Napoli Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 26 May 2023 08:12:28 +0000 it-IT hourly 1 Perché si dice parlare a vanvera. Cos’è la vanvera? https://cultura.biografieonline.it/parlare-a-vanvera/ https://cultura.biografieonline.it/parlare-a-vanvera/#comments Fri, 26 May 2023 08:12:26 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25916 Con l’espressione “Parlare a vanvera” si indica una situazione in cui si pronunciano parole senza un vero fine. Si potrebbe comunemente tradurre in “parlare a caso” o “parlare a casaccio”, quindi senza considerare ciò che si sta dicendo. Un altro modo di dire analogo a questo potrebbe essere “dare fiato alla bocca”. Ma torniamo all’espressione parlare a vanvera e alle sue origini.

Questa locuzione avverbiale compare per la prima volta a cavallo tra il Medioevo e l’era moderna.

Nel 1565 lo storico fiorentino Benedetto Varchi in un suo testo spiega il significato con l’azione di dire cose senza senso o senza fondamento.

Anche Francesco Serdonati, poligrafo toscano vissuto tra il XVI e il XVII secolo, alla lettera P dei suoi “Proverbi” (successivi al 1610) ci dice che “a vanvera” veniva già usato insieme al verbo “parlare”.

Etimologia

L’Accademia della Crusca ci spiega che vanvera è un termine che non esiste come sostantivo, ma solo in quanto parte della locuzione “a vanvera”. Perciò si può legare di volta in volta ad altri verbi, in vari contesti.

Si può quindi cucinare a vanvera; ci si può pettinare o vestire a vanvera; si può studiare a vanvera, cicalare a vanvera, correre a vanvera, tagliare a vanvera; e a vanvera si può poetare o recitare. È possibile inoltre tacere o pensare a vanvera; e ancora vanverare o vanvereggiare.

Sono note varianti regionali, in particolare nel pisano e nel lucchese, dove si usano le espressioni “a cianfera” e “a bámbera”. Quest’ultima è una locuzione di probabili origini spagnole, con la quale s’intendeva una perdita di tempo.

Oggi gli etimologisti sono più propensi a credere che vanvera sia una variante di “fanfera”, una parola di origine onomatopeica che significa “cosa da nulla” (fanf-fanf riproduce il suono di chi parla farfugliando, senza pertanto dire nulla di sensato). In origine vi sarebbe il suono fan-fan, tipico delle trombe militari. Fanfarone si dice infatti di persona che si comporta da millantatore o spaccone.

Parlare a vanvera. Parlare a caso, senza considerare quel che si dica. Dicesi anche: parlare in aria. Cioè: senza fondamento, senza senso, a caso, senza riflettere.

La vanvera

L’ampio ventaglio dell’applicazione dell’espressione ha dato origine anche a usi fantasiosi, fino ad arrivare a interpretazioni colorite e volgari. Esiste un oggetto chiamato piritera o anche vanvera, simile all’antico prallo. Fu molto in voga presso gli aristocratici veneziani e napoletani del XVII secolo.

Parlare a vanvera

La vanvera poteva essere da passeggio o da letto: la sua funzione era quella di risolvere i disturbi gastrointestinali dal punto di vista… sociale. Spieghiamo meglio il concetto definendo di seguito la funzione degli strumenti.

Il prallo

Si tratta di un oggetto antico a forma di uovo, di ceramica o di legno, dotato di due fori comunicanti. Tale uovo durante i lunghi banchetti degli aristocratici veniva infilato nel pertugio anale al fine di attenuare l’effetto dei miasmi delle flatulenze. Al suo interno vi si infilavano delle erbe odorose. Il gas nell’attraversare il prallo provocava una curiosa nota musicale tipo trombetta o fischietto.

La piritera

Di simile utilizzo del prallo era la piritera. Essa non andava appoggiata ai glutei bensì aveva una cannula per essere infilata direttamente nell’ano.

La vanvera da passeggio

L’oggetto era costruito in pelle di vari colori ed era diviso in quattro parti.

Vanvera da passeggio
Vanvera da passeggio

La prima parte, per aderire completamente alle natiche era fatta a coppa, realizzata su misura. Questa comunicava attraverso un collo ad una vescica che riceveva i gas intestinali. Essa terminava con un pertugio munito di chiusura con spago, per consentirne lo sfiato.

L’utilizzatore che soffriva di meteorismo, ma che si trovava nella necessità di uscire in società, la indossava sotto il mantello oppure sotto la gonna. Ogni rumore veniva attenuato ed ogni odore evitato. Una volta isolati si poteva aprire lo spago.

vanvera

Oggigiorno questi tipi di oggetto suscitano ilarità. E’ bene ricordare che il termine vanvera non deriva però da quest’ultimo strumento descritto. E’ piuttosto il contrario: lo strumento prende il nome vanvera proprio per l’assonanza onomatopeica del “parlare all’aria”.

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“Stanotte a Napoli”: Alberto Angela su Rai 1 il 25 dicembre https://cultura.biografieonline.it/stanotte-a-napoli-alberto-angela-su-rai-1-il-25-dicembre/ https://cultura.biografieonline.it/stanotte-a-napoli-alberto-angela-su-rai-1-il-25-dicembre/#respond Tue, 21 Dec 2021 13:34:02 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=37589 La programmazione festiva della Rai prevede una novità assoluta proprio nella serata di Natale. Niente cartoni animati o film classici natalizi. Il 25 dicembre prossimo, su Rai 1, Alberto Angela conduce “Stanotte a Napoli”, uno speciale sulla città partenopea.

Il presentatore, che è cittadino onorario di Napoli, percorre i più nascosti sentieri di questa affascinante città del Sud Italia, concentrandosi su quelle caratteristiche che la rendono unica al mondo.

Napoli come tutte le città ha delle luci e delle ombre. Il nostro programma si concentra sulle luci. Napoli è per l’Italia quello che l’Italia è per l’estero, ci sono i luoghi comuni. Credo che solo la conoscenza possa combattere i pregiudizi. Io sono piemontese e mi sono sempre trovato benissimo”, ha dichiarato Angela.

Il Sindaco Gaetano Manfredi è orgoglioso e grato per questo omaggio a Napoli: “La trasmissione è un grande dono di Alberto e della Rai a Napoli, ma anche un regalo che Napoli vuole fare agli italiani: l’energia di questa città può essere simbolo della ripartenza“, ha detto il primo cittadino.

Il direttore di Rai 1 Stefano Coletta ha dichiarato al riguardo: ‘‘I programmi di Angela sottolineano la missione del servizio pubblico. Non si tratta di semplice divulgazione in prima serata, ma anche della costruzione di emozioni, con immagini, parole e musica”.

Alberto Angela presenterà un altro programma durante le festività: il 28 Dicembre, alle 21.20, sarà trasmessa in tv la quarta edizione di “Meraviglie, la penisola dei tesori”. Si parlerà di Procida, eletta capitale della cultura 2022.

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La dormiente di Napoli, quadro di Ingres https://cultura.biografieonline.it/la-dormiente-di-napoli-quadro-di-ingres/ https://cultura.biografieonline.it/la-dormiente-di-napoli-quadro-di-ingres/#comments Fri, 29 Apr 2016 06:30:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17920 L’odalisca perduta di Jean Dominique Ingres (1780-1867) trasse e infine nuovamente diffuse il bagliore di una nobile bellezza dallo sguardo inebriante di una donna reale, amata nella platonica intenzione di unire lo spirito dell’amata al capolavoro celebrativo di un amore verosimilmente clandestino, ma che si rivelò maledetto e destinato a essere obliato. “La dormiente di Napoli” (1808) di Ingres riemerse dall’oscurità, ridestando l’ignaro fascino tra i connotati levigati delle odalische realizzate nel periodo tardo, cosicché, mostrandosi in forme nuove, riscattò il fallimento dell’illusoria promessa di essere glorificata dall’arte, quale promessa di quell’anima romantica che la ritrasse e cui mai si concesse.

La dormiente di Napoli - Sleeping Odalisque
La dormiente di Napoli – Ingres

Le sfortunate sorti dell’odalisca smarrita sembrano legarsi inevitabilmente alle disfatte subite dall’impero napoleonico a partire dal 1814, congiungendo gli esiti del dipinto alla figura del generale francese Gioacchino Murat (1767-1815) e della moglie e regina consorte di Napoli Carolina Bonaparte (1782-1839), sorella di Napoleone.

Nato per esprimere grazia e prestigio nelle blasonate dimore francesi dei Murat, la dormiente non giunse mai al fianco della tela conosciuta come “La grande odalisque” (1814), quale dipinto nato per essere combinato ed esposto con la tela smarrita.

La dormiente di Napoli: genesi del dipinto

La storia del dipinto, che richiama ineluttabilmente quella de “La grande odalisca“, si conclude nell’eclissi compenetrante ogni aspetto legato alle urgenti vicissitudini del Regno. Creata per Carolina Bonaparte, la tela di Ingres, raggiunse le dimore dei Murat intorno al 1814, per svanire nel nulla in seguito all’esecuzione per fucilazione del marito Gioacchino Murat, il 13 ottobre del 1815.

La dormiente di Napoli
La dormiente di Napoli – Foto di uno studio per il dipinto

L’incresciosa sorte di un dipinto perduto accende periodicamente l’interesse verso la figura del pittore francese, aprendo la strada a piacevoli supposizioni legate alla figura della donna rappresenta.

Sarebbe estremamente emozionante rivedere quelle pallide membra rifiorire di attenzioni e lustro al fianco de “La grande odalisque“, in quella felice unione che mai si realizzò e che fece di una il riflesso esistente e dell’altra il mito da onorare nel ricordo.

La dormiente di Napoli - Disegno
La dormiente di Napoli – Disegno

Note tecniche e descrittive

Era bella quella donna, sorridea nel sonno… Le nude forme del suo seno accusavano una sanità perfetta e una rigogliosa gioventù“. Il drammaturgo e giornalista italiano Francesco Mastriani descriveva così uno dei personaggi del noto romanzo d’appendice i “Misteri di Napoli” (1869), aprendo chiaramente l’attenzione su quella descrizione in cui è facile sentire gli echi di un secolo impregnato e continuamente influenzato dalla figura femminile della cortigiana.

La figura dell’odalisca, nella dormiente e svenevole espressione di una giovane donna abituata al destino di un corpo assiduamente in vendita, colpisce nella sua inesistenza, portando con sé il potere espressivo del corpo nudo e corrotto in molti dei capolavori di Ingres, quasi fosse il continuo rimando a un’eredità perduta, in quell’involontario tentativo di rivalsa verso un destino che aveva privato il pittore di quella bellezza raggiungibile solo attraverso degli strati di colore.

Ingres amava le donne, adorava e conquistava l’anima femminea attraverso l’arte. Il corpo femminile si fece vessillo di un’arte pienamente neoclassica, votata al romanticismo e a quella grande passione per le ambientazioni esotiche.

Il pittore francese era noto per le ricerche ossessive volte al miglioramento e arricchimento dei dettagli sulla tela, tanto da non risparmiarsi “nessuna pena pur di assicurare l’assoluta precisione dei dettagli nelle sue ricostruzioni pittoriche dei fatti del mondo intorno a lui (tanto che solo per l’accuratezza del costume e del décor, i suoi ritratti, al contrario di quelli di Delacroix, sono facilmente collocabili in uno specifico momento del XIX secolo)“.

Jean Dominique Ingres aveva l’abitudine di consultare un catalogo riccamente illustrato sui costumi orientali chiamato “Recueil de cent estampes représentant les diverses nations du Levant” (Raccolta di cento stampe che rappresentano le diverse nazioni del Levante, Parigi 1714-1715): molti dei capolavori di Ingres legano la propria iconografia al motivo dell’harem, come nel caso della stessa dormiente napoletana o de “La grande Odalisque”, che nascevano e traevano ispirazione dall’illustre e quanto meno raro “recueil” francese.
Ingres dimostrò di avere un profondo legame con l’arte persiana pur non avendo mai visitato l’Oriente, ma la “raffigurazione delle donne orientali rimane quella di oggetti passivi”.

Lo scrittore e poeta Pierre Jules Théophile Gautier (1811-1872), che aveva viaggiato in Oriente, non dissimulò mai la meraviglia che destava la conoscenza di Ingres in materia di harem, fascinazione profonda ed echeggiante in ogni suo capolavoro.
Le sue odalische“, affermava Gautiere, “farebbero ingelosire il sultano dei Turchi, tanto l’artista pare a suo agio con i segreti dell’harem“.

La dormiente di Napoli” rispecchiava probabilmente questa passione esotica, sentimento evidente anche nella celebre “Odalisca con schiava“, che per la tematica orientaleggiante richiama il nudo della donna assopita.

Odalisca con schiava - Ingres - Odalisque with slave
Odalisca con schiava (Ingres)

La bellezza de “La dormiente di Napoli” risuona tra le lettere dei romanzi ottocenteschi, riportando ciò che l’arte ha perduto nell’incantevole e spregiudicata letteratura romantica del XIX secolo; la cortigiana francese, la dea erotica di ogni matrimonio infelice, perde di ogni mistero nella lettura dell’illustre Gautiere, dove l’odalisca d’Ingres, totalmente disincarnata e idealizzata, lascia la pastosità dei colori e la durezza della tela per rinascere tra carta e inchiostro: “Era bruna e pallida, i suoi capelli ricci e inanellati, neri come quelli della notte, erano morbidamente appuntati alle tempie secondo la moda greca e, sull’incarnato diafano del suo volto, brillavano due occhi scuri e dolci, carichi di un’indefinibile espressione di tristezza voluttuosa e appassionato languore“.

La letteratura lascia posto alla pittura nelle uguaglianze che legano il capolavoro de “La dormiente di Napoli” a “La grande odalisca”, corrispondenze evidenti nella scelta nelle pose contrapposte (l’una di fronte con la testa a destra e una di schiena con la testa a sinistra ) e nel tema (un nudo occidentale e uno orientale).

Il mistero dell’odalisca smarrita di Ingres riempie l’immaginazione, lasciando la verità sopita tra le iridi vezzose dell’odalisca del Louvre.

Note Bibliografiche
P. Daverio, Louvre, Scala, Milano, 2016
F. Mernissi, L’harem e l’occidente, Giunti, Milano, 2010
F. Mastriani, I misteri di Napoli, Stabilimento tipografico del Commend. G. Nobile, Napoli, 1870
P. Tornese (a cura), T. Gautiere, Arria Marcella – Jettatura, Giunti, Milano, 1984

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L’amica geniale, recensione della tetralogia di Elena Ferrante https://cultura.biografieonline.it/elena-ferrante-amica-geniale/ https://cultura.biografieonline.it/elena-ferrante-amica-geniale/#comments Mon, 10 Aug 2015 13:25:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14941 gender doesn’t matter

io non lo so chi sia elena ferrante. mi interessa? no. c’avrà le sue ragioni per non dirlo. fortemente consigliata da persone di fiducia, ho letto la tetralogia de l’amica geniale – edizioni e/o dal 2011 al 2014.

avevo letto il primo un po’ di tempo fa e poi tutti di fila gli altri tre, come fosse un libro unico.
ci sto pensando.

è una scrittura magistrale quella di questi libri. è pulita, profonda, non trovi uno scivolone che sia uno. però io ho comunque qualcosa che mi rode. è un libro (dico libro per dire quattro libri) femminile. femminista forse ma non è questo il problema.

Elena Ferrante

è un libro troppo di femmine. non da femmine eh, di femmine. e io quando i libri sono troppo di femmine faccio un po’ fatica. anche quando sono scritti da femmine – non sappiamo se questo è il caso – trovo che spesso ci sia uno sforzo grande per dimostrare qualcosa. è quello che facciamo tutti i giorni, come donne. dimostrare qualcosa al lavoro, a casa, per strada.

dimostrare che ce la possiamo fare bene quanto e più degli uomini, e questo è chiaramente un errore. imposto eh. imposto dagli uomini stessi che spesso ce l’hanno più facile. però non sempre bisogna dimostrare di essere meglio. si può anche dimostrare di essere bene. di essere quello che si è. cioè, nun se capisce me sa. tipo, le quote rosa. ok potrei anche essere d’accordo, ma solo in parte. perché se ci sono degli uomini più validi a fare una determinata cosa, perché essere obbligati a scegliere donne meno valide solo perché sono donne?

ah no ma scusate non ci sono uomini più validi. taaaaac è qui l’errore. nel vittimismo delle minoranze noi donne ci cadiamo in pieno e se potessimo ribalteremmo la situazione. non possiamo, è ovvio, ma se potessimo.

siamo persone. non uomini o donne, persone. per questo non mi interessa sapere se elena ferrante sia donna o uomo. tutti gli scrittori dovrebbero usare uno pseudonimo, in modo da non farmi cadere nel pregiudizio che uhm, io le donne non è che mi piacciono tanto – ah, ci sono eccezioni ovviamente, che vi credete, che io sia coerente?

Amica geniale - ciclo - Elena Ferrante
Il primo volume del ciclo “L’amica geniale” è del 2011; i successivi sono: “Storia del nuovo cognome” (2012), “Storia di chi fugge e di chi resta” (2013) e “Storia della bambina perduta” (2014).

napoli in questi libri è così vicino che la puoi toccare. è un pacchetto di fotografie. vale la stessa cosa per la situazione sociopoliticoeconomicmetteteciquellochevolete. sta sullo sfondo ma non nascosta, piuttosto tira i fili della storia, come un burattinaio.

L’amica geniale: protagoniste e personaggi

le protagoniste e i personaggi che gravitano intorno sono così reali che ti viene davvero da farti domande sui tuoi rapporti di amicizia. ho o ho avuto amiche come lila? come lenù? e io dove mi classifico? voglio davvero essere come l’una o come l’altra o forse a volte sono entrambe. o magari nessuna. le domande te le fai.

il senso di inadeguatezza, di inferiorità, di lenù nei confronti della sua amica è quello che sento ogni mattina quando mi alzo. nei confronti delle amiche o del mondo intero. allora sì, come lei dovrei dimostrare di più, sempre, ma a differenza sua la forza di volontà spesso manca mentre è più comodo piangersi addosso. lo faccio spesso di piangermi addosso eh, solo che lo faccio un pochino nascosta. ma quanto dolore e terrore e qualcosa d’altro che finisce il -ore si portano addosso anche le persone che sembrano più sicure di sé? a volte me lo chiedo. poi però a volte mi vengono dei dubbi, molte di loro, son proprio soddisfatte così.

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Le Quattro Giornate di Napoli https://cultura.biografieonline.it/le-quattro-giornate-di-napoli/ https://cultura.biografieonline.it/le-quattro-giornate-di-napoli/#comments Mon, 27 Aug 2012 23:56:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3509 Siamo nel 1943, durante lo svolgimento del secondo conflitto mondiale. Le Quattro Giornate di Napoli, così come vengono definite dagli storici, non rappresentano un episodio isolato, slegato dal contesto socio-politico di questo periodo. Anzi, tali insurrezioni sono precedute e seguite da altre stragi ed eccidi vari, che si concentrano nel territorio di Napoli e provincia.

Le Quattro Giornate di Napoli (dal 27 settembre al 30 settembre 1943)
Le Quattro Giornate di Napoli (dal 27 settembre al 30 settembre 1943)

Dal punto di vista storico le Quattro Giornate di Napoli sono state valutate in maniera diversa, ora come semplice rivolta popolare, ora come esperienza politica del centro-sinistra in opposizione al nazismo. Secondo R. Battaglia, autore dal trattato di storia intitolato “Storia della Resistenza”, tale episodio scaturisce dall’odio del popolo contro i Tedeschi e dal malcontento dei meridionali verso i soprusi e le ingiustizie subiti.

La peculiarità di tale rivolta, piuttosto trascurata dai libri di storia e dalla tradizione partenopea in generale, è rappresentata invece con grande maestria nella pellicola del regista Nanni Loy del 1962, dal titolo “Le Quattro Giornate”, in cui viene sottolineata la matrice antinazista dell’insurrezione. Il regista punta molto sulla caratterizzazione di alcuni personaggi, come lo scugnizzo, suscitando l’interesse e la curiosità del pubblico.

Ma come mai la rivolta si concentra soprattutto a Napoli e nel territorio circostante? Quali sono le situazioni che favoriscono l’insorgere del popolo partenopeo?

Secondo lo storico Francesco Paolo Casavola, alla base della sollevazione popolare avvenuta a Napoli nel 1943 vi è la paura, da parte del popolo, di subire ulteriori violenze da parte dei soldati tedeschi guidati dal colonnello Scholl, che si aggirano in città deportando gli uomini e lasciando le famiglie senza casa, nella più completa disperazione.

Il popolo è ormai stremato dopo tanti mesi di conflitto, che ha provocato ovunque morte e distruzione: tanto basta a scatenare una collera collettiva che esplode poi in maniera violenta e incontrollabile. Possiamo attribuire a questo episodio storico un doppio significato: politico e militare.

Dal punto di vista politico, la rivolta porta alla creazione di gruppi auto organizzati ed autonomi, che però non riescono a strutturarsi in un comando unico. Dal punto di vista militare è davvero lodevole l’azione del popolo che, aiutandosi con ogni mezzo a disposizione, riesce a piegare le forze tedesche, costringendole alla resa. Napoli è la città meridionale che più di ogni altra subisce gli attacchi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il 1° novembre 1940 vi è un pesante bombardamento aereo da parte degli inglesi. Seguono altri attacchi aerei che provocano almeno trentamila vittime. Le date più nefaste nella storia della città sono il 4 dicembre 1942 (quando avviene la distruzione di Santa Chiara) e il 28 marzo 1943 (con lo scoppio della nave “Caterina Costa”).

Basta questo per capire come sia stato facile per i Tedeschi entrare in una città ormai vuota e sventrata, abitata solo da poveri e disperati. Nelle Quattro Giornate di resistenza (dal 27 settembre al 30 settembre 1943) il popolo napoletano si oppone strenuamente all’occupazione tedesca. Durante la rivolta viene incendiata anche la sede dell’Università, in cui si concentrano le forze antifasciste, e migliaia di libri vengono distrutti per sempre. I saccheggi da parte dei Tedeschi non risparmiano le caserme e le fabbriche.

Le vittime della rivolta sono numerose, sia tra i militari che tra i civili. La scintilla che scatena la rabbia del popolo viene dalla notizia che un marinaio è stato ucciso da alcuni tedeschi mentre beve ad una fontana, nella zona del Vomero. Alcuni giovani che osservano la scena fermano gli autori del folle gesto e incendiano la loro auto. La notizia dell’omicidio fa il giro della città e contribuisce ad esasperare gli animi della gente.

Da allora in poi è un continuo susseguirsi di agguati, bombe, scontri aperti. Grazie all’azione congiunta di tutte la categorie (militari, studenti, operai) del popolo, dopo quattro giorni i Tedeschi decidono di abbandonare al città. Il 30 settembre 1943 si concludono le quattro giornate di Napoli, episodio di insurrezione popolare che porta a liberare la città dall’occupazione delle forze armate naziste e fasciste, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Alquanto pesante il bilancio di tale rivolta popolare: 168 i patrioti morti durante i combattimenti, 162 i feriti, 75 gli invalidi permanenti, 140 le vittime tra i civili, 19 le vittime non identificate, su un totale di circa duemila combattenti. All’arrivo delle forze alleate, il 1° ottobre 1943, Napoli è già libera e non deve ringraziare nessuno per questo, solo se stessa.

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Intervista a Cesare Moreno https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-cesare-moreno/ https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-cesare-moreno/#comments Fri, 04 May 2012 12:32:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1816 Cesare Moreno. “Maestro di strada”, prima di tutto. Insegnante sui generis, fondatore insieme con sua moglie Carla Melazzini, anche lei insegnante e scomparsa nel 2009, del “Progetto Chance”:  iniziativa di capitale importanza sociale e volta alla neutralizzazione della dispersione scolastica nei quartieri più difficili della città di Napoli. Un’opera attiva ormai da anni e realizzata grazie alla preziosa collaborazione di operatori, educatori, insegnanti, dirigenti, “genitori sociali”, psicologi e volontari, in grado di riportate nuovamente a scuola, tra i banchi, centinaia di ragazzi, considerati aprioristicamente da insegnanti tradizionali come definitivamente “dispersi” e invece giunti fino al diploma. “Dalla crepa di un muro in rovina può sbocciare un fiore meraviglioso”: è una delle frasi scritte da Carla Melazzini nel libro dal titolo “Insegnare al principe di Danimarca”, edito da Sellerio nel 2011, vincitore del Premio Siani 2011 e curato appunto da Cesare Moreno, ormai cuore pulsante del Progetto Chance.

Cesare Moreno
Cesare Moreno

È racchiuso tra le pagine di questo libro, il resoconto poetico e appassionante di questa esperienza educativa. Di seguito, vengono riportate alcune considerazioni del curatore dell’opera, Cesare Moreno, colte nel corso di una presentazione, rispondendo ad alcune domande e raccontando la sua esperienza e quella dei “Maestri di strada”.

A proposito del libro e del suo messaggio:

Quest’opera non parla di Napoli, non parla di scuola e non parla di disgraziati.  Ma parla di Danimarca, di principi, e di persone che non hanno problemi. Penso che questa sia la migliore introduzione al libro scritto da Carla Melazzini e da me curato, insieme con il gruppo di insegnanti del progetto di cui faccio parte. Questo perché, dopo oltre un anno di lavoro su questo libro, posso dire che l’obiettivo è sempre stato quello di evitargli, a tutti i costi, lo scaffale della pedagogia. E se nel suo piccolo è diventato un successo, con oltre 8000 copie vendute, se non erro, conferma che abbiamo lavorato bene, parlando direttamente alla gente, agli educatori, ai genitori: ci sono molte più persone che sono capaci, dunque, di apprezzare questo modo di parlare dei giovani, ossia parlando dall’interno della loro vita, mai dall’esterno.

Perché non parla di Napoli e di scuola, il libro? Che cosa significa?

Perché parla della vita e di come si entra nella vita, nient’altro. Perché forse c’è ancora qualcuno che non se n’è accorto, ma la scuola è la nostra frontiera interna, è la nostra spiaggia di Lampedusa sulla quale sbarcano i giovani che vengono da un luogo che non c’è, entrando in un luogo invece che c’è, con le sue regole, le sue configurazioni: un luogo che non vuole negoziare con loro, ma imporre un modello. La scuola è un luogo di frontiera: se non si capisce questo, non si capirà mai perché la scuola è così emarginata, attualmente. Il modello scolastico degli anni ‘50 escludeva sulla base del censo: “non ho i soldi, dunque non vado a scuola”. Questa scuola invece, attualmente, esclude su basi ideologiche, antropologiche. Che tradotto significa: “i miei modi di vivere non sono i tuoi, quindi sei fuori”. Noi abbiamo coniato questa espressione, invece, e cioè cha “la scuola è un luogo di incontro antropologico, non il luogo in cui si insegna e basta”. La Costituzione dice che i capaci e meritevoli vanno aiutati, ok, va bene. E gli incapaci e gli immeritevoli? Cosa ne facciamo? In Italia ci sono all’incirca 500.000 ragazzi che dovrebbero frequentare la scuola dell’obbligo e che non lo fanno.  È questo, il problema.

Quale lo scacco rispetto alla vecchia scuola e ai suoi metodi?

Eravamo i sessantottini, fino a qualche anno fa e non venivamo presi molto sul serio, almeno prima del lancio del Progetto Chance. Adesso finalmente siamo i sessantottenni, ed è molto meglio, così magari non ci rompono più con questa storia. Ad ogni modo, posso dire che siamo stati tra i pochi, e siamo ancora oggi tra i pochi, in grado di esercitare l’autorità e non l’autoritarismo, che non è affatto operativo, tutt’altro. Noi ci siamo ribellati a certi metodi scolastici, all’epoca, ma non è vero che abbiamo “abolito i padri”, come si diceva. Noi li abbiamo interiorizzati.

Qual è il metodo dei “maestri di strada”?

Lo dice bene Carla nel libro, una frase che sintetizza tutto il nostro lavoro, il nostro credo: la scuola non può partire lasciando fuori il dolore, semplicemente. Ma anzi deve partire dal dolore. Una scuola che dice lasciamo fuori le emozioni è una scuola che sta castrando le proprie possibilità di interagire con i giovani. Quali dolori? Quali emozioni? Un esempio su tutti, ancora una volta, nel libro: la storia di Lello, ossia il vero principe di Danimarca, il nostro principe, di cui si racconta la vicenda e il processo di liberazione compiuto, attraverso la scuola. Lello è stato abbandonato dalla madre quando aveva 11 anni, insieme alla sorella, di 10. E insieme ad altri 4 fratelli,perché la madre si è innamorata del principe azzurro. È l’Amleto del libro, la sua sofferenza, al centro di tutto. Ed è da lì, dalla sua storia interiore, che siamo partiti: da quello che aveva dentro, il quale lo portava a comportarsi nel modo sbagliato. Questo, il metodo.

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