metafisica Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 27 Sep 2021 07:58:48 +0000 it-IT hourly 1 Spesso il male di vivere ho incontrato, parafrasi e commento https://cultura.biografieonline.it/male-di-vivere-incontrato-montale-analisi-commento/ https://cultura.biografieonline.it/male-di-vivere-incontrato-montale-analisi-commento/#comments Fri, 11 Mar 2016 16:40:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17406 La poesia che andiamo ad analizzare e commentare si intitola “Spesso il male di vivere ho incontrato” ed è compresa nella raccolta “Ossi di seppia” pubblicata nel 1925. Poeta e scrittore italiano, Eugenio Montale ha ottenuto il Premio Nobel per la Letteratura nell’anno 1975 ed è considerato uno dei migliori autori del Novecento.

Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso il male di vivere ho incontrato.

Per Montale la poesia rappresenta un efficace strumento per testimoniare la (triste) condizione esistenziale dell’uomo moderno, dilaniato dal quotidiano “male di vivere“. Il poeta, secondo la visione di questo autore novecentesco, non si erge a guida spirituale o morale nei confronti degli altri uomini: anzi si fa portavoce delle fragilità, delle insicurezze e delle paure dei suoi simili essendo lui stesso fragile, insicuro e in balia degli eventi.

La lirica di Montale, in genere, non ha alcun ruolo di elevazione spirituale, visto che ha come oggetto la frattura insanabile esistente tra il singolo e il mondo che lo circonda. Nelle poesie di Montale riecheggia un senso di estraneità e di impotenza che le rende spesso tristi e malinconiche.

Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Analisi e commento alla poesia

L’argomento principale che fa capolino dai versi è il dolore, il male di vivere che non risparmia neppure la natura: sia gli elementi inanimati che quelli vivi (come le piante e gli animali) sperimentano il male e la sofferenza. Si nota subito un parallelismo esistente tra le due strofe che aprono la lirica: il poeta utilizza sapientemente alcuni oggetti simbolici per spiegare l’affermazione iniziale: “Spesso il male di vivere ho incontrato“.

Nella prima strofa, che corrisponde ad una quartina, il termine principale è “male“; intorno a questo ruotano le immagini: il ruscello che non riesce a scorrere, la foglia inaridita che si accartoccia su se stessa, il cavallo sfinito che stramazza a terra.

Nella seconda strofa (anche questa una quartina) il poeta mette in risalto i simboli del “bene”: la statua che si erge silenziosa, la nuvola sospesa nel cielo, il falco in volo in uno spazio indefinito e lontano. Al “bene” il poeta affianca un altro stato d’animo che contraddistingue l’esistenza umana: l’indifferenza. Montale parla di indifferenza attribuendole la maiuscola perché secondo il suo punto vista rappresenta l’unico rimedio al male di vivere. Il restare indifferenti dinanzi alle difficoltà e al male della vita permette di non soffrire, adottando il giusto grado di distacco verso gli accadimenti.

Il male di vivere che Montale descrive in questa lirica è lo stesso di cui parla Leopardi con il suo “pessimismo cosmico“, ma qui il linguaggio è ridotto all’essenziale e piuttosto scarno. Poiché “il vivere stesso è il male” non esistono soluzioni per combatterlo, tranne che adottare la “miracolosa” indifferenza di cui abbiamo detto prima.

In questa poesia di Montale gli elementi naturali sembrano dotati di una loro sensibilità che riflette lo stato d’animo del poeta. L’esperienza del male di vivere, che non risparmia neppure la natura, è comune a tutto l’universo e la si riscontra appunto nelle immagini-simbolo scelte: il ruscello, la foglia, il cavallo stramazzato al suolo. Eppure, rispetto al pessimismo leopardiano, in Montale si scorge un barlume di salvezza: il male di vivere si affronta facendo ricorso all’Indifferenza, che implica accettazione distaccata della realtà di tutti i giorni.

A differenza di ciò che fanno Leopardi e Foscolo che si crogiolano nel dolore e nel pessimismo, Montale cerca di allontanare da sé la sofferenza e cerca un rimedio al male di vivere che accomuna tutti gli uomini senza alcuna distinzione. La poesia è breve, ma come altre liriche del poeta genovese, in pochi versi riesce ad esprimere al meglio lo stato d’animo dell’autore. Nella raccolta “Ossi di Seppia” in cui è compresa questa lirica il linguaggio poetico è esatto e preciso, il lessico è essenziale, ad ogni termine si lega un unico significato.

Oltre agli autori già citati prima come Foscolo e Leopardi, Montale si rifà alla poesia francese di Verlaine e ai simbolisti d’oltralpe. La poesia degli Ossi di Seppia è definita “metafisica” e si basa sulla frattura tra uomo e natura, che produce sofferenza e dolore. Sentimenti ai quali non ci si può sottrarre, questo è il triste destino degli uomini e della natura.

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Le rive della Tessaglia (quadro di De Chirico) https://cultura.biografieonline.it/de-chirico-rive-della-tessaglia/ https://cultura.biografieonline.it/de-chirico-rive-della-tessaglia/#respond Mon, 09 Feb 2015 13:40:29 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13122 Tra le altre opere artistiche che si discostano dal tema del Surrealismo, nella pittura di Giorgio De Chirico troviamo il dipinto “Le Rive della Tessaglia”, realizzato nel 1926. Si tratta di un dipinto ad olio su tela delle dimensioni 93 x 73 cm. Il quadro venne realizzato durante il soggiorno parigino dell’artista che avviene tra il 1925 fino al 1931. Durante questo periodo, De Chirico si distacca dalla pittura del movimento surrealista e si dedica a nuove tematiche, superando anche la pittura della metafisica del primo decennio del Novecento, introducendo nella sua arte manichini, figure umane senza volto, cavalli in riva al mare, mobili all’aperto e gladiatori.

Il celebre quadro "Le rive della Tessaglia" (1926), di Giorgio De Chirico
Le rive della Tessaglia (1926, Giorgio De Chirico) – Olio su tela, 93×73 • La Tessaglia è una regione della Grecia

Le Rive della Tessaglia: analisi del quadro

Uno dei quadri più rappresentativi e più inquietanti di questo periodo, che introduce il soggetto del cavallo, è proprio “Les rivages de la Thessalie”. L’opera si distingue per il suo virtuosismo tecnico e rappresenta un tributo e un ringraziamento al periodo classico. Nel dipinto, De Chirico fa riferimento ad architetture essenziali, proposte in prospettive non realistiche, immerse in un clima di trascendenza e spettralità. Il pittore non utilizza nessuna coordinata spazio-temporale; infatti, nei suoi dipinti si riscontrano figure senza ruolo determinato come gladiatori, generali, centauri, pastori, palafrenieri e oggetti senza connessione logica, in un insieme di sogni, ricordi poco fedeli, suggestioni, miti e reminiscenze che sono nient’altro che echi della sua pittura.

Anche i luoghi sono metafisici nei suoi quadri e si spostano naturalmente nella loro innaturalezza come a rappresentare una forma onirica. Nel dipinto “Le rive della Tessaglia” ammiriamo, in primo piano, un cavallo e un palafreniere (che si prende cura dell’animale): i due si trovano nei pressi della spiaggia del mare di Tessaglia che fa da cornice all’opera. Il palafreniere, a detta dei critici, potrebbe essere il mitico Achille che pascola il suo cavallo e tutt’intorno il paesaggio è metafisico. Il cavallo è quasi immobile, presenta la zampa appena alzata. Solo una folta coda e una bella criniera mosse dall’impeto del vento, danno un tono di vitalità all’animale e alla composizione dechirichiana. Anche l’uomo posa praticamente immobile, vicino al cavallo.

Possiamo ammirare, lontano, un palazzo porticato con una statua presente sullo spigolo della struttura, una costruzione cilindrica dalle enormi dimensioni e dalla tonalità di colore calda e vivace che potrebbe simboleggiare un faro. All’interno dell’opera troviamo anche una massiccia ciminiera ed infine un piedistallo di una statua, probabilmente rimossa, che si trova nelle vicinanze di Achille e del cavallo.

Le muse inquietanti - De Chirico - 1917-1918
Le muse inquietanti (1917-1918) è un altro quadro di De Chirico che esprime – il titolo stesso lo sottolinea – una sensazione di profonda inquietudine.

In questo dipinto, De Chirico deforma la prospettiva, mentre gli oggetti sembrano sfuggire quasi ad ogni logica. Come sempre, l’artista tende a collocare gli oggetti in ambienti completamente diversi da quelli che sarebbero loro propri. Questo effetto lascia l’osservatore spaesato e stranito. L’atmosfera che si respira è di inquietudine, di solitudine e di immobilità, creando un senso di disorientamento e di angoscia nello spettatore. Proprio per questo, insieme a “Le muse inquietanti“, anche “Le Rive della Tessaglia” è stato nominato dai critici di quel tempo come uno dei quadri più inquietanti dell’artista italiano Giorgio De Chirico.

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Le muse inquietanti (quadro di De Chirico) https://cultura.biografieonline.it/de-chirico-muse-inquietanti/ https://cultura.biografieonline.it/de-chirico-muse-inquietanti/#comments Mon, 02 Feb 2015 18:17:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13049 Le muse inquietanti” è un dipinto realizzato dal pittore italiano Giorgio De Chirico in un periodo che si snoda tra il 1917 e il 1918. Si tratta di un dipinto ad olio su tela delle dimensioni di 97 × 67 cm. Secondo fonti recenti, il dipinto sarebbe situato presso la Pinakothek der Moderne di Monaco di Baviera, in Germania.

Le muse inquietanti (De Chirico, 1917-1918)
Le muse inquietanti (Giorgio De Chirico, 1917-1918)

Le muse inquietanti: analisi del quadro

Il dipinto venne realizzato dal pittore proprio quando si trovava a Ferrara, durante l’inizio di un percorso che lo portò a perfezionare i canoni della pittura metafisica. Compare in questo periodo anche il suo interesse per il tema archeologico, un omaggio alla classicità reinventata però in modo inquietante. La sua opera fa riferimento alla figura del manichino, ispirandosi “all’uomo senza volto”, personaggio di un dramma di Alberto Savinio, pseudonimo del fratello Andrea, pittore e scrittore.

Il dipinto è caratterizzato dalla ricorrenza di architetture essenziali, proposte in prospettive non realistiche immerse in un clima di trascendenza e spettralità. I colori sono caldi ma fermi, la luce è statica e intensa. Nel dipinto, possiamo ammirare uno spazio aperto, una piazza dove sono collocate due statue classiche. Una statua si trova in una posizione eretta e si presume che sia la raffigurazione di Ippodamia, personaggio mitologico che durante la battaglia dei Centauri e dei Lapiti, attese l’esito dello scontro con inquietudine, mentre l’altra statua è seduta su un basamento con la testa smontata ed appoggiata ai suoi piedi. Questa testa ricorda fortemente quelle maschere africane che fornirono grandi spunti artistici a Pablo Picasso e all’ambiente parigino artistico degli inizi del XX secolo.

Le muse inquietanti - dettaglio
Il dettaglio del quadro Le muse inquietanti : le teste richiamano i manichini da sartoria; il Castello Estense (a Ferrara) è il luogo dove nacque la pittura metafisica

Entrambe le figure hanno la testa di un manichino da sartoria. Intorno, troviamo una serie di oggetti dal significato illogico come, secondo alcuni critici, una scatola di fiammiferi o scatole colorate, dove probabilmente venivano riposti i giochi, un uovo e altri oggetti che ricordano l’infanzia dei bambini, come un bastoncino di zucchero colorato. Gli oggetti sono totalmente incongrui rispetto al contesto e vengono rappresentati con una minuzia ossessiva, una definizione tanto precisa da sortire un effetto contrario a quello del realismo. In fondo, vediamo una terza statua maschile.

Sullo sfondo appare a destra il Castello Estense di Ferrara, città dove nacque la pittura metafisica, teatro del cruciale incontro di De Chirico con Carlo Carrà, che darà luogo a fondamentali riflessioni estetiche. Mentre sulla sinistra del dipinto intravediamo una fabbrica rappresentata da alte ciminiere. Possiamo notare che il castello è disabitato e le finestre sono buie, mentre la fabbrica ha le ciminiere che non fumano, segno che in realtà non vi si svolge alcuna attività lavorativa al suo interno.

Nell’opera tutto è silenzio e inquietudine. Il clima di angoscia e di disperazione lo si percepisce anche dalle figure senza occhi e dai loro volti prosciugati: destando l’immediata impressione di un silenzio stupefatto e lacerante. Secondo i critici di quel tempo, la “disumanità” de “Le Muse Inquietanti” ci riporta ad un’umanità arcaica e originaria, veggente, eroica, abitatrice di tempi lontani e misteriosi e, in questo senso, disumana.

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Canto d’amore (De Chirico) https://cultura.biografieonline.it/de-chirico-canto-d-amore/ https://cultura.biografieonline.it/de-chirico-canto-d-amore/#respond Tue, 13 Jan 2015 21:08:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12779 Una delle opere più surrealiste di Giorgio De Chirico è “Canto d’amore”. Si tratta di un quadro realizzato dal pittore nel 1914 e conservato attualmente al Museum of Modern Art di New York.

Canto d'amore  (Giorgio De Chirico, 1914)
Canto d’amore  (Giorgio De Chirico, 1914)

Canto d’amore: il quadro

Il dipinto di Giorgio De Chirico venne definito come uno dei maggiori capolavori dell’artista dagli esponenti della critica artistica di quell’epoca. Il quadro è enigmatico ed è caratterizzato da un significato misterioso (come del resto tutte le opere artistiche metafisiche di De Chirico).

In primo piano, ammiriamo lo sfondo, rappresentato da una delle tante piazze italiane dipinte e ricorrenti nelle sue opere. Di particolare interesse possiamo notare, affisso ad un muro, un guanto di caucciù di colore rosso inchiodato ad una sorta di quinta, apparentemente inutile per il contesto architettonico del dipinto, e una grande testa in gesso che rappresenta l’Apollo del Belvedere. Sullo sfondo, intravediamo un muro in mattoni ed il fumo di una locomotiva che sbuffa vapore dal suo comignolo, mentre in basso possiamo notare una sfera di colore verde.

Apollo del Belvedere
Apollo del Belvedere, celebre statua in marmo bianco risalente al periodo post-ellenistico (seconda metà del II secolo a.C.) quando i Romani avevano conquistato tutta la Grecia. Il nome deriva dal cortile del Belvedere in Vaticano, dove un tempo la scultura era collocata.

Canto d’amore: breve storia e interpretazione del quadro

Nel quadro, tutti gli elementi rappresentati dall’artista sono spropositati, enigmatici ed ingoiati dall’oscurità delle arcate sulla destra. Il dipinto venne realizzato poco prima del periodo della Prima Guerra Mondiale.

Gli oggetti che vengono rappresentati in questo quadro, il guanto rosso, la sfera verde e la testa di Apollo di colore bianco, ricordano fortemente i colori della bandiera italiana.

La sua produzione è influenzata da una costante riflessione sugli oggetti prodotti dalla cultura classica e della loro distribuzione geometrica. Nella sua opera gli elementi perdono di credibilità, la testa di Apollo accostata all’enorme guanto di plastica non ha alcun senso, anche se viene introdotta dall’artista con assoluta naturalezza.

La sua opera suscita un’impressione di mobilità e di solitudine. Nel dipinto, si vede il ritorno dei soggetti classici che ricordano in maniera indiscussa l’antichità greca e romana ed i temi del risorgimento nazionale. La sua pittura definita “metafisica” raffigura l’inconscio e il sogno, il surreale. Anche in quest’opera “Canto d’amore”, come in un sogno, i paesaggi appaiono realistici, ma assemblati confusamente; gli elementi sono rappresentati come attori messi lì a recitar se stessi senza un copione ben definito.

La prospettiva del quadro è costruita secondo molteplici punti di fuga incongruenti tra loro, le campiture di colore risultano come sempre piatte ed uniformi. Nel dipinto vi è una totale assenza di personaggi umani, dando spazio solo a figure e scene che si svolgono al di fuori del tempo. Possiamo notare inoltre, nel quadro, il modo caratteristico di De Chirico nell’illuminare la piazza con un Sole che pur non apparendo si lascia intravedere grazie alle strane ombre che produce, creando un clima di solitudine e oscurità.

Nella sua opera Canto d’amore, tutta l’attenzione dello spettatore va verso la scena descritta, una scena immobile senza tempo, un luogo silenzioso e misterioso, un palcoscenico teatrale che non mostra mai particolari emozioni.

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