navigazione Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 25 May 2023 21:19:02 +0000 it-IT hourly 1 Bismarck, nave da battaglia: storia e riassunto https://cultura.biografieonline.it/bismarck-nave-da-battaglia/ https://cultura.biografieonline.it/bismarck-nave-da-battaglia/#respond Thu, 25 May 2023 13:49:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=34841 La Bismarck fu la nave più famosa della Kriegsmarine – la marina militare tedesca – di tutta la seconda guerra mondiale. Si trattava di una modernissima nave da battaglia (termine spesso considerato equivalente a corazzata), varata nel 1939 ed entrata in servizio nell’agosto del 1940. Dislocava 41.700 tonnellate e l’armamento principale era costituito da 8 cannoni da 380 mm, superiori ai 356 mm imbarcati dalle più recenti navi da battaglia inglesi.

Scopriamo di seguito le vicende che coinvolsero questa storica nave, che deve il suo nome di battesimo in onore del cancelliere Otto von Bismarck (1815-1898).

Bismarck nave da battaglia
La Bismarck fu una celebre nave da battaglia tedesca della Seconda Guerra Mondiale

La situazione nel 1941

Per proseguire la guerra, la Gran Bretagna dipendeva totalmente dalle importazioni. Era quindi vitale che riuscisse a mantenere aperto ininterrottamente il flusso di traffico mercantile in approdo e in partenza alle e dalle isole del Regno Unito. La situazione tattica era però precaria: con l’annessione di Francia e Norvegia, la Kriegsmarine disponeva di basi localizzate in posizioni quasi ottimali per recidere il cordone vitale delle importazioni britanniche.

Per il contrasto l’Ammiragliato poteva schierare molte imbarcazioni (cacciatorpediniere, e successivamente corvette e fregate), aerei da ricognizione e combattimento, e piccoli natanti come pescherecci trasformati, da adibire a compiti di scorta dei convogli e di pattugliamento delle rotte di approccio ai porti della madrepatria.

L’obiettivo era la lotta ai sommergibili, i ben noti U-Boot, che si prevedeva avrebbero tentato di contrastare il traffico mercantile Alleato. I tedeschi però ritenevano di poter ottenere buoni risultati utilizzando in questo ruolo anche le navi di superficie che avrebbero costretto la Royal Navy – la marina inglese – a disperdere le sue risorse nelle vastità degli oceani; ciò per far fronte a una minaccia che poteva apparire in un punto, colpire e poi sparire per fare la sua ricomparsa in acque distanti e dopo settimane.

A questa funzione erano adibiti i cosiddetti corsari, navi mercantili veloci e dotate di adeguato armamento cannoniero. Tuttavia, sia pure sporadicamente, vennero impiegate anche le principali unità della Kriegsmarine, in modo particolare le corazzate tascabili e i due incrociatori da battaglia Gneisenau e Scharnhorst, oltre agli incrociatori pesanti Prinz Eugen e Admiral Hipper.

Nella primavera del 1941 anche la Bismarck era pronta a salpare per attaccare i convogli britannici.

La nave da battaglia Bismarck e la sua unica fatale missione

Il 18 maggio 1941 una piccola squadra navale salpava da Gotenhaven, l’attuale Gdynia, al comando dell’ammiraglio Lütjens. La componevano la Bismarck e l’incrociatore Prinz Eugen la cui missione consisteva nell’eseguire un raid nell’Atlantico causando il massimo danno possibile, per poi rientrare nel grande porto francese di Brest, unirsi alle unità tedesche già stanziatevi e costituire una minaccia ancora più terribile per il nemico con la loro semplice presenza (concetto di fleet in being, flotta in potenza).

Gli Inglesi erano preavvertiti della missione, sia dalle intercettazioni radio della celeberrima organizzazione Ultra, sia da avvistamenti dei ricognitori che identificarono la Bismarck all’ancora nel fiordo di Bergen (Norvegia) il 21 maggio. Questa crociera rappresentava una minaccia gravissima: due navi così potenti avrebbero potuto compiere un’autentica strage di mercantili e uomini se avessero potuto attaccare un convoglio atlantico; ciò considerato che le scorte utilizzate all’epoca raramente impiegavano navi di dimensioni superiori al cacciatorpediniere.

La nave Bismarck fotografata in porto
Storica foto della Bismarck fotografata in porto

Per contrastarla, furono poste sotto il comando della Home Fleet – la squadra della Royal Navy che aveva il compito di proteggere le acque territoriali – tutte le unità disponibili. Mentre altre vennero fatte affluire dalle rispettive zone di pattugliamento nell’Atlantico e a Gibilterra.

Nel Canale di Danimarca, il braccio di mare compreso tra Islanda e Groenlandia, vennero inviati gli incrociatori Norfolk e Suffolk, dotati di radar. Fu proprio il radar di quest’ultimo che segnalò la presenza del nemico, la sera del 23 maggio, all’imbocco del Canale di Danimarca.

La squadra di Lütjens era infatti salpata da Bergen la mezzanotte precedente e, a sua volta, rilevò con il radar gli incrociatori della Royal Navy.

Il momento del trionfo: l’affondamento della Hood

Le due unità della Royal Navy continuarono a seguire il nemico, tra occasionali scambi di cannone, con l’intento di continuare a segnalarne la posizione per facilitare l’intercettazione da parte della Home Fleet che accorreva da sud. L’incontro che ne seguì però fu tutt’altro che fortunato per gli Inglesi: i mostruosi cannoni della Bismarck inquadrarono ben presto l’incrociatore da battaglia HMS Hood, pesantemente armato ma dotato di corazza relativamente leggera.

Colpita da una salva sparata a 14.000 metri di distanza, la Hood esplose letteralmente e affondò in soli 4 minuti.

I superstiti furono solo tre a fronte della perdita di 1.416 marinai!

Fu poi la Prince of Wales ad essere presa di mira e  ricevere a bordo alcuni colpi che causarono gravi danni e l’uccisione o il ferimento di tutti gli ufficiali, eccettuato il comandante. L’ammiraglio Wake Walker, che aveva assunto il comando, ritenne opportuno interrompere il contatto e consentire alla Bismarck di allontanarsi.

Quest’ultima aveva patito danni leggeri ma nel suo scafo si era prodotta una falla dalla quale fuoriusciva nafta: sarà proprio questo uno dei fattori che determineranno il fato della corazzata tedesca.

La caccia e la fine della Bismarck

L’affondamento della Hood destò scalpore nel Regno Unito. Non poteva restare invendicato e così la Royal Navy chiamò a raccolta tutte le forze per riprendere contatto con il nemico. Ci riuscì intercettando il traffico radio con il quale Lütjens informava Berlino dell’esito dello scontro di superficie, ricevendone l’ordine di lasciare libero di procedere il Prinz Eugen – che arriverà indenne a Brest il 1° giugno – e di continuare la missione.

Fu proprio la perdita di nafta e la conseguente scarsità di combustibile a spingere però Lütjens a far rotta per sud-est, verso il porto bretone. Nella notte del 25 giugno però, venne attaccato da 9 vecchi biplani Swordfish, decollati dal ponte di volo della portaerei Victorious.

I velivoli riuscirono a mettere a segno un unico siluro che l’eccellente corazzatura della Bismarck assorbì con apparente noncuranza.

Un nuovo avvistamento permise però di determinare la posizione della preda e nel pomeriggio del 25 fu la volta di 15 Swordfish decollati dalla Ark Royal, portaerei della Forza H di stanza a Gibilterra, di attaccare. Ma, per errore, lo fecero contro lo Sheffield, un incrociatore amico.

Nave Bismarck: modellino in scala
Nave Bismarck: modellino in scala

L’affondamento della Bismarck

Al crepuscolo ci fu un nuovo attacco degli Swordfish: questa volta due siluri andarono a segno, bloccando i timoni della Bismarck.

Da lì in poi fu una sorta di sarabanda degli inglesi, che attaccarono prima con i cacciatorpediniere e poi con i cannoni delle navi principali l’azzoppata e ormai impotente ammiraglia di Lütjens.

La nave da battaglia tedesca Bismarck affondò alle 10.37 del 27 maggio.

Si discute da sempre quale sia stato il colpo decisivo.

Il ritrovamento del relitto nel 1989, 650 chilometri a ovest di Brest, sembra confermare la tesi tedesca che furono le cariche di autodistruzione innescate dall’equipaggio quando era apparsa chiara la condanna della nave, a decretarne il fato.

Con la Bismarck perirono l’ammiraglio Lütjens, oltre a 2.200 membri dell’equipaggio. I superstiti furono soltanto 110.

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Il naufragio della Costa Concordia https://cultura.biografieonline.it/costa-concordia/ https://cultura.biografieonline.it/costa-concordia/#comments Thu, 13 Jan 2022 08:11:53 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8704 L’incidente marittimo avvenuto alla nave da turismo Costa Concordia è molto singolare sia per la dinamica per cui è avvenuto che per le modalità di svolgimento delle operazioni di soccorso e salvataggio.

Salpata dal porto di Civitavecchia a Gennaio 2012 per effettuare la crociera “Profumo di agrumi” nel Mediterraneo, la nave Concordia, appartenente alla compagnia di navigazione Costa Crociere è guidata dal comandante Francesco Schettino: a bordo vi sono 4.229 persone (1.013 membri dell’equipaggio e 3.216 passeggeri). La nave avrebbe dovuto toccare le seguenti tappe: Savona, Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, per poi ritornare a Civitavecchia.

La Costa Concordia rovesciata e inclinata su un fianco
L’incidente della Costa Concordia ebbe luogo il 13 gennaio 2012

L’incidente che causa il naufragio della Costa Concordia si verifica nei pressi dell’Isola del Giglio (Grosseto, Toscana) dove la nave impattato contro uno scoglio. In conseguenza dell’urto, si apre una falla di circa 70 metri sulla parte sinistra dell’imbarcazione. La crociera si interrompe bruscamente, la nave subisce un forte sbandamento, per poi arenarsi su uno scalino roccioso a nord di Giglio Porto.

Per la precisione, l’imbarcazione urta contro uno degli scogli piccoli delle Scole, ma non è lontana dalla costa: secondo i rilievi effettuati, si trova a circa otto metri di profondità e la riva è lontana soltanto 96 metri. Inoltre, dopo l’impatto, la nave ha rallentato bruscamente la velocità e l’andatura. L’incidente si verifica alle ore 21.42 del 13 gennaio 2012.

La dinamica dell’incidente

A causa della falla che interessa la parte sinistra dello scafo, la nave comincia rapidamente a riempirsi di acqua. Trascorrono circa 16 minuti dall’impatto con la scogliera, e alle 21: 58 il comandante Schettino chiama l’unità di crisi della nave, e riferisce al capo Roberto Ferrarini che si è verificato un black out sulla nave dopo l’urto. I due si risentono alle 22:06 quando Schettino dice a Ferrarini che non possiede elementi per prevedere un eventuale naufragio della nave.

Anche la Capitaneria di Porto di Livorno viene allertata, e dopo circa ventisette minuti dall’incidente si mette in contatto con la Costa Concordia, chiedendo chiarimenti sulla situazione. Le comunicazioni tra Schettino e Ferraririni si infittiscono man mano che si comprende l’entità della tragedia: mentre alle 22:17 Schettino segnala due compartimenti allagati, ma non vi è ancora la necessità di gettare le ancore in quanto la nave sta dirigendosi verso terra, alle 22:27 il comandante riferisce che le condizioni si sono aggravate e che tre compartimenti della nave sono ormai pieni di acqua.

A questo punto viene data l’allerta generale e i passeggeri vengono invitati a raggiungere i punti di raccolta dell’imbarcazione. I membri dell’equipaggio cominciano le operazioni di salvataggio con l’allestimento delle scialuppe: alle 22:58 Schettino ordina di abbandonare la nave.

Il comandante Francesco Schettino
Francesco Schettino, comandante responsabile della nave Costa Concordia

Poco più tardi, alle 23:11, Schettino riferisce a Ferrarini di avere inviato a fondo le due ancore, che la poppa della nave poggia sul basso fondo e che le operazioni di sbarco sono già in corso. Inoltre viene segnalata la presenza di un traghetto e di una motovedetta che prestano assistenza ai passeggeri.

In base alla registrazione di alcune telefonate intercorse tra il comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino e Gregorio De Falco, capitano di fregata della Capitaneria di Porto di Livorno, circa un’ora e mezza dopo l’inizio dello sbarco, viene intimato a Schettino di risalire subito sulla nave, che intanto si è coricata sul fianco di dritta. Il capitano risponde di trovarsi su una lancia di salvataggio e da qui coordina le operazioni. All’01:46 De Falco ordina a Schettino di risalire sulla nave e guidare le operazioni di salvataggio dei passeggeri, ma senza sortire alcun effetto.

Gregorio De Falco
Gregorio De Falco, capo sezione operativa della Capitaneria di Porto di Livorno, è uno dei protagonisti della vicenda

Mentre la condotta del comandante Schettino si presta a diverse obiezioni, il personale di bordo della Costa Concordia svolge un lavoro encomiabile e si prodiga per aiutare i passeggeri. In particolare, si distingue il Commissario di bordo Manrico Giampedroni, di 57 anni, che è stato ritrovato vivo dopo circa 36 ore dal naufragio con una gamba fratturata. Il bilancio dell’incidente è pesante: si contano 32 morti e 110 feriti, di cui 14 vengono subito ricoverati in ospedale.

I soccorsi

L’evacuazione dei passeggeri avviene in parte grazie all’intervento dell’equipaggio, in parte grazie ad alcune imbarcazioni civili che si trovano nei paraggi della Costa Concordia. A fornire soccorsi immediati, però, sono gli abitanti dell’Isola del Giglio, che mettono a disposizione alcune barche per giungere nei pressi della nave e recuperare le persone che abbandonano l’imbarcazione ormai pericolosamente inclinata su un lato. Sulla piccola isola si creata in breve una vera e propria emergenza sanitaria, in quanto scarseggiano i medicinali per le cure e l’assistenza dei numerosi naufraghi.

Nei giorni successivi cominciano i penosi lavori di recupero dei corpi senza vita dei passeggeri, che però si fermano tra gennaio e febbraio del 2012 a causa delle avverse condizioni climatiche e del mare agitato. Alcuni di questi saranno ritrovati a più di un anno di distanza dal naufragio, quando la nave è già un relitto. I resti dell’ultimo disperso vengono ritrovati tra il 13 e il 14 ottobre 2013: si tratta di un membro dell’equipaggio.

Disastro ambientale e recupero della nave

Prima di recuperare il relitto, è necessario svuotare il serbatoio della nave per evitare che l’olio combustile fosse versato nel mare. I serbatoi dell’imbarcazione vengono svuotati utilizzando la tecnica dell’hot tapping: le operazioni cominciano il 24 gennaio 2012 grazie all’intervento della società olandese chiamata “Smit Salvage”. Si teme infatti che il naufragio della Costa Concordia, oltre alla perdita di vite umane, possa provocare un immane disastro ambientale.

Dopo due mesi esatti, il 24 marzo 2012, le operazioni di svuotamento dei serbatoi vengono ultimate con successo. Il recupero della nave inizia il 29 maggio 2013, ad opera di due società specializzate, l’americana Titan Salvage e l’italiana Micoperi. Tutte le operazioni si svolgono nell’arco temporale di un anno, avendo particolare cura di non interferire sull’ecosistema dell’Isola del Giglio.

Il 16 settembre 2013 si procede alla Rotazione della nave (in inglese il termine tecnico è: parbuckling), sotto la guida di Nick Sloane. Non si è mai tentato un recupero del genere su una nave così pesante, prima d’ora. Proprio per questo motivo, l’operazione suscita la curiosità generale, anche all’estero.

Dopo aver raddrizzato e messo in sicurezza la nave, si dà inizio alla ricerca degli ultimi due dispersi.

Inchiesta giudiziaria

A seguito dell’incidente della Costa Concordia, il comandante Francesco Schettino viene arrestato con l’accusa di naufragio, omicidio colposo plurimo e abbandono di nave in pericolo. L’inchiesta giudiziaria nei suoi confronti rivela aspetti inediti della vicenda: sembra che il comandante, al momento dell’incidente, fosse in compagnia di una ballerina moldava che faceva parte dell’equipaggio. I due hanno ammesso di aver avuto una relazione.

Le ragioni dell’incidente inizialmente sono tutte da chiarire: l’ipotesi più accreditata è che sia stata una imperdonabile leggerezza, un errore umano del comandante che ha voluto far fare un “inchino” alla nave. Un gesto che è costata la vita a trentadue persone e che ha reso la vicenda della Costa Concordia famosa in tutto il mondo.

Schettino è stato condannato a 16 anni di carcere, in Cassazione, il 12 maggio 2017.

Il recupero della nave Costa Concordia

[Da Wikipedia] Dopo aver dichiarato Costa Concordia “perdita totale”, fu deciso che il relitto venisse smantellato a carico di Costa Crociere e degli assicuratori.

Il 16 settembre 2013, sotto il comando operativo del comandante Nick Sloane, alle ore 9:06 è iniziata la prima fase del recupero del relitto con la sua rotazione (in gergo tecnico, iniziando a “lentìare”) la nave (in inglese parbuckling) per disincagliarla dal fondale roccioso e raddrizzarla in posizione. L’operazione, per la quale erano inizialmente previste circa 12 ore di tempo (tirando i cavi d’ancoraggio a circa 3,5 m/h)[23], si è conclusa alle ore 4:00 circa del 17 settembre, dopo 19 ore, quando la Costa Concordia è stata riportata nuovamente in asse.

Durante le operazioni di collocazione dei cassoni, il 2 febbraio 2014 il sommozzatore spagnolo Israel Franco Moreno, di 40 anni, è morto per scompenso cardiaco e dissanguamento a causa di una ferita alla gamba.

Il 30 giugno 2014 il Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana ha annunciato che la demolizione del relitto sarebbe stata effettuata presso il porto di Genova.

La nave rimessa in galleggiamento

Le procedure per il rigalleggiamento del relitto sono iniziate il 14 luglio 2014 per completare la rimozione dall’isola del Giglio il 23 luglio 2014 e il trasferimento a Genova, nell’area portuale di Pra’-Voltri, il 27 luglio 2014.

Subito dopo l’ormeggio nel porto genovese, nel pomeriggio la proprietà della nave è stata ceduta dall’assicurazione della compagnia di navigazione al consorzio Ship Recycling costituito da Saipem (51%) e San Giorgio del Porto (49%) per la gestione dello smantellamento e del riciclo del relitto, con una commessa di circa 100 milioni di euro.

Il 12 maggio 2015 il relitto della nave, alleggerito di 5.700 tonnellate di materiali, dopo un trasferimento notturno di 10 miglia dalla banchina di Pra’, è stato collocato nell’area dell’ex Superbacino del porto di Genova per essere definitivamente smantellato.

Il 1º settembre 2016, la parte del relitto rimasta dopo la prima fase di smantellamento è stata trasferita alla velocità di 1 nodo, con l’ausilio di 5 rimorchiatori, coprendo la distanza di 1,8 miglia nautiche dal molo “Umberto Cagni” dell’area dell’ex Superbacino a quella del bacino di carenaggio numero 4 dell’area della calata “Giuseppe Gadda” dedicata alle riparazioni navali, dove, per terminarne la demolizione, i resti dello scafo sono stati messi a secco per essere fatti a pezzi.

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Il disastro del Moby Prince avvenuto a Livorno il 10 aprile 1991 https://cultura.biografieonline.it/moby-prince/ https://cultura.biografieonline.it/moby-prince/#respond Wed, 20 Jun 2018 08:08:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=24767 Il disastro della nave traghetto Moby Prince avvenne il giorno 10 aprile del 1991. In quella buia sera, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. Lo scontro fece divampare un incendio che causò la morte di 140 persone a bordo del Moby Prince. Nell’articolo che segue ricostruiamo i fatti di questo terribile incidente.

Moby Prince
La carcassa della Moby Prince ormeggiata dopo il disastro

Lo scontro tra Moby Prince e la petroliera

Sono le ore 22.03 quando il traghetto Moby Prince della Nav.Ar.Ma. (Navigazione Arcipelago Maddalenino – oggi Moby Lines) molla gli ormeggi dal porto di Livorno per salpare verso Olbia. È il 10 aprile 1991. Mezzora dopo è in fiamme, trasformata in una bara galleggiante. Nella rada del porto toscano, la prua del traghetto è finita contro la petroliera Agip Abruzzo. Intanto, il porto toscano sembra essere diventata una base americana: è pieno di navi militari di ritorno dalla Guerra del Golfo.

I soccorsi sono impegnati sulla petroliera. Poi, per caso, alle 23.35 due ormeggiatori si accostano al traghetto in fiamme: è troppo tardi, le 140 persone a bordo sono già morte. C’è solo un superstite: si tratta del mozzo Alessio Bertrand, che si salva gettandosi in mare e che viene soccorso dagli ormeggiatori.

Da allora sono passati molti anni: secondo la Commissione d’inchiesta parlamentare, che attacca i soccorsi, l’indagine è stata «superficiale».

Le indagini: l’allarme, i dubbi, la ricerca della verità

In quella sera è la petroliera a lanciare l’allarme per un incendio a bordo, dopo la collisione con una bettolina:

«Come abbiamo fatto a scoprire noi che a finire contro la petroliera non era stata una bettolina bensì il Moby Prince? Abbiamo dato retta all’istinto; eravamo sotto l’Agip Abruzzo offrendo aiuto ai marittimi nel caso volessero abbandonarla. Abbiamo sentito che i soccorritori stavano dando l’allarme perché qualcuno aveva notato avvicinarsi una nave che si muoveva come se nessuno la guidasse, era senza più governo in mezzo a quel caos. È stato un flash. Abbiamo capito che doveva avere qualcosa a che fare con qualcosa di strano che avevamo scorto poco prima; come un inverosimile baluginare di fiamme dietro una sagoma scura. E ci siamo buttati da quella parte».

Sono le parole dei soccorritori. I due ormeggiatori sono Valter Mattei e Mauro Valli. Raccontano i due uomini:

«Che si trattava del Moby Prince ce l’ha detto il mozzo Alessio Bertrand, l’unico che ce l’ha fatta»

Si trovano a bordo dell’imbarcazione della Coop ormeggiatori, solo sette metri di vetroresina. La nave è fantasma; dopo aver portato in salvo il superstite, i due ormeggiatori tornano indietro, ributtandosi nella mischia, ma i motori sono ancora in funzione e la Moby Prince continua a girare; seguono una scia di odore di petrolio e la ritrovano: le lingue di fuoco escono dagli oblò.

Agip Abruzzo - disastro Moby Prince
La petroliera Agip Abruzzo in fiamme

Il processo di primo grado a Livorno

La Procura di Livorno, dopo l’incidente, apre un fascicolo per omissione di soccorso e omicidio colposo. Il processo inizia il 29 novembre 1995. Gli imputati sono quattro: si tratta del terzo ufficiale di coperta dell’Agip Abruzzo Valentino Rolla, accusato di omicidio colposo plurimo e incendio colposo; Angelo Cedro, comandante in seconda della Capitaneria di Porto, l’ufficiale di guardia Lorenzo Checcacci, accusati di omicidio colposo plurimo per non avere attivato i soccorsi immediatamente; Gianluigi Spartano, un marinaio di leva, imputato anche lui per omicidio colposo ma per non aver trasmesso la richiesta di soccorso.

In fase istruttoria vengono archiviate le posizioni dell’armatore di Nav.Ar.Ma, Achille Onorato, e quelle del comandante dell’Agip Abruzzo, Renato Superina. Il processo va avanti per due anni. Poi la sentenza arriva nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre del 1997.

Il presidente Germano Lamberti legge la sentenza che assolve i quattro imputati perché «il fatto non sussiste». Quindi si va in appello.

Nel 1999, è il 5 febbraio, la terza Sezione della Corte d’Appello di Firenze afferma di “non doversi procedere nei confronti del Rolla in ordine ai reati ascrittigli perché estinti per intervenuta prescrizione”.

Nella sentenza si legge però: “(…) non si può non rilevare, che l’inchiesta sommaria della Capitaneria, che per alcuni versi è la più importante perché interviene nell’immediatezza del fatto ed è in qualche modo in grado di indirizzare i successivi accertamenti e di influire sulle stesse indagini penali, può essere condotta da alcuni dei possibili responsabili del disastro”.

Dal processo principale al processo parallelo

Insieme al processo principale, in pretura vengono giudicate due posizioni stralciate: sono quelle del nostromo Ciro Di Lauro, che si autoaccusò della manomissione, sulla carcassa del traghetto, di un pezzo del timone; e quella del tecnico alle manutenzioni di Nav.Ar.Ma, Pasquale D’Orsi, nominato da Di Lauro.

Entrambi sono accusati di frode processuale: hanno infatti modificato le condizioni del luogo del delitto, cioè hanno orientato in modo diverso, in sala macchine, la leva del timone da manuale in automatico. Tutto per tentare di addossare la colpa del tragico incidente al comando del Moby Prince. Entrambi non vengono puniti per «difetto di punibilità». In altre parole succede che sia il pretore sia il pubblico ministero concordano sulle responsabilità degli imputati, ma non li ritengono punibili, perché, pur essendoci stata la manomissione, i periti non sono stati tratti in inganno. Tale sentenza sarà confermata sia dal processo di appello sia in Cassazione.

Il Tirreno - disastro Moby Prince - 11 aprile 1991
Il Tirreno: la prima pagina dell’11 aprile 1991, sul disastro del Moby Prince

La procura di Livorno riapre un filone d’inchiesta

È il 2006: su richiesta dei figli del comandante Angelo Chessa che comandava la Moby Prince, la procura di Livorno riapre un filone d’inchiesta sul disastro del traghetto. In particolare i familiari chiedono di indagare sul possibile traffico illecito di armi, e anche della presenza di navi militari o navi fuori dal controllo della Capitaneria di Porto. Il 5 maggio del 2010 il gip (giudice per le indagini preliminari) accoglie la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Livorno.

L’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta

Dopo una campagna per avere verità e giustizia durata due anni, nel 25° anniversario della strage, il 22 luglio 2016 al Senato all’unanimità viene votata l’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Moby Prince. Vengono fuori nuove verità: tra queste nella relazione finale emerge come dalla Capitaneria di porto, dopo la collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo:

«non siano partiti ordini precisi per chiarire l’entità e la dinamica dell’evento e per ricercare la seconda imbarcazione (il Moby)». Emergono strumentazioni inadeguate, dove è a disposizione un solo radar in possesso della stazione piloti, nessuna formazione in caso di incidenti in mare, soccorsi improvvisati non coordinati dalla Capitaneria di Porto.

E ancora: un’inchiesta giudiziaria frettolosa, dalla quale emergono conflitti di interesse. Poi, a distanza di 27 anni, si sono verificate omissioni da parte dei protagonisti che nel corso delle audizioni hanno dato dichiarazioni «convergenti nel negare evidenze in atti a loro attribuiti o fornito versioni inverosimili degli eventi».

Dalla relazione

Dalla relazione emerge anche che:

«Non fu avviata nessuna attività finalizzata alla ricerca del secondo mezzo coinvolto nell’incidente. E neppure di mettersi in contatto radio con i mezzi recenti usciti dal porto. Inoltre, anche quando, con incredibile ritardo, ci si imbatte nel traghetto incendiato, non risultano tentativi di spegnere a bordo e tantomeno di prestare soccorso ai passeggeri del traghetto».

E poi:

«Il contesto emerso, determinato forse dalla convinzione che la nave investitrice fosse una bettolina e non una nave passeggeri, desta sconcerto. Anche in considerazione del fatto che diversi elementi, fra i quali il posizionamento dei corpi nel traghetto, evidenzia che il comando della nave avesse predisposto un vero e proprio piano di emergenza con la raccolta dei passeggeri nel salone De Luxe in attesa che arrivassero i soccorsi. […]

Appare grave come anche all’epoca dei fatti non fossero previste attività periodiche di formazione e addestramento tali da consentire al personale militare e civile di affrontare avvenimenti di tale portata».

La riflessione finale della commissione

«La disamina degli atti porta a una univoca conclusione: la Capitaneria di Livorno, tanto nella fase iniziale dei soccorsi quanto nel momento in cui assunse la direzione delle operazioni il comandante Albanese, non ha valutato l’effettiva gravità della situazione con specifico riferimento al coinvolgimento di una nave traghetto.

Sia perché non sono stati resi disponibili dati utili all’identificazione del traghetto sia per l’incapacità di valutare la situazione, così determinando un’impostazione delle operazioni di soccorso unicamente volte verso la petroliera».

La commissione non riesce neppure a dare una risposta:

«Non è dato comprendere come e per quali motivi il comando della Capitaneria non sia riuscito a correlare l’avvenuta partenza di un’unica nave dal porto con la collisione; né a richiedere informazioni al personale presente sulla torre degli Avvisatori. È di palmare evidenza che se ciò fosse stato fatto si sarebbe tempestivamente apprezzato che l’altro natante coinvolto nella collisione era il Moby Prince».

Da qui la commissione ritiene che l’autorità marittima: «avrebbe – vista la situazione – dovuto valutare la possibilità di un intervento dei mezzi dipendenti dell’alto Comando periferico della Marina», invece – affermano – «durante le prime ore cruciali, prima e dopo il ritrovamento del traghetto, la Capitaneria appare del tutto incapace di coordinare l’azione di soccorso verso il Moby Prince».

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Il veliero Amerigo Vespucci: foto e curiosità https://cultura.biografieonline.it/veliero-amerigo-vespucci/ https://cultura.biografieonline.it/veliero-amerigo-vespucci/#respond Wed, 13 Jun 2018 14:11:28 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=24879 È tornata a Palermo dopo 20 anni, la nave scuola “Amerigo Vespucci”. Della sua storia abbiamo parlato in un articolo precedente. Il veliero Amerigo Vespucci è arrivato alle 8 del mattino di venerdì 8 giugno 2018 al porto della città che proprio in questo anno è capitale della cultura, ormeggiata alla banchina Vittorio Veneto. In quei giorni la nave è stata aperta al pubblico per dare la possibilità di visitarla gratuitamente.

Il veliero Amerigo Vespucci è la più celebre nave scuola della Marina italiana
Il veliero Amerigo Vespucci è la più celebre nave scuola della Marina italiana

A bordo oltre all’equipaggio composto dal capitano di Vascello Roberto Recchia e da 264 militari (15 Ufficiali, 30 Sottufficiali, 34 Sergenti e 185 Sottocapi e Comuni), uomini e donne, il veliero ospita 82 allievi marinai impegnati non solo in attività didattiche ma anche di addestramento.

I cani della ACS, l’Associazione Cani di Salvataggio, impegnati a supporto dell’equipaggio.
I cani della ACS, l’Associazione Cani di Salvataggio, impegnati a supporto dell’equipaggio.

Tra le note caratteristiche del grande veliero, che misura 101 metri, c’è il fatto che è anche a motore e possiede tre alberi verticali. Spicca sulla prua la decorazione: una polena bronzea che raffigura l’esploratore Amerigo Vespucci, dal quale appunto prende il nome, e da fregi in legno, ricoperti di oro zecchino. Tra le sue particolarità, inoltre, c’è quella che tutti i comandi delle manovre da eseguire da parte dell’equipaggio, e in particolare dai nocchieri, vengono dati con l’uso del fischietto, chiamato “fischietto del nostromo”.

Amerigo Vespucci, la nave in porto

Facciamo un passo indietro nella storia: la nave è stata progettata nel 1930 dall’ingegnere  Francesco Rotundi nei Regi Cantieri Navali di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, come abbiamo già approfondito in un precedente articolo. Tuttavia non è l’unica nave. L’Amerigo Vespucci ha infatti una nave gemella, che è di dimensioni più piccole: è la “Cristoforo Colombo”.  Dalle informazioni pervenute, sembrerebbe che l’ingegnere Rotundi abbia copiato il progetto di un veliero simile, il “Monarca”, ideato dall’ingegnere navale napoletano Sabelli.

Torniamo al veliero Amerigo Vespucci, varato il 22 febbraio 1931, che è salpato per Genova, per la prima volta, il 2 luglio 1931.

Amerigo Vespucci, l'albero maestro
Amerigo Vespucci, l’albero maestro

Di recente, la «nave più bella del mondo», così come è stata definita, e in particolare nel 2016, ha toccato le acque della Sicilia: il porto di Messina e poi quello di Trapani.  E adesso, dopo 20 anni, è ritornata al porto di Palermo.  Ecco di seguito un reportage fotografico.

Nave Amerigo Vespucci: Una foto degli interni
Una foto degli interni
Amerigo Vespucci, un'altra foto degli interni
Amerigo Vespucci, un’altra foto degli interni
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Canale di Panama https://cultura.biografieonline.it/canale-di-panama/ https://cultura.biografieonline.it/canale-di-panama/#comments Mon, 24 Jul 2017 12:36:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22900 La storia del Canale di Panama

Quando Cristoforo Colombo partì con le sue tre caravelle per raggiungere le Indie via mare, non immaginava che in mezzo al suo cammino avrebbe trovato un altro continente. E men che meno poteva pensare che non troppo distante rispetto al punto nel quale toccò terra, quello stesso continente offriva l’insperata possibilità di proseguire la sua navigazione, attraversando un varco naturale: l’istmo di Panama.

Canale di Panama
Geografia: il Canale di Panama

Quel varco fu scoperto, quasi per caso, nel 1513 (quindi pochissimo dopo l’arrivo di Colombo in America) da un navigatore ed esploratore spagnolo. Vasco Nunez de Balboa fu il primo ad “affacciarsi” sulla più vasta distesa di mare del pianeta, l’Oceano Pacifico.

Oggi l’istmo naturale che attraversa lo stato di Panama è diventato uno dei canali navigabili più importanti della Terra assieme al Canale di Suez. Lungo 81,1 km (quello di Suez è invece il doppio, 164 km), il Canale di Panama è un’ardita opera ingegneristica. Grazie ad un complesso sistema di chiuse e camere d’acqua consente ogni anno a quasi 15.000 imbarcazioni mercantili di evitare la circumnavigazione dell’America Meridionale e il pericoloso doppiaggio di Capo Horn.

Canale di Panama - sistema di chiuse

Ma la corta distanza tra le sponde dei due oceani non deve ingannare. Attraversare il canale non è una “passeggiata di salute”. Tra passaggi e attraversamenti di chiuse e bacini, gli 80 km vengono percorsi in un tempo che va dalle 8 alle 12 ore. Altra curiosità è che durante l’attraversamento del canale di Panama, il comando della nave passa nelle mani di un “pilota” scelto dalle autorità di Panama. Il capitano non può in alcun modo intervenire, pur restando il responsabile dell’imbarcazione.

La ricerca di un passaggio tra Atlantico e Pacifico

La storia della costruzione del canale di Panama nasce proprio dalla scoperta fatta da Vasco Núñez de Balboa. L’allora sovrano di Spagna Carlo V d’Asburgo ordinò al Governatore di Panama, con un decreto del 1534, una ricognizione dell’istmo per trovare una via navigabile tra una costa e l’altra. Ma il lavoro si rivelò molto più difficile del previsto. L’area dell’istmo è una delle zone geograficamente più complesse e selvagge del pianeta, e il povero Governatore riferì al suo Re che tra fiumi, dislivelli e vegetazione fittissima, mai uomo avrebbe potuto costruire un passaggio sicuro per le navi in quella zona. Raramente previsione fu più azzardata.

Ci vollero però tre secoli per riprendere in mano il sogno di creare un passaggio tra i due oceani. A tentare l’impresa stavolta fu la Francia, che nel 1879 incaricò del progetto Ferdinand de Lesseps, che aveva appena costruito proprio il Canale di Suez. Ma la giungla selvaggia e infida dell’America centrale non era semplice da domare come il deserto. Il progetto (che non prevedeva l’uso delle chiuse) fallì. Stesso destino pochi anni dopo per un altro famoso transalpino, Gustave Eiffel.

Era destino che a risolvere la questione dovessero essere gli Stati Uniti. Nel 1901 ottennero il permesso dal governo della Grande Colombia (l’antico stato che nell’800 comprendeva Colombia, Ecuador, Venezuela e appunto Panama) per la costruzione dell’opera. Ma quando il governo colombiano – che forse pensava che gli statunitensi avrebbero fatto la stessa fine dei francesi – vide che il progetto procedeva a gonfie vele, due anni dopo si rimangiò l’accordo, reclamando la proprietà dell’opera. Gli Stati Uniti reagirono immediatamente, prima sobillando una sommossa popolare e poi minacciando un intervento militare. L’effetto fu quello sperato: Panama divenne un protettorato degli Usa, che poterono continuare a costruire il canale.

L’inizio dei lavori

I lavori iniziarono ufficialmente nel 1907, intrapresi dal genio militare statunitense, e si conclusero il 3 agosto 1914 seguendo i progetti del colonnello Gothal. L’inaugurazione ufficiale, tuttavia, fu rinviata al 12 luglio 1920, perché fu subordinata alla stipula di due accordi internazionali. Il più importante era il cosiddetto trattato di neutralità, con il quale gli Stati Uniti si sono arrogati il diritto permanente di difendere il canale da ogni minaccia che impedisca l’accesso continuato e neutrale alle navi di tutte le nazioni.

Nel 1999 gli USA hanno restituito ufficialmente il canale allo stato di Panama, con l’obbligo però di sorvegliarlo militarmente.

Navi nel Canale di Panama
Passaggio di navi nel Canale di Panama

Storia recente

Nel 2016 ulteriori lavori hanno portato al raddoppio della capacità del canale, permettendo il passaggio di navi più grandi. L’inaugurazione del nuovo canale si è svolta il 26 giugno del 2016.

Ma di tutti gli aspetti sorprendenti di questa ciclopica opera dell’ingegno dell’uomo, ce n’è uno davvero curioso: a causa della conformazione dell’istmo e della particolare articolazione del canale, quando si passa dall’Oceano Atlantico al Pacifico, l'”uscita” si trova incredibilmente più a est dell’entrata. Stessa “anomalia” ovviamente capita alle navi che fanno il percorso inverso. Come avrebbe mai potuto immaginarlo, il povero Governatore di Panama durante i suoi affannosi sopralluoghi.

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La linea d’ombra, riassunto (romanzo di Joseph Conrad) https://cultura.biografieonline.it/la-linea-dombra/ https://cultura.biografieonline.it/la-linea-dombra/#respond Fri, 16 Sep 2016 15:53:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19894 La linea d’ombra” è uno dei romanzi brevi scritti dallo scrittore Joseph Conrad. Il romanzo è ambientato verso la fine del XIX secolo. Dapprima, la scena ha luogo nell’albergo dove il protagonista alloggia a Singapore. Successivamente si sposta sulla nave della quale il protagonista ha accettato il comando.

La linea d'ombra (libro)
La linea d’ombra, llibro di Joseph Conrad • Titolo originale: The Shadow Line: a confession • 1ª edizione originale: 1917 • 1ª edizione italiana: 1929

Tematiche affrontate

Tutta la vicenda ruota attorno a una persona giovane che non sa ancora come muoversi nella vita. Egli si rivela, comunque, un buon comandante quando la storia lo mette a confronto con un frangente terribile che gli capita, dimostrando di non arrendendosi mai di fronte agli ostacoli della vita. L’autore lo dipinge come un personaggio dinamico, dato che riesce in poco tempo ad attraversare la linea d’ombra che divide la sua giovinezza dalla maturità dell’età adulta.

Joseph Conrad scrive questo libro dedicandolo a suo figlio Borys e a tutti gli altri giovani che, come lui, hanno attraversato nella prima giovinezza la linea d’ombra della loro generazione e che hanno saputo raggiungere la consapevolezza di diventare adulti. In questo senso, la linea d’ombra, non è altro che quel momento e quel particolare percorso di presa d’atto della propria indipendenza e, insieme, del proprio essere soli, di fronte al e nel mondo.

La linea d’ombra: trama e riassunto

Il romanzo narra delle vicende di un primo ufficiale in servizio su una nave nei mari d’oriente, precisamente a Bangkok, che decide di cambiare vita, ormai stufo della solita routine quotidiana. L’uomo sbarca e trova sistemazione in un albergo a Singapore. In questo particolare frangente fa la conoscenza del Capitano Giles. Il capitano è un vecchio uomo di mare esperto di navigazione. Egli dispensa saggi consigli e guida il protagonista del romanzo nel processo di maturazione.

La fortuna è dalla parte del protagonista. Di lì a poco riceve l’opportunità di comandare una nave ormeggiata a Bangkok, il cui capitano precedente è scomparso prematuramente.

Nel libro “La linea d’ombra“, si mette in luce la crescita e la personalità del protagonista principale e delle sue difficoltà durante il percorso di comando della nave Orient. Ma la vita marittima e soprattutto il comando risultano essere meno facili delle aspettative. Difatti, il neo capitano ha subito delle discussioni con un membro dell’equipaggio, il primo ufficiale Burns, che aspirava al comando della nave al suo posto.

Il giovane, fra l’altro, comincia a dimostrare tutta la sua inesperienza al comando. Mostra un’inattitudine che viene percepita dall’equipaggio. Come se non bastasse, poco dopo, gli uomini della nave vengono tutti colpiti da una forte febbre tropicale. Fanno eccezione lui e il cuoco della nave, Ransome.

Sembra quasi che le profezie del “vecchio” Giles prendano corpo procurandogli, fino ad ora, solo dei grandi guai. Il giovane si trova di fronte a un enorme problema al quale non riesce a trovare una soluzione. Le scorte di medicine della nave sono esaurite a causa della loro vendita, effettuata dal defunto precedente capitano. La nave rimane immobile nell’oceano per più di due settimane, poiché incappa in una tremenda bonaccia.

A questo punto, il protagonista si fa prendere dal panico. Inizia a dubitare seriamente delle sue capacità di comandante. Non riesce più a controllare la situazione e le richieste dell’equipaggio a bordo. Sembra che quell’invisibile linea d’ombra dell’80° di longitudine e 20° di latitudine, li porti verso una situazione di sciagura che potrebbe perfino spingerli verso la morte.

La linea d'ombra
La linea d’ombra

Finale

Nonostante tutto, il protagonista, grazie anche al prezioso aiuto del cuoco Ransome, riesce a mantenere la nave in efficienza e la situazione sotto controllo. Ormai però sono tutti alla stremo delle forze. Il giovane capitano, aiutato da Ransome e dal febbricitante Burns, non si dà per vinto. Per fortuna, la dea bendata non li abbandona e, dopo vari tentativi, complice finalmente il vento, riescono a raggiungere le coste di Singapore.

A quel punto, l’equipaggio è salvo. I malati vengono portati in ospedale per le cure mediche e, al posto del vecchio equipaggio, ne viene imbarcato uno nuovo pronto a ripartire per mare. Il protagonista decide di riprendere il mare, stavolta consapevole degli errori fatti. Ormai è un adulto e non prenderà più sottogamba nessuna situazione. Soprattutto, affronterà da solo tutte le scelte senza l’ausilio di chi gli sta vicino.

La gente ha una grande opinione sui vantaggi dell’esperienza. Ma sotto un certo profilo, esperienza significa sempre qualcosa di spiacevole, i contrasto con il fascino e l’innocenza delle illusioni.

(Dal romanzo)

Commento all’opera

Un uomo deve saper affrontare la cattiva sorte, i propri errori e la propria coscienza. Solo così, combattendo, riuscirà nella vita a raggiungere gli obiettivi prefissati. In questo libro, Joseph Conrad affronta le tematiche relative al viaggio e al mare come metafore della vita. Si sofferma sulle personalità tormentate dei protagonisti della vicenda. In particolare, sulla giovane e inesperta personalità del principale protagonista, il capitano.

Conrad adotta nel libro uno stile e un lessico che lui stesso definisce “ricercato“. Lo scrittore utilizza di sovente i tecnicismi del settore navale.

Il romanzo ottenne un buon riscontro in termini di pubblico e di critica, tanto che furono numerose le traduzioni del romanzo. “La linea d’ombra” è stato considerato uno dei prodotti migliori realizzati dallo stesso scrittore durante la sua vita. Dato il successo del romanzo di Joseph Conrad, ne fu tratto perfino un film omonimo dal titolo: “La linea d’ombra” nel 1976 diretto da Andrzej Wajda.

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Achille Lauro: breve storia del sequestro della nave https://cultura.biografieonline.it/achille-lauro-storia/ https://cultura.biografieonline.it/achille-lauro-storia/#respond Fri, 22 Jan 2016 16:31:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16292 Sono passati oltre 30 anni dal sequestro della nave Achille Lauro, avvenuto il 7 ottobre 1985. Fu allora che quattro terroristi palestinesi sequestrarono la nave da crociera italiana, per poi liberare gli ostaggi due giorni dopo, il 9 ottobre.

Sequestro Achille Lauro - giornale - 7 ottobre 1985
Il sequestro dell’Achille Lauro: la prima pagina del Corriere della Sera del 9 ottobre 1985

Il sequestro dell’Achille Lauro

Il sequestro avvenne al largo delle coste egiziane. A bordo della nave c’erano 400 persone, gli altri passeggeri si trovavano a terra per un’escursione. Intorno alle 13 del 7 ottobre, i terroristi armati prendono il controllo dell’Achille Lauro: durante il processo dichiararono che in realtà volevano compiere un attentato nel porto israeliano di Ashdod, una delle tappe della nave, ma essendo stati scoperti, decisero di eseguire il sequestro. In cambio, i quattro terroristi, dichiaratisi appartenenti all’Olp, chiesero subito la liberazione di 52 palestinesi detenuti in Israele. In verità, i terroristi appartenevano al Fronte per la liberazione della Palestina, gruppo radicale all’interno dell’Olp, che si opponeva alla linea di Yasser Arafat, che negò ogni responsabilità.

Achille Lauro - Nave
Una foto della nave Achille Lauro. Il suo nome viene dall’armatore napoletano (1887 – 1982).

La liberazione degli ostaggi

È così che il governo italiano (Bettino Craxi) con il ministro degli Esteri (Giulio Andreotti) decise di chiedere la collaborazione del presidente palestinese. Una mossa che permise, grazie all’invio di due mediatori da parte di Arafat, di liberare gli ostaggi: i dirottatori, infatti, si consegnarono alle autorità egiziane. Da quel momento, l’Achille Lauro si diresse a Port Said, attraccando il 10 ottobre 1985.

La reazione degli Stati Uniti

La fine del sequestro non fu senza conseguenze, dal momento che si apprese che i terroristi avevano ucciso Leon Klinghoffer, un ebreo e cittadino americano, disabile, che era stato ucciso e buttato in mare. Così gli Stati Uniti decisero di reagire: quando l’aereo egiziano con a bordo i terroristi decollò per recarsi a Tunisi, scattò l’azione degli Stati Uniti che intercettando l’aereo, lo fecero atterrare nella base Nato di Sigonella, dopo che il presidente, Ronald Reagan, ottenne il permesso all’atterraggio da Craxi. Da qui, la rivendicazione di gestire la situazione da parte del governo italiano, che non permise agli Stati Uniti di prelevare i terroristi e i mediatori dell’Olp: così l’aereo venne circondato dai militari italiani, impedendo agli americani di avvicinarsi.

L’arresto dei terroristi

I terroristi vennero arrestati dagli italiani, e fu negata a Reagan la consegna dei dirottatori per farli processare in America: Craxi rispose infatti che i quattro erano colpevoli di reati commessi in acque internazionali ma su una nave italiana e, di conseguenza, la competenza era della magistratura italiana. Da qui i terroristi furono portati in carcere, a Siracusa, poi processati e condannati. Tra i mediatori, venne condannato in contumacia come mandante dell’azione Abu Abbas, che prima venne liberato in quanto ancora identificato come mediatore. Successivamente rifugiatosi in Iraq, fu poi catturato nel 2003 dagli americani e morì in carcere l’anno successivo.

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Perché gli oblò sono tondi? https://cultura.biografieonline.it/perche-gli-oblo-sono-tondi/ https://cultura.biografieonline.it/perche-gli-oblo-sono-tondi/#respond Thu, 30 May 2013 09:17:21 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7327 Gli oblò di navi ed aerei sono tondi per un motivo che riveste la massima importanza. Il loro uso si rende necessario nei casi in cui bisogna avere la possibilità di osservare l’ambiente esterno, ma senza esporsi a rischi.

Oblò
Perché gli oblò hanno forma circolare?

Che cos’è un oblò

L’oblò, il cui termine deriva dal francese hublot, è un’apertura circolare a tenuta stagna di dimensioni modeste, dotata di telaio che supporta una spessa e robusta lastra di vetro. L’oblò è utilizzato per fornire illuminazione ai locali che si trovano all’interno; fornisce inoltre l’aerazione necessaria, mentre quelli in prossimità della linea di galleggiamento delle navi non sono apribili.

Perché gli oblò hanno forma tonda?

Siamo arrivati alla domanda iniziale di questo articolo: perché gli oblò sono tondi?

Gli oblò delle navi ricevono le sollecitazioni che provengono dal moto ondoso del mare, che può essere anche molto violento; nel caso degli oblò sugli aerei invece, le sollecitazioni provengono dalle variazioni di pressurizzazione.

Considerato che la pressione delle sollecitazioni si concentra soprattutto sulle aperture, se queste presentassero angoli, per esempio con una forma quadrata o rettangolare, l’energia si scaricherebbe proprio in corrispondenza degli spigoli, aumentando la probabilità di gravi rotture o fessurazioni. I conseguenti danni sarebbero in tal caso gravi. In una apertura di forma tondeggiante invece, le sollecitazioni vengono distribuite uniformemente lungo tutta la sua circonferenza, salvaguardandone così l’integrità.

Aforisma di Bob Dylan sulla speranza e... sull'oblò
Una bella frase di Bob Dylan sulla speranza e… sull’oblò
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L’ammutinamento del Bounty https://cultura.biografieonline.it/bounty-ammutinamento/ https://cultura.biografieonline.it/bounty-ammutinamento/#respond Tue, 30 Apr 2013 14:53:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7001 Il Bounty fu una nave militare armata appartenente alla Marina Britannica. Quello che segue è il racconto del più noto e famoso ammutinamento della storia dei mari. L’ammutinamento del Bounty avvenne il giorno 28 aprile 1789. Tale storia ha ispirato diverse opere cinematografiche e anche un racconto di Jules Verne.

L'ammutinamento del Bounty
Una raffigurazione dell’ammutinamento del Bounty: gli ammutinati lasciano gli ufficiali della nave alla deriva insieme al comandante.

Salpata il 23 Dicembre 1787 dal porto di Spithead, la fregata mercantile deve raggiungere Tahiti, ma le cattive condizioni del tempo rendono impossibile proseguire il viaggio seguendo la rotta intrapresa. Il comandante della nave, William Blight, cerca invano di doppiare Capo Horn, ma è costretto a ripiegare cambiando rotta di navigazione verso est.

Durante la navigazione, nei pressi della Nuova Zelanda, vengono avvistate dall’equipaggio alcune isole, che il capitano Blight chiama “Bounty” in onore della nave da lui guidata. La traversata verso Tahiti si rivela lunga e piuttosto difficile: un uomo dell’equipaggio muore a causa della negligenza del dottore a bordo. Quando finalmente la nave arriva in Polinesia, a Tahiti i marinai provvedono a caricare centinaia di piantine di ogni tipo. La popolazione è molto accogliente, in particolare le donne si mostrano calorose e conquistano l’equipaggio con la loro abilità amatoria.

Una volta ripreso il viaggio di ritorno, la maggior parte dell’equipaggio a bordo pensa alle donne lasciate a Tahiti e si mostra riluttante ad obbedire alle severe regole della vita sulla nave. Il 28 Aprile 1789 una parte dell’equipaggio del Bounty, guidato da Peter Heywood e il secondo ufficiale Fletcher Christian, si ammutina al capitano Blight.

Una scena tratta dal film "Gli ammutinati del Bounty" (1962). Sulla sinistra Marlon Brando.
Una scena tratta dal film “Gli ammutinati del Bounty” (1962). Sulla sinistra Marlon Brando.

Il capitano Blight viene minacciato con una baionetta e costretto a lasciare la nave con diciotto uomini per salire su un’altra imbarcazione. I numeri dell’ammutinamento sono piuttosto discordanti, ma una cosa è certa: il Bounty riprende la sua corsa verso Tahiti lasciando il capitano con pochissime risorse disponibili per salvarsi.

Proseguendo il viaggio, il Bounty si ferma sull’isola di Tubuai, dove gli ammutinati fondano una colonia. Una volta tornati a Tahiti, gli inglesi aiutano gli abitanti a cotruire un fortino, cui viene dato il nome di Fort George. Nonostante le esigue risorse e viveri di cui dispongono, Blight e i suoi uomini raggiungono la colonia olandese di Tinor in soli 47 giorni di navigazione: si tratta di un vero e proprio record! Molti di loro, però, non riescono a sopravvivere alle febbri tropicali, e il nostromo William Cole viene ucciso da alcuni indigeni presenti sull’isola.

Blight riesce a tornare sano e salvo in Inghilterra per raccontare ciò che è accaduto sul Bounty. L’ammutinamento diventa oggetto di un’inchiesta: la Corte marziale assolve Blight e gli consente di proseguire la sua carriera. Dopo un po’ di tempo viene nominato Governatore del Nuovo Galles del Sud. Il 7 Novembre 1790 il Bounty viene recuperato e la maggior parte degli ammutinati viene arrestata.

Gli Inglesi che restano a Tahiti devono vedersela con i polinesiani, che ad un certo punto si ribellano perché sono ridotti in schiavitù. Molti degli ammutinati vengono uccisi. Ad uno dei superstiti, John Adam, va il merito di aver rappacificato le due etnie. Alcuni pezzi del Bounty sono custoditi in diversi musei ed ancora ricercati da chi colleziona questo tipo di oggetti.

Lo scrittore Jules Verne ha scritto un libro sulla vicenda, intitolato “I ribelli del Bounty”.

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Il Canale di Suez https://cultura.biografieonline.it/il-canale-di-suez/ https://cultura.biografieonline.it/il-canale-di-suez/#comments Tue, 05 Jun 2012 15:05:29 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2150 Il Canale di Suez è stato inaugurato il 17 novembre 1869 ed è un canale artificiale che permette la navigazione dall’Europa all’Asia (e viceversa), evitando la circumnavigazione dell’Africa.

Una foto del Canale di Suez
Una foto del Canale di Suez

Si trova in Egitto e collega Porto Said sul Mediterraneo a Suez, che invece sta sul Mar Rosso. Questa via di navigazione ha cambiato la rotta dei trasporti e migliorato gli scambi commerciali.

Prima dell’apertura di Suez, molte merci venivano scaricate e trasportate lungo la rotta del canale (non ancora esistente) per poi essere reimbarcate o sul Mediterraneo o sul Mar Rosso, a seconda della tratta. Un viaggio lunghissimo ed estenuante che rallentava di molto il commercio. I primi a rendersi conto che quel tratto di terra è un ostacolo per il commercio sono i mercanti veneziani che, all’inizio del Cinquecento, propongono ai sultani d’Egitto di collegare i due mari.

Cartina del Canale di Suez
Cartina del Canale di Suez

Si devono però attendere tre secoli per dare forma al progetto. Napoleone, nel 1799, dopo aver ritrovato un interessante lavoro a opera dello studioso tedesco Leibniz, ferma il sogno di realizzare il canale a causa di un dislivello di 10 metri tra i due mari, che – secondo il pensiero dell’epoca – impone la realizzazione anche di un complesso sistema di chiuse. Secondo studi topografici successivi e più accurati, non esiste alcun ostacolo di questo genere. Nel 1830, l’ingegnere Prosper Enfantin mette mano al progetto del canale e costituisce, nel 1846, una società di costruzione dimostrando che l’opera è realizzabile, anche con una piccola limitazione. Il Canale permette la navigazione solo a navi a vapore, che rappresentano solo il 5 percento delle imbarcazioni.

È un italiano a elaborare il progetto definitivo nel 1854. La firma è quella di Luigi Negrelli, un ingegnere trentino. In realtà, Negrelli nasce a Fiera di Primiero, paesino italiano che in quel periodo apparteneva all’impero austroungarico. Si dice però che i suoi genitori fossero di origine genovese.

La costruzione del canale prende il via il 25 aprile 1859 e ci vogliono 10 anni per realizzare quest’enorme opera. La direzione dei lavori è affidata Ferdinand de Lesseps (il diplomatico francese che ottiene la concessione di 99 anni dall’apertura da Said Pascià, viceré d’Egitto) e non a Negrelli, che però muore alla vigilia dei lavori. De Lesseps si ritrova così a coordinare circa un milione e mezzo di operai egiziani. Molti di loro (125 mila), purtroppo, muoiono durante la costruzione a causa di un’epidemia di colera.

La prima nave attraversa il canale il 17 febbraio 1867, anche se poi l’inaugurazione ufficiale, in pompa magna, è del 17 novembre 1869. Suez fin dalla sua apertura cambia il mercato e ha un immediato impatto sul traffico delle merci. Ma c’è di più. Il successo di quest’opera porta anche in altre direzioni. Prima cosa viene sviluppato il ruolo della navigazione per spostare le merci, poi l’Africa diviene al centro dell’interesse europeo e i francesi decidono di buttarsi un altro lavoro importante, stavolta senza successo: la costruzione del Canale di Panama.

Il Canale di Suez è un’opera enorme: è lunga 163 chilometri, larga circa 52 metri (viene poi allargata fino agli attuali 352 metri) e ha un pescaggio di 8 metri (oggi sono 16 si sta pensando di arrivare a 20). Per la navigazione ci vogliono 15 ore. L’impresa è finanziata con fondi francesi per il 56 percento del valore e per la restante parte con fondi egiziani.

La gestione franco-egiziana però cambia, quando nel 1875 l’Egitto cede la sua quota di azioni al Regno Unito, a causa di mancanza di liquidità. Gli inglesi non vedevano l’ora di mettere le mani su Suez che consente un collegamento facile e diretto con le colonie indiane.

Da 1888, grazie alla Convenzione di Costantinopoli, il Canale è eletto “zona neutrale” e può essere usato sia in periodo di pace sia di guerra, ovviamente in quest’ultimo caso non da Paesi in conflitto con l’Egitto. Risalgono poi agli anni Cinquanta le tensioni per il controllo (economico) di Suez, quando il 26 luglio 1956 il Presidente Gamāl ʿAbd al-Nāser, nonostante la concessione non fosse ancora scaduta, nazionalizza il canale, ben con 14 anni d’anticipo: scoppia la crisi di Suez e a ottobre di quello stesso anno Francia, Regno Unito e Israele attaccano l’Egitto. L’obiettivo degli egiziani è quello di raccogliere fondi per  finanziare la costruzione della Diga di Assuan, sul fiume Nilo, ma ovviamente gli altri Stati non prendono bene la prova di forza del Paese. Il Canale viene chiuso fino ad aprile del 1957, per poi essere bloccato ancora un’altra volta, nel 1975 a causa della guerra dei sei giorni (scoppiata nel 1967).

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