milano e a Venezia, aveva indetto il Consiglio dei Ministri. Anche per le strade torinesi la gente esortava ufficiali e soldati ascendere in campo: era arrivato il momento di agire e questo era ben chiaro allo stesso Carlo Alberto, il quale, la sera del 23 aprile, evocato al balcone del palazzo reale dalla folla, comparve con una sciarpa tricolore dichiarando finalmente la Guerra all’impero austriaco.

La Prima Guerra d’Indipendenza italiana

Tra il 24 e il 26 aprile 1848 inviò le prime truppe nel Lombardo-Veneto; con l’ attraversamento del ponte Mincio, ci fu la prima battaglia tra piemontesi e austriaci, la battaglia del ponte di Goito (8 aprile 1848), dove rimase gravemente ferito il colonnello Alessandro La Marmora, ma l’esito della battaglia risultò comunque favorevole ai piemontesi.

Altra battaglia vittoriosa per l’esercito regio fu quella di Pastrengo, alla presenza di Carlo Alberto, protetto dai carabinieri che costringevano alla fuga gli austriaci; ma da qui in avanti iniziarono i primi problemi per il Re, in quanto l’esercito dello Stato della Chiesa si era ritirato insieme a quello borbonico e con la battaglia di Santa Lucia ci fu la prima sconfitta; l’iniziativa passò quindi agli austriaci, che iniziavano a mandare rinforzi sul fronte.

La battaglia decisiva fu a Custoza, avvenuta tra il 22 e il 27 luglio 1948, durante la quale il generale austriaco Radetzky ebbe la meglio su Carlo Alberto. Questa sconfitta risultò fatidica in quanto l’esercito regio fu costretto prima a ritirarsi a Milano, dove poi capitolò, con gli austriaci che ripresero il controllo del Lombardo-veneto.

L’anno successivo Carlo Alberto tentò un nuovo attacco, ma fu tremendamente sconfitto dall’avanzata degli austriaci a Novara che sancì definitivamente la sconfitta dell’esercito regio e determinò l’abdicazione del re.

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