Michelangelo Buonarroti Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 19 Dec 2022 11:03:41 +0000 it-IT hourly 1 Tondo Doni di Michelangelo: storia e descrizione https://cultura.biografieonline.it/tondo-doni/ https://cultura.biografieonline.it/tondo-doni/#respond Mon, 19 Dec 2022 10:57:59 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40711 Il Tondo Doni è un’opera di Michelangelo Buonarroti databile tra il 1505 e il 1507. Si tratta di un dipinto a tempera grassa su tavola, unica opera su supporto mobile dell’artista. Oggi è conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze. È una delle opere emblematiche del Cinquecento: pone le basi al Manierismo.

Tondo Doni: foto ad alta risoluzione pdf
Tondo Doni: foto ad alta risoluzione

Tondo Doni: la commissione e l’aneddoto del pagamento

La storia dell’opera, a partire dalla commissione, è raccontata dallo storico dell’arte Giorgio Vasari. Alla base c’è un curioso aneddoto.

Agnolo Doni è un ricco banchiere che richiede a Michelangelo, suo amico, una Sacra Famiglia in tondo. Si pensa che la richiesta fosse stata avanzata in occasione delle nozze di Maddalena Strozzi o del battesimo della loro primogenita, Maria. In ogni caso non appena l’opera è pronta Michelangelo la invia alla famiglia Doni con un garzone.

Il ragazzo porta il dipinto e chiede i 70 ducati, come indicato da Michelangelo. Doni non è d’accordo e gliene dà solo 40.

Michelangelo, quindi, fa riportare indietro il dipinto. Lo cederà, in seconda battuta, al prezzo raddoppiato di 140 ducati.

Il viaggio dell’opera: da casa Doni agli Uffizi

Alcuni documenti e testimonianze raccontano che il Tondo Doni resta in casa Doni fino al 1591. Solo nel 1677 arriva la prima collocazione agli Uffizi, tra le collezioni granducali. Da qui nasce una grandissima popolarità per l’opera con decine di riproduzioni e incisioni nel tempo.

Tondo Doni: descrizione dell’opera

Il dipinto mostra una Sacra Famiglia al centro del tondo. In primo piano non c’è come più frequentemente accade il Bambino, ma la Madonna.

La madre è nell’atto di girarsi su stessa per prendere il figlio dalle braccia di San Giuseppe, che infatti glielo porge.

Accanto a lei c’è un libro chiuso e abbandonato sul manto che copre le gambe.

Il piccolo Gesù è intento a giocare con i capelli della madre.

La dinamica del dipinto, di grande matericità anche per il corpo imponente della Madonna, ha il suo culmine nella torsione di Maria. La linea della torsione si chiude nella piramide rovesciata formata dalle 3 teste.

Tondo Doni - cornice dettaglio
Il dettaglio del quadro e della cornice

Lo sfondo

In secondo piano vediamo il piccolo San Giovanni Battista. Più indietro diversi gruppi di ignudi, appoggiati alle rocce e poi, a cornice, un lago, un prato e delle montagne.

Questi personaggi richiamano la muscolatura stessa dei tre protagonisti del tondo, nelle loro linee.

Inoltre il dinamismo riverbera nel contrasto tra l’andamento orizzontale della scena in secondo piano e quello invece verticale del primo piano, della Sacra Famiglia.

Riferimenti e personaggi

Tra il gruppo di personaggi in secondo piano risalta sulla destra, appunto, il piccolo San Giovanni Battista. Gli altri corpi possono essere associati ad altri riferimenti della scultura classica, a mo’ di citazioni: il giovane in piedi ricorda ad esempio l’Apollo del Belvedere.

Apollo del Belvedere
Apollo del Belvedere

Mentre nell’uomo seduto subito a destra di Giuseppe si ravvisa un richiamo al Gruppo del Laocoonte.

Gruppo scultore del Laocoonte
Laocoonte e i suoi figli: Agesandro, Atanodoro e Polidoro, marmo, I d.C., Musei Vaticani

Accomuna tutti i corpi il “trattamento scultoreo”.

Ogni singolo personaggio ha grande possenza, è chiaroscurato, spicca dal fondo della tavola trasmettendo una senso materico molto forte.

Un paesaggio noto

Oltre ad opere classiche, viene “citato” anche il paesaggio. C’è una somiglianza, quasi inconfondibile, con il profilo della scogliera della Verna. Più studiosi hanno confermato questo parallelo.

Michelangelo rappresenta il paesaggio di Chiusi della Verna. Ci sono legami in tal senso sia di Michelangelo che di Agnolo Doni, iscritto all’Arte della Lana di Firenze, protettrice del Santuario della Verna, fra l’altro.

Scogliera della Verna (Chiusi della Verna, Arezzo, Toscana)
Scogliera della Verna (Chiusi della Verna, Arezzo, Toscana)

Prospettiva doppia

Oltre l’orizzontale dello sfondo contrapposto al verticale della scena in primo piano, le due parti si differenziano anche per il punto di vista.

  • Il fondo, dove sono gli ignudi e il paesaggio, è letto dall’artista con un punto di vista frontale e ribassato.
  • La scena in primo piano invece è come vista dall’alto.

Le linee prospettiche sono moltiplicate: dietro la prospettiva poggia sull’ombra della croce e sulla croce del San Giovannino, cosa che non avviene in primo piano. Questo a superare l’allineamento tipico del tempo di Michelangelo che già annuncia i prodromi di quello che sarà il Manierismo.

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Pietà Rondanini, storia e analisi dell’opera di Michelangelo https://cultura.biografieonline.it/pieta-rondanini/ https://cultura.biografieonline.it/pieta-rondanini/#comments Mon, 31 Oct 2022 17:45:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26525 La Pietà Rondanini è il testamento spirituale di Michelangelo Buonarroti al mondo. È stata infatti la sua ultima opera, rimasta incompiuta allorché nel 1564 il Maestro scultore, ormai 80enne, morì nel suo studio in piazza Venezia, a Roma.

Pietà Rondanini Michelangelo
Foto: dettaglio dell’opera

Pietà Rondanini: una vicenda creativa lunga 12 anni

Si racconta che Michelangelo iniziò a lavorare alla Pietà che voleva collocare sul suo sepolcro già nel 1550. Questo primo tentativo, però, fallì miseramente per imprevisti strutturali e di materiali: l’opera poco più che abbozzata fu fatta letteralmente a pezzi dal suo creatore.

A distanza di due anni, Buonarroti torna alla sua ultima Pietà: scolpisce le gambe che vediamo in primo piano e un braccio destro. Questi arti, nell’opera primaria, appartengono alla Madonna. La Pietà viene lasciata da parte per circa tre anni.

Nel 1555 Michelangelo torna al suo progetto scultoreo e rivoluziona tutto. Cambia totalmente la posizione dei due soggetti. Il Cristo così come abbozzato (le gambe e poco altro) si tramuta nella Madonna e viceversa.

Dal corpo di Maria ottiene il nuovo Gesù; dalla spalla sinistra di questo nuovo Cristo origina la Vergine. Molti, però, sono i dettagli che non vedranno la luce. Michelangelo, infatti, muore improvvisamente il 18 febbraio 1564, lasciando l’opera incompiuta.

Il viaggio della scultura Pietà Rondanini fino ad oggi

Nel 1744, trascorsi 200 anni dall’ultimo colpo di scalpello, l’opera viene riportata al pubblico e acquistata dai Marchesi Rondanini che la collocano nel loro Palazzo di famiglia, in via del Corso, sempre a Roma.

Più di 100 anni dopo, nel 1904, il Conte Vimercati San Severino acquista la scultura per collocarla su un’ara funeraria romana di opera traianea raffigurante Marco Antonio e la moglie Giulia Filomena Asclepiade.

Nel 1952, infine, viene acquistata dal Comune di Milano. Oggi, nel suo metro e novantacinque, campeggia all’interno del Museo del Castello Sforzesco.

Pietà Rondanini Michelangelo Buonarroti
Pietà Rondanini, l’ultima scultura di Michelangelo Buonarroti

Descrizione, analisi e commento

La Pietà Rondanini è una scultura orientata verticalmente, in maniera totalmente innovativa rispetto a quanto si faceva all’epoca. È alta quasi due metri e fatta di marmo. Iconograficamente riprende l’atto dell’accoglimento della madre, nelle sue braccia, del corpo del Cristo deposto dalla Croce.

L’innovazione di questa ultima versione della Pietà è appunto la verticalità che definisce una solida unità fra i due protagonisti: madre e figlio. Questa solidità, poeticamente, si contrappone all’incompiutezza.

La granitica posizione della Madonna e del Cristo si pongono in contrasto, cioè, alla fragilità e alla instabilità della scultura tutta.

Lo scultore britannico Henry Monroe, nella sua puntuale analisi dell’opera, pone l’accento su questa dicotomia: solidità contro instabilità e, per traslato, realtà versus sentimento.

Questo ultimo Michelangelo ha cioè abbandonato la dinamicità dello spazio compiuto e pieno, per volgere alle verticalità gotiche ed espressioniste.

Contestualmente, lascia andare la magnificenza della forma per mettere davanti agli occhi del suo spettatore solo i sentimenti, liberi da i suoi celebri virtuosismi.

Questo ultimo Michelangelo è più intimo e intimista.

L’opera si staglia sull’opposizione concettuale di vuoto e pieno, di vita e morte. In questa riflessione, infine, si pone il punto di arrivo della dialettica fra l’opera e l’artista.

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Davide e Golia: nella Bibbia e nell’arte https://cultura.biografieonline.it/davide-golia-riassunto-arte/ https://cultura.biografieonline.it/davide-golia-riassunto-arte/#comments Thu, 20 Jan 2022 15:45:18 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38354 È la storia che per eccellenza simboleggia la vittoria del coraggio sulla forza, della fede sulla brutalità. Si tratta dell’episodio biblico di Davide e Golia, di quando un piccolo pastorello armato di fionda sfidò e vinse il temibile gigante dei Filistei.

Davide e Golia illustrazione

La guerra tra Filistei e il popolo del Re Saul

La vicenda di Davide e Golia è narrata nella Bibbia e in particolare nel Primo libro di Samuele. È datata intorno al 1000 a.C. e si svolge all’interno di una più grande vicenda: ovvero la guerra fra i Filistei e il popolo di Israele guidato dal Re Saul. Di seguito il riassunto.

Golia: un guerriero alto tre metri

Gli ebrei stanno soffrendo particolarmente per la presenza di un gigante nelle schiere degli avversari. Il suo nome è Golia.

Dall’accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. L’asta della sua lancia era come un subbio di tessitori e la lama dell’asta pesava seicento sicli di ferro.

Così è descritto Golia nella Bibbia: un vero e proprio gigante, alto tre metri armato di una corazza pesante 5 chili.

Tutti i giorni Golia lancia la stessa sfida: un duello.

La sua proposta: che sia un duello fra lui e un campione dell’esercito nemico a decidere le sorti di tutta la guerra.

Nessuno accetta, tranne una persona. Uno che nessuno si aspetta possa reggere il confronto.

E’ Davide: il non guerriero, armato solo di due cose:

  • la fionda,
  • la fede in Dio.

Chi era Davide

Nessuno aveva mai risposto all’appello e alla sfida di Golia prima di lui, Davide: “un giovane biondo e di bell’aspetto”.

Davide in effetti non è neanche, non ancora, un guerriero: è troppo giovane per combattere nell’esercito di Saul. La sua occupazione è quella di pascolare le greggi del padre.

Quando Golia lancia la sua sfida, tutti fuggono terrorizzati. Davide si chiede invece chi sia mai quel filisteo che osa sfidare il popolo di Dio.

Il Re Saul viene a conoscenza di questo frangente e, colpito dall’audacia del ragazzo, lo manda a chiamare. Al cospetto di Re Saul, Davide esterna la sua volontà di andare a duello con Golia. Motiva questa scelta dicendo che come pastore ha già dovuto cimentarsi in sfide pericolose per salvare il suo gregge da orsi e leoni.
Dio l’ha salvato in quelle occasioni e lo farà ancora, aggiunge.

Saul lo arma di elmo, corazza e spada. Ma Davide rifiuta: è già armato della sua fede.

Sceglie cinque sassi ben lisci dal torrente poi, armato della sua sola fionda, va verso il suo eroico destino.

La sfida epica: la vittoria della fede

Davide si fa incontro a Golia e lo sfida.

Lo incita con spavalderia a misurarsi con lui. Anticipa subito il gigante, tira fuori con grande velocità e scaltrezza il primo dei suoi cinque sassi e lo scaglia con forza contro la fronte del gigante. Golia stramazza al suolo.

Poi Davide corre accanto a Golia, gli sfila la spada dal fianco e gli taglia la testa, uccidendolo.

Il capo mozzato di Golia viene portato in trionfo a Gerusalemme come segno di vittoria.

A vincere è stata la fede del pastorello nel suo Dio: in lui ha confidato e ha trionfato.

Davide e Golia in 3 maestri dell’arte

Molti artisti, attraverso il tempo, hanno scelto questo episodio biblico come ispirazione per una propria opera. Grandi nomi della pittura e della scultura di tutti i tempi hanno subìto la fascinazione di questa lotta fra fede e forza, fra coraggio e brutalità. Tra le opere più celebri ci sono:

  • il David di Donatello – opera da cui prende il nome anche a un celebre premio italiano cinematografico;
  • il David scultoreo di Michalengelo;
  • Davide con la testa di Golia, di Caravaggio

L’opera di Donatello

Donatello nel 1430 rappresenta Davide in una scultura bronzea. Nel David di Donatello, il vincitore della sfida biblica è raffigurato come un adolescente di straordinaria grazia e avvenenza, e completamente nudo. Tale nudità destò un certo scandalo nell’opinione pubblica del tempo.

David di Donatello
David di Donatello

L’opera di Michelangelo

Altrettanto noto è il David scultoreo di Michelangelo, degli inizi del Cinquecento. Come in Donatello vengono esaltate bellezza e forza virile, ma Michelangelo lo ritrae nel momento che precede lo scontro, con maggiore dinamismo, nel corpo e nel viso.

David di Michelangelo
David di Michelangelo

C’è un’altra rappresentazione di Michelangelo: egli inserì l’episodio, con una scena di Davide in procinto di tagliare la testa del gigante Golia, tra le scene del suo capolavoro: la Cappella Sistina.

L’opera di Caravaggio

Del secolo successivo, datato 1609-1610, infine, è l’opera Davide con la testa di Golia, di Caravaggio.

Caravaggio mette al centro della scena la testa mozzata di Golia, con il suo viso stravolto dal dolore. L’artista inoltre dà al volto di Golia le sue stesse fattezze, producendo quello che alla fine si potrebbe definire in tutto e per tutto un autoritratto.

Davide con la testa di Golia - Caravaggio
Davide con la testa di Golia (Caravaggio)

L’interpretazione di Caravaggio si discosta e non poco dai suoi illustri colleghi dei secoli precedenti: dove era la grazia mette la violenza; dov’era la bellezza c’è il dolore, anche e non ultimo in Davide, che se pur vittorioso subisce il tormento della morte inflitta al suo sfidante.

Caravaggio inoltre aveva affrontato lo stesso tema in un’opera precedente (1597-1598) intitolata Davide e Golia.

Tra gli altri artisti che hanno raffigurato l’episodio nelle loro opere ci sono Tiziano Vecellio, Gustave Doré, Andrea Vaccaro. Senza dimenticare anche il David di Bernini.

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Schiavo Ribelle e Schiavo Morente (i Prigioni, di Michelangelo Buonarroti) https://cultura.biografieonline.it/schiavo-ribelle-morente-michelangelo/ https://cultura.biografieonline.it/schiavo-ribelle-morente-michelangelo/#respond Tue, 09 Aug 2016 14:19:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19100 Sussurri attutiti e sospiri sofferenti accompagnano l’ammirazione rapita dello spettatore giunto al Louvre, le cui sale risplendono, non poco, grazie ai rilucenti marmi della statuaria rinascimentale, di cui si erigono a simbolo le due statue note nel quadro artistico come lo “Schiavo ribelle” e lo “Schiavo morente” di Michelangelo Buonarroti.

Schiavo morente - dettaglio - Dying slave detail - Michelangelo
Una foto ravvicinata che mostra i dettagli dello Schiavo Morente (Dying Slave) • Michelangelo Buonarroti, 1513 – 1515, marmo, Museo del Louvre

Non esiste giudizio abbastanza esauriente, idea abbastanza vasta da includere nel proprio etere la gloria di un’arte suprema, quale fu quella del celebre genio toscano.
Realizzati per la tomba di Papa Giulio II, i Prigioni, furono esclusi dal progetto tombale, finendo nelle ricche dimore francesi di Roberto Strozzi, per divenire, infine, rinomato omaggio concesso dal nobile fiorentino al re di Francia Francesco I.
I due capolavori michelangioleschi sono tuttora conservati nel museo parigino del Louvre.

Schiavo Ribelle - Rebellious Slave - Michelangelo
Schiavo Ribelle (Rebellious Slave) • Michelangelo Buonarroti, 1513 – 1515, marmo, Museo del Louvre

Schiavo Ribelle e Schiavo Morente: la genesi delle opere

Le sculture custodite nel rinomato museo parigino, i cosiddetti “Prigioni” di Michelangelo, furono scolpite allo scopo di adornare il basamento del mausoleo del Papa Giulio II, il Giuliano della Rovere noto come il “Papa Terribile“, il “Papa pericoloso“.

«Fatto appena papa, egli pensa ai suoi funerali. Aveva conosciuto un artista a Firenze: lo chiama a sé e gli dice con affettuosa dimestichezza: io ti conosco e per questo ti ho fatto venir qui. Io voglio che tu faccia il mio mausoleo. – Ed io me ne incarico. – risponde Michelangelo. Un mausoleo magnifico, ripiglia il papa .Costerà caro, dice sorridendo Michelangelo. – E quanto costerà ? – Centomila scudi. – Io te ne darò dugentomila. E Michelangelo cominciava la tomba di Giulio II.»

(“Storia universale della chiesa cattolica. Dal principio del mondo fino ai dì nostri”, Rohrbacher).

La critica è concorde nell’associare le due creature michelangiolesche alla seconda versione della tomba papale, quella risalente al 1515. Poiché il progetto successivo e definitivo, quello del 1524, portò inevitabilmente all’eliminazione di entrambe le sculture dal collocamento cui si pensava sarebbero state predestinate.

L’infausta sorte dei Prigioni confluì a favore e nelle forme di un prestigioso dono nel ricco patrimonio di Roberto Strozzi, garante di un’ospitalità riservata al maestro toscano, la cui salute fuggiva dall’insalubre ambiente romano.

Le statue dei Prigioni, scalpellate da Michelangelo e mandate a Roberto Strozzi, furono spedite in Francia nell’aprile del 1550.
Fra le carte di Strozzi Ugoccini, allogate presso l’archivio di Stato di Firenze, si legge:

“Signor Ruberto Strozzi in conto di sue spese dee dare a dì 29 Aprile 1550 ducati 14, 5 moneta, fatti buoni a m. Paolo Ciati per tanti spesi per condurre a Ripa et acconciare in barca le statue di Michelangelo mandate in Francia ” (VASARI) .

Stemma gentilizio della famiglia Strozzi
Stemma gentilizio della famiglia Strozzi

Una volta giunte in Francia, le statue Schiavo Ribelle e Schiavo Morente, furono collocate nel castello del connestabile di Montmorency a Écouen e in quello di Richelieu a Poitou, per divenire poi dono regale da destinare a Francesco I di Francia, il capostipite della dinastia regale dei Valois – Angoulême.

Antica illustrazione ritraente il palazzo della famiglia Strozzi
Antica illustrazione ritraente il palazzo della famiglia Strozzi

I Prigioni: analisi, note tecniche e descrittive

Michelangelo scolpì le emozioni, i corpi nudi, i visi stravolti dalla passione, edificando la propria genialità ai piedi di un’arte grandiosa, immortale e sempiternamente insuperata in quanto a slancio ed emotività ispiratrice.

Schiavo morente - Dying slave - Michelangelo
“Schiavo morente”, scultura di Michelangelo

L’anima raggiunse, come nel tocco della creazione, il corpo morto della pietra lattea, conferendo a essa lo spirito vigoroso di vita e tempra altrettanto vivi, d’apparire esistenti nella realtà dello spettatore che ammira, prossimi al cuore grazie al movimento del corpo, alla mimica dei volti.

Il Rinascimento vide in Michelangelo l’eroe bisbetico dalla vita sofferta, scandita dalle tormentate note del rifiuto amoroso, dal calvario di un’anima feroce in un corpo fin troppo debole.

L’anima soffrì, si scheggiò nell’infinità di un grande intelletto, mutato nell’esistenza in una disperazione munita di scalpello, in una foga tagliente, arguita e tremendamente brutale, nel connubio di quella vita in cui il marmo è carne, lo scalpello, parola.

Desti a me quest’anima divina e poi la imprigionasti in un corpo debole e fragile, com’è triste viverci dentro.
(Diari, Michelangelo)

Schiavo Ribelle - dettaglio - Rebellious Slave - detail - Michelangelo
Un dettaglio dello “Schiavo Ribelle”

I “Prigioni” subirono l’originale appellativo da Michelangelo stesso, quale titolo idoneo per qualsiasi anima intrappolata nel corpo, e che come tale tenta di liberarsene.
Lo “Schiavo morente ” e lo “Schiavo ribelle” costituirono insieme al “Mosè” i primi frutti ceduti in onore della tomba di Giulio II, nonché prime statue marmoree portate a compimento dopo il “David” e la “Madonna di Bruges”, all’interno di un’ampia crescita, tale da combinare una seria metamorfosi nella suo leggendario linguaggio scultoreo.

Michelangelo - Mosè
Michelangelo – Mosè

Quando nel gennaio 1506 venne riportato alla luce tra le rovine delle Terme di Tito, sull’Esquilino, il celebre Laocoonte di Agesandro, Polidoro e Atenodoro, Michelangelo tra i primi ad ammirarlo, ne rimase profondamente colpito.

L’eccezionale gruppo scultoreo del Laocoonte anticipò la gloria della propria scoperta grazie alla testimonianza di Plinio il Vecchio, giungendo ai tempi rinascimentali come l’esempio più eccelso della statuaria classica di età Ellenistica: il nudo eroico, la tragicità di un movimento disperato di spire fossilizzato nel tempo, nell’evidente sofferenza fisica, suggestionarono Michelangelo a tal punto da incidere intimamente sulle soluzioni espressive e stilistiche adottate per gli “Schiavi“.

'Laocoonte e i suoi figli'', Agesandro, Atanodoro e Polidoro, marmo, I d.C., Musei Vaticani
“Laocoonte e i suoi figli”, Agesandro, Atanodoro e Polidoro, marmo, I d.C., Musei Vaticani

« Il papa comandò a un palafreniere: va, e dì a Giuliano da San Gallo che subito le vada a vedere, e così subito s’andò: e perché Michelangelo Buonarroti si trovava continuamente in casa, che mio padre l’aveva fatto venire, e gli ave va allogata la sepoltura del papa […]»

(“Arti e lettere. Scritti raccolti”, p. 178)

Le due statue, infatti, risultano essere dinamiche: lo schiavo ribelle tirato nello sforzo della liberazione dei lacci della prigionia, lo schiavo morente nella debolezza dello sfinimento, con i muscoli che perdono la tensione dello sforzo e si abbandonano al sonno della dipartita, ovvero alla “transizione tra la vita e la morte” (GRIMM).

Ermanno Grimm
Ermanno Grimm, scrittore e storico dell’arte tedesco, 1828 – 1901

Il fantasma del Laocoonte consentì a Michelangelo di affrontare la realizzazione delle due sculture mediante una plasticità piena e libera. Lasciando da parte l’uso del trapano, si concentrò sull’esito della gradina e delle statue rilievo, create per essere viste secondo un privilegiato punto di vista frontale. Tale era la tradizione nella produzione statuaria fiorentina.

L’influenza del Laocoonte insignì di novità l’opera dell’artista toscano, legandosi, dopo tutto, alla realtà anticheggiante del mondo di Fidia e al contempo superandola. Così sostenne lo scrittore e storico tedesco Ermanno Grimm, nel segno di una profondità eroica, in un confronto tra la scultura antica e rinascimentale che si limita nel primo istante del paragone, per poi evolversi in un estremo progresso.

Per Michelangelo modellare l’argilla era quasi come dipingere, ribadendo, di fatti, che la vita emerge dal marmo liberamente, grazie a un lavoro emancipato, d’ispirazione e che si serve del modello solo come misera guida:

“Michelangelo considerava una statua in marmo, non già quale una copia, una riproduzione del modello in creta, ma bensì quale cosa già perfetta, la quale stava nascosta nel marmo, dal quale lo scalpello doveva cavarla fuori, quasi dalla scorza che la rivestiva” (GRIMM).

Copertina del volume ''Rime di Michelagnolo Buonarrote raccolte da Michelagnolo fuo Nipote'', MDCXXIII
Copertina del volume ”Rime di Michelagnolo Buonarrote raccolte da Michelagnolo fuo Nipote”, MDCXXIII

In un suo sonetto ritroviamo il medesimo concetto:

Non ha l’ottimo artista alcun concetto,
Ch’un marmo solo in sé non circoscriva
Col suo soverchio; e solo a quella arriva
La man, ch’ubbedisce all’intelletto.

Note Bibliografiche
G. Vasari, I. Bomba, “Vita di Michelangelo”, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1993
E. Grimm, “Michelangelo per Ermanno Grimm”, vol. II, Ditta editrice F. Manini, Milano, 1875
M. Buonarroti, S. Fanelli, “Rime”, Garzanti, Milano, 2006
P. Daverio, “Louvre”, Scala, Firenze, 2016
F. Gasparoni, B. Gasparoni, “Arti e lettere. Scritti raccolti”, Tipografia Menicanti, 1865

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Il David di Michelangelo https://cultura.biografieonline.it/david-di-michelangelo/ https://cultura.biografieonline.it/david-di-michelangelo/#comments Thu, 03 Jan 2013 23:02:42 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=5453 Il David è una delle opere più importanti di Michelangelo e fu realizzato fra il 1501 e il 1504. Ha un’altezza di 410 cm e attualmente è esposto alla Galleria dell’Accademia di Firenze. Nell’agosto del 1501 fu commissionata a Michelangelo Buonarroti la realizzazione di una statua raffigurante il David.

David Michelangelo petto addominali
Il David di Michelangelo: dettaglio con petto e addominali

Il marmo non era perfetto ma aveva avuto una precedente lavorazione da parte di Agostino di Duccio e di Antonio Rossellino, tanto che era stato deciso di non utilizzarlo più. Michelangelo invece ritenne di poterlo lavorare ancora. La sfida che Michelangelo volle affrontare era quella di realizzare un capolavoro combinando i canoni della statuaria classica con la tradizione scultorea fiorentina. Dopo tre anni di lavoro Michelangelo realizzò un capolavoro immortale.

David di Michelangelo
David di Michelangelo

Il David di Michelangelo rappresenta un giovane dalla muscolatura asciutta, lo sguardo concentrato, la fierezza della posa mentre si appresta a colpire Golia.

Un particolare del volto del David
Un particolare del volto del David di Michelangelo

Rappresenta la misura e la forza, la capacità di controllare le emozioni, di trattenere l’ira e la paura ma anche di calcolare con forza la necessità del gesto che si appresta a compiere. L’opera suscitò grande effetto nel popolo fiorentino.

Il David venne esposto davanti a Palazzo Vecchio a simbolo delle virtù fiorentine. In seguito divenne un’icona e tutt’ora è un simbolo interpretato in infiniti modi e utilizzato come sintesi dei valori della modernità. Negli anni ha subito diversi interventi di restauro ma la sua matrice originaria è ancora intatta. L’esperienza visiva è straordinaria perché ricorda immediatamente il ruolo di David, capo e difensore coraggioso del suo popolo.

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La Cappella Sistina di Michelangelo Buonarroti https://cultura.biografieonline.it/la-cappella-sistina-di-michelangelo-buonarroti/ https://cultura.biografieonline.it/la-cappella-sistina-di-michelangelo-buonarroti/#comments Tue, 24 Apr 2012 20:37:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1604
Il Giudizio Universale presente nella Cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo Buonarroti
Il Giudizio Universale presente nella Cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo Buonarroti

La Cappella Sistina ogni anno richiama a sé migliaia di turisti da tutto il mondo, perché è sicuramente una delle opere d’arte più belle e fascinose del nostro Paese. Racchiusa nei Musei Vaticani a Roma, nasce sulla ristrutturazione dell’antica Cappella Magna, avvenuta tra il 1477 e il 1480. Sono questi gli anni di papa Sisto IV della Rovere (pontefice dal 1471 al 1484), da cui la cappella eredita il nome.

Al suo interno, quello che maggiormente risalta sono gli affreschi che ricoprono la volta di Michelangelo Buonarroti e “Il Giudizio Universale”, che invece riempie la parete dell’altare. Nella Cappella Sistina, però si possono apprezzare anche i contributi quattrocenteschi di altri artisti importanti per la storia italiana, come Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, ma anche Pier Matteo d’Amelia che dipinse un cielo stellato.

Una foto della Cappella Sistina
Un’altra foto della volta della Cappella Sistina

Questi artisti lavorarono nella cappella sistina tra il 1481 e il 1482, fin quando nel 1483 il nuovo pontefice Giulio II della Rovere, nipote di Sisto IV, esprime il desiderio di modificare la decorazione e chiama il giovane Michelangelo Buonarroti, che inizia il suo lavoro nel 1508. Buonarroti si occupa di dipingere la volta e le lunette nella parte alta delle pareti. Non è un compito facile e il problema da affrontare è il raggiungimento del soffitto. Come fare? Il Bramante cerca di aiutare Michelangelo proponendogli una struttura costituita da funi, ma il Buonarroti rifiuta il progetto, perché potrebbe causare dei buchi nelle pareti. Così, sceglie di costruirsi da solo una semplice impalcatura di legno organizzata in gradoni.

Poi c’è l’ostacolo dell’intonaco, soggetto a muffa. Per risolvere questo inconveniente, Jacopo l’Indaco propone a Michelangelo una nuova miscela resistente alla muffa davvero efficace, tanto che questo prodotto rivoluzionò la tradizione costruttiva del Paese.

Il giorno 1 novembre 1512 Michelangelo completa i suoi affreschi e la Cappella Sistina viene mostrata al pubblico per la prima volta: papa Giulio II inaugura il capolavoro con una messa solenne.  La cappella è davvero meravigliosa, non sembra più la stessa. Certo il contratto firmato da Michelangelo prevedeva la raffigurazione dei dodici Apostoli, mentre nella sua opera compaiono più di 300 figure. Nei nove riquadri centrali si possono vedere le Storie della Genesi, negli spazi tra le vele, invece, si scorgono le cinque Sibille e i sette Profeti. Nei pennacchi angolari, ci sono le Salvazioni miracolose di Israele, infine, nelle vele e nelle lunette sono stati raffigurati gli Antenati di Cristo.

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Non è questa, però, la Cappella Sistina definitiva. Nel 1533, infatti, il Papa Clemente VII de’ Medici (pontefice dal 1523 al 1534) richiama Michelangelo. Per lui c’è un nuovo lavoro: deve modificare nuovamente la decorazione. Stavolta deve dipingere il Giudizio Universale sulla parete dell’altare. Non è un lavoro da poco, perché purtroppo la modifica causa la perdita di numerosi affreschi quattrocenteschi di grande valore, come la Vergine Assunta tra gli Apostoli e alcuni episodi delle storie di Mosè e di Cristo, realizzate dal Perugino. Viene, infatti, ricordato come il primo intervento distruttivo della storia.

Michelangelo si mette all’opera nel 1536 e riesce a concludere l’affresco cinque anni più tardi. È un capolavoro assoluto, tanto che la Cappella Sistina è diventata “il santuario della teologia del corpo umano” (Omelia, pronunciata da S.S. Giovanni Paolo II, 8 aprile 1994).
L’affresco è strutturato in modo tale girare intorno alla figura del Cristo, che occupa totalmente la scena. È interessante inoltre ricordare che il Giudizio universale non accolse solo elogi, ma anche numerose polemiche, a causa di alcune figure rappresentate e giudicate oscene (perché completamente nude). Nel 1564 Daniele da Volterra è incaricato, a seguito della decisione presa della Congregazione del Concilio di Trento dopo la morte di Michelangelo, di coprire le figure considerate volgari con delle braghe. Per questo motivo, quest’artista è ricordato come il “braghettone”. Le braghe sono state parzialmente rimosse negli ultimi interventi di restauro.

La Cappella, che si trova a destra della Basilica di San Pietro nel Palazzo Apostolico, non è solo un’opera d’arte o una meta turistica. Qui, ancora oggi, si tiene il Conclave per l’elezione del Papa.

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