mondiali di calcio Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 11 Jan 2024 17:47:58 +0000 it-IT hourly 1 Miracolo di Belo Horizonte https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/ https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/#respond Fri, 28 Jan 2022 10:30:15 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38548 Quando l’Inghilterra calcistica perse contro gli Stati Uniti d’America

Il Miracolo di Belo Horizonte è un’espressione con cui si ricorda un evento sportivo storico. Ai mondiali di calcio del 1950, che si svolsero in Brasile, l’Inghilterra perse contro gli USA.

Il contesto

Nel 1950 l’Inghilterra partecipa per la prima volta al campionato mondiale di calcio. Gli inglesi sono considerati gli inventori del gioco (ne abbiamo parlato nell’articolo sulla storia del calcio); prima di questa edizione tuttavia non avevano mai partecipato ai campionati del mondo. Si sono autoesclusi dalla FIFA (Fédération Internationale de Football Association) e non sono stati inclusi tra i partecipanti alle prime tre edizioni (1930, 1934, 1938).

Ma sono pur sempre i “maestri inglesi” e quando arrivano in Brasile, sede della manifestazione, hanno alle spalle una serie pressoché ininterrotta di successi, spesso travolgenti, colti nel secondo dopoguerra.

Di contro gli Stati Uniti hanno preso parte a tutte le edizioni precedenti, cogliendo anche un inatteso 3° posto nel corso della prima manifestazione assoluta, nel 1930. Negli anni che precedono questa 4ª edizione, hanno subito quasi solo sconfitte, anzi disfatte. Ciononostante trovano la forza di qualificarsi, a spese di Cuba.

Le squadre

Viste le premesse, i Maestri sono gli ovvi favoriti della manifestazione. Hanno sconfitto due volte in amichevole gli Azzurri, detentori del titolo dal 1938 (le edizioni del 1942 e del 1946 sono state annullate a causa della guerra). Tra i favori ci sono anche i padroni di casa verde-oro.

Per dare un’idea del livello, nella nazionale di Sua Maestà militavano attaccanti del calibro di:

  • Stanley Matthews, futuro baronetto e 1° vincitore del Pallone d’oro;
  • Stan Mortensen, celebre in Italia per un gol segnato alla Nazionale azzurra con un tiro a effetto dalla linea di fondo che beffò un sorpresissimo Valerio Bacigalupo.

Di contro, gli Americani erano quasi tutti dilettanti; alcuni addirittura in attesa della cittadinanza statunitense.

La partita: il Miracolo di Belo Horizonte

E’ giovedì 29 giugno 1950.

Le squadre di Inghilterra e USA si presentano sul terreno di gioco di Belo Horizonte, città capitale dello Stato del Minas Gerais.

Ad arbitrare la partita c’è l’italiano Generoso Dattilo.

Siamo alla seconda giornata del girone di qualificazione. Gli inglesi hanno vinto la loro prima partita; gli statunitensi sono invece stati sconfitti 3-1dalla Spagna, pur essendo rimasti in vantaggio fino ai 10 minuti finali.

Inizia la partita.

Gli inglesi partono subito all’attacco; creano numerose occasioni per portarsi in vantaggio, ma al 37° minuto è l’attaccante americano Joseph Gaetjens (detto Joe), di origine Haitiana, a segnare di testa, beffando clamorosamente l’incerto goalkeeper inglese (portiere) Bert Williams.

Per il resto del primo tempo e per tutta la ripresa, gli uomini del c.t. britannico Walter Winterbottom cercano di raggiungere almeno il pareggio, ma invano.

I minuti finali

Al minuto 82′, il difensore USA Charlie Colombo atterra fallosamente Mortensen al limite dell’area. Gli inglesi reclamano il calcio rigore, ma Dattilo assegna loro un calcio di punizione. Dagli sviluppi di quest’ultimo l’Inghilterra arriva a sfiorare il gol di testa sotto porta: il tiro viene bloccato da Borghi sulla linea. L’Inghilterra invoca il gol, ma per l’arbitro Dattilo la palla non ha superato la linea di porta.

L’autentico eroe della partita è proprio il portiere Frank Borghi, autore in questa storica giornata sportiva di epiche parate.

L’episodio e i l’avvicinarsi della fine del match minano il morale dei britannici, che rischiano addirittura di subire lo 0-2 pochi istanti dopo.

Si arriva al fischio finale: gli Stati Uniti d’America battono l’Inghilterra per 1-0.

La gioia degli americani è incontenibile. Anche il pubblico brasiliano è entusiasta della partita che viene vissuta come una vera impresa eroica, tanto che invade il terreno di gioco portando in trionfo Joe Gaetjens.

Miracolo di Belo Horizonte - Joe Gaetjens portato in trionfo
Il calciatore americano Joe Gaetjens portato in trionfo alla fine della partita

Curiosità

Prima della partita:

  • Il quotidiano britannico Daily Express scrisse: “Sarebbe giusto iniziare la partita dando [agli Stati Uniti] tre goal di vantaggio”.
  • Il Belfast Telegraph definì gli statunitensi “una squadra di uomini senza speranza”.
  • La vittoria degli Stati Uniti sull’Inghilterra fu quotata 50:1 dagli allibratori.

Dopo la partita:

  • Per la stampa anglosassone l’arbitro italiano parteggiò per gli americani.

L’evento e la partita hanno ispirato il libro The game of their lives (1996) dello scrittore statunitense Geoffrey Douglas; ad esso poi è seguito il del 2005 “In campo per la vittoria“, diretto da David Anspaugh, con Gerard Butler nei panni del protagonista Frank Borghi.

giornale americano che ricorda Frank Borghi
Un giornale USA ricorda l’impresa di Frank Borghi (Soccer America, 26 aprile 1990)

Il proseguimento del mondiale di calcio 1950

L’esito del match Inghilterra-USA venne conosciuto dal resto del mondo con un certo ritardo. Va considerato che l’efficienza delle comunicazioni dell’epoca non è paragonabile a quella odierna. Un giornale britannico credette a un terribile errore di trascrizione della “velina” in arrivo dal Brasile: venne così diffusa la notizia della vittoria inglese per 10-1.

Sebbene sia entrata nella storia, paradossalmente questa partita fu abbastanza ininfluente per le due nazionali: entrambe le squadre persero la loro 3ª e ultima partita del girone e furono eliminate. Gli Stati Uniti persero contro il Cile; gli inglesi persero contro la Spagna.

A proseguire il cammino furono poi le Furie Rosse, che approdarono al girone finale, arrivando quarti al termine del campionato.

Al Miracolo di Belo Horizonte seguì un’altra partita capace di ribaltare clamorosamente il pronostico: fu proprio la finale del 1950, ricordata come la notte del Maracanazo. I favoritissimi padroni di casa del Brasile vennero sconfitti dall’Uruguay (che peraltro schierava fuoriclasse del calibro di Obdulio Varela, Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino).

Ma questa è un’altra storia.

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Perché l’azzurro è il colore della nazionale italiana? https://cultura.biografieonline.it/azzurro-colore-nazionale-italiana-calcio/ https://cultura.biografieonline.it/azzurro-colore-nazionale-italiana-calcio/#comments Sat, 12 Dec 2020 14:50:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8921 Il colore che identifica la maglia delle nazionali sportive italiane è l’azzurro e deriva dallo stemma araldico di Casa Savoia. In onore di essi, il 6 gennaio 1911, all’Arena di Milano, la Nazionale di calcio, disputò la sua prima partita, contro l’Ungheria, scendendo in campo con le maglie azzurre, proprio per omaggiare i regnanti d’Italia. Si chiamava fascia, il drappo di tela che veniva posto trasversalmente sopra lo scudo nobiliare, e quello di Casa Savoia era per l’appunto di colore azzurro.

La nazionale italiana di calcio campione del mondo 2006
L’azzurro è il colore delle maglie della nazionale italiana di calcio ma anche delle nazionali italiane in genere.

La divisa sportiva aveva una colorazione azzurra e, posto sul lato del cuore, si evidenziava uno scudo rosso con croce bianca che era il simbolo di Casa Savoia. La maglia che indossavano in quel periodo era molto semplice, con colletto a polo, relativi calzoncini bianchi e calzettoni neri. Inizialmente venivano usate maglie con il colletto con i laccetti, sostituite poi da un semplice girocollo.

Nelle partite, precedenti a quella del 6 gennaio 1911, della Nazionale italiana, la maglia era bianca, probabilmente in onore della squadra più forte dell’epoca, la Pro Vercelli e tale colore è usato tutt’oggi per la seconda maglia vestita dalla nostra squadra di calcio e nelle altre discipline.

Nazionale italiana di calcio 1982
Gli Azzurri campioni del mondo nel 1982, portano in trionfo il CT della nazionale Enzo Bearzot

Invece durante i Giochi Olimpici di Berlino del 1936, per volontà di Benito Mussolini, nel match disputato contro i Francesi, la Nazionale di calcio scese in campo con una maglia di colore nero a simboleggiare il potere e la forza del periodo fascista. Esclusa questa partita, la Nazionale italiana ha sempre disputato gli incontri, indossando la maglia azzurra o quella bianca; come è noto l’Italia calcistica venne denominata da tutti la squadra degli Azzurri.

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Moviola negli eventi sportivi. Dal tennis al calcio e le possibili polemiche https://cultura.biografieonline.it/la-moviola-nello-sport/ https://cultura.biografieonline.it/la-moviola-nello-sport/#comments Wed, 19 Jul 2017 15:50:35 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22866 La “moviola“, termine cinematografico che indica una particolare tecnica di montaggio dei film, è ormai da quarant’anni una parola associata allo sport. E alle polemiche che purtroppo spesso provoca.

Molti anni fa, durante il torneo di tennis femminile WTA che si teneva a Palermo al Country Time Club e che seguivo per il Giornale di Sicilia, ebbi la fortuna e il privilegio di intervistare Eva Asderaki. Un nome che certamente dice nulla a chi non segue il tennis, ma che invece dice tantissimo agli appassionati. La giovane e spigliata ragazza greca è infatti da anni uno dei giudici di sedia più apprezzati del circuito di tennis professionistico. E’ un arbitro cosiddetto “gold badge”, il livello più alto. Lo dimostra la sua designazione per la finale femminile del torneo di Wimbledon 2017 tra Garbine Muguruza e Venus Williams.

Eva Asderaki
Eva Asderaki, arbitro internazionale di tennis (nata in Grecia il 27 gennaio 1982). A destra con Novak Djokovic e Roger Federer: nel 2015 è stata la prima finale Us Open arbitrata da una donna.

Alla Asderaki feci una domanda che mi frullava in testa da molto tempo, e che da cronista sportivo non potevo non fare: “l’introduzione nel tennis del cosiddetto Occhio di Falco, ha sminuito il vostro ruolo di arbitri?

La moviola nel tennis

L’”Hawk Eye” – Occhio di Falco appunto – è il nome convenzionalmente assegnato alla tecnologia con cui nel tennis si può stabilire con estrema precisione se una palla è finita dentro o fuori dal campo. Si utilizzano delle telecamere opportunamente posizionate ai bordi del terreno di gioco e un software di conversione grafica.

Ogni giocatore ha a disposizione un certo numero di chiamate dette “challenge” (tre per ogni set, più una di bonus in caso di tie-break) che può invocare se ritiene che il giudice di linea o il giudice di sedia abbiano sbagliato una chiamata su una palla dubbia. Se la chiamata dimostra che il giudice ha commesso un errore, il giocatore conserva il “challenge”, altrimenti lo perde. Una moviola semplice e geniale.

La domanda era motivata dall’eco delle polemiche roventi che riecheggiavano dai campi di calcio, e dalla levata di scudi della classe arbitrale internazionale, che riteneva allora l’adozione della cosiddetta “moviola in campo” di difficile attuazione in uno sport senza pause di gioco e anche una indebita intrusione nella loro sovranità.

La risposta della Asderaki fu netta e inequivocabile. Non solo non considerava affatto “invadente” l’introduzione della tecnologia, ma anzi mi spiegò come l’Occhio di Falco avesse giovato a tutto il movimento tennistico. Tennisti, giudici di linea, arbitri e anche il pubblico erano molto più tranquilli, sapendo che il rischio che un errore umano e in perfetta buona fede potesse decidere una intera partita non c’era più.

Moviola - Tennis - Occhio di falco - Hawk eye
Moviola nel tennis: un giudice consulta l’Occhio di falco (Hawk-eye).

L’instant replay nel calcio

L’autorevole parere dell’arbitro greco era peraltro già avallato da quanto accadeva e accade da anni in sport importanti come il rugby, il basket e il football americano, dove l’introduzione della moviola in campo aiuta concretamente (e soprattutto serenamente) i direttori di gara nel loro lavoro.

Dopo infinite discussioni ed altrettante polemiche, anche il calcio sta finalmente “piegandosi” all’aiuto della tecnologia, stretto d’assedio, più che dalle pressioni interne, proprio dai risultati concreti e convincenti che sono arrivati dagli altri sport. Insomma, se è dimostrato che altrove la moviola funziona, non ci si può più esimere dal provarla anche nello sport più popolare al mondo. Solo che – particolare non trascurabile – il calcio è un po’ meno lineare del tennis. Le situazioni di gioco sono più complesse e il campo molto più esteso. Occorreva dunque operare su più fronti.

I gol fantasma

L’urgenza più importante era quella legata alla decisione gol/non gol. A partire dal 1966 e dalla famosa finale mondiale tra Inghilterra e Germania decisa da un “gol fantasma” dell’inglese Hurst (le immagini dimostrarono chiaramente che la palla non aveva sorpassato la linea!), fino al gol valido ma non visto del milanista Muntari durante una sfida di campionato contro la Juventus nel 2012, la decisione di assegnare o meno una segnatura dubbia era l’incubo di ogni terna arbitrale.

YouTube Video

Il primo passo importante è stata quindi l’introduzione della cosiddetta “Goal Line Technology”, un sistema di sensori piazzati sui pali e sulla traversa e collegati ad un dispositivo elettronico posto al polso dell’arbitro: se la palla è totalmente dentro la linea il dispositivo emette un suono, e il gol viene assegnato senza alcun dubbio. La moviola cominciava finalmente a spostarsi dagli studi televisivi ai campi.

Restavano però altre situazioni di gioco altrettanto delicate e di difficile valutazione, come il fuorigioco, l’assegnazione di un calcio di rigore o i falli da espulsione, e anche qui l’ausilio della moviola poteva essere decisivo. Non è un mistero per nessuno infatti che durante la finale del mondiale 2006 che vide l’Italia trionfare sulla Francia, la testata a Materazzi che costò l’espulsione a Zidane sfuggì all’arbitro argentino Elizondo, ma non al quarto uomo. E soprattutto alle telecamere, che fecero rivedere immediatamente il replay dell’episodio sui maxi-schermi dello stadio di Berlino.

Il progetto VAR

La FIFA ha dunque finalmente approvato il progetto VAR (Video Assistant Referee), che debutterà a livello internazionale nel mondiale del 2018 in Russia ma che già dall’anno prossimo verrà adottato in alcuni campionati nazionali tra i quali la nostra Serie A. Questo sistema, del tutto simile a quello utilizzato nel rugby, prevede la presenza di un assistente addizionale che, per aiutare l’arbitro, esaminerà le sue decisioni con l’ausilio di filmati video.

In ogni caso sarà sempre il direttore di gara ad avere l’ultima parola sulla decisione definitiva. E l’impatto di questo tipo di moviola sui tempi di gioco dovrebbe essere minimo e limitato a una quarantina di secondi. In nessun caso, infine, i giocatori o le panchine potranno richiedere l’intervento della VAR. Ciò per evitare di interrompere azioni decisive o usare il sistema per furbe perdite di tempo.

Moviola - Fuorigioco - Guardalinee

Le polemiche sportive

Se questo sistema si rivelerà davvero capace di mettere fine una volta per tutte alle polemiche che arroventano il mondo del calcio non è ancora certo. Chiunque segua il calcio e la moviola alla tv sa benissimo che in alcuni casi non bastano una ventina di replay da svariate posizioni per capire l’entità di un fallo. Oppure se un contatto avvenga dentro o fuori dall’area.

La scelta di lasciare comunque all’uomo la discrezionalità sulla decisione appare saggia, anche se alcuni dubbi non potranno mai essere fugati del tutto. Quanto inciderà la pressione del pubblico su una decisione in campi particolarmente “caldi”, ma soprattutto come si concilierà questa “rivoluzione” rispetto ai campionati minori, nei quali non ci sarà la possibilità economica e tecnica di adottare la VAR. Si corre il rischio di avere un calcio di nicchia nel quale l’esito sportivo è “tutelato” dalla moviola in campo, e un altro nel quale si continuerà a sbagliare senza possibilità di correzione.

L’unica cosa che appare certa è che nessuna VAR potrà mai cancellare il campanilismo e la mania di persecuzione che affligge le frange più ostinate ed estreme del tifo. Loro continueranno a non arrendersi di fronte ad una decisione avversa, nemmeno di fronte all’evidenza. Ma quello, purtroppo, è un problema di cultura sportiva, e non c’è tecnologia che possa risolverlo.

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Italia – Germania 4-3, la partita del secolo https://cultura.biografieonline.it/partita-del-secolo-italia-germania-4-3/ https://cultura.biografieonline.it/partita-del-secolo-italia-germania-4-3/#comments Mon, 17 Jun 2013 08:51:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7487 Correva l’anno 1970. Era il 17 giugno. Durante i campionati mondiali di calcio, a Città del Messico si svolge la semifinale tra Italia e Germania Ovest; l’incontro finisce 4-3 e viene ricordato come “la partita del secolo“.

La partita del secolo: targa dedicata allo storico match Italia-Germania, terminato 4-3
La partita del secolo: targa dedicata allo storico match Italia-Germania, terminato 4-3

La targa

El Estadio Azteca, rinde homenaje a las selecciones de: Italia (4) Y Alemania (3). Protagonistas en el Mundial de 1970, del “Partido del Siglo”. 17 De Junio de 1970“. Questa la targa, anzi la placca affissa all’esterno di uno dei grandi tempi del calcio: lo stadio Azteca di Città del Messico. Non occorre tradurla dallo spagnolo all’italiano: l’impianto sportivo ha voluto celebrare e consegnare alla storia il match di calcio a detta di tutti gli esperti più emozionante, combattuto e bello di sempre. Il riferimento, naturalmente, E’ alla storica vittoria degli azzurri in semifinale, al Mondiale di Messico 1970, sugli eterni rivali della Germania, in una rocambolesca partita terminata dopo i tempi supplementari.

Il Mondiale della “staffetta”

Quello messicano fu il torneo della staffetta, così definita dai commentatori italiani e non solo, riguardante due grandi fuoriclasse della storia calcistica tricolore: l’interista e veterano Sandro Mazzola e il giovane e milanista Gianni Rivera, fresco di vittoria del pallone d’oro. Il ct Ferruccio Valcareggi ha dovuto sopportare il peso delle critiche sin dalle prime battute del mondiale: la stampa era divisa, anche se leggermente spostata a favore del “golden boy” milanista, forte di una grande stagione appena conclusa. Tuttavia, sarà soltanto dopo la sconfitta rimediata in finale, contro il forte Brasile di Pelè, che l’allenatore azzurro verrà letteralmente travolto dalle critiche, quando darà a Rivera appena qualche minuto di gioco.

Prima della grande semifinale

Fu solo nei quarti di finale, contro i padroni di casa messicani, che l’Italia venne finalmente fuori. Durante le gare eliminatorie infatti, gli azzurri giocarono un calcio timido, contratto, riuscendo a vincere, per uno a zero, solo contro la Svezia. I match con Uruguay e Israele infatti, finirono entrambi a reti inviolate, cosa che consentì agli azzurri di classificarsi comunque al primo posto nel girone, seppur senza esaltare per il gioco e per le qualità messe in campo.

Di contro, la Germania Ovest si presentava all’Azteca fiduciosa: stravinto il girone eliminatorio, aveva anche ribaltato il risultato nei quarti di finali, vincendo per la prima volta nella propria storia contro l’Inghilterra, all’inizio in vantaggio di due reti a zero. Alle segnature di Mullery e Peters, quest’ultima già nel secondo tempo della partita e tale da illudere ulteriormente gli inglesi, rispondono Beckenbauer, Seeler e Muller, quest’ultimo realizzando in acrobazia nel secondo tempo supplementare. Il forte attaccante tedesco inoltre, sarà uno dei protagonisti di quell’edizione del mondiale insieme proprio con il capitano Franz Beckenbauer, il quale nella partita contro l’Inghilterra giocherà una delle partite migliori della sua lunga carriera.

Tornando invece al quarto di finale disputato dagli azzurri contro il Messico, va segnalata la grande prova di Gigi Riva, autore di una doppietta, oltre che la freschezza atletica e la tecnica di Rivera, anche lui a segno e autentico uomo-assist della squadra. Anche l’Italia rimonta sul Messico, in vantaggio per una manciata di minuti nel primo tempo, ma soprattutto dà prova di grande carattere e buonissime individualità, finalmente “in palla”.

Italia - Germania (4-3) - Semifinale dei mondiali di calcio Messico '70
Messico 1970: la formazione della storica semifinale Italia – Germania (4-3)

Italia – Germania 1-1

In semifinale, i “dioscuri”, come li chiamava il grande giornalista Gianni Brera, devono lottare ancora una volta per una maglia sola. Il commissario tecnico azzurro, Valcareggi, si affida all’esperienza di Mazzola e la scelta sembra dargli ragione: la squadra parte subito con un atteggiamento aggressivo e dopo meno di dieci minuti, Boninsegna porta in vantaggio l’Italia. “Uno splendido tiro” come esulta lo storico telecronista Nando Martellini, a completamento di un’azione cercata, insistita, agevolata dalla vittoria di un rimbalzo fortuito. Da questo momento in poi, sino a due minuti e mezzo dopo dallo scocco del novantesimo, gli azzurri si difendono con ordine e tengono gli attacchi tedeschi. Ma al minuto 92, dopo ben due tiri dalla bandierina in tempo di recupero (all’epoca, quasi tutti gli arbitri fischiavano la fine dopo appena una manciata di secondi successivi al novantesimo) l’ala Grabowski crossa al centro e Schnellinger, completamente solo in area, segna con un comodo piattone.

Il pareggio avvantaggia soprattutto i tedeschi, che ritrovano le energie e cominciano a credere nella vittoria. Si va ai tempi supplementari, si va nella storia.

Italia – Germania 4-3

E’ il sesto minuto del primo tempo supplementare quando, a causa di un pasticcio difensivo, Gerd Muller trova la via del gol: il 2 a 1 è una zampata dell’attaccante tedesco, a beffare il portiere Albertosi e l’incerto Cera. Ed è soprattutto una doccia ghiacciata per gli azzurri.

Nelle fila dell’Italia però, Gianni Rivera non ci sta a perdere e appena tre minuti più tardi, scodella al centro un piattone che mette in difficoltà la retroguardia tedesca. La sfera capita dalle parti di Tarcisio Burgnich che, come un centravanti consumato, con un tiro di collo trafigge il portiere Maier: è il 2-2.

La partita entra nel vivo allora: passano ancora pochi minuti e al tredicesimo del primo tempo supplementare, ancora Rivera suggerisce rasoterra per Domenghini, cross immediato per Riva che, dopo una finta di grande spessore tecnico, col suo sinistro buca ancora una volta la porta tedesca. Un gol stupendo.

Intanto, a conferire alla partita un ché di epico, c’è anche il gesto stoico del capitano Franz Beckenbauer, il quale gioca entrambi i tempi supplementari con una vistosa fasciatura alla spalla, lussata durante la partita.

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L’esempio funziona e i tedeschi agguantano ancora una volta il pareggio: al 5′ del secondo tempo supplementare, ancora Gerd Muller riporta in parità la partita: 3-3 e i messicani sugli spalti sono completamente in estasi. La rete del centravanti teutonico, un colpo di testa a correzione del precedente stacco del compagno di reparto Uwe Seeler, è agevolata dal mancato intervento di Rivera, piazzato sulla linea di porta.

Ma il destino è in agguato e arride agli azzurri. l’Italia batte a centrocampo, palla a Burgnich, lancio basso per Boninsegna che si invola sul fondo, passaggio rasoterra al centro e piatto preciso ancora una volta di Gianni Rivera. Il definitivo 4-3 arriva, ed è storico: “Che meravigliosa partita ascoltatori italiani” è il commento di Nando Martellini, voce storica degli azzurri.

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La finale

Dopo l’impresa però, l’Italia deve inchinarsi alla forza dei brasiliani: secondo molti la migliore selecao della storia della nazionale verde-oro. Al colpo di testa di Pelè, un gioiello di tecnica e agilità, risponde Boninsegna, che sfrutta un’uscita sbagliata del portiere.

Messico 1970: Italia - Brasile (4-1)
Messico 1970: uno dei gol della finale tra Italia e Brasile

Il primo tempo illude gli azzurri, ma la ripresa è tutta di marca brasiliana. Sblocca Gerson, con un gran tiro che finisce all’angolino. Tocca poi a Jairzinho portare a tre le segnature, su assist di testa di Pelè. E infine, al minuto 41, chiude Carlos Alberto, ancora servito da “O Rey”. L’Italia perde il mondiale, ma la semifinale contro la Germania sarà per sempre ricordata come la partita del secolo.

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Uruguay 1930: il primo campionato mondiale di calcio https://cultura.biografieonline.it/uruguay-1930-primo-mondiale-di-calcio/ https://cultura.biografieonline.it/uruguay-1930-primo-mondiale-di-calcio/#respond Fri, 30 Mar 2012 05:33:25 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1259 È il più alto dirigente FIFA, il francese Jules Rimet, che vuole a tutti i costi la nascita della più importante competizione sportiva di sempre: i campionati mondiali di calcio. Il dirigente ci crede e fa in modo che la sua Francia sia tra le quattro nazioni europee, insieme con la Jugoslavia, la Romania e il Belgio, a prendere parte all’importante iniziativa. La coppa pertanto, dal 1946 fino al 1970, prenderà proprio il suo nome, “Coppa Rimet“. Il primo appellativo usato per la celebre coppa è quello di “Coppa della Vittoria” o, anche, semplicemente “Vittoria”.

Uruguay 1930, manifesto
Uruguay 1930, manifesto

È il 1929 quando, nel corso della conferenza di Barcellona, viene designato l’Uruguay come paese ospitante, a scapito di altri, come la stessa Italia, che per primi si erano fatti avanti. I sudamericani hanno sbancato nella disciplina calcistica nel corso delle ultime due competizioni olimpiche e si confermano come una delle migliori scuole calcio a livello internazionale. Gli azzurri, dal canto loro, insieme con le nazionali di Germania, Cecoslovacchia e Spagna, non prenderanno parte alla competizione, a causa degli elevati costi legati alla trasferta oltreoceano. Ad ogni modo, la motivazione addotta dalla federazione uruguagia, nella fattispecie la AUF (Asociacion Uruguaya de Fùtbol), è soprattutto di carattere politico: i mondiali sono l’occasione per celebrare il centenario della Costituzione della Repubblica.

A tributare questo avvenimento, c’è anche il nuovissimo stadio chiamato Centenario, a Montevideo, campo principale della manifestazione, forte di ottantamila posti. Oltre all’Italia, mancano l’appuntamento anche le nazioni della federazione britannica: Scozia, Inghilterra, Galles e Irlanda. Avendo dato vita per prime all’importante disciplina sportiva, non vedono di buon occhio la competizione e si autoescludono, considerandosi di un livello troppo superiore rispetto alle nazioni partecipanti.

Uruguay 1930, il primo mondiale di calcio

Il primo Mondiale della storia prende il via il 13 luglio 1930 e termina il 30 dello stesso mese. Tutte le gare si disputano a Montevideo, negli stadi Pocitos, Parque Central e, appunto, Centenario. Le squadre sono tredici, raggruppate in un solo girone da quattro e nei restanti da tre ciascuno: passano solo le prime di ogni raggruppamento. Prendono parte alla competizione anche gli Usa, i quali arriveranno terzi: ad oggi il risultato più importante della nazionale statunitense.

Molte sono le singolarità di questa prima edizione, dai pantaloni alla zuava e la giacca e la cravatta degli arbitri, stando al regolamento, fino alle diatribe sui palloni da utilizzare, visto che ogni nazionale ne portava uno con proprie specifiche caratteristiche di cuoio e peso.  La prima partita che si gioca è Francia – Messico: l’inizio di una lunga storia. Vincono i transalpini e la prima rete della storia dei campionati mondiali è firmata da Lucien Laurent.

Semifinali e finale

Arrivano alle semifinali le squadre nazionali di Argentina, Jugoslavia, Uruguay e Stati Uniti. La favorita sembra essere proprio la prima di queste quattro, la quale calpesta senza problemi tutti gli avversari: Francia, Cile e Messico. A spiccare, tra i bianco-celesti, c’è l’italo-argentino Guillermo Stàbile, ala di grande bravura, che risulterà l’uomo del mondiale, forte dei suoi 8 gol. Anche l’Uruguay batte con facilità le altre squadre, Perù e Romania, e si presenta in semifinale contro la Jugoslavia, che sconfigge con un perentorio 6-1. Gli argentini però non sono da meno e rifilano lo stesso punteggio tennistico agli Usa, presentandosi all’attesissima finale della competizione.

Nonostante sia il primo campionato del mondo, l’entusiasmo a Montevideo è grande e il 30 luglio del 1930, l’arbitro belga Jean Langenus, accetta l’incarico di dirigere la gara a fronte di una congrua polizza di assicurazione sulla vita, sia per se stesso che per i propri familiari. Inoltre, pretende il biglietto di ritorno in Europa per il primo piroscafo in partenza al termine dell’incontro. Secondo altri racconti inoltre, i giocatori uruguagi avrebbero ricevuto minacce di morte dai tifosi argentini, se non avessero perso la finale. Tanta è la tensione poi, che l’Uruguay deve rinunciare al forte attaccante Anselmo, scappato dallo Stadio Centenario pochi minuti prima della gara, a causa di un attacco di panico.

Prim’ancora del fischio di inizio, la partita è già nella storia. I due capitani delle rispettive nazionali infatti, non riescono ad accordarsi per il pallone: quello argentino sembra essere più leggero, quello uruguagio invece nettamente più pesante. Per venire incontro ad entrambe, l’arbitro decide di far giocare il primo tempo con quello argentino e il secondo con il pallone dei padroni di casa. Inoltre, la partita si disputerà sotto una leggera nevicata, evento a dir poco straordinario per la città di Montevideo, nonostante il clima rigido di luglio.

Uruguay 1930: la coppa e il pallone di cuoio della finale
Uruguay 1930: la coppa e il pallone di cuoio della finale

Dopo dodici minuti di gara, è la “celeste” a portarsi in vantaggio con la rete di Dorado. Passano appena otto minuti però, e gli argentini pareggiano con Peucelle, che nella precedente partita, vinta in semifinale con gli Usa, aveva realizzato una tripletta. Al minuto 37 arriva anche il 2-1 dell’Argentina, con il solito Stàbile, giocatore che finirà in Italia, nel Genoa e nel Napoli, e che risulterà essere, al termine della competizione, il capocannoniere assoluto, con ben otto reti.

Il secondo tempo però, è un’altra partita. Gli uruguaiani hanno il loro pallone e già al minuto 57 pareggiano i conti con il cannoniere Cea, per poi passare in vantaggio con Santos Iriarte dieci minuti dopo. All’89’ arriva il gol della sicurezza, grazie al colpo di testa di Castro, giocatore privo della mano destra, persa in un incidente sul lavoro all’età di tredici anni.

La partita termina dunque 4-2 e regala al paese ospitante, l’Uruguay, la prima edizione dei campionati mondiali di calcio. Allenatore della squadra vincitrice è Alberto Suppicci.

Risulteranno essere circa novantamila gli spettatori, nonostante una capienza massima fissata intorno agli ottantamila. I festeggiamenti, dopo la vittoria nella finale, dureranno per giorni, tanto che il 31 luglio verrà proclamato festa nazionale.

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I titoli mondiali della nazionale brasiliana di calcio https://cultura.biografieonline.it/i-titoli-mondiali-della-nazionale-brasiliana-di-calcio/ https://cultura.biografieonline.it/i-titoli-mondiali-della-nazionale-brasiliana-di-calcio/#comments Tue, 31 Jan 2012 09:15:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=382 Svezia 1958, il primo

Con cinque trofei nel proprio palmares, sorprende che si sia fatto attendere così tanto, il Brasile, prima di cominciare la sua collezione di Coppe del Mondo. Il primo titolo, infatti, arriva nel 1958, in Svezia, dopo ben cinque competizioni, intervallate dalla drammatica parentesi bellica la quale, com’è ovvio, ha stoppato i giochi dal ’38 fino al ’50. Stando alle previsioni inoltre, sarebbe dovuta essere proprio quest’ultima edizione quella decisiva per il Brasile, atteso in casa per prendersi il primo storico titolo dell’allora Coppa Rimet. Invece, al Maracanà, ad imporsi in quel mondiale fatidico furono i cugini nemici dell’Uruguay, grazie ad alcuni campioni di origini italiane come Schiaffino e Ghiggia, tra i protagonisti di quella edizione.

USA 1994: il Brasile si laurea campione del mondo vincendo contro l'Italia ai rigori
La nazionale brasiliana campione del mondo a USA 1994

Non è un caso, pertanto, che la parabola dorata del Brasile coincida con l’esplosione del giocatore di calcio a lungo considerato il più forte del secolo: “O Rey” Pelé. Nel 2000 infatti, sarà unanime il verdetto che dirà che “La perla nera”, insieme con il funambolico e folle Diego Armando Maradona, è da considerarsi, a ex aequo, il numero uno dei calciatori del secolo XX.

Ad ogni modo, la nazionale verde-oro che si presenta ai mondiali svedesi è sin da subito considerata tra le favorite, nonostante abbia avuto non poche difficoltà a qualificarsi durante le eliminatorie. Quello del ’58 infatti, con la nascita e la diffusione del media televisivo, è da considerarsi il primo vero campionato mondiale a lunga gittata mediatica. La conseguenza è una forte richiesta di partecipazioni da parte delle nazionali, di cui farà le spese la stessa nazionale italiana, esclusa, nell’unica volta della sua storia, dalle fasi finali mondiali, sconfitta nella partita decisiva contro la modesta Irlanda del Nord per 2-1.

Il Brasile viene da un Mondiale ’54 piuttosto deludente, dopo un avvio schioppettate che ha visto i sudamericani capitolare ai quarti di finale contro la corazzata magiara: il 4-2 degli ungheresi parla chiaro e in quell’edizione, Hidegkuti, Kocsis e Puskas risultano essere i veri “brasiliani” del torneo.

Quattro anni dopo, la kermesse calcistica si tiene nella neutrale Svezia, scelta come luogo ospitante anche e soprattutto per la sua lontananza dai blocchi occidentali e orientali, a quel tempo in piena tensione a causa della Guerra Fredda.

Didì, Vavà, Pelé e Garrincha.

La fase di qualificazione è favorevole ai brasiliani, i quali tengono al calduccio le caviglie del diciassettenne Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelé. La “perla nera” verrà mandata in campo solo ai quarti, contro il sorprendente Galles, all’esordio mondiale, battuto proprio grazie ad un gol del giovane talento. A fare i fenomeni, nel frattempo, sono soprattutto Didì e Vavà, rispettivamente il centrocampista inventore della punizione “a foglia morta”, o “folha seca” in portoghese, e un centravanti di sfondamento come pochi a quel tempo. Ma a spiccare su tutti, è forse il giocatore che, con Pelé, è da considerarsi il vero, grande protagonista del mondiale: Garrincha.

Lo zoppo “passerotto” – il suo soprannome deriva proprio dal nome di un uccello tropicale dall’andatura zoppicante – è l’ala destra che mancava al calcio mondiale. Tecnico, rapidissimo, spietato sotto porta, Dos Santos Garrincha ha dalla sua una menomazione che, come nelle favole a lieto fine, è la sua grande caratteristica. Colpito da una poliomielite ancora bambino, a dir poco cagionevole per tutto il resto dei suoi giorni, il futuro “campeon” cresce con una deformazione fisica caratterizzata da una gamba più corta dell’altra e che, a ben guardare, lo dota di una finta ancora oggi impossibile da imitare. Quello del 1958 è senza dubbio il suo mondiale.

Tuttavia, il Brasile impone la propria forza solo nella semifinale contro la fortissima Francia, che fino a quel momento aveva dato spettacolo, trainata dal suo centravanti Just Fontaine, capocannoniere di quell’edizione con ben 13 segnature. È la partita di Pelé, questa. Il diciassettenne mette a segno una tripletta, consegnando alla sua nazionale uno straordinario 5-2. Emblematica, la seconda rete di “O’Rey”, con Garrincha che semina il panico sulla fascia, serve al centro il giovane attaccante e questi, senza pensarci due volte, aggancia al volo e trafigge il portiere avversario nell’angolino, con uno dei suoi gol tipici: un concentrato di potenza, classe e precisione. Intanto, a Goteborg, sempre alle ore 19 di quello stesso 24 giugno, l’altra grande favorita del Mondiale e non solo perché nazione ospitante, la Svezia, faceva poltiglia della Germania dell’Ovest, detentrice del titolo, battendola per 3-1, grazie a Kurt Hamrin e, soprattutto, all’uomo squadra Nils Liedholm.

Allo stadio “Rasuna” di Solna, il 29 giugno del 1958, la finale mette davanti due filosofie calcistiche differenti, due modi di intendere il football completamente avversi: da una parte la forza fisica e l’intelligenza tattica della Svezia del “barone” Liedholm, dall’altra il calcio “bailado” dei brasiliani, in campo con circa quattro attaccanti e almeno altri tre giocatori con caratteristiche offensive. Ad avere ragione però, sono i campioni del Brasile, nonostante il provvisorio vantaggio firmato da Liedholm, già al quarto minuto della partita. D’altronde, a detta degli stessi svedesi, il solo raggiungimento della finale è di per sé una sorta di vittoria.

La partita termina nuovamente per 5-2, sancendo lo strapotere sudamericano. Segnano Zagallo, Vavà e Pelé, entrambi autori di una doppietta. Nella segnatura di testa inoltre, quella del quinto gol, resterà per sempre nella storia di questo sport l’urlo del radiocronista per l’emittente nazionale brasiliana, tale Osvaldo Moreira: il primo di una serie interminabile di “gooooool!” che saranno il segno distintivo del modo di raccontare – e vivere – il football da parte dei brasiliani.

Cile 1962, I mondiali del gioco duro

Con la sorpresa di tutti, l’organizzazione del campionato mondiale del ’62 venne affidata al Cile, non proprio ai vertici del calcio internazionale e ancora sottoshock per il terribile terremoto del 1960. A spuntarla, durante una competizione non irresistibile per gioco e spettacolo, fu il Brasile, per la seconda volta consecutiva, impresa riuscita in precedenza unicamente all’Italia, negli anni ’30. Proprio gli azzurri fecero le spese della durezza cilena, nella partita che venne ricordata a lungo come la “Battaglia di Santiago”, nella quale subirono l’eliminazione proprio da parte dei padroni di casa, tra espulsioni ingiuste, falli al limite dell’incolumità umana e un arbitraggio a dir poco “casalingo” da parte dell’inglese Aston.

A conti fatti, quello cileno fu uno dei peggiori campionati mondiali di sempre. Ben 15 giocatori subirono incidenti piuttosto gravi, dal russo Dubinski, fratturato, al grande portiere russo Jascin, colpito proprio dal cileno Landa alla testa, nel corso di Cile – URSS. Uno dei grandi protagonisti del mondiale, Garrincha, espulso per aver reagito ad un fallo di reazione nella semifinale tra Brasile e Cile, venne colpito alla testa con una pietra lanciata dalle tribune, riportando diversi punti di sutura.

Nel frattempo, i detentori del titolo riuscirono a raggiungere le semifinali facendo a meno dell’allora giocatore più forte del mondo, il giovane e rampante Pelé. O’Rey segnò un solo gol, all’esordio contro il Messico, battuto per 2-0, ma già alla seconda partita dovette farsi da parte, a causa di un forte stiramento all’inguine. I brasiliani non riuscirono ad andare oltre il pari in quella gara contro la sorprendente Cecoslovacchia e dovettero giocarsi i quarti contro la Spagna, allora allenata dal mago Helenio Herrera. Le “furie rosse” difesero il vantaggio di Adelardo fino al ’72, per giunta sfiorando il raddoppio più volte e, in una occasione, persino realizzandolo.

L’arbitro cileno Bustamante, alla fine della partita accusato di corruzione, annullò inspiegabilmente il gol agli spagnoli e, soprattutto, non concesse un rigore per un nettissimo fallo del brasiliano Nilton Santos. Nonostante i 9 campioni del mondo, il Brasile giocò male e riuscì a vincere solo grazie al solito Garrincha, il quale risorse negli ultimi minuti del match regalando alla punta Amarildo, bravo sostituto di Pelé, i due palloni giusti che consentirono ai verde-oro di passare ai quarti di finale. Anche in questa gara, il “passerotto” fu determinante, battendo praticamente da solo la forte Inghilterra di Charlton, Moore e Haynes, la quale quattro anni più tardi si sarebbe aggiudicata in casa propria il primo e unico titolo mondiale. Garrincha ubriacò il diretto marcatore Wilson, segnò un grandissimo gol e servì su un piatto d’argento il 2-1 definitivo siglato dal bomber Vavà.

La semifinale cilena e la finale contro la Cecoslovacchia

Nonostante i pugni di Sanchez e compagni, il Brasile, trascinato ancora una volta da Garrincha, che fu espulso per reazione ma non squalificato per la finale, riuscì ad imporsi per 4-2 contro il Cile. In finale, fu ancora una volta l’ala “auri-verde” a valere il prezzo del biglietto, nonostante le difficili condizioni fisiche, ancora reduce dalle botte rimediate contro i cileni. Il 17 giugno del 1962, allo Stadio Nacional di Santiago del Cile, il Brasile si impose per 3-1 contro la sorprendente Cecoslovacchia, trascinata da Willy Schroiff, portiere dello Slovan di Bratislava e grande protagonista del torneo. I cechi passarono addirittura in vantaggio, al minuto 14, con il gol di Masopust. Tuttavia, sostenuti dagli oltre sessantamila tifosi quasi tutti di fede brasiliana, Garrincha e compagni riuscirono a venire fuori, grazie alle segnature dell’ottimo Amarildo, di Zito e del solito Vavà. La perla nera Pelé, nonostante le suppliche all’equipe medico brasiliano, non fu mai mandato in campo.

Messico 1970, il tris del Brasile

La competizione messicana fu quella a cui, per la prima volta, presero parte tutte le nazionali vincitrici almeno una volta del massimo trofeo internazionale. A preoccupare quasi tutti i team partecipanti, chiamati a preparazioni atletiche particolari, fu soprattutto l’altura di alcune città messicane. Oltre al Brasile, protagonista del torneo fu, quasi a sorpresa, l’Italia, la quale divenne famosa per la staffetta tra Mazzola e Rivera. Per gli azzurri fu il mondiale di Nando Martellini, il commentatore che accompagnò anche la vittoria nell’82. La sua voce raccontò quella che per tutti, esperti e non, è passata alla storia come la partita del secolo: la semifinale Italia – Germania, terminata dopo i tempi supplementari con il risultato di 4-3.

Ad ogni modo, nel girone di qualificazione i verde-oro liquidarono a suon di gol tutti gli avversari: quattro all’esordio con la Cecoslovacchia, uno di misura agli inglesi e tre ai romeni. Oltre ad un Pelé maturo e forse mai così forte, ci sono Tostao, Jairzinho, Rivelino e Clodoaldo, insieme a Gerson e al capitano Carlos Alberto, vero uomo squadra. È un Brasile sontuoso davanti, ma anche attento e forte dietro, soprattutto fisicamente. Secondo molti, risulterà la squadra più forte che abbia mai preso parte ad un mondiale.

Coppa del mondo di calcio FIFA
FIFA – Coppa del mondo di calcio

Una coppa per due

Mentre all’Azteca di Città del Messico andava in scena la scellerata e palpitante partita tra italiani e tedeschi, allo stesso orario di quel 17 giugno del 1970, il Brasile rispondeva con tre marcature al tentativo dell’uruguaiano Cubilla di insidiare il cammino verso il trofeo dei verde-oro. Ci pensarono Clodoaldo, Jairzinho e Rivelino a portare la nazionale brasiliana in finale, contro l’Italia di Valcareggi.

Di scena, le due nazionali vincitrici di due mondiali: stando al regolamento, una delle due squadre, vincendo la terza coppa Jules Rimet, avrebbe potuto portarsi a casa, fisicamente, il trofeo più ambito di sempre. E fu il Brasile a farlo.

Il 21 giugno del 1970, i verde-oro scrissero quattro volte la loro firma sul tabellino finale, contro l’unica segnatura italiana. Il primo tempo terminò in parità: 1-1. Tuttavia, la partita fu un dominio dei sudamericani. Al 18′, O’Rey Pelè rimase sospeso in aria e trafisse Albertosi con un colpo di testa magico, imprendibile. Allo stremo delle forze, ancora provati dalla faticaccia contro i tedeschi, gli azzurri reagirono con Boninsegna, il quale approfittò di un errore di Everaldo.

L’allenatore Valcareggi tradì la staffetta e mandò in campo per soli sei minuti il giovane Rivera, al posto di un inconcludente Mazzola, attirando su di sé tutte le polemiche possibili al suo ritorno in patria. Ad ogni modo, anche il golden boy del Milan, poco o nulla avrebbe potuto fare, contro un Brasile così forte. Al minuto 65 arrivò il gol di Gerson, con un bellissimo tiro dai sedici metri, cinque minuti più tardi Jairzinho fece tris, e allo scadere, Carlos Alberto raccolse l’ennesimo assist di Pelé e segnò la rete del finale 4-1, nell’azione più bella del match e forse del Mondiale. Il Brasile, si portava a casa la coppa.

USA 1994, Brasile all’americana

Il 4 luglio del 1988, a Zurigo, si celebra un evento storico. Sponsorizzati dalle vecchie volpi Kissinger e Reagan, gli Usa ottengono a sorpresa l’organizzazione dei Mondiali di calcio, battendo la concorrenza di Marocco e, soprattutto, del Brasile. Per la prima volta, la competizione sportiva più seguita ed economicamente rilevante del mondo, esce dai confini europei e sudamericani. Il risentimento, per la federazione brasiliana, è enorme.

Tuttavia, sarà la nazionale di Romario e Bebeto, sul campo, a fare giustizia, portandosi a casa il quarto titolo mondiale: prima nazionale a farlo. E sarà anche il mondiale della Bulgaria dei fenomeni, di Stoichkov, capocannoniere, Balakov e Lechkov, che arriverà addirittura quarta. E anche quello della Nigeria che, come il Camerun quattro anni prima in Italia, rivelerà la freschezza e la grande crescita nel soccer da parte del continente africano.

A farne le spese, per oltre ottanta minuti, sarà l’Italia di Sacchi, promossa agli ottavi dopo un girone poco esaltante. In quell’occasione, “codino” Roberto Baggio risorgerà dalle sue stesse ceneri contro gli africani Sunday Oliseh, Daniel Amokoachi e Finidi George, segnando la riscossa azzurra fino alla finale, per giunta nuovamente contro il Brasile.

Gli uomini di Alberto Parreira dal canto loro sono pratici: pochi fronzoli, tre mediani d’esperienza in mezzo al campo, Dunga, Mauro Silva e Zinho, il lento ma tecnico Rai (fratello minore di Socrates) dietro i due veri fenomeni della squadra, Romario e Bebeto. A dare vivacità, sono soprattutto i terzini, come Cafù e Leonardo, o in alternativa Jorginho e Branco: due attaccanti aggiunti, in pratica. In panchina, senza mai entrare in campo, c’è anche il diciassettenne Ronaldo: considerato già da molti il vero “fenomeno”.

I verde-oro battono in scioltezza la Russia e il Camerun, pareggiando contro la forte Svezia di Kennet Andersson ed Henrik Larsson, che arriverà terza al Mondiale. Agli ottavi, dopo “l’urlo di Maradona” davanti la telecamera, trovato positivo ad un “dimagrante” proibito, la Selecao incrocia e batte di misura gli Usa, la cui qualificazione tra le sedici migliori del mondo è già un grande risultato. Ai quarti, i brasiliani superano anche l’Olanda di Bergkamp, non prima di essersi fatti rimontare di due reti. A decidere, una punizione-bomba del vecchio Claudio Ibrahim Vaz Leal, in arte Branco, vecchia conoscenza del Genoa.

Semifinali e Finale.

Mentre l’Italia ormai di Roberto Baggio dà una prova di forza contro la sorprendente Bulgaria, stesa proprio da un uno-due micidiale del “codino” allora bianconero, dall’altra parte fa altrettanto il Brasile, il quale ritrova la Svezia, con cui ha già pareggiato durante la fase a gironi. Thern, Brolin e il portierone Tomas Ravelli si rivelano un avversario ostico, il quale però deve capitolare davanti alla velocità dei singoli verde-oro: il colpo di testa di Romario basta a riportare in finale il Brasile, dopo ventiquattro anni dall’ultima volta. All’epoca c’era Pelè e c’era soprattutto l’Italia, come avversaria.

Per esigenze televisive si gioca a mezzogiorno e mezzo e il Rose Bowl di Pasadena, a Los Angeles, in quel 17 luglio del 1994, è letteralmente infuocato. L’Italia è in emergenza e, soprattutto, presenta un Roby Baggio evidentemente infortunato, afflitto da una contrattura ai flessori della coscia destra. Dall’altra parte, il Brasile è la squadra che ci prova di più e che va più vicina al gol, nell’arco dei 120 minuti di gioco, compresi i tempi supplementari. A testimoniarlo, un palo su punizione di Branco e una clamorosa palla gol fallita dal mediano Mazinho, uno dei tanti ruba palloni schierati dal pragmatico Parreira.

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Il Brasile vince ai rigori, grazie alle segnature di Romario, Branco e Dunga. Per gli azzurri sbagliano i migliori: Franco Baresi e, quello decisivo, Roby Baggio, oltre al tiro parato di Massaro. Vince il Brasile 3-2, per la quarta volta campione del mondo.

Corea-Giappone 2002, Il Brasile è pentacampeon

Superato lo shock del 1998, quando i verde-oro sono stati meritatamente affondati dai francesi, in casa loro, guidati da un formidabile Zinedine Zidane, a soli otto anni dall’ultimo trofeo, in terra asiatica, Ronaldo consegna per la quinta volta il trofeo iridato alla propria nazionale.

Tra disastri arbitrali e falle organizzative di varia natura, il Mondiale di Corea e Giappone non passerà di certo alla storia, anche e soprattutto per il mediocre livello generale delle squadre. Sarà forse unicamente la Turchia di Hakan Sukur, l’unica vera nota positiva del campionato, tanto da arrivare terza alla fine del torneo.

Per gli azzurri, sarà un disastro, soprattutto a causa delle scelte dell’allenatore Trapattoni e di quelle, ben più in mala fede, dell’arbitro ecuadoregno Byron Moreno, autore di una direzione di gara nell’ottavo tra Italia e Corea del Sud a dir poco imbarazzante, che ha segnato l’uscita proprio dei quotati italiani.

Ad ogni modo, il Brasile passeggia sugli avversari praticamente fino alle semifinali, con gol a raffica, soprattutto contro Cina e Costarica. Spicca Ronaldo, ovviamente. Ma anche Rivaldo, grande partner d’attacco, e il giovane e brillante fantasista del Monaco, che al termine della stagione passerà al Barcellona. Si chiama Ronaldinho e sembra davvero un fenomeno. Ai quarti, l’unica partita davvero da mondiale, per la cavalcata verde-oro, contro la forte Inghilterra allenata dalla vecchia volpe Sven-Göran Eriksson, miglior difesa fino a quel momento. A passare, infatti, sono proprio i britannici, con il furetto Owen, che sfrutta uno svarione di Lucio per freddare Marcos.

Proprio a pochi istanti dall’intervallo, però, il genio di Ronaldinho illumina ancora una volta la squadra di Felipe Scolari, l’allora ct brasiliano, mandando in rete il compagno d’attacco Vito Rivaldo. Il 2-1 definitivo è firmato proprio dal futuro fantasista del Barcellona e poi del Milan, che beffa con una punizione velenosa il colpevole portiere inglese David Seaman.

Brasile – Germania, finale senza storia.

In semifinale poi, i verde-oro ritrovano i turchi, beffati durante la fase a gironi con un rigore inesistente. La squadra di Sukur e compagni, ha superato di misura forse l’unica bella realtà del torneo, il Senegal di Fadiga, Bouba Diop e Diouf, che alla prima giornata si era “permessa” persino di battere i campioni in carica della Francia. Ad ogni modo, mentre dall’altra parte i tedeschi battono i coreani, giunti tra le prime quattro dopo l’ennesimo arbitraggio a favore (la nazione spagnola si sta ancora chiedendo il perché di due gol annullati ai quarti di finale), grazie al terzo 1-0 consecutivo, il Brasile ringrazia il suo bomber Ronaldo, che con una “puntata” da calcio a 5 concretizza l’assist del bravo Kleberson. Finisce anche qui 1-0, ma il team di Scolari legittima la vittoria, grazie ad un gioco spumeggiante e ad una serie di conclusioni a rete parate da Rustu, estremo difensore turco di grande talento.

A Yokohama poi, il 30 giugno del 2002, dopo un primo tempo intenso e giocato alla pari, è Ronaldo, ancora una volta, a consegnare il titolo iridato alla sua nazione. Il suo uno-due è micidiale: prima ribatte in rete il tiro di Rivaldo mal trattenuto dal fortissimo Kahn, poi se ne va ben lanciato da Gilberto Silva, e sigla il 2-0 finale. Il Brasile è campione del mondo per la quinta volta, unica squadra della storia.

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