Napoleone Bonaparte Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 14 Dec 2023 11:17:15 +0000 it-IT hourly 1 Come Alessandro I sconfisse Napoleone Bonaparte https://cultura.biografieonline.it/come-alessandro-i-sconfisse-napoleone/ https://cultura.biografieonline.it/come-alessandro-i-sconfisse-napoleone/#comments Thu, 14 Dec 2023 11:17:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=41800 Napoleone Bonaparte nella storiografia

La bibliografia su Napoleone e il suo impero è sterminata. Non potrebbe essere diversamente, considerando le implicazioni che l’epoca napoleonica ha avuto per tutta l’Europa. Tuttavia, molti libri che analizzano dettagliatamente la campagna di Russia, in cui Napoleone perse 370.000 uomini dal 1812 al 1814 a causa delle ferite, del freddo e degli stenti, raccontano la sconfitta della Grande Armata ma trascurano o riportano solo marginalmente la complessa struttura organizzativa dell’esercito russo.

Più in generale si suppone che Napoleone abbia perso la guerra a causa del freddo e della non scrupolosa analisi del territorio russo; si analizza la strategia dello zar Alessandro I e dei suoi generali come un’astuta e costante ritirata.

In realtà la storiografia russa, per molto tempo chiusa all’interno dei confini territoriali della ex Unione Sovietica, aveva prodotto mirabili testi che identificavano e analizzavano in dettaglio che tipo di macchina da guerra lo stato maggiore di Alessandro era stato capace di organizzare per contrastare i francesi.

Alessandro I e Napoleone
Lo zar Alessandro I e Napoleone

Alessandro I: analisi superficiali

Inoltre, la figura di Alessandro I spesso è stata considerata più fragile e meno interessante di quella di Napoleone. Il paragone fra i due imperatori stona, in effetti, ma non tanto perché l’imperatore dei francesi sia stato un uomo dal genio militare e politico indiscutibile; quanto perché Alessandro è stato oggetto di un’analisi molto più superficiale.

Negli ultimi anni questa tendenza è cambiata e alcuni saggi si sono concentrati sull’azione diplomatica e militare dei russi, di cui sono stati riconosciuti meriti e capacità. Naturalmente, la campagna di Russia è stata soprattutto raccontata nel suo sviluppo militare mentre non si è scritto abbastanza sull’organizzazione e preparazione della stessa.

Il reclutamento: differenze tra Francia e Russia

Ad esempio, da parte della storiografia inglese e francese si è quasi completamente omesso quale tipo di scelte nel campo del reclutamento delle leve avesse operato lo zar. Infatti, l’esercito francese poteva contare su 600.000 uomini grazie alla coscrizione obbligatoria che impegnava per 25 anni ogni singolo cittadino.

In Russia invece la coscrizione non era così ampia perché i feudatari non volevano privarsi degli schiavi della gleba o trovarsi di fronte, una volta finita la guerra, braccianti e operai militarizzati e che avrebbero potuto creare problemi riguardanti le sommosse o la richiesta di diritti sul lavoro una volta appreso l’uso delle armi e la disciplina militare.

Per questo motivo fu lo zar che, forzando la resistenza del suo stato maggiore e dei suoi consiglieri militari, ebbe la giusta intuizione di cambiare le regole di reclutamento avendo così a disposizione un numero alto di soldati e riserve quando Napoleone decise di invadere la Russia.

L’importanza dei cavalli

Inoltre, uno degli aspetti fondamentali della vittoria dello zar non fu solo la situazione climatica – di certo proibitiva per i francesi impreparati di fronte ad essa – ma fu anche l’utilizzo dei cavalli.

Esistevano all’epoca 25 allevamenti capaci di fornire un numero elevato di cavalli che venivano impiegati a seconda della razza in reggimenti diversi. Questo favorì moltissimo i russi nella guerriglia che sorprese e sconfisse i francesi durante la ritirata.

Vennero utilizzati soprattutto cavalli ucraini capaci di resistere a lunghissime distanze. Mentre nelle battaglie frontali fecero ricorso a razze di cavalli più grandi e robusti per fronteggiare la fanteria e la cavalleria francese.

La Russia e il complesso scenario diplomatico

La preparazione della guerra da parte dell’esercito russo non fu improvvisata ma si giocò su due piani: uno militare e uno diplomatico.

Dal punto di vista diplomatico, Alessandro I dovette lavorare su due contesti differenti, dimostrando intelligenza e lungimiranza: dopo il trattato di Tilsit, in cui la Russia accettava il blocco continentale alle merci inglesi e in cambio otteneva la pace con i francesi e un equilibrio – sebbene precario – delle relazioni internazionali in Europa, l’imperatore di tutte le Russie dovette affrontare una lunga  e complicata strategia della tensione con la sua corte e con molti membri della famiglia imperiale che odiavano a morte Napoleone o che erano preoccupati, e con buoni motivi, che il blocco continentale imposto all’Inghilterra danneggiasse l’economia russa.

In realtà, Alessandro riteneva che la pace con Napoleone fosse essenziale per la riorganizzazione dell’esercito e per poter riformare molte parti del suo governo, appesantito da una burocrazia anacronistica e da posizioni di rendita acquisite dalle famiglie nobiliari che indebolivano la struttura di comando, non premiando il merito ma solo la discendenza di sangue.

L’indipendenza della Polonia

Per riuscire a mantenere un rapporto sul piano diplomatico con l’Inghilterra, al fine di non rompere tutte le relazioni, accettò di far attraccare nei suoi porti alcune navi inglesi con bandiera neutrale e contemporaneamente – per non irritare Napoleone e scongiurare un’invasione che avrebbe avuto conseguenze disastrose per la Russia – mostrò assoluta disponibilità nei confronti dei francesi imponendo che solo la Polonia diventasse uno stato indipendente.

Era infatti proprio questo il problema principale dello zar: che il Ducato di Varsavia e la Sassonia governati dal re sassone alleato di Napoleone potessero costituire uno Stato polacco che avrebbe rappresentato una spina nel fianco dell’impero russo e uno dei ventri molli dei confini imperiali.

Alessandro I e la riforma dell’esercito

Per questo motivo, e per il timore che Alessandro nutriva nei confronti del genio militare dell’imperatore francese e della sua organizzazione militare, lo zar decise una riforma dell’esercito rapida e costosa.

Per realizzare questo progetto nominò Ministro della Guerra Aleksej Arakceev, un uomo duro e disciplinato, con una forte propensione al comando e all’organizzazione.

Arakceev ottenne ampi poteri inimicandosi gran parte della corte, e riuscì a diventare l’unico consigliere militare dello zar.

Aleksej Arakceev

Negli anni in cui si dedicò alla riorganizzazione dell’esercito intervenne soprattutto su alcuni importanti aspetti:

  • attuò una sburocratizzazione delle commesse militari, favorendo società private che fossero rapide ed efficienti nella consegna di moschetti e divise;
  • riorganizzò l’artiglieria con un cambio di ufficiali dalle retrovie alle prime linee e viceversa;
  • istituì scuole di addestramento per i cadetti; aveva rilevato un alto tasso di mortalità e malattie nei reggimenti che arruolavano contadini e servi della gleba a causa dello shock che questi subivano passando dalla vita bucolica alla disciplina dell’esercito;
  • rivide completamente i canali del comando considerando con più attenzione i meriti e con meno benevolenza i legami di sangue.

La sua permanenza non durò molto, soprattutto a causa di un suo errore politico. Ma la sua riforma fu ripresa dai successivi ministri che la portarono ad un livello di evoluzione quasi conclusivo, quando la grande armata di Napoleone entrò in Russia.

Alessandro I e i rapporti con i paesi europei

Le scelte di Alessandro non si limitarono a queste decisioni, assai pericolose (il padre Paolo I fu ucciso da un complotto di corte per molto meno), ma riuscì ad ottenere il pieno appoggio da parte dei nobili alla delicata trattativa che tenne Napoleone lontano dalla Russia per 5 anni.

Nel frattempo, i rapporti con gli altri paesi europei diventavano sempre più difficili, in particolare con l’Austria che, timorosa di perdere il proprio esercito a causa di una forte crisi economica che stava colpendo vari stati europei, premeva per affrontare l’esercito francese.

La politica dello zar, ritenuta da molti contemporanei tiepida al limite della codardia, considerava invece lucidamente un punto essenziale: gli eserciti prussiano, austriaco, inglese e russo assieme non sarebbero riusciti a sconfiggere Napoleone nei territori europei; al contrario un’invasione della Russia avrebbe logorato e indebolito la Grande Armata fino a distruggerla con una guerra tattica che un esercito russo ben armato e rifornito sarebbe stato in grado di sostenere.

La tragedia di Napoleone in Russia, il libro

Appare curioso che solo un libro, uscito nel 2010 e intitolato “La tragedia di Napoleone in Russia”, di Dominic Lieven, abbia ricostruito minuziosamente e con ricchezza di documenti inediti il ruolo del governo di Alessandro I, di cui in questo articolo, peraltro, si presentano solo alcuni aspetti.

Infatti, la storiografia occidentale ha sempre lodato la strategia degli inglesi, la resistenza degli spagnoli e il genio militare di Napoleone considerando la Russia un fortunato partecipante senza strategia ma con un unico, grandioso e implacabile alleato: il clima.

In realtà, sia lo zar che il suo governo, soprattutto dal punto di vista militare, diplomatico e finanziario, hanno condotto un’abile e difficile preparazione alla guerra del 1812 individuando con precisione e umiltà i loro punti deboli e quelli di Napoleone. Hanno costruito una potente macchina da guerra a cui la Storia sta finalmente sta tributando il giusto riconoscimento.

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Il cinque maggio: testo della poesia e commento https://cultura.biografieonline.it/5-maggio-manzoni/ https://cultura.biografieonline.it/5-maggio-manzoni/#comments Tue, 08 Mar 2022 21:01:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8287 Si intitola Il Cinque Maggio ed è un’ode che celebra la data in cui morì Napoleone Bonaparte, sull’isola di Sant’Elena, in esilio (nell’oceano Atlantico meridionale, vicino all’Angola). Questa celebre poesia fu scritta da Alessandro Manzoni nello stesso anno in cui l’imperatore francese morì: il 1821.

Napoleone Bonaparte (15 agosto 1769 - 5 maggio 1821) e Alessandro Manzoni (07 marzo 1785 - 22 maggio 1873)
Napoleone Bonaparte e Alessandro Manzoni: quest’ultimo scrisse l’ode “Il cinque maggio” in occasione della morte dell’imperatore francese

La struttura della lirica

La struttura di questa opera, paragonata all’ode civile Marzo 1821, è più complessa. L’ode qui analizzata fu composta di getto da Manzoni, dopo che a Milano giunse il 16 luglio la notizia della morte di Napoleone. Essa ebbe un enorme successo in Italia e all’estero, e fu subito tradotta in tedesco da Goethe e da altri in altre lingue. E’ tuttora ritenuta, nonostante la forma grezza e qualche disarmonia, la più bella poesia scritta in onore di Napoleone, fra le tante che furono scritte anche da altri celebri poeti (come Silvio Pellico, Lord Byron, Lamartine, Béranger).

Manzoni e Napoleone

Il Manzoni, che non ha mai esaltato né vituperato Napoleone quando era vivo, ora che è morto, si fa interprete della generale commozione, e ne ripercorre le fasi frenetiche dell’ascesa, della grandezza e della sconfitta. Nella solitudine di Sant’Elena, il ricordo della passata grandezza e l’umiliazione della prigionia lo avrebbero fatto piombare nella disperazione, se Napoleone non avesse trovato rifugio e conforto nella fede in Dio. Alla luce della fede a Napoleone si schiarì l’oscuro destino della sua vita, che è poi quello di ogni uomo sulla terra. Ogni uomo infatti, sia quello di eccezione, in cui sembra che Dio abbia impresso un segno più grande del suo spirito creatore, sia quello umile e modesto, vive assolvendo il compito che Dio gli assegna.

Napoleone fu sotto tanti aspetti uno strumento della Provvidenza nell’evoluzione della storia europea del suo tempo, che sotto il suo impulso si scrollò di dosso le vecchie strutture feudali e si avviò alla vita moderna. Ma egli, per orgoglio ed egoismo, spesso trascese il fine assegnatogli e pagò con la sconfitta e l’esilio i suoi errori.

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La fede ritrovata non solo gli fece comprendere le contraddizioni della sua vita, ma gli diede conforto e sostegno e “l’avviò, per i floridi sentieri della speranza”, al premio della beatitudine eterna. L’ispirazione dell’ode pertanto non è soltanto epico-drammatica, come riteneva la critica romantica, che si compiaceva del rilievo dato alle forti personalità, ma è anche, anzi è soprattutto religiosa, analoga a quella del coro in cui è rappresentata la morte di Ermengarda, nell’Adelchi.

Napoleone ed Ermengarda soggiacciono allo stesso destino di dolore, riconoscono umilmente l’azione purificatrice e plasmatrice della «provvida sventura», sono entrambi spiriti eletti, toccati dalla Grazia, e trovano, oltre la morte, il premio che supera tutti i desideri umani, l’appagamento dell’ansia d’infinito, che ci travaglia in terra.

Ecco il testo completo dell’ode Il Cinque Maggio :

Il cinque maggio: testo completo

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;

tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;

e l’avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.

Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

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L’altezza di Napoleone: era veramente basso? https://cultura.biografieonline.it/napoleone-altezza/ https://cultura.biografieonline.it/napoleone-altezza/#comments Tue, 04 May 2021 14:31:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23275 Un errore storico

L’altezza di Napoleone Bonaparte è storicamente motivo di discussione. Era piccolo Napoleone? No, non lo era. Napoleone, generale e imperatore dei francesi che nacque nel 1769 e morì nel 1821 (nella celebre data del 5 maggio), non era un tappo. La convinzione comune che fosse più basso della media è un errore storico.

L'altezza di Napoleone – Bonaparte e Giorgio III - vignetta di James Gillray
Napoleone Bonaparte e Giorgio III – vignetta di James Gillray

Il medico personale dell’impero, quando eseguì l’autopsia sul suo cadavere, registrò un’ altezza di 5 pieds et 2 pouces, cioè esattamente un metro e sessantanove centimetri.

Un’altezza normale, quindi, se si pensa che all’inizio dell’ottocento l’altezza media di un francese era di un metro e sessantaquattro centimetri.

Napoleone dunque poteva quasi “sovrastare” i suoi concittadini. E non solo.

Ad esempio, il suo temibile avversario, il Duca di Wellington (1769 – 1852), che lo sconfisse nella battaglia di Waterloo, era alto solo sei centimetri più di lui.

Wellington è un pessimo generale. Prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo. (Celebre frase attribuita a Napoleone)

L’altezza di Napoleone e dei militari

Fu lo stesso Napoleone, dopo aver preso il potere in Francia, a stabilire l’altezza minima per entrare nell’esercito. Ad esempio per entrare nella Guardia imperiale, i granatieri, corpo speciale ed elitario, i richiedenti dovevano essere alti non meno di un metro e settantotto centimetri. I cacciatori a cavallo, guardia personale dell’imperatore, dovevano essere alti almeno un metro e settanta centimetri.

I militari erano quindi più alti di lui e accentuavano l’impressione che Napoleone Bonaparte fosse basso di statura.

Napoleone Bonaparte
Napoleone Bonaparte

La propaganda straniera

Anche la propaganda straniera cercò di sminuire la figura di Napoleone pubblicizzando in senso negativo la sua statura. Un caricaturista britannico, James Gillray, fu l’autore di una delle vignette più famose sull’imperatore dei francesi. In essa il condottiero veniva ritratto come un minuscolo generale, tenuto sul palmo della mano dal sovrano inglese, re Giorgio III (1738-1820). Quest’ultimo, osservandolo, (con riferimento ai lillipuziani e ai Viaggi di Gulliver) affermava che si trattasse di un essere orrendo.

Un’altra propaganda contro la statura di Napoleone riguarda un detto popolare che attribuisce alle persone basse il desiderio di essere aggressive e di prevaricare gli altri. Come, così si dice, fece il generale imperatore con le altre nazioni europee. E’ però una diceria non suffragata da prove scientifiche o storiche.

Il fatto che Napoleone Bonaparte fosse basso, anche se il contrario è provato da testimonianze storiche, sembra sia rimasta come credenza universale, forse anche per attribuire un difetto ad un uomo dalle molte qualità.

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La stampa durante la Rivoluzione francese https://cultura.biografieonline.it/storia-stampa-rivoluzione-francese/ https://cultura.biografieonline.it/storia-stampa-rivoluzione-francese/#comments Thu, 01 Oct 2015 12:26:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15244 La Rivoluzione francese (1789) segna una tappa fondamentale nella storia della stampa. Viene proclamata la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” (26 agosto 1789). In Italia, le notizie che arrivano dalla Francia provocano nei ceti colti curiosità ed eccitazione. Aumenta notevolmente il numero dei lettori nei Caffè e nei “gabinetti di lettura”, che nascono in molte città sull’esempio francese.

Rivoluzione Francese: La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789
Rivoluzione Francese: La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789

Quasi tutte le gazzette pubblicano i documenti rivoluzionari: il giuramento della Pallacorda, il decreto che abolisce il regime feudale, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la formazione dei club politici, tra i quali quello dei giacobini, la proclamazione della nuova Costituzione. Grande interesse suscitano anche gli opuscoli che parlano delle vicende della Rivoluzione, che vengono scritti da pubblicisti italiani o direttamente tradotti dal francese. Spiccano la “Gazzetta Universale” di Firenze, diretta dall’abate Vincenzo Piombi, e il periodico veneziano “Notizie del Mondo”, diretto da Giuseppe Compagnoni. A Milano, escono cinque gazzette, che non incontrano molto il favore dei lettori in quanto sono rimaste curiali. Il “Corriere di gabinetto” dei fratelli Pirola, promosso nel 1786, ha mille associati. Mentre il doppio di associati sono per la “Gazzetta urbana veneta” di Antonio Piazza, il periodico che è basato sulla cronaca cittadina. Inoltre, nelle città principali, circolano vari periodici stranieri, in particolare francesi e svizzeri.

Allo scoppio della guerra tra la Francia e la coalizione austro-prussiana, i governanti degli Stati italiani rimettono il bavaglio alle gazzette: caffè e gabinetti di lettura sono strettamente sorvegliati dalla polizia. Si comincia anche a proibire la circolazione dei fogli stranieri. Di conseguenza, cambiano registro la “Gazzetta Universale” e le “Notizie del Mondo”. Mentre a Roma, “Notizie politiche” viene soppresso. Così da Milano, nel 1792, viene proposto ai governi dell’Italia settentrionale e centrale di collaborare per impedire la diffusione clandestina di libri e giornali definiti sovversivi. Tuttavia, il contrabbando non viene stroncato: più di venti copie del “Moniteur universel”, fondato a Parigi durante la Rivoluzione francese, continuano a circolare a Milano. Anche a Genova, i francesi hanno un agente che ha installato una tipografia, dove viene riprodotto in italiano il materiale di propaganda. Il giornale straniero maggiormente diffuso nell’Italia del Nord è comunque la “Gazzetta di Lugano”, edita da Giambattista Agnelli e diretta dall’abate Giuseppe Vanelli.

L’evolversi della guerra e il susseguirsi di stragi provocano negli Stati italiani l’intensificarsi della propaganda controrivoluzionaria. Compaiono i primi periodici femminili. Nel 1791 esce a Firenze il “Giornale delle dame”, “La donna galante ed erudita di Venezia” e il “Giornale delle nuove mode di Francia e Inghilterra”, che esce a Milano. Napoleone Bonaparte entra a Milano il 15 maggio 1796 e cadono le restrizioni sulla stampa. Nascono le prime forme di giornalismo politico, tema di discussione continuo è la libertà di stampa.

Su proposta del giornalista Compagnoni, nasce il Tricolore. La situazione però è destinata a mutare: Napoleone preferisce i moderati e non mantiene fede allo Statuto della Repubblica Cisalpina, dettato da lui. In questo triennio rivoluzionario si fanno avanti diversi giornali. Milano diventa la capitale della stampa, togliendo il primato giornalistico a Venezia.

Il primo foglio libero milanese viene pubblicato il 23 maggio 1796 con il titolo “Giornale degli amici della libertà e dell’uguaglianza” compilato dal Rasori. Un mese dopo, esce il “Termometro politico della Lombardia” compilato da il Salvador. Nel 1797, escono invece il “Giornale dei patrioti d’Italia”, il “Tributo del popolo” del Custodi e “L’amico del Popolo” del Ranza, che vengono tuttavia soppressi dopo l’uscita di alcuni numeri.

Il giornale che suscita successo maggiore in questo triennio è però il “Monitore italiano” che esce all’inizio del 1798. Infine, va ricordato anche “Il Redattore”, foglio compilato da Lauberg. Tra i giornali pubblicati negli altri centri della Cisalpina da ricordare ci sono: il “Monitore bolognese”, “Il giornale repubblicano di pubblica istruzione” di Modena e il “Giornale democratico” fondato a Brescia da Giovanni Labus, ammiratore del Foscolo, il settimanale di Genova “Gazzetta di Genova”, strumento di battaglia dei democratici. Principale avversario della “Gazzetta” è “Annali politico-ecclesiastici”, portavoce dei moderati. In Piemonte, abbiamo invece la “Gazzetta Piemontese”. In Toscana il panorama appare più vivace, dove nascono altre quattro nuove testate, oltre alle due già esistenti. Delle quattro, due sono quotidiane: “Il Monitore fiorentino” e “Il Club patriottico”, le altre due sono settimanali, “Il Democratico” e “Il Mondo Nuovo”. A Roma, l’unico giornale di rilievo è il “Monitore di Roma”. A Napoli, esce da gennaio a giugno 1799 il “Monitore napoletano” curato da una donna, Eleonora Fonseca Pimentel.

È l’agosto del 1799 quando le truppe francesi sono costrette dalle forze austro-russe a lasciare la penisola, crollano le Repubbliche, scompaiono tutti i giornali democratici, ad eccezione di quelle gazzette che non si erano compromesse come, ad esempio, la “Gazzetta di Bologna”. Nel 1800, con la vittoria di Napoleone a Marengo, si apre per l’Italia la seconda fase repubblicana, ma il Napoleone che torna a Milano è un dittatore. Torna la censura. Nei territori aggregati alla Francia, le autorità impongono a vari periodici il bilinguismo e ne promuovono alcuni in lingua francese, come il “Courrier de Turin” e il “Journal de Gềnes”.

Nei primi anni dell’Ottocento, la stampa ha compiuto sensibili progressi. Il numero dei lettori è cresciuto e il giornale comincia a raggiungere un pubblico diversificato. Adesso, al posto della figura del compilatore, ci sono figure diverse di giornalisti: il direttore, il redattore e i collaboratori. Anche il formato dei giornali è cresciuto (26×40) e, in molti casi, la pagina viene suddivisa in 3 colonne.

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La Stele di Rosetta https://cultura.biografieonline.it/stele-di-rosetta/ https://cultura.biografieonline.it/stele-di-rosetta/#comments Thu, 02 Jul 2015 14:42:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14653 La Stele di Rosetta è una lastra di granodiorite (una roccia simile al granito) recante un decreto del sovrano egizio Tolomeo V Epifane, emesso nel 196 a.C., che istituiva il culto divino del nuovo sovrano. La fondamentale importanza di questa stele risiede nel fatto che il testo inciso su di essa è lo stesso, scritto in 3 lingue differenti: geroglifico, demotico e greco. Demotico e geroglifico non sono propriamente due lingue diverse, ma due differenti grafie della lingua egizia. Essendo il greco conosciuto, la stele rappresentò lo strumento decisivo per la comprensione dei geroglifici.

Stele di Rosetta
Il testo inciso sulla Stele di Rosetta, scritto in geroglifico, demotico e greco

Origine del nome

La stele deriva il suo nome da un’antica città egiziana sul delta del Nilo, il cui nome latinizzato è appunto Rosetta, oggi nota come Rashid, situata sulla costa del Mar Mediterraneo, a circa 65 Km a est di Alessandria. Rosetta si trova sulla riva sinistra del ramo occidentale del delta del Nilo, detto appunto “ramo di Rosetta”.

La scoperta

La storia della stele è collegata a Napoleone Bonaparte e alla Campagna d’Egitto, intrapresa per colpire i traffici commerciali inglesi in quella zona. Della spedizione facevano parte anche numerosi studiosi e scienziati, che avevano l’incarico di acquisire le conoscenze della storia egizia. La stele fu rinvenuta nella città di Rosetta (oggi Rachid) il 15 luglio 1799. Il ritrovamento avvenne mentre erano in corso i lavori di costruzione delle fortificazioni della città.

Il ritrovamento della stele di Rosetta è comunemente attribuito al capitano francese Pierre-François Bouchard, anche se non fu lui che trovò personalmente la stele. L’identità del soldato che la rinvenne ci è purtroppo ignota. Bouchard comprese subito l’importanza della lastra. Così, in accordo con il generale Jacques François Menou, decise di trasferirla ad Alessandria, per metterla a disposizione degli studiosi.

Quando i francesi si arresero, dovettero consegnare agli inglesi tutti i reperti rinvenuti durante la Campagna. Dopo lunghe trattative, ai francesi venne permesso di tenere solo disegni e appunti fatti prima di imbarcarsi ad Alessandria. La stele, una volta ritornata in Inghilterra, fu esposta al British Museum di Londra, dove è custodita dal 1802 ed esposta al pubblico.

The Rosetta Stone British Museum
La Stele di Rosetta esposta al British Museum di Londra

Dimensioni della Stele di Rosetta

La stele è alta circa 114 centimetri nel suo punto più alto, larga circa 72 centimetri e spessa 27 centimetri. Il suo peso è di circa 760 chilogrammi.

La Stele di Rosetta è uno dei reperti archeologici più importanti dell’archeologia moderna. Essa ha permesso di decodificare i geroglifici, il sistema di scrittura utilizzato dagli antichi Egizi, uno dei più grandi misteri della storia di una grande civiltà.

Rosetta Stone
La Stele di Rosetta da vicino. Image Credit © Hans Hillewaert

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La battaglia di Waterloo https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-waterloo/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-waterloo/#comments Fri, 06 Feb 2015 14:28:34 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13227 La battaglia di Waterloo (inizialmente nominata dai prussiani come battaglia di Belle-Alliance e dai francesi come battaglia di Mont Saint-Jean) fu una battaglia che si svolse nel corso della guerra della Settima coalizione, il 18 giugno del 1815, tra l’esercito francese guidato da Napoleone Bonaparte e le truppe prussiane del federmaresciallo Gebhard Leberecht von Bluecher, alleate con le truppe britanniche del Duca di Wellington.

Battaglia di Waterloo
La Battaglia di Waterloo ebbe luogo il 18 giugno 1815: fu una delle più cruente battaglie del secolo XIX. Lo scontro ebbe luogo nel territorio di Mont Saint-Jean (Belgio) distante pochi chilometri dalla cittadina di Waterloo.

Il fatto che il termine “Waterloo” sia entrato nell’uso del linguaggio comune come sinonimo di clamorosa sconfitta (subire una Waterloo significa proprio subire una disfatta) fornisce la misura storica dell’evento: si trattò di fatti dell’ultima battaglia di Napoleone, che sancì la sua sconfitta definitiva, cui sarebbe seguito l’esilio a Sant’Elena.

Napoleone_Bonaparte
Napoleone Bonaparte

Il luogo e l’evento storico

Teatro di battaglia, in realtà, non fu la cittadina di Waterloo – dove invece aveva sede il quartier generale del Duca di Wellington – ma il villaggio di Mont Saint-Jean; esso ai tempi faceva parte del Regno Unito dei Paesi Bassi. Lo scontro iniziò all’una di pomeriggio, quando il I Corpo d’Armata dell’esercito francese era in procinto di sferrare un attacco contro La Haie Sainte e Mont Saint-Jean: in quel momento, però, si palesarono 30mila uomini prussiani appartenenti al IV Corpo d’Armata, guidati dal maresciallo von Bluecher.

Arthur Wellesley, I duca di Wellington
Arthur Wellesley, I duca di Wellington

I motivi della sconfitta

I reparti francesi erano preceduti dalla fanteria leggera, che procedeva in ordine sparso fuori dai ranghi, allo scopo di disturbare con tiri di precisione il nemico.

Ogni divisione di Napoleone muoveva con otto battaglioni, posizionati uno dietro l’altro: una formazione non molto efficace, perché permetteva di sparare unicamente a duecento uomini, quelli della prima fila del primo battaglione.

Tra le fila inglesi, invece, i battaglioni erano collocati uno di fianco all’altro, con due linee di fucilieri: in questo modo i fanti britannici riuscivano a sparare senza problemi, così che sui francesi il fuoco provenisse da più parti.

Sui battaglioni francesi, in effetti, si abbatté una bufera di proiettili (una coppia di soldati, di cui uno situato dietro all’altro, riusciva a far fuoco una volta ogni dieci secondi). Benché la potente artiglieria francese avrebbe avuto la possibilità di causare disagi alle file dei fucilieri di Wellington, lunghe ma sottili, tale evento non si verificò perché i britannici si erano schierati dietro il crinale della collina, così da non poter essere visti dalle batterie avversarie: uscirono allo scoperto unicamente nel momento in cui i francesi si trovarono a un paio di centinaia di metri, a tiro di fucile.

La Battaglia di Waterloo in un dipinto di William Sadler II
La Battaglia di Waterloo in un quadro del pittore irlandese William Sadler II

Le colonne di Napoleone, già falcidiate da perdite alquanto sanguinose, non riuscirono a mantenersi compatte (forse, così facendo sarebbero riuscite comunque a scompaginare le linee inglesi), anche perché composte soprattutto da giovani coscritti privi di esperienza, o da uomini troppi in là con gli anni, e quindi non dotati della necessaria prestanza fisica che sarebbe servita per portare avanti la battaglia in maniera proficua.

Nonostante alcune vittorie di scarso rilievo vicino a una cava di ghiaia, le truppe napoleoniche si fecero prendere dal panico, e subirono la carica della Union Brigade di Ponsonby, cui seguì poco dopo quella della cavalleria di Somerset. Sugli sprovveduti transalpini si avventarono anche gli Scots Greys (denominati così a causa del colore dei loro cavalli), che tuttavia si spinsero più in là di quanto fosse necessario: un eccesso che costò caro e che provocò la morte di almeno metà di loro.

La seconda fase della battaglia di Waterloo

Tra le quattro e le cinque del pomeriggio si verificò il secondo avvenimento che mutò in maniera definitiva le sorti della battaglia: guidati dal maresciallo Ney, 5mila tra corazzieri, cacciatori e lancieri francesi partirono alla carica. Un errore grossolano da parte di Ney, che aveva scambiato un arretramento inglese per un segnale di ritirata: invece, quelli che stavano abbandonando il campo di battaglia erano solo i soldati feriti che venivano raccolti dai carri delle munizioni.

L’assalto scatenato da Ney ebbe, quindi, conseguenze disastrose: e se l’impeto dei primi cavalieri fu accompagnato da una enorme ovazione, quando il resto delle cavallerie francesi si scagliò contro gli inglesi pensando di sferrare l’attacco decisivo, si materializzò la fine.

La Battaglia di Waterloo in un dipinto di Henri Felix Emmanuel Philippoteaux
La Battaglia di Waterloo in un dipinto di Henri Felix Emmanuel Philippoteaux: i corazzieri francesi caricano contro i “quadrati” della fanteria britannica.

Dopo la prima ondata di 5mila cavalieri, fu la volta di altri 10mila, ma gli uomini di Wellington si schierarono in quadrati per respingere gli assalti, in modo tale che la fila più esterna di ciascun quadrato fosse formata da uomini in ginocchio con il calcio del fucile radicato in terra, così da sventrare i cavalli; dalle file più interne si sparava invece contro gli uomini.

Fu proprio grazie a questo posizionamento strategico che la fanteria britannica riuscì a difendersi dalla cavalleria avversaria, anche perché i cavalli istintivamente si rifiutavano di calpestare gli uomini: ciò implicava che i cavalieri non potessero puntare direttamente contro i nemici travolgendoli, e così i francesi erano costretti a galoppare intorno agli inglesi sparando con le pistole.

La Battaglia di Waterloo in un dipinto di Denis Dighton - 1816
La Battaglia di Waterloo in un dipinto di Denis Dighton (1816)

Quando, i cavalli francesi furono ormai allo stremo delle forze, subentrò la cavalleria britannica di Uxbridge; essa riconquistò la maggior parte dell’artiglieria che era finita in mani francesi e che i nemici non avevano ancora fatto in tempo a mettere fuori uso. Le possibilità di vittoria di Ney, a questo punto, erano ridotte al lumicino. Nonostante ciò Napoleone non era ancora fuori gioco: poteva contare, infatti, su una decina di battaglioni di granatieri della Guardia che facevano parte della riserva strategica dell’Armata, e che erano composti da veterani scelti di qualità.

La fine della battaglia

Mentre i tamburi della Guardia venivano fatti rullare, Napoleone e i suoi uomini giunsero a 660 metri dalle linee avversarie, con i fucilieri e gli artiglieri inglesi che li aspettavano, nascosti nei campi di grano.

Lo scontro si concluse con un grido che riecheggiò nell’esercito francese: “La garde recule”, cioè “La guardia arretra”. Mentre l’Armata francese esitò per qualche istante, Wellington lanciò il proprio cappello in aria. Fu un segnale immediatamente percepito da 40mila inglesi; essi lasciarono Mont Saint-Jean in direzione della piana dove si trovavano i nemici. Lì la loro formazione venne definitivamente disintegrata.

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La Legion d’onore https://cultura.biografieonline.it/legion-onore/ https://cultura.biografieonline.it/legion-onore/#comments Sun, 19 May 2013 11:57:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7219 La Legion d’onore è un ordine cavalleresco istituito da Napoleone Bonaparte il 19 maggio del 1802. All’epoca Napoleone era Primo Console della Francia e decise di creare questo ordine allo scopo di eliminare dalle istituzioni, che erano troppo influenzate dai valori della rivoluzione, tutto ciò che riteneva fosse non direttamente controllabile dal suo potere assoluto. Infatti le istituzioni post-rivoluzionarie non erano più gestite dai nobili ma erano organizzate secondo criteri democratici. Pertanto, senza restituire alla nobiltà gli stessi poteri che aveva durante il periodo monarchico, Napoleone creò qualcosa che dal punto di vista gerarchico e del controllo istituzionale potesse assomigliare alle funzioni che i nobili esercitavano sul Paese.

Legione d'Onore
La Legion d’onore (Légion d’Honneur): la più importante onorificenza concessa a militari e civili dalla Repubblica di Francia

Il progetto fu elaborato da Bonaparte con l’aiuto del fratello Giuseppe e prevedeva la seguente struttura:

Un ritratto di Napoleone
Napoleone Bonaparte

  1. Quindici corti all’interno delle quali erano ripartiti gli ufficiali della legione.
  2. Ogni corte poteva avere un massimo di sette grandi ufficiali, affiancati da venti comandanti, trenta ufficiali, e trecentocinquanta legionari.
  3. Ogni appartenente alla Legione riceveva uno stipendio proporzionato al suo grado e al suo ruolo.
  4. Non erano previste decorazioni. La medaglia con collare venne istituita in seguito.
  5. Ruoli e ricompense dovevano essere approvati dal Gran Consiglio presieduto da Napoleone.
  6. Lo scopo della legione era quello di ricompensare i militari più valorosi e fedeli a Napoleone. Erano previsti emolumenti anche per i civili ma il progetto riguardava soprattutto i militari.

La Legion d’onore fu approvata dal Gran Consiglio di Stato con una maggioranza risicata.

Tale approvazione comportò diverse modifiche, perché quando Napoleone la presentò al Consiglio, molti membri la considerarono troppo assolutista.

In seguito l’organizzazione del decreto rimase in un limbo da cui fu tolta l’11 luglio del 1804, quando venne approvata non più come sistema gerarchico funzionale allo Stato ma  come decorazione da attribuire sia in tempo di guerra che in tempo di pace.

Tre settimane prima Napoleone era stato proclamato dal Gran Consiglio Imperatore di tutti i francesi.

La medaglia era formata da una stella con cinque raggi a doppia punta ed era dotata di un nastro rosso. Le parole riportate erano da un lato: “Napoléon, empereur des Français” e dall’altro “Honneur et patrie”. Vi era anche disegnata l’aquila imperiale. Quasi tutti i militari facevano parte dell’Ordine ed erano stati decorati con la medaglia.

Dopo la caduta di Napoleone l’Ordine fu conservato ma venne modificata la medaglia, soprattutto nei suoi aspetti estetici.

La Legion d’onore oggi

Attualmente viene conferita a militari e civili ma è stata modificata l’effige politica che onorava Napoleone, adesso si legge: “République francaise, 1870”, mentre la frase “onore alla patria” è rimasta.

Gli insigniti della onorificenza attualmente si dividono in cavaliere, ufficiale, commendatore, grand’ufficiale e gran croce. Colui che riceve l’onorificenza la conserva per tutta la vita. Tuttavia il riconoscimento può essergli revocato dal Capo dello Stato che decide se togliergli la Legione oppure solo alcune sue prerogative. Attualmente la Legion d’onore può essere conferita anche a persone che non sono cittadini francesi.

A capo dell’Ordine vi è il Presidente della Repubblica francese che conferisce l’onorificenza della Legion d’onore. L’Ordine però è amministrato dal Gran Consiglio di Stato e da un consiglio interno che si occupa  delle sue attività le quali riguardano le relazioni con le persone insignite della medaglia e la gestione di alcuni istituti educativi in cui studiano le figlie dei legionari.

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Il tricolore. Storia e origini della bandiera italiana https://cultura.biografieonline.it/storia-del-tricolore/ https://cultura.biografieonline.it/storia-del-tricolore/#comments Tue, 25 Dec 2012 01:08:12 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=5625 Il tricolore italiano è la bandiera ufficiale dello Stato italiano. La sua nascita, ispirata agli ideali liberali della Rivoluzione francese, avviene a Reggio Emilia il 27 dicembre 1796, quando un’assemblea di 110 delegati presieduti da Carlo Facci decretano la costituzione della Repubblica Cispadana. In tale contesto ad avanzare la proposta di adottare una bandiera composta dai colori verde, bianco e rosso è Giuseppe Compagnoni. L’ufficialità arriva pochi giorni dopo, il 7 gennaio 1797. In tale periodo storico la penisola italiana è occupata dalle truppe napoleoniche.

Bandiera italiana
Il tricolore italiano

Il Regno d’Italia viene proclamato diversi anni dopo, il 17 marzo del 1861, e il tricolore è considerato la bandiera ufficiale anche se la sua definizione giuridica avviene nel 1925 quando la bandiera di Stato, oltre ai tre colori, mostra anche lo stemma della casa reale.

Dopo la Seconda guerra mondiale, caduto il fascismo e abolita la monarchia, nasce la Repubblica e con essa viene definita, durante l’Assemblea Costituente, la forma definitiva della bandiera dello Stato italiano: il tricolore a bande verticali e di uguali dimensioni con i colori verde, bianco e rosso.

Origini storiche del tricolore italiano

Nel 1796 Napoleone scende con il suo esercito in Italia sconfiggendo molti Stati che vengono in seguito rifondati come repubbliche strutturate su principi democratici. La Repubblica Ligure, la Repubblica Romana, la Repubblica Partenopea e la Repubblica Anconitana, dopo la prima campagna napoleonica che termina nel 1799, vengono soppresse dagli eserciti austriaco e russo e in parte confluiscono nel Regno Italico che nasce dopo la seconda campagna d’Italia che Napoleone guida negli anni successivi e grazie alla quale il Regno rimane intatto fino al 1814.

Tuttavia è proprio durante l’esistenza di queste repubbliche che il tricolore viene considerato un simbolo di libertà e democrazia e di identità nazionale, oltre ad essere considerato un vessillo rappresentativo di uno Stato racchiuso in confini ben definiti.

Dopo la caduta di Napoleone gli Stati della Restaurazione aboliscono tali vessilli, ma il ricordo delle libertà acquisite induce coloro che hanno combattuto per l’ indipendenza dell’Italia ad utilizzarla quale simbolo di libertà. In seguito, dopo i moti del ’48 il tricolore diviene simbolo di un’Italia in cerca dell’unità e che attorno al tricolore vuole ricongiungersi.

Crediti: per la foto si ringrazia Michele Beatrice
http://www.flickr.com/photos/mikko_09/3883990411/in/set-72157622227776984

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La Presa della Bastiglia durante la Rivoluzione Francese https://cultura.biografieonline.it/la-presa-della-bastiglia/ https://cultura.biografieonline.it/la-presa-della-bastiglia/#comments Sun, 13 May 2012 08:41:29 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1919 Parigi, 14 luglio 1789: la Presa della Bastiglia è uno degli eventi cruciali della Rivoluzione Francese. Per gli storici rappresenta l’inizio del movimento popolare francese che scardina il vecchio regime monarchico. L’antico edificio della Bastiglia era la prigione di stato. In essa in quel momento vi erano solo sette detenuti. Era però considerato un simbolo del potere. In questa data venne attaccato ed espugnato dai parigini in rivolta.

Rivoluzione Francese: La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789
Rivoluzione Francese: La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789

La Francia versava ormai da tempo in una situazione critica che investiva sia il settore economico che quello sociale. Il popolo era ormai stanco degli sprechi e dei soprusi da parte del regime monarchico. Per cercare una soluzione alla crisi che diventava sempre più grave il 5 maggio 1789 erano stati convocati a Versailles gli Stati Generali, ma senza alcun esito.

Gli animi dei Francesi erano esasperati, mentre la monarchia cominciava a dare segni di cedimento. A Luglio il Ministro delle Finanze Jacques Necker fu destituito perché si era avvicinato in più occasioni alle ideologie popolari. Così avvenne con altri ministri, per diversi motivi. L’episodio della Presa della Bastiglia non ebbe grandi ripercussioni. Lo stesso re Luigi XVI sottovalutò le conseguenze e la portata dell’evento. Ma era chiaro a tutti che il popolo intendeva proseguire la lotta senza alcuna esitazione.

Nonostante il governatore della prigione, Bernard-Renè Jordan de Launay, avesse tentato di raggiungere un accordo con gli insorti, questi riuscirono ad entrare nella fortezza. Ne seguì anche un violento scontro, nel quale persero la vita alcune persone, compreso lo stesso de Launay. I prigionieri (pare che fossero sette), furono rilasciati, mentre le guardie ricevettero atroci torture.

Successivamente all’episodio della Bastiglia i moti si protrassero fino all’agosto del 1789, un periodo molto turbolento, che proprio per questo fu chiamato “Grande Paura”. Gli scontri violenti avvenivano soprattutto nelle campagne.

Dopo il 14 luglio la Bastiglia fu lentamente smantellata e oggi, nel posto in cui sorgeva, vi è una delle piazze più famose di Parigi, “Place de la Bastille”. La prigione della Bastiglia, inaugurata da Carlo V il 22 aprile 1370, inizialmente venne utilizzata come location per feste e sontuosi ricevimenti. Poi, a partire dal XVII secolo diventò una prigione di stato che vide rinchiusi al suo interno personaggi famosi come il marchese de Sade e Voltaire.

Il 14 luglio di ogni anno il popolo francese ricorda l’episodio della Presa della Bastiglia con una festa nazionale. L’ondata rivoluzionaria partita dalla Francia aveva coinvolto anche altri Paesi europei, tanto che la Rivoluzione francese è ancora oggi considerata l’emblema della libertà e dell’indipendenza popolare.

I principi- cardine della Rivoluzione Francese

La Rivoluzione Francese, uno dei movimenti popolari più importanti della storia, è stata organizzata e guidata dalla media borghesia, che si avvalse della forza dei contadini per portare avanti gli obiettivi prefissati. Il principale scopo era quello di trasformare il regime monarchico in Repubblica, dove le classi sociali fossero determinate non in base alla nascita, ma in base al patrimonio posseduto.

Nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, stilata dall’Assemblea Nazionale, gli ideali rivoluzionari vengono riassunti nello slogan: “Libertà, Uguaglianza, Fraternità”. Il motto indicava chiaramente che si intendeva creare uno stato incentrato sulla sovranità popolare e la suddivisione dei poteri. Tutto ciò diventa effettivo con la Costituzione del 1791.

Di fatto, l’Assemblea Costituente eliminò alcuni istituti medievali che favorivano il clero e la monarchia. Tra i rivoluzionari più accesi ricordiamo Danton, Marat e Robespierre. Fin dal momento in cui il Terzo Stato (formato da borghesi e contadini) si affaccia per rivendicare i propri diritti, trova la ferma opposizione del Re, della Chiesa, dell’aristocrazia e dei monarchici.

Conseguenza della Rivoluzione francese

Una delle conseguenze della Rivoluzione francese fu la redistribuzione dei terreni e della ricchezza. A conclusione della rivolta popolare vi fu un colpo di Stato, organizzato da Napoleone Bonaparte, che si mise a capo dell’Impero francese nel 1804. Il Codice Napoleonico, da lui elaborato nello stesso anno, conteneva alcuni principi cardine della Rivoluzione francese. Esso gettava inoltre le basi per una effettiva separazione tra Stato e Chiesa.

Napoleone Bonaparte
Napoleone Bonaparte

Gli aneliti rivoluzionari si fecero sentire anche nella letteratura. Poeti come Carducci, Foscolo e Parini espressero nei loro componimenti forti sentimenti di uguaglianza e libertà. La corrente letteraria di questo periodo si chiama “Romanticismo”.

Nel periodo rivoluzionario si era affermata la nuova cultura dell’Illuminismo, caratterizzata dai principi dell’ egualitarismo, del contrattualismo e del razionalismo. I filosofi illuministi propugnavano la supremazia del concetto di “Nazione”.

Anche la Rivoluzione Americana si ispirava agli stessi principi di libertà ed uguaglianza. Non a caso il testo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino è ispirato al testo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America. E’ il segno che i tempi erano ormai maturi per attuare un radicale cambiamento della società.

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La battaglia di Dresda https://cultura.biografieonline.it/la-battaglia-di-dresda/ https://cultura.biografieonline.it/la-battaglia-di-dresda/#respond Wed, 09 May 2012 05:45:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1839 La battaglia di Dresda fu uno degli scontri che Napoleone affrontò contro la sesta coalizione, composta dagli eserciti di Prussia, Russia e Austria, la cui forza militare era nettamente superiore a quella dell’esercito francese: 320.000 alleati contro 160.000 francesi.

Battaglia di Dresda
Attacco della cavalleria francese nella Battaglia di Dresda. Quadro di Thomas Charles Naudet, artista storico francese (1773-1810)

Le forze alleate erano divise così: l’esercito del Nord era comandato dal ex maresciallo di Napoleone che si ribellò al suo sovrano e divenne re di Svezia, Re Bernadotte, il quale fece entrare la Svezia nell’alleanza; l’esercito della Slesia, comandato dal generale Blucher e l’esercito di Boemia, comandato dal maresciallo Schwarzenberg.  Napoleone aveva progettato, quindi, tre offensive diverse: al Nord il maresciallo Davout avrebbe marciato su Berlino, al Centro il maresciallo Ney si sarebbe scontrato con il generale Blucher, mentre lo stesso Napoleone avrebbe comandato il suo esercito contro Schwarzenberg.

Napoleone
Napoleone Bonaparte

Questa scelta strategica metteva la guerra soprattutto nelle mani dei marescialli che godevano di una certa autonomia ma non erano mai stati troppo liberi di muoversi senza costanti ordini diretti da Napoleone. L’imperatore, infatti, controllava i movimenti delle sue truppe con ordini secchi e mirati che lasciavano un 20% di autonomia e creatività ai suoi marescialli, i quali intuivano quasi sempre quali erano le decisioni che Napoleone si aspettava da loro. Tuttavia, la mancanza del sovrano o la sua impossibilità di prendere decisioni dirette, come accadde in Spagna, spesso portava ad errori tattici e a distrazioni fatali per il suo esercito.

La battaglia di Dresda che si svolse in due giorni, fra il 26 e il 27 agosto 1813, dimostrò proprio questo. Napoleone sconfisse l’esercito di Schwarzenberg costringendolo a ripiegare  ma non poté inseguirlo a causa di un malore; fu quindi il maresciallo Vandamme  a spingersi all’inseguimento, ma rimase circondato dai nemici e perse la battaglia di Klum. Il maresciallo Macdonald fu sconfitto sul Katzbach, il maresciallo Oudinot fu sconfitto a sud di Berlino e il maresciallo Ney a Dennewitz.

La Battaglia di Dresda - La mappa
La Battaglia di Dresda – La mappa

I fatti

Il 16 agosto 1813 Napoleone ordinò al maresciallo Saint-Cyr di tenere Dresda fortificandola e preparandola come base di successivi movimenti delle sue truppe. Tuttavia mentre era in movimento contro le armate della sesta coalizione che il maresciallo Schwartzenberg, capo militare dell’alleanza, stava sconfiggendo a Dresda Saint-Cyr.

Murat
Gioacchino Murat

Il 26 agosto si precipitò sulla città con l’intento di isolare una parte dell’esercito alleato che contava un numero molto superiore di uomini. La manovra gli riuscì isolando l’ala sinistra che fu falciata dalla cavalleria di Murat. Schwarzenberg decise di ripiegare e fece arretrare tutto l’esercito.

Il 27 agosto Murat annientava completamento il corpo d’armata di Klenau catturandone cinque battaglioni e due divisioni di fanteria. Napoleone avrebbe voluto inseguire il nemico ma le forti piogge, che per giorni avevano sferzato il suo esercito, lo indussero a fermarsi. Inoltre un forte attacco di gastrite gli impedì di controllare e coordinare il movimento dei sui marescialli. Fu una vittoria importante quella di Dresda che però non incise in modo particolare nell’economia della guerra. Comunque l’alleanza perse 38.000 uomini e 40 cannoni mentre i francesi persero 10.000 uomini.

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