Mozart Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 10 Jan 2022 11:32:14 +0000 it-IT hourly 1 Le nozze di Figaro: riassunto e trama https://cultura.biografieonline.it/le-nozze-di-figaro/ https://cultura.biografieonline.it/le-nozze-di-figaro/#comments Thu, 18 Apr 2013 13:14:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=6870 Le nozze di Figaro, ossia la folle giornata è il titolo di una delle più note opere di Wolfgang Amadeus Mozart, composta dal genio austriaco all’età di soli 29 anni. La prima rappresentazione andò in scena presso il Burgtheater di Vienna, il 1° maggio 1786.

Si tratta di un’opera buffa in quattro atti – classificata come K 492 – il cui libretto fu scritto da Lorenzo da Ponte il quale si ispirò alla commedia La folle journèe ou le mariage de Figaro, dell’autore francese Pierre Caron de Beaumarchais (che compose la trilogia di Figaro: Il barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro e La madre colpevole).

La prolusione che segue è stata redatta dal Maestro Pietro Busolini.

Le nozze di Figaro
Una scena tratta da una rappresentazione de Le nozze di Figaro

La genesi

Il genio musicale Mozartiano partorì quest’opera il 20 aprile del 1786 e fu messa in scena a Vienna il 1 maggio, cioè solamente dopo quattro giorni, al Burghteater ottenendo un successo fantastico tanto che, lo stesso Imperatore dovette firmare un decreto che l’opera non poteva avere infiniti “bis”, dopo che vide e sentì la “premiere”; questo per non prolungare oltre il limite dell’orario fissato la presentazione teatrale. Voglio ricordare che a Praga il successo fu ancor maggiore rispetto a Vienna, dove per ammissione dello stesso Mozart non si cantava altra musica che la sua.

Una locandina de Le nozze di Figaro del 1786
Le nozze di Figaro (1786) – Locandina

La collaborazione tra Da Ponte e Mozart è stata un’intesa estremamente fruttuosa coronata da successi e da consensi eccezionali per l’”Europa di ieri” e “Mondiali per oggi”. Ricordiamo anche Don Giovanni e Così fan tutte, la trilogia dei due musicisti scritti tutti in lingua italiana. Possiamo capire quindi anche i loro caratteri riformisti e liberali in un un periodo storico molto difficile; il loro lavoro tramite la musica era molto vicino ad una rivoluzione artistico-letteraria quindi possiamo affermare che erano paralleli a quelli della rivoluzione francese, simbolo di un rinnovamento totale anche nelle arti come nelle scienze.

La vicenda biografica di Lorenzo Da Ponte contiene innumerevoli enigmi. Quello che maggiormente interessa in questo contesto è la sua assunzione a poeta dei Teatri imperiali da parte di Giuseppe II intorno al 1783, un onore del tutto inadeguato alle capacità fino ad allora espresse dal letterato di Ceneda.

Dunque, presentando la commedia, ricordiamo che il Conte di Almaviva e’ il cervello ed il motore di quest’opera buffa rappresentata in 4 atti; dove i padroni della scena sono la cameriera della Contessa, la Contessa, Cherubino e Barbarina, Figaro e Susanna, don Bartolo e Marcellina. Rappresentando un ventaglio di situazioni amorose e drammatiche che non son altro che la storia in commedia, della quotidianita’ della vita.

Atto primo

La scena si svolge in una apparente stanza da letto ancora da finire di sistemare. Figaro sta prendendo le misure per il letto, mentre la sua promessa sposa Susanna prova allo specchio un cappello per la festa di nozze, prevista in quello stesso giorno: “Cinque, dieci, venti”. Susanna capisce che quella è la camera che il conte ha destinato loro ed ha un improvviso moto di stizza. Figaro le spiega la fortuna ed i vantaggi d’essere attaccati alle camere dell’aristocratica coppia: “Se a caso Madama”.

Susanna spiega allora a Figaro quale sia il rischio, rischio non capito dal futuro consorte; il conte, stanco ormai del solito ménage propinatagli dalla moglie – a corteggiar proprio Susanna, la sua cameriera. Basilio che gli fa da mezzano cerca in gran segreto di recuperare quello “ius primae noctis” al quale aveva ha rinunciato come un vero “illuminato” seguendo una sua giustizia interiore. Quella camera però e molto adatta alle necessità del conte che escogiterà un suo piano per trovare una maniera opportuna a spostar le nozze, e quindi, per goder per primo le grazie della verginale fanciulla, al “ius primae noctis”.

Rimasto solo, anche perché la sposa è corsa dal conte chiamata dal suo campanello, Figaro medita sul da farsi e promette al conte di combatterlo e contrastarlo con la sua prontezza e vivacità d’ingegno-cavatina: “Se vuol ballare, signor contino”. Uscito Figaro, entra Marcellina, la vecchia governante di palazzo, in compagnia del dottor Bartolo. Marcellina espone al medico le sue rivendicazioni alle nozze di Figaro, in quanto egli, avendo firmato in cambio di denaro una cambiale di matrimonio, ella ora pretende di risolvere il contratto rivolgendosi al conte per aver giustizia. Bartolo alla fine la rassicura che si prenderà cura del suo tormento, offrendosi di farle da avvocato.

Rimasta sola, Marcellina s’imbatte proprio in Susanna e la provoca a distanza. Fra le due nasce un comicissimo scambio d’insinuazioni, ma Marcellina stizzita, è costretta infine ad abbandonare la stanza: ”Via resti servita, Madama brillante”. A questo punto entra in scena il paggio Cherubino che molto concitatamente che si consulta con Susanna in quanto molto preoccupato dalla decisione presa dal conte di cacciarlo dal castello, questo dopo averlo sorpreso in atteggiamento equivoco con Barbarina cugina di Figaro. Susanna scherza sentendo questa storia e lo schernisce per queste sue follie d’adolescenziali, egli è costantemente in cerca di gentil fanciulle d’amare. Cherubino confessa il suo smarrimento di fronte a questo nuovo sentimento d’amore: “Non so più cosa son, cosa faccio”. Ora provenienti dalla porta si sentono dei rumori e Cherubino, udendo la voce del conte, si nasconde dietro un antico scànno, per non esser sorpreso anche con Susanna. Entra quindi il conte che, inconsapevole della presenza di Cherubino, il quale vedendo Susanna ripropone le sue profferte amorose, cercando di convincerla per poterla incontrare in giardino.

All’interno della stanza si sente la voce di Basilio arrivare; il conte consapevole di essere in flagranza, và a nascondersi anche lui dietro il vecchio scanno, mentre Cherubino scivola lesto dal lato opposto e vi si pone sopra, coperto da un lenzuolo. La povera Susanna, inconsapevole vittima di questa vicenda, ora deve ascoltare le prediche di Basilio, che la invita a concedersi al conte, redarguendola anche per la troppa libertà ed amicizia accorata al paggio, il quale sempre a sentir Basilio avrebbe avuto anche delle particolari attenzioni per la contessa, facendosi maldestramente notare. Infuriato per la malignità udita, il conte alzandosi immediatamente dal suo nascondiglio, promette un’immediata punizione a Cherubino, mentre questi vien difeso da Susanna. Il conte allora racconta di aver visto che con i propri occhi aveva sorpreso il giorno prima il paggio sotto un tavolo in casa di Barbarina: nel mimare la scena dello scoprimento, solleva distrattamente il lenzuolo dal seggiolone, e si trova così davanti, ancora una volta, lo spaurito Cherubino.

Il conte è costretto a trattenere la propria ira perché in quel mentre giunge Figaro con una brigata di paesani a pregarlo di porre il velo candido sul capo dell’amata sposina, simbolo della sua rinunzia al “ius primae noctis”. Il conte d’Almaviva però non sopporta questa cosa ed ordina segretamente a Basilio di rintracciare Marcellina al fine di bloccare le nozze. Quindi, implorato da Figaro e Susanna di perdonare il paggio, il conte muta l’espulsione dal castello in una promozione militare, e lo nomina ufficiale. Figaro si congeda allora da Cherubino canzonandolo e dicendogli che così anche per lui era finita la sua vita di cicisbeo; cominciava ora la sua dura vita di soldato. Figaro a questo punto intona la famosa romanza: ”Non più andrai, farfallone amoroso”, chiudendo così il primo atto dell’opera.

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Atto secondo

L’atto inizia con un lamento: “Porgi amor”, che la contessa sconsolata e sola, intona nella sua camera da letto, la sua condizione di sposa è veramente precaria dal punto di vista coniugale. Susanna entra nella sua camera e le racconta dei tentativi di seduzione del conte nei suoi confronti. Entra nella stanza anche Figaro che comincia a ordire la trama per smascherare il conte, infatti assieme alle altre due donne si decide insieme d’inviare al conte un biglietto che lo faccia ingelosire riguardo alla contessa, e contemporaneamente un’incursione notturna di Cherubino travestito da donna sarà nel giardino al posto di Susanna ad attendere il conte, dopo che egli avrà ricevuto il biglietto con l’appuntamento promessogli da Susanna; cosi la contessa possa sorprendere il marito infedele davanti a tutti.

Figaro invia quindi nella camera Cherubino, non ancora partito per Siviglia, in modo che provi gli abiti femminili. Coperto di rossore il paggio viene poi obbligato dalla contessa a cantarle la canzonetta che ha scritto: “Voi che sapete”; Susanna comincia a vestirlo, notando fra l’altro la premura con cui era stato redatto il suo brevetto d’ufficiale, al quale manca il necessario sigillo. Mentre la cameriera è andata a prendere un nastro in una camera contigua, il conte bussa alla porta, gettando la contessa e Cherubino nella più grande agitazione. Cherubino si rifugia allora nel guardaroba, chiudendosi a chiave. La contessa apre al marito, visibilmente imbarazzata, e mentre cerca di giustificare la chiusura della porta dal guardaroba si sentono cader degli oggetti.

Il conte, già allarmato per il biglietto anonimo ricevuto, s’insospettisce ancor di più e la moglie è costretta allora a mentire dicendogli che nel guardaroba c’è Susanna che sta provandosi l’abito di nozze; a seguire il terzetto: “Susanna, or via sortite”. Costei è nel frattempo rientrata nella stanza e osserva la scena nascosta dietro il letto. Il conte decide di sfondare la porta e invita allora la consorte a uscir con lui per prendere gli attrezzi necessari. Rimasta sola e chiusa in stanza, Susanna bussa al guardaroba, chiama Cherubino che esce tremando e pieno di paura. Non c’è per lui altra via di scampo che quello di calarsi dalla finestra nel giardino, mentre Susanna prenderà il suo posto nel guardaroba.

Rientra il conte e la moglie decide di svelargli l’arcano: nel guardaroba non c’è Susanna, ma il paggio seminudo, là convocato per una burla innocente. L’ira del conte perde allora ogni controllo, tanto che questi s’avventa alla porta del guardaroba per uccidere il paggio: “Esci ormai, garzon malnato”. Invece, con sbigottimento d’entrambi, dallo stanzino ecco uscire Susanna. Il conte chiede perdono alla sposa per i sospetti manifestati e le parole grevi che son uscite dalla sua bocca chiedendole perdono, felice la contessa oltre il sentirsi sollevata, gli concede il suo perdono.

Giunge Figaro che li invita alla alla festa. Il conte gli sottopone allora il biglietto anonimo, che le due donne gli hanno rivelato esser stato scritto dal cameriere. Figaro da principio nega, ma di fronte all’evidenza dei fatti deve confessare. Le sorprese non sono però finite: sul più bello entra il giardiniere Antonio con un vaso di garofani in pezzi, denunciando la mala creanza di qualcuno che si è buttato dalla finestra sui suoi fiori. Tutta l’architettura d’imbrogli e menzogne sta per crollare: Figaro si autoaccusa allora d’esser saltato egli stesso per paura del conte, e Antonio fa allora per dargli un foglio caduto al saltatore, ma il conte lo intercetta e chiede a Figaro cosa sia quel pezzo di carta che ha perduto. Figaro, disperato, cerca d’inventarsi qualcosa: gli vengono in soccorso le due donne, che riconoscono in quel foglio il brevetto d’ufficiale di Cherubino.

Il conte chiede allora perché proprio Figaro ne sia stato in possesso, e di nuovo Susanna e la contessa lo traggono d’imbarazzo suggerendogli che il paggio glielo avrebbe dato perché mancante dell’indispensabile sigillo. Per l’ennesima volta il conte si sente beffato dalla mala sorte ed in scena entrano infatti Marcellina, Bartolo e Basilio a reclamar giustizia per la vecchia governante, che pretende, cambiale alla mano, di sposare Figaro. Il conte gongolante e soddisfatto promette quindi una condanna esemplare, da soddisfare i forti torti subiti.

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Atto terzo

Figaro e Susanna si trovano nella sala della festa preparata in onore del loro matrimonio, mentre il conte stà meditando sugli avvenimenti succedutigli, senza riuscire a trovarne una giusta soluzione. Entra Susanna che d’accordo con la contessa, ma ad insaputa di Figaro, dà un appuntamento al conte per quella sera, riaccendendo le sue voglie: “Crudel! Perché finora farmi languir così?”. In realtà la contessa ha deliberato di recarsi ella stessa all’appuntamento con gli abiti di Susanna.

Uscendo dalla stanza, Susanna incontra Figaro e l’avverte che ha già vinto la causa con Marcellina. Il conte coglie però quest’ultima frase e giura di vendicarsi. “Vedrò mentr’io sospiro”. Segue quindi la scena del giudizio, nella quale il magistrato Don Curzio intima a Figaro di pagare Marcellina o di sposarla. Figaro tenta allora in extremis di bloccare la sentenza adducendo l’assenza dei suoi genitori per il consenso. Racconta d’esser stato raccolto infante abbandonato, ma d’essere di nascita illustre come testimoniano i panni ricamati trovati nella culla e soprattutto il tatuaggio impresso al braccio destro.

Marcellina a quel punto trasalisce e riconosce in Figaro il suo Raffaello, figlio avuto in segreto da Don Bartolo e quindi esposto. Nello sbigottimento generale, Don Curzio sentenzia che il matrimonio non può aver luogo, mentre il conte abbandona la scena scornato per l’ennesima volta. Sestetto: “Riconosci in questo amplesso”. Sopraggiunge Susanna, pronta a pagare Marcellina con la dote ricevuta dalla contessa, ma con sua gran meraviglia vede Figaro abbracciato teneramente alla vecchia madre. La promessa sposa ha un moto d’ira e schiaffeggia Figaro, ma Marcellina l’informa dei nuovi sviluppi e dell’insperato riconoscimento. Anch’ella e Bartolo decidono di regolarizzare l’unione e di rendere così doppia la festa di nozze.

Frattanto, Cherubino non è ancor partito per il suo reggimento e viene condotto da Barbarina a travestirsi da donna per confondersi con l’altre contadine. La contessa, sola in attesa di notizie da Susanna, rievoca le dolcezze perdute del suo matrimonio e spera di riconquistare il cuore del marito: “Dove sono i bei momenti”. Raggiunta poi da Susanna, le detta un biglietto da consegnare al conte durante la festa, nel quale si conferma il luogo dell’appuntamento per quella sera. Duettino: “Che soave zeffiretto”. Inoltre, fa scrivere a Susanna sul rovescio del foglio, di restituire la spilla che serverà da sigillo, in segno d’accettazione.

Arrivano le ragazze del contado e fra queste c’è anche Cherubino travestito. In breve, però, costui viene smascherato da Antonio che lo denuncia al conte. Figaro arriva per chiamar tutti alla cerimonia e si scontra col conte, che può finalmente accusarlo per tutte le menzogne inventate in camera della contessa. La tensione è al massimo, ma è tempo di celebrare le nozze: entra il corteo dei doppi sposi, al quale segue la danza del fandango. Durante questa, Susanna lascia scivolare in mano al conte il bigliettino. Costui si punge con la spilla e poi si mette a cercarla goffamente per terra. Figaro lo scorge e crede che sia un biglietto amoroso di qualche contadina. Ritrovato il sigillo il conte congeda tutti i presenti e invita gli sposi alla cena che terrà nel suo palazzo.

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Atto quarto

La scena si svolge di notte nel giardino del castello. Barbarina è alla ricerca della spilla che il conte le ha dato da recare a Susanna: “L’ho perduta”. S’incontra con Figaro, che dalle sue labbra viene così a sapere che la mittente del biglietto altri non era che la sua sposa. Annientato dalla gelosia, chiede conforto alla madre Marcellina, che cerca di placarne i bollenti spiriti: ”Il capro e la capretta”. Figaro tuttavia s’allontana per poter organizzare e scoprire dove i due amanti si incontreranno. Basilio e Bartolo, convocati da Figaro, riflettono sui pericoli di scontrarsi coi potenti. Rimasto solo, Figaro si lascia andare a considerazioni amare sul suo stato di marito tradito nel giorno stesso delle nozze e accusa le donne d’essere la rovina dell’umanità: ”Aprite un po’ quegli occhi”. Giunge in giardino Susanna con la contessa, e comincia la recita degli inganni. Fingendo di restar sola – a prendere il fresco – Susanna eccita la gelosia di Figaro: ”Deh vieni non tardar”.

In realtà è la contessa che si appresta a ricevere le avances del conte, ma mentre lo sta aspettando sopraggiunge Cherubino, che scorgendo colei che egli crede esser Susanna decide di importunarla a sua volta con piccanti proposte: ”Piano pianino”, “ le andrò più presso, Figaro osserva tutto nascosto dietro una siepe e commenta velenosamente, senza accorgersi che anche Susanna è lì a due passi in sentinella. Arriva il conte che s’adira nel vedere il suo oggetto del desiderio in compagnia d’un altro uomo. Tira allora un ceffone a Cherubino, ma questi si scosta ed è Figaro a buscarsi la sberla.

Rimasto finalmente solo con la finta Susanna, il conte le regala un brillante e l’invita ad appartarsi con lui in un luogo buio. Figaro non si regge più e passa facendo baccano: la contessa allora si ritira in un padiglione a destra, mentre il conte perlustra il giardino per non trovarsi tra i piedi ulteriori scocciatori. Amareggiatissimo, Figaro s’imbatte allora in Susanna, che è vestita col mantello della contessa e simula la sua voce. La sposa lo mette alla prova e offre a Figaro l’occasione di vendicarsi seduta stante dei due consorti infedeli. Figaro dopo poche battute l’ha riconosciuta, ma continua a stare al gioco, finché la situazione si chiarisce e i due si riconciliano felici.

Si tratta allora di concludere la commedia ai danni del conte: vedendolo arrivare, Figaro e Susanna continuano perciò la loro scena di seduzione. Il conte, furibondo, vedendo quella ch’egli crede sua moglie corteggiata da Figaro in giardino, chiama tutti a smascherare i due reprobi; frattanto, Susanna si nasconde nel padiglione a sinistra. Davanti ad Antonio, Basilio e Bartolo, il conte accusa Figaro e comincia a tirar fuori dal padiglione una vera processione di personaggi: Cherubino, Barbarina, Marcellina e infine Susanna, che tutti credono la contessa e che si copre il volto per la vergogna. L’ira del conte è implacabile e oppone un diniego dopo l’altro ad ogni supplica di perdono da parte di Figaro e della falsa contessa.

A questo punto, dall’altro padiglione esce la vera contessa e tutti si rendono conto dell’imbroglio. Ella scambia il mantello con Susanna e si rivolge al marito dicendogli: “Almeno io per loro perdono otterrò”. Il conte umiliato e consapevole d’aver fatto la corte a sua moglie, si inginocchia e chiede il suo perdono ottenendolo. Figaro e Susanna, dopo aver commentato con i presenti quella pazza, pazza giornata di divertenti e drammatiche situazioni, invitano amici e conoscenti, genitori ed amanti ad unirsi a loro per dar inizio alla tanto sospirata festa delle nozze.

Le nozze di Figaro: analisi musicale

Wolfgang Amadeus Mozart
Wolfgang Amadeus Mozart

Mozart comprende che l’amore non è un capriccio, bensì quel bisogno infinito d’amare che l’uomo ha, nel suo continuo cercar la donna giusta, creandosi però anche il proprio destino. Si comprende quindi il taglio particolare dell’opera Le nozze di Figaro, centrato sull’irrequietezza della ricerca; si spiegano anche i ricorrenti ripiegamenti sulla nostalgia, alternanza animale fra lo stimolo amoroso e la morte, in cui il musicista coglie l’incongruenza della natura umana. Egli va oltre e supera il concetto del dramma sociale additando la vanità della rivoluzione borghese; esso si presenta nella remissività del tutto mozartiana, alla volontà del destino, celebrata dal maestro con molto talento dall’infinito esoterismo musicale; quel “Contessa perdono”, del finale, si legge come scena portatrice di pace e superamento di tensioni ed incomprensioni, correndo sino a chiuderla. C’è poi la complicità voluta del musicista e del letterato di scrivere in musica il senso storico del momento sociale.

Se poi andiamo oltre all’evento del secolo, la “folle journèe” si erge a simbolo dell’umana avventura in tutte quelle sequenze che si rincorrono nelle 24 ore e che trovano nel climax mozartiano luoghi comuni settecenteschi, come i suoi giardini e gli ospitali padiglioni per incontri amorosi, libertini, capricciosi, secondo la visione mozartiana dell’amore; ricordiamo nell’estasi lunare dell’aria di Susanna, indi troviamo nell’amarezza di Figaro, quella voglia di vendetta. Entrano ora i suoni dei corni e clarinetti a placar il livore ed a portar tranquillità per poter constatare: “tutto è tranquillo e placido”, invocazione che segna la pace con Susanna; godiamo così di accordi in sordina di arpeggi discendenti degli archi: “Ah! Tutti contenti saremo così”.

Mozart nelle sue “Nozze” inserisce le facce di quel razionalismo libertino che si riteneva l’alfiere nel pugnare in nome della mente. Inoltre egli introspettivamente coglie l’essenza della liricità della “Folle journèe”. La trasporta musicalmente e la si sente sin dall’ouverture incalzare con un ritmo intrigante e variegato fantasticamente superlativo nella sua regolarità metrica musicale. Mozart poi unisce la sua morale, ossia l’inutilità dell’esperienza, in quanto il destino lo si vive giorno dopo giorno, facendo spesso gli identici errori; dinamico e vitale è l’associare questo con l’eros, inteso come destino, spalmato su tutti i personaggi della sua opera. Per cui troviamo Cherubino nelle sue arie con “Travesti”, esempio della pubertà, seguita dalla sensualità canuta del conte che contemporaneamente ha un vorace appetito per Barbarina e per altre fanciulle compiacenti prima, e per Susanna poi.

Dilatando poi la scena troviamo le femmine con i loro desideri ed i loro innocenti vizietti – ovviamente ci son tutti, dall’età della ragione – rispettando il senso del libertinaggio settecentesco, riconoscendo in se stesse le portatrici di questa forza, consce anche della forza della loro femminilità; cominciamo con Barbarina che dai dodici anni come dice anche l’autore, “dodici ne avea anche la prima interprete”; Susanna che sa di potersi proporre in duplice gioco sia al conte d’Almaniva sia a Figaro, Marcellina che nonostante l’età non più giovane nutre speranze e voglie ancor mai sopite, la contessa morsa dal dolore e dal tormento della solitudine, persegue la via del perdono e della pietà, ora si odono – incunearsi in questo ristretto intervallar del secondo atto – i clarinetti con il loro dolcissimo e malinconico suono che fanno capire a lei, alla contessa, l’ineluttabilità delle cose terrene.

Cominciando il gran finale, udiamo sin dall’attacco quell’indicazione dinamica che accentua la nota sul tempo di battuta dei quattro sforzati, contenendo l’azione del conte: “Esci orami, garzon malnato”, come l’arpeggio armonico rovesciato da ascendente in discendente, la dinamica mutata, da forte a piano, i primi violini insistono su di un pedale di Si-bemolle, con piccole oscillazioni di tempo – agogiche per l’appunto – nella sua ricaduta e discesa d’ottava, proseguendo ancor per quattro battute, aprendo alla contessa: “Ah Signore, quel furore”, altre due battute dove le duine accompagnate da semplici armonie danno più valenza alle parole della contessa: “Per lui il cor tremar”.

La sua lirica è un fiore delicato che si schiude al sole della poesia, per cui la pantomima degli equivoci si apre alle domande. Le domande di Antonio e del conte infiorano la malizia racchiusa nella chiusura delle due parti in cui un verso risulta chiuso da una cesura. La rituale modulazione verso la dominante vede l’elevarsi del livello dinamico nel differente apostrofarsi tra Figaro ed Antonio. Ripresa dell’interrogatorio e breve ripresa del tema alla dominante, il rimembrare di Figaro: “Ah! che testa!”, accompagnata con un cadenzato in terza inferiore. Ora il conte vuole tutta la verità, Figaro va un po’ in confusione e le complici sussurrano; il tema si ripropone, il suo appello in 6/8 passa di tonalità in tonalità, fin quando Figaro appoggia sull’accordo di apertura: “E’ l’usanza di porvi un suggello”. Dopo, la tensione comincia a diminuire ed i legni su un pedale molto penetrante, alleggeriscono il climax della scena, mentre il tema continua ad interpretare l’apoteosi dell’intrigante commedia Le nozze di Figaro.

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La clemenza di Tito (opera di Mozart) https://cultura.biografieonline.it/mozart-la-clemenza-di-tito/ https://cultura.biografieonline.it/mozart-la-clemenza-di-tito/#respond Thu, 11 Apr 2013 17:51:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=6790 La clemenza di Tito è l’ultima opera di Wolfgang Amadeus Mozart. Codificata come K 621 (dal Catalogo Köchel), l’opera si compone di due atti. Il libretto è di Caterino Mazzolà ed è tratta da un melodramma di Pietro Metastasio. La storia dell’opera, il riassunto della trama e l’analisi musicale che seguono sono state redatte dal Maestro Pietro Busolini.

La clemenza di Tito, una scena
La clemenza di Tito: una scena tratta dall’ultima opera di Mozart

La clemenza di Tito: genesi dell’opera

Nel 1791, ultimo anno della sua vita, Mozart ricevette un’importante commissione originariamente destinata al Salieri.

Wolfgang Amadeus Mozart
Mozart

In occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione a Re di Boemia dell’Imperatore Leopoldo II, l’8 luglio 1791, i rappresentanti degli Stati Boemi firmarono con l’impresario Guardasoni un contratto per un’opera celebrativa dell’avvenimento.

Sulla base di questa data, sappiamo che Mozart all’epoca era ad buon punto nella stesura del Flauto magico, potendo così cominciare il lavoro quasi a ridosso della prima rappresentazione, prevista per il 6 settembre.

Per il titolo del dramma la scelta cadde su di un uno libro del Metastasio, scritto nel 1734, sempre per una festività della corte di Vienna; all’epoca il sovrano era l’imperatore Carlo VI, padre di Maria Teresa. Il personaggio dell’imperatore Tito era allusivo al padre della futura Imperatrice.

Successivamente il Genio, compose altre due opere per il teatro lirico, il Flauto Magico in realtà un “Singspiel”, ovvero un ibrido fra teatro cantato e recitato, considerato anche il momento storico-lirico di avvio del teatro tedesco. L’ultima opera di Mozart La clemenza di Tito, in realtà è un vistoso passo all’indietro, compiuto dal Maestro, “stilisticamente parlando”; vanno considerati tuttavia i gusti retrivi del pubblico viennese, ancora legato con la Corte ai soggetti mitologici ed incapace di apprezzare l’abissale scandaglio dei sentimenti erotico-amorosi affrontati da Mozart nelle sue precedenti opere. La clemenza di Tito andò in scena ai Teatri degli Stati di Praga il 6 settembre 1791.

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Atto primo

Tito Vespasiano diventa Imperatore e Vitellia, figlia del deposto Imperatore predecessore di Tito, prende la decisione di ucciderlo, anche se ella prova per lui amore.

Parla con Sesto suo spasimante, egli dovrà in ogni modo dimostrarle il suo amore uccidendo il monarca: “Come ti piace, imponi”. Giunge Annio, annunciando che le progettate nozze tra Tito e Berenice sono rimandate. Vitellia, rincuorata, chiede a Sesto di sospendere il piano omicida: “Deh, se piacer mi vuoi”.

Sesto nel frattempo promette intanto all’amico Annio la mano di sua sorella Servilia : “Deh, prendi un dolce amplesso”. Nel Foro Romano nel frattempo, si raduna il popolo con il senato ed i legati delle province dell’impero. Ed il coro intona : “Serbate, oh dèi custodi”. Tito, congedato il popolo, rivela a Sesto che intende sposare Servilia, elevando così l’amico alla più alta dignità: “Del più sublime soglio”.

Ad Annio non resta che avvisare Servilia del triste destino del loro amore: “Ah, perdona al primo affetto”. Nel Palazzo Imperiale sul colle Palatino, Tito riceve la visita di Servilia, che gli rivela senza nessun timore il suo affetto per Annio, l’Imperatore clemente, accetta di buon grado la decisione della ragazza, e ne loda la sincerità: “Ah, se fosse intorno al trono”.

All’oscuro di tutta la vicenda Vitellia, non conoscendo la accondiscendenza con cui Tito ha accettato il volere di Servilia, Vitellia continua ad imporre a Sesto il perseguimento del suo infame progetto: “Parto: ma tu, ben mio”. Egli ha appena lasciato la scena, quando Publio annuncia a Vitellia che l’Imperatore Tito l’ha chiesta in sposa: “Vengo.. aspettate”. Contemporaneamente, vicino al Campidoglio, Sesto è distrutto per la cattivissima azione impostagli. Ma è troppo tardi ormai: il Campidoglio è già avvolto dalle fiamme ed infuria un tumulto armato, secondo gli ordini da lui impartiti: “Oh dèi, che smania è questa”, “Deh conservate, oh dèi”. Nel contempo Vitellia, lo sta cercando disperatamente, ed infine lo troverà.

Atto secondo

Tito ringraziando gli Dei non è morto, fortunatamente Sesto ha colpito un altra persona. Ad Annio, che gli porta questa notizia, Sesto rivela di essere l’autore della congiura. L’amico lo esorta a non confessare, ma piuttosto a espiare il delitto con replicate prove di fedeltà all’imperatore ed intona: “Torna di Tito a lato”. Ma Sesto è stato ugualmente scoperto come l’autore della congiura, Publio giunge con la scorta armata per arrestarlo e condurlo davanti al senato.

Dando l’addio a Vitellia si agitano i presentimenti di morte di lui e la paura di lei di venire coinvolta nel giudizio: “Se al volto mai ti senti”. Tito molto agitato fa il suo ingresso nel salone delle pubbliche udienze, attorniato dai patrizi, dai pretoriani e dal popolo: “Ah, grazie si rendano”. L’imperatore Tito, impaziente di sapere quale fato il senato abbia riservato a Sesto e incredulo di fronte alle accuse mosse all’amico, Publio fa presente come qualche dubbio sull’infedeltà umana possa essere ragionevole: “Tardi s’avvede”.

Accertata incomprovabilmente la colpevolezza di Sesto, il Senato lo condanna alle fiere. Il decreto manca solo della della firma dell’Imperatore. Annio chiede pietà per il futuro cognato: “Tu fosti tradito”, Tito contemporaneamente è combattuto da atroci dubbi sul da farsi: “Che orror, che tradimento”. Decide allora di convocare Sesto: “Quello di Tito è il volto”, e, con grande dolcezza amicale, cerca di farsi rivelare i motivi del suo gesto.

Non ottenendone tuttavia altro che un assordante silenzio, a cui Sesto è costretto suo malgrado tenere per difendere Vitellia, ma, prima di avviarsi al supplizio manifesta a Tito tutta l’angoscia del rimorso: “Deh, per questo istante solo”. L’imperatore, tuttavia, ha deciso di non firmare la condanna, tenendo così fede al suo ideale di sempre, la clemenza: “Se all’impero, amici dèi”. Publio crede che Sesto sia destinato alle fiere, mentre Vitellia teme di essere stata scoperta.

Nell’incertezza di questa situazione giunge Servilia a chiedere a Vitellia di intercedere per il fratello: “S’altro che lagrime”. Gli eventi son tali da sconvolgere Vitellia, ella prende una decisione improvvisa: confesserà la sua colpevolezza, tentando così di salvare la vita di Sesto, consapevole che questo suo gesto le costerà la rinuncia al trono imperiale: “Ecco il punto, o Vitellia… Non più di fiori”. Mentre si sta preparando il supplizio, Tito entra in scena accompagnato da un lungo corteo di pretoriani e patrizi: “Che del Ciel, che degli dèi”. Stà per rivelare il destino scelto per Sesto quando Vitellia s’inginocchia ai suoi piedi confessando la propria colpa. Pur turbato dalla continua scoperta di nuovi nemici della sua persona, ancora una volta il clemente Tito decide magnanimo di concedere a tutti la sua clemenza, ed il suo generoso perdono .“Tu, è ver, m’assolvi Augusto”. Chiudendo così con la parola: “Clemenza”, il secondo atto dell’ultima fatica del Genio Wolfgang Amadeus Mozart”.

Analisi musicale

Caterino Mazzolà, poeta di corte dell’Elettore di Sassonia, operò senza dubbio d’intesa con Mozart una diversa lettura del dramma, perché questo venisse ridotto a vera opera, come scrisse in una sua annotazione lo stesso compositore, quando appose la sua firma sul catalogo delle sue opere il 5 settembre 1791.

Il classicismo riformista di Mozart e di Gluck era quindi ben lontano da quello del Metastasio, questo peraltro alla vigilia dell’importante allestimento, intuendo la metamorfosi venutasi a creare, in cui non c’erano più i presupposti per un’opera seria ed un testo appartenente a quel genere, per quanto splendido, necessitava di radicali mutamenti per poter venire ancora presentato al pubblico.

Si studiò così un’azione più fluida, ma così facendo si tolse il valore poetico e drammatico dei versi e l’intensità del movimento scenico. Fu considerato comunque estremamente efficace nella presentazione di sentimenti diversi in corrispondenza dell’eccezionalità della congiura; questo la notiamo proprio nel finale del primo atto significativamente denominato “quintetto con coro”.

Comprendendo le ultime quattro scene del primo atto, il concertato viene costruito attraverso il progressivo convenire di tutti i personaggi tranne Tito, nel mentre, proprio a questo punto del dramma, viene annunziato il suo assassinio. L’evento viene così commentato da tutto il cast, da ciascuno secondo il proprio ruolo, mentre l’orchestra assicura il collegamento tra le diverse entrate dei personaggi e con un motivo in “ostinato” sottolinea l’atmosfera di terrore in cui si svolgono i drammatici eventi.

La scena musicale si sdoppia su due piani: da un lato i cinque solisti sul proscenio, in balìa del disorientamento più totale, mentre dal fondo sentiam giungere le voci del coro con le sue inquietanti esclamazioni, ulteriore sgomento lo troviamo nei vari personaggi e si odono indistintamente: “Le grida, ahimè! ch’io sento / Mi fan gelar d’orror“, mentre si scorge in lontananza il Campidoglio devastato dalle fiamme. La natura corale di tutto il quintetto emerge soprattutto dopo l’unica reale cesura del brano, all’altezza di quell’Andante in cui culmina tutto il pezzo, in corrispondenza alla notizia della morte dell’Imperatore. Il ritmo drammatico rallenta improvvisamente in contrasto con la concitazione dell’Allegro precedente, per mantenersi sospeso sino al calare del sipario, quando l’atto si chiude lasciando nel più completo turbamento gli astanti.

Già dall’inizio del secondo atto, Mozart riprende con un recitativo secco, e con il secondo verso rivela come Tito sia ancora in vita. Scelta drammatica, ma di indubbia efficacia per chi, come i personaggi e gli spettatori, avevan già pensato alla sua fine nel precedente atto, dubbiosi che la tragedia si fosse già consumata. Tito è ancora una volta assente, ma nella quarta scena egli appare in tutta la sua grandezza attorniato da patrizi, cavalieri, pretoriani ed il popolo nel grande salone delle udienze. Il suo ingresso avviene in maniera molto spettacolare, ed è salutato da un singolare coro, la cui dolcezza pare intrisa di semplicità popolaresca, come di intenso sentimento religioso.

Nel secondo atto a Sesto vien riservato un taglio del suo personaggio molto, molto particolare, in parecchie occasioni addirittura di splendore drammatico/musicale. In particolare in due numeri successivi: il terzetto “Quello di Tito è il volto” e l’aria-rondò: “Deh, per questo istante solo”.

In essi rifulge al meglio l’inventiva melodica di Mozart: avviene così anche nella seconda sezione “Allegro del terzetto” nonché per tutta la durata dell’aria. Questo tema vien trattato come unico tema, quello di infinita angoscia come la morte: il desiderio di Sesto di morire, piuttosto di continuare a dibattersi in una sofferta quanto tormentata responsabilità morale. Se però la frase del terzetto “chi more / Non può di più penar”, ottiene una prevedibile, intensa intonazione del tutto consona al suo significato, abbiamo un’affermazione analoga nell’aria, “Tanto affanno soffre un core, / Né si more di dolor?”, ricevendo una veste musicale sconvolgente.

La melodia da rondò di Sesto fa la sua comparsa da un “altrove” di lunare lontananza, come una voce di gratificazione metafisica, estranea ad ogni dolore, che vien risolto come in un gioco innocente di prima genitura. Notiamo ora come i ruoli di Annio e Servilia assolutamente secondari nell’economia della musica, assurgano invece a una dignità inedita a causa della sincerità dei loro affetti.

Annio in particolare vive un momento di gloria anche nel duettino con Sesto “Deh, prendi un dolce amplesso”: analogo nel carattere al duetto con Servilia. Una peculiarità del Mozart dell’ultima maniera è rintracciabile pure nella predilezione per alcuni strumenti in auge da un capo all’altro della partitura, ed emergenti soprattutto in pochi momenti chiave. Il clarinetto solista compare nel momento in cui il piano per uccidere Tito entra in azione, cioè nell’addio di Sesto a Vitellia, l’aria: “Parto: ma tu, ben mio”.

Qui rappresenta la voce più profonda “dell’io” del personaggio, totalmente dominato dal fascino fatale della bellezza, il suo desiderio inappagato e illusorio dell’amore di Vitellia. Il corno di bassetto, questo fratello inquietante del clarinetto, si afferma invece al termine della vicenda, quando Vitellia prende la decisione suprema di sacrificare la sua ambizione; nel rondò “Non più di fiori” lo strumento è immagine dirompente e ossessiva della morte che la protagonista considera ormai come il suo inesorabile destino.

Il pezzo si era aperto ben diversamente, in un idillico Fa Maggiore chiamato a rappresentare la beata visione di tralci e corone di fiori intrecciate da Imene disceso dal cielo. Ma l’Allegro successivo disperde in un baleno ogni traccia della serenità del Larghetto per lasciar spazio ad un’estrema e tremenda immagine del clima di tragedia incombente, che ha gravato sull’azione dall’inizio dell’opera. Emergendo da questi abissi, la marcia e coro “Che del Ciel, che degli dèi”, collegate senza soluzione di continuità con il rondò di Vitellia, si rivelano invece come una folgorazione.

L’incubo della morte, la solitudine e l’angoscia della protagonista, il tetro lamento del corno di bassetto si infrangono contro lo splendore sonoro di un’orchestra carica di maestosa e solenne – si, finalmente solenne – ma non vacua della celebrazione del potere sovrano. Le lodi di Tito, ora intonate dal coro sugli splendidi e raffinati versi metastasiani, occupano quest’ultimo squarcio dell’opera, ambientato in un “Magnifico Luogo”; ovviamente questa manifestazione è la risposta esaltante di quell’imponente splendore imperiale.

Si tessono ora tutte le lodi al Divin Tito intonate intensamente dal coro con un enorme spirito di complementarietà. Questo occupa tutte le ultime battute dell’opera; vediamo esaltare quindi quella “Clemenza” dell’Imperatore, generatrice di perdono e di magnanimità.

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Così fan tutte. Storia e trama dell’opera di Mozart https://cultura.biografieonline.it/cosi-fan-tutte-mozart/ https://cultura.biografieonline.it/cosi-fan-tutte-mozart/#comments Wed, 23 Jan 2013 00:36:18 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=6068 Così fan tutte è un’opera lirica in due atti, senza ombra di dubbio tra le più amate e celebrate del celebre compositore Wolfgang Amadeus Mozart. Cronologicamente, si colloca tra le cosiddette opere italiane, la terza scritta dall’artista di Salisburgo, su libretto di Lorenzo da Ponte. Al Burgtheater di Vienna, il 26 gennaio 1790, viene per la prima volta rappresentata l’opera, quasi al termine di quello che verrà poi definito come il noto decennio d’oro del grande compositore austriaco, poco prima della sua dipartita.

cosi fan tutte mozart
Così fan tutte è un’opera celebre di Mozart

Al centro della vicenda, domina il tema amoroso, naturalmente. Da una parte v’è la caducità e la superficialità dell’amore femminile, messo alla prova da un classico scambio delle parti, tale da evidenziare quanto si dice in uno dei versi dell’opera, tra i più noti: “È la fede delle femmine come l’Araba fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa!”. Dall’altra parte invece, c’è l’amore visto al maschile, più maturo secondo l’autore, in grado di esibire il perdono, ma appunto come mera esibizione, nel rispetto e in ossequio – quando non obbligo – di quelle convenzioni sociali ancora piuttosto tetre e inalterabili, sempre secondo l’idea del compositore.

Il contesto storico-artistico

L’opera arriva proprio sul finire di quel decennio considerato magico per Mozart, nel quale vedono la luce alcuni dei migliori lavori dell’intera storia della musica lirica. Il compositore ha perso per sempre Aloysia, la sua amata, e ha ripiegato sulla sorella, Costanza. L’esito di questo momento, è tratteggiato nell’opera “Il ratto del serraglio”, sorta di tentativo liminare di dare vita ad un vero e proprio dramma lirico tedesco. Molto deve, in questo periodo, all’italiano Lorenzo da Ponte, poeta ufficiale del Teatro di Vienna, librettista importante, il quale lo incoraggia ad aprirsi sempre di più al teatro, dopo i ripiegamenti nei quartetti dei primi anni ’80. Risultato di questo binomio lavorativo è la rappresentazione delle “Nozze di Figaro”, andata in scena prima a Vienna e poi a Praga, la quale costituì un vero trionfo per Mozart. Nonostante i tentavi dei suoi vari detrattori e rivali, tra i quali il noto Salieri, il direttore del teatro di Praga, Bondini, gli affida l’incarico di scrivere un’opera per la stagione seguente: il “Don Giovanni”. È, ancora una volta, un “Don Giovanni italiano”, marcato dalla mano del Da Ponte, il quale anima l’opera d’un senso autobiografico: ne viene fuori una vera e propria commedia, varia e guizzante, che Mozart rende equilibrata ed esalta all’ennesima potenza, evidenziando la vivacità dei personaggi e delle situazioni.

Amadeus Mozart
Mozart

È una commedia, come detto, stando almeno al registro e ai temi, ma sembra anche l’annuncio ufficiale del mondo romantico che sta arrivando. Ed è anche e soprattutto un’opera lunga, nel suo lavorio, che Mozart comincia ufficialmente nel 1787, per terminare praticamente soltanto alla vigilia della prova generale, il 28 ottobre: fu un successo straordinario. Il compositore perde suo padre, ma a Vienna gli viene tributato il dovuto con la nomina a “Kammermusikus dell’imperatore” e la rappresentazione del Don Giovanni nella capitale austriaca, il 7 maggio del 1788. Il pubblico di casa però, come spesso accade, è tiepido, e Wolfgang riparte per la Germania, al seguito del principe Lichnowsky. Passano un paio d’anni e, senza cedere alle lusinghe del re Federico Guglielmo II, Mozart torna in patria e accetta, da Giuseppe II, di scrivere la sua nuova opera, dal titolo “Così fan tutte, ossia La Scuola degli amanti”, anch’essa su libretto del Da Ponte. Ma come accade a molti geni, il pubblico e le contingenze si rivelano ostili e anche questa rappresentazione, la prima andata in scena, come suddetto, nel gennaio del 1790, non viene accolta nel migliore dei modi. Inoltre, nel medesimo periodo, arriva anche la morte di Giuseppe II, che di certo non è di buon auspicio per la carriera dell’artista viennese. Ci vorrà Leopoldo II e, soprattutto, l’opera “Il flauto magico”, successivamente, a restituire la giusta notorietà a Mozart, riportandolo ai suoi successi e dando modo e tempo a pubblico e critica austriaca di ricredersi, e tanto, anche sui suoi vecchi lavori, su tutti la stessa opera “Così fan tutte”.

L’intreccio e i personaggi

Semplice e geometrica, la vicenda. Il gioco d’amore si basa su una girandola a quattro, la quale comprende e disattende gli ardori di due coppie di fidanzati. Fulcro dell’intreccio poi, è un filosofo, di natura cinica e calcolatrice, per quanto libera da condizionamenti legati alle convenzioni sociali. Questi ottiene che le due ragazze protagoniste, che sono anche sorelle, si innamorino ciascuna del fidanzato dell’altra. Ma alla base, come nella più classica delle commedie plautine o terenziane, c’è il travestimento: i due fidanzati vengono a conoscenza degli intenti del filosofo e accettano la sua sfida. Così facendo, si cangiano d’aspetto, travestendosi appunto e impersonando la parte di due ufficiali stranieri. Il gioco è facile, a quel punto: le loro rispettive donne credono d’amare l’altro e dimenticano subito i loro rispettivi e ordinari fidanzati per poi però, finire per accettare il ritorno di ogni cosa al punto di partenza, ciascuna con i propri amati iniziali. Il trionfo è quello dell’equità, dell’amore e della sua virtù che, a scapito della superficialità – qui rappresentata dalla frivolezza delle due donne – finisce comunque per affermarsi, superando anche la stessa intelligenza del filosofo. Stando al libretto classico, questi di seguito sono i personaggi principali dell’opera “Così fan tutte”: Fiordiligi e Dorabella, rispettivamente soprano e mezzo-soprano; Ferrando e Guglielmo, tenore e baritono; Despina, soprano; Don Alfonso, basso.

L’antefatto

I due militari Ferrando e Guglielmo sono in un caffè di Napoli, al cospetto di Don Alfonso. Entrambi raccontano della bellezza delle due sorelle e vantano la loro fedeltà, nonostante il filosofo che è con loro, affermi invece che in materia femminile, la parola fedeltà non si sa dove sia. L’onore delle due donne, Dorabella e Fiordiligi, viene messo in discussione e prontamente, i due fidanzati sfidano a duello Don Alfonso. Questi però, ha un’altra soluzione: cento zecchini per provare loro che le fidanzate non sono diverse dalle altre. I due uomini dovranno attenersi alle regole che imporrà il filosofo, se davvero vogliono contraddire la sua teoria.

Al fronte

Don Alfonso si accorda con la serva di casa delle due sorelle, Despina: entrambi fanno in modo che le due donne credano che i loro rispettivi fidanzati sono stati richiamati al fronte. Passa poco tempo e due ufficiali albanesi si presentano ai piedi di Fiordiligi e Dorabella: sono Tizio e Sempronio, ma altri non sono che i due fidanzati reali, travestiti. Questi vengono inizialmente respinti, le due sorelle si dichiarano fedeli e causano così, il loro suicidio per amore. In realtà, è una trovata anche questa, la quale permette ai due agonizzanti di presentarsi davanti alle esterrefatte sorelle, le quali iniziano a provare per loro compassione. Il medico che li riporta in vita, è Despina, anch’ella travestita – Don Alfonso è in combutta con lei e le ha promesso dei soldi se l’avesse aiutato nell’impresa – e l’evento porta i due ufficiali a rinnovare ancora di più il loro amore.

La notte sul mare

Despina convince le due sorelle: “sarà un gioco” dice loro, e la gente crederà che i due spasimanti sono lì per lei. Viene organizzata una serenata alle dame, sul mare, nel giardino. Fiordiligi e Ferrando allora, si allontanano, suscitando così la gelosia di Guglielmo, che offre un regalo a Dorabella e riesce a conquistarla. Quest’ultima cede per prima e convince, poi, Fiordiligi stessa, una volta in casa, a fare altrettanto. Tocca a lei, allora, travestirsi: con gli abiti di un ufficiale, raggiunge il promesso sposo sul campo di battaglia ma viene fermata da Ferrando stesso, ancora una volta, il quale finisce per conquistarla davanti agli occhi di Guglielmo, il suo promesso.

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Così fan tutte

Guglielmo è furente ma anche Ferrando odia la sua ex donna, entrambi sono stati delusi. Don Alfonso ha da impartire il proprio insegnamento, forte di aver ottenuto quello che voleva e anzi, li esorta a finire la commedia con doppie nozze: tanto, come sostiene dando loro delle “cornacchie spennacchiate”, una donna vale l’altra. La colpa non è delle due sorelle in questione, sostiene poi il filosofo, ma è della stessa natura… “se così fan tutte”. Alla fine, i due veri cavalieri irrompono durante le finte nozze organizzate da Despina e mandano in fuga i due amanti albanesi, i quali altri non sono che loro stessi, nel frattempo nascosti (per sempre) dalle due donne. L’atto termina con il matrimonio delle due coppie legittime.

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Trama del Don Giovanni di Mozart https://cultura.biografieonline.it/trama-del-don-giovanni-di-mozart/ https://cultura.biografieonline.it/trama-del-don-giovanni-di-mozart/#comments Sat, 12 May 2012 01:10:59 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1930 L’opera lirica Don Giovanni di Mozart debuttò  a Praga presso il Teatro degli Stati Generali il 29 ottobre 1787. Dall’autore definita “dramma giocoso”, l’opera si apre sugli ampi e solenni accordi dell’Ouverture, snodandosi poi in due atti suddivisi in scene.

Amadeus Mozart, Don Giovanni
Illustrazione raffigurante i personaggi del “Don Giovanni” di Mozart

L’ouverture si apre con l’ingresso del Commendatore nella sala della cena funebre ed è caratterizzata da scale ascendenti e discendenti che salgono per semitoni e toni. L’opera sembra iniziare in un clima tragico che poi cambia totalmente spirito. La musica irrompe con il potere di sedurre lo spettatore, sembra alternarsi fra toni aspri che rimandano alla Morte e altri frivoli che riconducono alla Vita. Sotto un manto di gaiezza, la musica esprime la nuda verità.

Don Giovanni di Mozart: Atto Primo

Nel giardino notturno, Leporello, servitore di Don Giovanni, fa la sentinella davanti al palazzo del Commendatore, lamentandosi della sua condizione, racconta come il suo padrone stia allo stesso tempo portando a conclusione una delle sue avventure amorose. Subito arriva Donna Anna che sta inseguendo un uomo che si era presentato col volto coperto. Mentre cerca di scoprire la sua identità, si accorge dell’arrivo del padre e scappa. Il Commendatore è anziano ma sfida ugualmente l’ignoto aggressore , rimanendone ferito a morte. Qui il tema di Anna Come furia disperata assembla, da un lato, il suo dolore per la morte del padre sopraggiunta proprio per mano del suo seduttore e, dall’altro, il suo amore verso di lui. Per Mozart, la Morte è carica di seduzione ed è posizionata a questo punto del dramma per tracciarne le linee principali.

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Nella notte, servo e padrone, cercano di nascondersi e Donna Anna entra nuovamente in scena scortata dal fidanzato Don Ottavio, pretendendo giuramento di vendetta da lui. L’attenzione di Don Giovanni è ora attratta da una bella dama, Donna Elvira, nobildonna di Burgois da lui già sedotta ed abbandonata che lo sta proprio cercando. Don Giovanni fugge quando un gruppo di contadini festeggia il matrimonio di Masetto e Zerlina e, notando la sposa, invita tutti al suo palazzo per rimanere in privato con lei. Ecco il famoso duetto Là ci darem la mano interrotto da Donna Elvira che avvisa Zerlina denunciando il tradimento di Don Giovanni agli altri. Donna Anna capisce così che lui è proprio l’assassino del padre.

Zerlina e Masetto litigano già perché lui è geloso della donna, avvolta dalla seduzione del protagonista, che a sua volta si sente in colpa nei suoi confronti. Donna Anna, Donna Elvira e Don Ottavio si coalizzano contro Don Giovanni, desiderosi di portare a termine i giochi di seduzione dello stesso e , accettando l’invito di Leporello, si mascherano ed arrivano alla festa . Dietro la Maschera si cela la Morte, anche il canto di Leporello è contraddistinto da note cupe e gravi; invitando il nero terzetto ad intervenire alla festa e quindi ad entrare a palazzo, invita la Morte. Leporello e Don Giovanni accolgono insieme tutti gli ospiti, rafforzando il carattere del doppio, i due completano l’uno le frasi dell’altro e cantano sulla stessa linea melodica, Zerlina si diverte, Masetto è arrabbiato.

Leporello spinge Masetto al ballo e così il suo padrone può prelevare Zerlina e trascinarla con sé. L’iniquo da sé stesso nel laccio se ne va. La donna però reagisce con un grido di terrore che interrompe i festeggiamenti. Don Giovanni allora fa ricadere la colpa sul servo, procurandosi anche il suo odio.

Atto Secondo

Leporello vuole andarsene, Don Giovanni non vuole rischiare di perdere il suo compare e così gli offre del denaro che viene accettato dal servo ignaro del fatto che il padrone gli concede quella somma per trarre ulteriori vantaggi. Egli vuole coinvolgerlo in un’altra impresa: quella del travestimento. Invaghitosi della cameriera di Donna Elvira, crede che per riuscire nel suo intento sia più conveniente presentarsi con gli abiti di Leporello. Allo stesso modo, celandosi dietro gli abiti del servo, convince Donna Elvira del suo amore. Partita la nobidonna col servo, Don Giovanni canta alla cameriera, quando sopraggiunge Masetto accompagnato da alcuni paesani vogliosi di vendetta.

Il falso Leporello dà loro delle indicazioni errate e rimasto solo con Masetto lo schernisce. Zerlina consola lo sposo mentre il vero Leporello cerca di fuggire dal posto in cui è con Donna Elvira, ma incontra Zerlina, Masetto, Donna Anna e Don Ottavio; i quali, scambiatolo per Don Giovanni, lo aggrediscono. Così l’uomo svela la sua vera identità (Viver lasciatemi per carità) lasciando gli altri in uno stato di confusione.

Don Giovanni è giunto in un cimitero, quando una voce lo ammonisce : “Di rider finirai prima dell’aurora” , è l’oracolo della Statua del Commendatore. Don Giovanni, dopo un attimo di timore, si fa burla di quanto accaduto e chiede a Leporello di porgere alla voce-statua l’invito per cena e lui Signor, il padron mio, badate, non io, vorria con voi cenar”, e la Statua china la testa ed acconsente.

Don Ottavio, nel frattempo, chiede a Donna Anna di sposarlo, ma la donna rifiuta.

Adesso, Don Giovanni è nel suo palazzo, sta cenando ed scolta musica, quando la Statua del Commendatore giunge in scena. Don Giovanni sembra essere forte, ma non vuole pentirsi di quanto fatto (“Pentiti, scellerato!”, “No!”, “Cangia vita!”, “No!”) e sprofonda tra le fiamme sotto lo sguardo incredulo ed impaurito del suo servo. Il Coro punisce con le parole del canto Don Giovanni, peccatore.

Sulla scena giungono anche gli altri, chiedendo a Leporello del padrone. Questo gli racconta quanto accaduto. Donna Elvira prenderà i voti, Donna Anna non sposa ancora Don Ottavio chiedendogli di aspettare che passi il suo dolore. Insieme concludono con un coro sull’antica canzone che condanna un miscredente a non lasciare rimpianti.

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