minimum fax Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 05 Dec 2019 08:38:42 +0000 it-IT hourly 1 Intervista a Fabrizio Gifuni https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-fabrizio-gifuni/ https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-fabrizio-gifuni/#respond Thu, 21 Jun 2012 13:18:56 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2741 Fabrizio Gifuni. Nato a Roma, formatosi all’Accademia Silvio D’Amico, è uno dei migliori attori italiani di cinema e teatro, pluripremiato anche all’estero e, anche, conosciuto sul piccolo schermo per aver preso parte ad alcune fiction di qualità.

Fabrizio Gifuni
Fabrizio Gifuni

Tra le sue molte interpretazioni, spiccano quelle nei film “Giovanni Falcone” (1993), “Il partigiano Johnny” (2000), “La meglio gioventù” (2003), “La ragazza del lago” (2007) e i recenti “La kryptonite nella borsa” e “Romanzo di una strage” (2011).

Premiato come “Rivelazione Europea” al Festival di Berlino, Globo d’Oro e Premio De Sica nel 2002, ha vinto il Nastro d’argento nel 2004 con lo splendido affresco dell’Italia post-nucleare firmato Marco Tullio Giordana, dal titolo “La meglio gioventù”. Premio Flaiano nel 2005, quattro nomination al David di Donatello, ha vinto anche il “Premio Ubu 2010”, il “Premio della critica” e “Premio Le maschere d’oro del teatro italiano” per lo spettacolo “L’ingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro”.

Proprio questa pièce teatrale, unita allo spettacolo “Na specie di cadavere lunghissimo”, tratto da brani di Pasolini e del poeta Giorgio Somalvico, costituisce, insieme ad un libro-reportage contenente diversi contributi intorno al suo lavoro e quello del regista Giuseppe Bertolucci, un’unica opera, pubblicata in cofanetto nel gennaio del 2012 dalla casa editrice minimum fax con il titolo “Gadda e Pasolini. Antibiografia di una nazione” (2 dvd + libro).

Il progetto pertanto, nelle parole dello stesso Fabrizio Gifuni, “nasce dal desiderio di organizzare un grande racconto sulla trasformazione del nostro paese. Su ciò che eravamo, su ciò che siamo diventati e su ciò che in fondo siamo sempre stati. Per capire cosa è accaduto, come sia stato possibile arrivare a tutto questo”. Intorno a questo lavoro e alla sua esperienza di attore italiano di cinema e, soprattutto, di teatro, Fabrizio Gifuni ha risposto ad alcune domande, nel corso di un’intervista in esclusiva, colta durante una presentazione del cofanetto minimum fax.

Fabrizio Gifuni, a sangue freddo: che cos’è un’antibiografia?

Questa antibiografia è un lavoro che nasce da un’idea risalente a circa dieci anni fa e che partiva da una domanda molto urgente: come fosse stato possibile arrivare a tutto questo, come fosse stato possibile essere scaraventati nell’oscenità dei tempi presenti.

L’antibiografia nasce dalla voglia di capire se, attraverso gli strumenti del teatro, riutilizzando le parole e i pensieri di due giganti della letteratura italiana, oltre che due grandi italiani, fosse possibile capire un po’ meglio cos’è accaduto a questo paese.

 “Gli italiani sono tutti tranquilli quando possono persuadere se medesimi di aver fatto una cosa che in realtà non hanno fatto”. L’allegoria è gaddiana, lo sfondo è la prima guerra mondiale, si parla del ministro Salandra, addirittura del re. Ma quanto è attuale questa frase che reciti durante lo spettacolo? E quando, soprattutto, l’ultima volta che è stata messa in atto?

Credo che sia  uno degli assunti gaddiani più terribilmente presenti davanti ai nostri occhi. Lo sguardo di questi due autori molto spesso illumina una specie di difetto di fabbricazione che ci riguarda da vicino: una difficile assunzione di responsabilità. Siamo sempre in grado di mettere in atto un meccanismo per il quale è sempre colpa di qualcuno: le istituzioni, i partiti, gli uomini della provvidenza. C’è sempre qualcuno a cui dare la colpa, purché non noi. Gadda e Pasolini sono due esempi concreti di come si possa condurre una pratica onesta di assunzione individuale delle proprie responsabilità.

Scrivi: “il teatro mette paura al potere”. È, anche, per questa ragione che la cultura è stata ormai derubricata dalle voci di bilancio e non solo in tempi di crisi? Quale scenario, di questo passo, si profila?

Che la cultura sia stata derubricata è ormai una cosa alla quale ci siamo tristemente abituati, salvo fantastiche eccezioni, che ci sembrano appunto eccezioni perché ci siamo abituati al peggio. Io sono più propenso a pensare a ciò che si può fare, ad attivare una cittadinanza attiva: penso ad esempio all’esperienza del Teatro Valle occupato,che è anche molto presente all’interno del cofanetto, con vari frammenti registrati direttamente da lì. È un’esperienza che compie un anno ed è una cosa completamente inedita. Non si era mai visto nel nostro paese un teatro così importante venire non “occupato”, ma “preoccupato”, in cui tanti lavoratori e lavoratrici della conoscenza se ne prendessero carico con tanta cura, con tanta passione e con tanto amore. Adesso credo sia molto più importante guardare a questi esempi positivi.

Nel tuo spettacolo, traendo brani dal grande poeta friulano, viene fuori L’italietta di Pasolini.  Un messaggio sempre attuale, pur con le dovute modifiche, con certi aggiornamenti. Ma di preciso, oggi, nel 2012, qual è l’italietta? E come l’avrebbe descritta, rappresentata, versificata, Pasolini, secondo Fabrizio Gifuni?

Molto spesso ci si domanda cosa avrebbe detto e scritto Pasolini oggi. Io credo che non è un caso che Pasolini non ci sia più. Fortunatamente ci ha lasciato talmente tanto, tra letteratura e critica e cinema, che è proprio attraverso la sua opera che è possibile utilizzare quegli strumenti ancora utili per leggere meglio la realtà di oggi. Quando parlava negli anni ’70 di genocidio culturale, all’epoca erano parole che risultavano perlopiù incomprensibili, non per tutti comunque. Ma oggi, invece, capiamo meglio cosa significa, ognuno di noi ha la precisa idea di vivere in un’epoca di post-genocidio culturale. Si tratta solo di capire cosa fare.

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Intervista a Carola Susani https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-carola-susani/ https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-carola-susani/#respond Wed, 13 Jun 2012 14:46:56 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2532 Carola Susani
Carola Susani

Carola Susani. Nata a Marostica (Vicenza) nel 1965, dopo aver vissuto molti anni in Sicilia si stabilisce a Roma, dove si laurea e inizia la propria attività di scrittrice, diventando nell’arco di un decennio una delle autrici più apprezzate del panorama nazionale.  Il suo esordio arriva già nel 1995 con “Il libro di Teresa”, pubblicato dalla casa editrice Giunti. Per Feltrinelli successivamente, pubblica “La terra dei dinosauri” (1998) e i romanzi per ragazzi “Il licantropo” (2002) e “Cola Pesce” (2004), dove sperimenta un altro tipo di registro stilistico.

Redattrice di “Nuovi Argomenti”, storica rivista letteraria per anni diretta da Enzo Siciliano, nel 2006 pubblica per minimum fax la raccolta di racconti “Pecore vive”, molto apprezzata da pubblico e critica e selezionata al Premio Strega 2007. Per Laterza poi, arriva nel 2008, nella collana Contromano, “L’Infanzia è un terremoto”, a sfondo largamente autobiografico, mentre due anni dopo, nuovamente con la casa editrice Feltrinelli, pubblica “Mamma o non mamma”, scritto con Elena Stancanelli.

Nel marzo del 2012, la casa minimum fax pubblica il suo nuovo, attesissimo romanzo, dal titolo “Eravamo bambini abbastanza”, subito apprezzato dalla critica nazionale e considerato uno dei lavori più interessanti dell’anno: sorta di favola nera a metà strada tra la storia di formazione ed esistenziale. Il romanzo racconta la vicenda di sette bambini rapiti che si mettono in viaggio dal nord Italia fino a Roma, città nella quale, non solo simbolicamente, si conclude tutta la loro vicenda. Centro della storia, raccontata in prima persona dall’ultimo di questi bambini rapiti, c’è il “Raptor”, come viene soprannominato dagli stessi protagonisti: personaggio tanto carismatico quanto sfuggente, indefinito e misterioso, il quale è il motore dell’intero romanzo. Intorno a questa figura centrale e ai molteplici spunti contenuti nel romanzo, l’autrice Carola Susani ha risposto ad alcune domande.

Partiamo subito dal “Raptor”: da dover arriva questo personaggio e quale il suo significato?

Il Raptor è un personaggio che è venuto fuori da un’immagine precisa nella mia testa, come un personaggio scavato, asciutto, assetato, che si appostava all’angolo delle strade e che rapiva i bambini. Da qui, è nato tutto. La sua origine deriva dalle mie ossessioni materne, sicuramente, un po’ comuni alle madri occidentali, ma proviene anche da molto più lontano: da un vuoto. Anzi, è egli stesso un personaggio di vuoto: da un lato risucchiato, ma dall’altro con una voragine così profonda dentro di sé che finisce per tirarselo dietro, facendo di lui un personaggio di ricerca, una specie di asceta. Non c’è molto altro, attorno al Raptor, in fondo. Ci sono degli indizi, lasciati qua e là nel corso della narrazione. Ma nient’altro. Si porta via i bambini secondo una logica abbastanza evidente di “imitatio Christi”, per quanto deforme, limitata. Io so di più di lui, ovviamente, rispetto a quanto racconto nel libro, ma non  mi sembra rivelarlo. A me serve da un lato, farne un centro di potere, per i bambini e per la vicenda in sé, e dall’altro farne un personaggio assetato, legato a questa sua sete fisica, oltre che legata ad una propria ricerca.

Nella comunità dei bambini rapiti si creano delle regole piuttosto definite: una sorta di sistema di autoregolamentazione interna che tiene legati indissolubilmente tra loro questi bambini. Come mai accade questo e perché?

C’è un’idea politica, infatti. L’imposizione di una comunità da parte di un personaggio che, fino alla fine, non è nemmeno molto chiaro nella propria emanazione delle dette regole. Si può dire che il fatto stesso che lui esista, fa sì che le regole emanino, naturalmente. La sanzione, la punizione, che è l’unica cosa che ha per la gestione il potere, è la manifestazione del suo potere assoluto. Perché questo è anche un libro sul potere, sulla gestione del potere, forse la questione più umana e concreta che ci sia al mondo. Lo stesso fatto che qualcuno se ne faccia carico intanto, è sì terribile ma, al contempo, è calmante, permette agli altri di vivere in modo più leggero.

La domanda che il lettore si pone continuamente durante la lettura è la seguente: perché i bambini non scappano da questa morsa, visto che spesso hanno questa possibilità, così come narrato da te in molte situazioni?

Tutto il libro cerca di dare questa risposta. I bambini restano perché la comunità regge, perché si appassionano l’uno all’altro, perché la vita che attraversano li sorprende. Restano perché il personaggio che li tiene uniti ha una forza, perché finché sono insieme sono loro stessi fino in fondo.

C’è una critica, anche, alla famiglia attuale?

Nessuna delle storie familiari di questi bambini è pacifica, questo va detto. Anche Manuel, il protagonista, viene da un momento particolare: la sua famiglia, sì borghese, benestante, vive un momento di stress, di forti tensioni. Il luogo della pace alternativo al mondo del Raptor non è un mondo di pace vero e proprio, affatto. In entrambi i mondi non c’è, la pace. Quello che il mondo del Raptor ha in più è nel suo percorso: c’è una forza, c’è una forza che è insita in questo loro conoscere la necessità, l’essere restituiti ad un mondo in cui mangiare è una questione seria, così come trovare un posto dove dormire. Uscire dal mondo dell’irrealtà, per toccare con mano cos’è davvero la condizione umana: credo che questo aspetto, insieme con la fede, con questa sorta di trascinamento che si porta dietro il Raptor, sia il vero movente del romanzo.

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