Martin Lutero Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 29 Jan 2021 17:22:50 +0000 it-IT hourly 1 Le 95 tesi di Martin Lutero https://cultura.biografieonline.it/le-95-tesi-di-martin-lutero/ https://cultura.biografieonline.it/le-95-tesi-di-martin-lutero/#comments Wed, 19 Sep 2012 07:44:00 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3869 Con il termine “Le 95 tesi di Martin Lutero” si intende l’elenco di punti che costituisce il trattato sul potere e l’efficacia delle indulgenze della Chiesa cattolica romana che il predicatore tedesco elaborò e che portò in breve alla Riforma Protestante. La discussione suscitata dalle tesi di Martin Lutero sfidò gli insegnamenti religiosi canonici del tempo, affrontando temi circa la natura della penitenza e l’autorità del papa. I riflessi e le consguenze in ambito politico non tardarono ad affiancare gli aspetti religiosi che accompagnavano il dibattito teologico.

Martin Lutero rappresentato mentre affigge le sue 95 tesi
Martin Lutero rappresentato mentre affigge le sue 95 tesi

Secondo la tradizione pare che Lutero affisse le sue 95 tesi sul portone della Chiesa di Wittenberg (in Sassonia), il giorno 31 ottobre 1517.

La pubblicazione e l’affisione di Lutero delle sue tesi fu ispirata soprattutto da un evento: la vendita delle indulgenze da parte del prete domenicano Johann Tetzel su commissione dell’Arcivescovo di Magonza e del papa Leone X. Obiettivo finale della vendita fu la raccolta di fondi per finanziare la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. Si trattava di veri e propri documenti scritti, in cui si affermava che i peccati venivano perdonati: i fedeli potevano così presentarsi in confessionale con il proprio documento alla mano.

Testo delle 95 tesi di Martin Lutero

1. Il signore e maestro Gesù Cristo dicendo: “Fate penitenza ecc.” volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza.
2. Questa parola non può intendersi nel senso di penitenza sacramentale (cioè confessione e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti).
3. Non intende però solo la penitenza interiore, anzi quella interiore è nulla se non produce esteriormente varie mortificazioni della carne.
4. Rimane cioè l’espiazione sin che rimane l’odio di sé (che è la vera penitenza interiore), cioè regno dei cieli.
5. Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena fuorché quelle che ha imposte per volontà propria o dei canoni.
6. Il papa non può rimettere alcuna colpa se non dichiarando e approvando che è stata rimessa da Dio o rimettendo nei casi a lui riservati, fuori dei quali la colpa rimarrebbe certamente.
7. Sicuramente Dio non rimette la colpa a nessuno, senza sottometterlo contemporaneamente al sacerdote suo vicario, completamente umiliato.
8. I canoni penitenziali sono imposti solo ai vivi, e nulla si deve imporre in base ad essi ai moribondi.
9. Lo Spirito Santo dunque, nel papa, ci benefica eccettuando sempre nei suoi decreti i casi di morte e di necessità.
10. Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti, i quali riservano penitenze canoniche per il purgatorio ai moribondi.
11. Tali zizzanie del mutare una pena canonica in una pena del Purgatorio certo appaiono seminate mentre i vescovi dormivano.
12. Una volta le pene canoniche erano imposte non dopo, ma prima dell’assoluzione, come prova della vera contrizione.
13. I morituri soddisfano ogni cosa con la morte, e sono già morti alla legge dei canoni, essendone sollevati per diritto.
14. La integrità o carità perfetta del morente, porta necessariamente con sé un gran timore, tanto maggiore quanto essa è minore.
15. Questo timore e orrore basta da solo, per tacere d’altro, a costituire la pena del purgatorio, poiché è prossimo all’orrore della disperazione.
16. L’inferno, il purgatorio ed il cielo sembrano distinguersi tra loro come la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza.
17. Sembra necessario che nelle anime del purgatorio di tanto diminuisca l’orrore di quanto aumenti la carità.
18. Né appare approvato sulla base della ragione e delle scritture, che queste anime siano fuori della capacità di meritare o dell’accrescimento della carità.
19. Né appare provato che esse siano certe e sicure della loro beatitudine, almeno tutte, sebbene noi ne siamo certissimi.
20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.
21. Sbagliano pertanto quei predicatori d’indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l’uomo è sciolto e salvato da ogni pena.
22. Il papa, anzi, non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni.
23. Se mai può essere concessa ad alcuno la completa remissione di tutte le pene, è certo che essa può esser data solo ai perfettissimi, cioè a pochissimi.
24. È perciò inevitabile che la maggior parte del popolo sia ingannata da tale indiscriminata e pomposa promessa di liberazione dalla pena.
25. La stessa potestà che il papa ha in genere sul purgatorio, l’ha ogni vescovo e curato in particolare nella propria diocesi o parrocchia.
26. Il papa fa benissimo quando concede alle anime la remissione non per il potere delle chiavi (che non ha) ma a modo di suffragio
27. Predicano da uomini, coloro che dicono che subito, come il soldino ha tintinnato nella cassa, l’anima se ne vola via.
28. Certo è che al tintinnio della moneta nella cesta possono aumentare la petulanza e l’avarizia: invece il suffragio della chiesa è in potere di Dio solo.
29. Chi sa se tutte le anime del purgatorio desiderano essere liberate, a giudicare da un aneddoto che si narra riguardo ai santi Severino e Pasquale?.
30. Nessuno è certo della sincerità della propria contrizione, tanto meno del conseguimento della remissione plenaria.
31. Tanto è raro il vero penitente, altrettanto è raro chi acquista veramente le indulgenze, cioè rarissimo.
32. Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che credono di essere sicuri della loro salute sulla base delle lettere di indulgenza.
33. Specialmente sono da evitare coloro che dicono che tali perdoni del papa sono quel dono inestimabile di Dio mediante il quale l’uomo è riconciliato con Dio.
34. Infatti tali grazie ottenute mediante le indulgenze riguardano solo le pene della soddisfazione sacramentale stabilite dall’uomo.
35. Non predicano cristianamente quelli che insegnano che non è necessaria la contrizione per chi riscatta le anime o acquista lettere confessionali.
36. Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli è dovuta anche senza lettere di indulgenza.
37. Qualunque vero cristiano, sia vivo che morto, ha la parte datagli da Dio a tutti i beni di Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza.
38. Tuttavia la remissione e la partecipazione del papa non deve essere disprezzata in nessun modo perché, come ho detto [v. tesi n°6], è la dichiarazione della remissione divina.
39. È straordinariamente difficile anche per i teologi più saggi esaltare davanti al popolo ad un tempo la prodigalità delle indulgenze e la verità della contrizione.
40. La vera contrizione cerca ed ama le pene, la larghezza delle indulgenze produce rilassamento e fa odiare le pene o almeno ne dà occasione.
41. I perdoni apostolici devono essere predicati con prudenza, perché il popolo non intenda erroneamente che essi sono preferibili a tutte le altre buone opere di carità.
42. Bisogna insegnare ai cristiani che non è intenzione del papa equiparare in alcun modo l’acquisto delle indulgenze con le opere di misericordia.
43. Si deve insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze.
44. Poiché la carità cresce con le opere di carità e fa l’uomo migliore, mentre con le indulgenze non diventa migliore ma solo più libero dalla pena.
45. Occorre insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e trascurandolo dà per le indulgenze si merita non l’indulgenza del papa ma l’indignazione di Dio.
46. Si deve insegnare ai cristiani che se non abbondano i beni superflui, debbono tenere il necessario per la loro casa e non spenderlo per le indulgenze.
47. Si deve insegnare ai cristiani che l’acquisto delle indulgenze è libero e non di precetto.
48. Si deve insegnare ai cristiani che il papa come ha maggior bisogno così desidera maggiormente per sé, nel concedere le indulgenze, devote orazioni piuttosto che monete sonanti.
49. Si deve insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili se essi non vi confidano, ma diventano molto nocivi, se per causa loro si perde il timor di Dio.
50. Si deve insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le esazioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro andasse in cenere piuttosto che essere edificata sulla pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle.
51. Si deve insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe, anche a costo di vendere – se fosse necessario – la basilica di San Pietro, dare dei propri soldi a molti di quelli ai quali alcuni predicatori di indulgenze estorcono denaro.
52. È vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenza. anche se un commissario e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima.
53. Nemici di Cristo e del papa sono coloro i quali perché si predichino le indulgenze fanno tacere completamente la parola di Dio in tutte le altre chiese.
54. Si fa ingiuria alla parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un tempo eguale o maggiore all’indulgenza che ad essa.
55. È sicuramente desiderio del papa che se si celebra l’indulgenza, che è cosa minima, con una sola campana, una sola processione, una sola cerimonia, il vangelo, che è la cosa più grande, sia predicato con cento campane, cento processioni, cento cerimonie.
56. I tesori della Chiesa, dai quali il papa attinge le indulgenze, non sono sufficientemente ricordati né conosciuti presso il popolo cristiano.
57. Certo è evidente che non sono beni temporali, che molti predicatori non li profonderebbero tanto facilmente ma piuttosto li raccoglierebbero.
58. Né sono i meriti di Cristo e dei santi, perché questi operano sempre, indipendentemente dal papa, la grazia dell’uomo interiore, la croce, la morte e l’inferno dell’uomo esteriore.
59. San Lorenzo chiamò tesoro della Chiesa i poveri, ma egli usava il linguaggio del suo tempo.
60. Senza temerarietà diciamo che questo tesoro è costituito dalle chiavi della Chiesa donate per merito di Cristo.
61. È chiaro infatti che per la remissione delle pene e dei casi basta la sola potestà del papa.
62. Vero tesoro della Chiesa di Cristo è il sacrosanto Vangelo, gloria e grazia di Dio.
63. Ma questo tesoro è a ragione odiosissimo perché dei primi fa gli ultimi.
64. Ma il tesoro delle indulgenze è a ragione gratissimo perché degli ultimi fa i primi.
65. Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali un tempo si pescavano uomini ricchi.
66. Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.
67. Le indulgenze che i predicatori proclamano grazie grandissime, si capisce che sono veramente tali quanto al guadagno che promuovono.
68. Sono in realtà le minime paragonate alla grazia di Dio e alla pietà della croce.
69. I vescovi e i parroci sono tenuti a ricevere con ogni riverenza i commissari dei perdoni apostolici.
70. Ma più sono tenuti a vigilare con gli occhi e le orecchie che essi non predichino, invece del mandato avuto dal papa, le loro fantasie.
71. Chi parla contro la verità dei perdoni apostolici sia anatema e maledetto.
72. Chi invece si oppone alla cupidigia e alla licenza del parlare del predicatore di indulgenze, sia benedetto.
73. Come il papa giustamente fulmina coloro che operano qualsiasi macchinazione a danno della vendita delle indulgenze.
74. Così molto più gravemente intende fulminare quelli che col pretesto delle indulgenze operano a danno della santa carità e verità.
75. Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo, anche se questi, per un caso impossibile, avesse violato la madre di Dio, è essere pazzi.
76. Al contrario diciamo che i perdoni papali non possono cancellare neppure il minimo peccato veniale, quanto alla colpa.
77. Dire che neanche S. Pietro se pure fosse papa, potrebbe dare grazie maggiori, è bestemmia contro S. Pietro e il papa.
78. Diciamo invece che questo e qualsiasi papa ne ha di maggiori, cioè l’evangelo, le virtù, i doni di guarigione, ecc. secondo I Corinti 12 [1 COR, 12].
79. Dire che la croce eretta solennemente con le armi papali equivale la croce di Cristo, è blasfemo.
80. I vescovi i parroci e i teologi che consentono che tali discorsi siano tenuti al popolo ne renderanno conto.
81. Questa scandalosa predicazione delle indulgenze fa sì che non sia facile neppure ad uomini dotti difendere la riverenza dovuta al papa dalle calunnie e dalle sottili obiezioni dei laici.
82. Per esempio: perché il papa non vuota il purgatorio a motivo della santissima carità e della somma necessità delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un numero infinite di anime in forza del funestissimo denaro dato per la costruzione della basilica, che è una ragione debolissima?
83. Parimenti: perché continuano le esequie e gli anniversari dei defunti e invece il papa non restituisce ma anzi permette di ricevere lasciti istituiti per loro, mentre è già un’ingiustizia pregare per dei redenti?
84. Parimenti: che è questa nuova di Dio e del papa, per cui si concede ad un uomo empio e peccatore di redimere in forza del danaro un’anima pia e amica di Dio e tuttavia non la si redime per gratuita carità in base alla necessità di tale anima pia e diletta?
85. Ancora: perché canoni penitenziali per sé stessi e per il disuso già da tempo morti e abrogati, tuttavia a motivo della concessione delle indulgenze sono riscattati ancora col denaro come se avessero ancora vigore?
86. Ancora: perché il papa le cui ricchezze oggi sono più opulente di quelle degli opulentissimi Crassi, non costruisce una sola basilica di S. Pietro con i propri soldi invece che con quelli dei poveri fedeli?
87. Ancora: cosa rimette o partecipa il papa a coloro che con la contrizione perfetta hanno diritto alla piena remissione e partecipazione?
88. Ancora: quale maggior bene si recherebbe alla Chiesa, se il papa, come fa ogni tanto, così cento volte ogni giorno attribuisse queste remissioni e partecipazioni a ciascun fedele?
89. Dato che il papa con le indulgenze cerca la salvezza delle anime piuttosto che il danaro perché sospende le lettere e le indulgenze già concesse, quando sono ancora efficaci?
90. Soffocare queste sottili argomentazioni dei laici con la sola autorità e non scioglierle con opportune ragioni significa esporre la chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.
91. Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente dissipate, anzi non esisterebbero.
92. Addio dunque a tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano “Pace. pace”, mentre non v’è pace.
93. Valenti tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano «Croce, croce», mentre non v’è croce.
94. Bisogna esortare i cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo attraverso le pene, le mortificazioni e gli inferni.
95. E così confidino di entrare in cielo piuttosto attraverso molte tribolazioni che per la sicurezza della pace.

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Concilio di Trento https://cultura.biografieonline.it/il-concilio-di-trento/ https://cultura.biografieonline.it/il-concilio-di-trento/#comments Fri, 18 May 2012 06:20:16 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1943 Diciannovesimo concilio ecumenico della storia della Chiesa cattolica, il Concilio di Trento, chiamato anche Concilio Tridentino, viene aperto nel 1545 e chiuso nel 1563 dopo diverse interruzioni. Il concilio sancisce la cosiddetta Controriforma, vale a dire la riforma della Chiesa cattolica, e definisce la reazione rispetto alle dottrine del luteranesimo e del calvinismo diffuse in seguito alla Riforma protestante. Il Concilio di Trento rappresenta un evento chiave per la storia del cattolicesimo, al punto che ancora oggi l’aggettivo “tridentino” viene spesso utilizzato per definire alcuni aspetti peculiari che la Chiesa cattolica ha ricevuto in eredità da tale concilio, e che ha mantenuto fino a quelli successivi, il Concilio Vaticano I e il Concilio Vaticano II.

Martin Lutero e i contrasti col Vaticano

Martin Lutero
Martin Lutero

La prima personalità di rilievo che annuncia la necessità di rivolgersi a un concilio finalizzato a risolvere il suo contrasto con il Vaticano è, nel 1517, Martin Lutero. La sua richiesta viene immediatamente sostenuta da una buona parte della popolazione tedesca, e soprattutto da Carlo V. Quest’ultimo, infatti, vede in un nuovo concilio la possibilità non solo di riformare la Chiesa, ma soprattutto di aumentare il potere dell’impero. Mentre tra i sostenitori del concilio va anche annoverato Bernardo Clesio, vescovo di Trento, la lista degli oppositori comprende lo stesso pontefice, Clemente VII, il quale da una parte è impegnato ad adottare una politica contraria a Carlo V e favorevole alla Francia, e dall’altro ha timore di essere deposto (considerando che egli è un figlio illegittimo). A questi aspetti occorre aggiungere i rischi, mai nascosti, di una ripresa delle varie dottrine conciliariste.

L’intervento di Paolo III

È il successore di Clemente VII, Paolo III, pontefice dal 1534 al 1549, a far riprendere quota all’idea di un concilio. Egli, tra l’altro, estende il collegio cardinalizio aprendolo a figure che, in un modo o nell’altro, si mostrano favorevoli a una riforma: da Giovanni Gerolamo Morone a Reginald Pole, da Giovanni Pietro Carafa a Gasparo Contarini (questi ultimi due, comunque, su posizioni più moderate). Nel 1536, prima a Mantova e poi a Vicenza viene convocata un’assemblea che riunisce i vescovi, gli abati e i principi di tutto l’impero: la riunione, tuttavia, non sortisce alcun effetto, anche a causa dei contrasti tra Carlo V e Francesco I.

Non vanno sottovalutati, poi, i diversi punti di vista relativi agli scopi e alle reali motivazioni del concilio: da una parte Carlo V spera che lo scisma protestante venga ricomposto, dall’altra il Papa desidera porre alcuni punti fermi fondamentali a proposito di dottrina e dogmi; per i riformati stessi, invece, il concilio rappresenta un modo per attaccare l’autorità del pontefice. I colloqui di Ratisbona, andati in scena nel 1541, costituiscono, con il loro fallimento, un passo ulteriore verso la rottura con i protestanti: è a questo punto che la necessità di convocare un concilio viene ritenuta non più procrastinabile. Nel 1542, dunque, la sede viene individuata a Trento, città italiana situata nel territorio imperiale e governata da un principe-vescovo.

Inizia il Concilio di Trento

Il concilio di Trento, dipinto di Pasquale Cati (1588)
Il concilio di Trento, dipinto di Pasquale Cati (1588)

La bolla di convocazione viene emanata da Paolo III dopo la pace di Crepy. E così, dopo la celebre Laetare Jerusalem del novembre del 1544, il 13 dicembre 1545 il Concilio di Trento viene solennemente aperto. È la terza domenica di Avvento, e a fare gli onori di casa, nella cattedrale di San Vigilio, è appunto il vescovo e principe Cristoforo Madruzzo.

La prima fase del concilio si compone di otto sessioni andate in scena tra il 1545 e il 1547 a Trento, e di altre due sessioni avvenute a Bologna tra il 1547 e il 1549. La decisione di trasferire il concilio nella città emiliana giunge sia per la volontà di svincolarsi dalle ingerenze dell’imperatore, sia per i timori conseguenti alla diffusione della peste. Il Concilio di Trento in un primo momento conta unicamente su pochi prelati, la maggior parte dei quali italiani, e procede sotto il controllo diretto dei delegati pontifici: sono presenti, comunque, anche alcuni prelati connessi con l’evangelismo, tra cui il già citato cardinale Reginald Pole. Le prime sessioni vedono l’approvazione dell’ordine in cui gli argomenti verranno discussi e dei regolamenti; inoltre, dopo un compromesso faticosamente raggiunto tra le istanze papali e quelle imperiali, viene stabilito di affiancare, ai decreti che riguardano questioni disciplinari, decreti relativi ai dogmi. Infine, si riafferma ufficialmente il simbolo niceno-costantinopolitano.

Il Canone Tridentino

La IV sessione risulta particolarmente importante, poiché fissa l’ordine e il numero dei libri sacri del Vecchio e del Nuovo Testamento, secondo il Canone Tridentino; inoltre, viene stabilita come autentica la Vulgata della Bibbia, mentre viene respinta la dottrina che propone il libero esame delle Scritture: la loro interpretazione, infatti, spetta unicamente alla Chiesa. Allo stesso tempo, agli stampatori viene proibito di pubblicare e diffondere libri religiosi in cui sia presente un’interpretazione delle Scritture diversa da quella che la Chiesa propugna, e libri religiosi che non presentano il nome dell’autore.

Mentre nella V Sessione viene ribadita la dottrina relativa al peccato originale, la VI Sessione mette al centro delle decisioni la giustificazione. In particolare viene affermato che il peccato viene lavato dal battesimo, ma che ciò non toglie che nel battezzato permanga una concupiscenza, causa del peccato.

A dispetto della permanenza della concupiscenza, in particolare, si assiste a una riproposizione della tesi dello stato di grazia (tesi tomista), da intendere come una peculiarità che, dopo essere stata ricevuta dall’uomo, diventa sua: in pratica, non una dote che viene sempre conferita da Dio, ma una qualità aliena rispetto a esso. Vengono, tuttavia, abbandonate le categorie descritte dalla Scolastica medievale, e in particolare la grazia creata di cui parla San Tommaso, dono di carattere soprannaturale infuso nell’uomo da Dio come qualità accidentale dell’anima. Il soggetto che riceve la grazia, insomma, cambia concretamente e realmente, con un nuovo comportamento costituito da atti meritori che confermano, a loro volta, la grazia incrementandola.

Gli atti sono al tempo stesso necessari e conseguenti alla grazia. Ciò non toglie che la cooperazione dell’uomo risulti indispensabile anche prima dell’abbraccio della fede, lo stato di grazia che coincide con l’abbandono fiduciale in Gesù.

Nel documento emanato dal concilio, dunque, viene presentato l’elenco degli atti che conducono alla giustificazione un adulto: per esempio riconoscere il proprio peccato e odiarlo, rivolgere la propria attenzione alle diverse verità di fede dando vita a un assenso interiore, amare con tutto il cuore Dio. Si tratta di un insieme di atti che vengono compiuti per esclusiva volontà dell’uomo, e che sono diversi dall’esercizio di fede, speranza e carità (le virtù teologali).

In sintesi, vengono condannate tutte le tesi proposte da Lutero relative alla giustificazione, non solo a proposito di ciò che serve per ottenerla (secondo Lutero è sufficiente la semplice fede, senza le opere che non hanno valore) ma soprattutto a proposito delle conseguenze sul giustificato (secondo Lutero nella persona non si verifica alcun cambiamento, visto che i peccati permangono, e la sola differenza è che essi non gli vengono più imputati da Dio, mediante un atto esclusivamente unilaterale). Inoltre, anche la teoria calvinista riguardante la predestinazione degli Eletti viene condannata, mentre si pone un accento particolare sul ruolo ricoperto dalla libertà umana nell’ambito della salvezza personale.

La questione dell’Immacolata Concezione

La questione dell’Immacolata Concezione, invece, non viene affrontata in maniera estesa, e il concilio si limita ad affermare che le frasi relative al peccato originale contenute in quegli stessi documenti non chiamano in causa la vergine Maria, ma riprendono unicamente le indicazioni di papa Sisto IV (colui che istituì la celebrazione dell’Immacolata): indicazioni sulla base delle quali non si può ritenere eretica né l’affermazione favorevole né l’affermazione contraria dell’Immacolata Concezione, poiché la Chiesa non ha ancora emesso un parere definitivo e conclusivo.

Vengono, inoltre, stabiliti diversi decreti di riforma: tra gli altri, il dovere di residenza come condizione indispensabile per la rendita dei benefici ecclesiastici, il divieto di predicazione ai questuanti e l’obbligo, per i vescovi, di risiedere nella propria diocesi. Non di rado, infatti, in questo periodo accade che i vescovati e i benefici ecclesiastici siano assegnati ai nobili senza verificare se essi svolgano effettivamente l’incarico e risiedano nel posto.
La VII sessione, poi, ribadisce la dottrina dei sacramenti: sono sette, sono efficaci ex opere operato (vale a dire a prescindere dalla loro esecuzione) e sono stati istituiti da Gesù.

Chiusura e riapertura del Concilio

Si procede, poi, a prendere in esame in maniera approfondita il battesimo e la confermazione. Luigi Bardone, vescovo e teologo di Pavia, si occupa in prima persona di presentare a Carlo V i nuovi dogmi; poi, a causa dei conflitti tra lo stesso Carlo V e il pontefice Paolo III, i lavori vengono interrotti. È la morte di Paolo III, con la conseguente elezione a papa di Giulio III dopo tre mesi di conclave, a permettere la riapertura del concilio, nel mese di maggio del 1551, con l’astensione della Francia, una maggioranza di vescovi imperiali e tredici inviati protestanti.

La trattativa con i protestanti, tuttavia, non ha un esito positivo, in conseguenza delle istanze di scioglimento del giuramento di fedeltà al pontefice da loro presentate, oltre che per la richiesta di discutere decreti che sono già stati approvati. Così, mentre la religione riformata viene pubblicamente tollerata all’interno dell’impero grazie all’interim di Augusto, in concilio il problema dell’accordo con essa permane.

Riprende, quindi, la discussione relativa ai sacramenti: nel corso della XIII sessione, per esempio, si ribadisce la presenza reale nell’eucarestia di Cristo, la dottrina della transustanziazione e l’istituzione dell’eucarestia nell’Ultima Cena; inoltre, dopo aver affermato l’importanza dei sacramenti, si confermano tutte le pratiche di adorazione e di culto connesse con essi, quali la festa del Corpus Domini e l’adorazione eucaristica. Le sessioni successive, poi, propongono la riaffermazione della necessità della confessione (o penitenza) e dell’unzione degli infermi (sacramento rifiutato da Lutero), entrambi ritenuti istituiti da Cristo stesso. Il concilio, quindi, viene sospeso una seconda volta nel mese di aprile del 1552, questa volta in conseguenza delle guerre che vedono coinvolti i principi protestanti e le truppe imperiali.

Marcello II e Paolo IV

Dopo la morte di Giulio III, avvenuta nel 1555, al soglio pontificio accedono Marcello II – che tuttavia rimane papa per meno di un mese – e Paolo IV, che, poco fiducioso nei confronti dell’assise del concilio, prova a mettere in atto la riforma per vie traverse, aumentando l’importanza del Sant’Uffizio e soprattutto pubblicando (siamo nel 1557) il famoso Indice dei libri proibiti, un elenco di testi (Index librorum prohibitorum) che i fedeli non possono leggere, a causa dei contenuti moralmente sconsigliabili o eretici che propongono. Due anni più tardi, nel 1559, diventa papa Pio IV, che riapre, tre anni dopo, i lavori del concilio di Trento, grazie anche all’aiuto del cardinale Carlo Borromeo, suo nipote e futuro arcivescovo di Milano.

Il sacrificio della Messa

Alla riapertura, dunque, si affronta la questione riguardante il sacrificio della Messa, ritenuto memoriale e rappresentativo del sacrificio sulla croce di Gesù, vittima perfetta e sacerdote; di conseguenza, si stabilisce la condanna delle idee calviniste e luterane che identificano la Messa come un banale ricordo del sacrificio di Cristo. La XXIII sessione, poi, riafferma in maniera perentoria il valore dell’ordine, sacramento ritenuto istituito da Gesù, e soprattutto la legittimità dell’organizzazione gerarchica della Chiesa, a capo della quale si trova il Papa, successore di Pietro, assistito dai vescovi, a loro volta successori degli apostoli.

Si procede quindi ad approvare i decreti di riforma sull’ammissione al sacerdozio dei candidati e sulla presenza in ogni diocesi di seminari. La sessione successiva, invece, si concentra in maniera particolare sul sacramento del matrimonio, giudicato indissolubile sulla base dell’insegnamento di Gesù, e fissa le norme per il suo annullamento. Si decide, inoltre, che il celibato ecclesiastico è vincolante, e che ogni parroco ha l’obbligo di tenere e curare un registro che include tutti i battesimi, le cresime, le sepolture e i matrimoni. I vescovi, invece, devono compiere ogni anno la visita pastorale portandola a termine ogni due anni.

L’ultima sessione

L’ultima sessione del Concilio di Trento è la XXV, e riafferma la dottrina cattolica sul culto dei santi, delle immagini sacre e delle reliquie, oltre che sul Purgatorio. Un decreto, in particolare, assegna alla Chiesa la possibilità di concedere indulgenze, e giudica questa pratica salutare per il popolo cristiano; in altri termini, viene condannato chi si permette di predicare l’inutilità delle indulgenze, pratica conferita da Cristo stesso e approvata dai sacri canoni. Alla curia romana e al pontefice, infine, vengono affidate alcune questioni che per mancanza di tempo non hanno trovato soluzione: si tratta della revisione dell’Indice dei Libri Proibiti, del breviario, del catechismo e del messale.

Il 30 giugno 1564 la bolla Benedictus Deus emanata da Pio IV approva definitivamente i decreti conciliari, e attribuisce a una commissione specifica il compito di controllare che gli stessi siano interpretati e attuati in maniera corretta; si conclude così il concilio.

Il Concilio di Trento, dunque, non riesce a portare a termine uno dei compiti per cui era stato convocato, e cioè ripristinare l’unità della Chiesa ricomponendo lo scisma protestante; tuttavia, il suo merito va individuato nell’aver fornito, in ambito cattolico, risposte dottrinali a tutte le questioni che i riformatori e Lutero avevano sollevato.

In pratica, viene fornita al popolo cattolico una dottrina completa e organica sui sacramenti, e soprattutto viene specificata l’importanza del libero arbitrio (e di conseguenza della cooperazione umana) nel disegno della salvezza divina.

Le questioni insolute

Tuttavia, alcune questioni importanti nell’ambito della fede rimangono comunque insolute: per esempio, non si tratta in maniera esaustiva e soddisfacente il tema del ruolo del papato e della sua natura, problema proposto dai protestanti insieme con quello del rapporto del pontefice con l’episcopato (se ne parlerà nel corso del Concilio Vaticano I).

Allo stesso modo, anche la questione della convivenza tra aspetto misterico e aspetto istituzionale nella Chiesa rimane insoluta (e in questo caso sarà necessario attendere addirittura il Concilio Vaticano II).

Dal punto di vista istituzionale, poi, non vengono trattate con sufficiente profondità le problematiche connesse con i diritti e i privilegi attribuiti a principi e sovrani cattolici nella possibilità di intervento nelle questioni relative alla vita interna della Chiesa. Sotto il profilo disciplinare, invece, molta attenzione è riservata alla maggiore importanza della cura animarum, la cura delle anime (cura pastorale) che spetta ai vescovi.

Un impulso notevole, poi, viene dato alla vita delle diocesi, che ora devono obbligatoriamente avere un vescovo presente; ancora, ai vescovi spettano le visite pastorali e la celebrazione dei sinodi, mentre in ogni diocesi viene istituito un seminario. Insomma, il Concilio di Trento delimita in maniera netta il patrimonio cattolico rispetto alla riforma protestante, dando vita a una riforma cattolica che consolida il potere episcopale e mette al centro dell’attenzione i bisogni pastorali.

La Controriforma

Dal Concilio di Trento, in effetti, discende un attivismo nuovo verso il protestantesimo, che la storiografia indica come Riforma cattolica o Controriforma. I papi che si susseguono dopo la chiusura del concilio dunque portano a termine la riorganizzazione della Chiesa: primo tra tutti Pio V, pontefice a partire dal 1566, che promulga il Catechismo Romano, strumento fondamentale per predicatori e parroci, e compie la revisione del messale e del breviario: in questo modo, la chiesa occidentale ritrova una uniformità liturgica, e soprattutto adotta universalmente il rito romano in forma tridentina (che oggi viene celebrata in qualità di forma extraordinaria del rito romano).

Pio V, inoltre, istituisce la Congregazione dell’Indice, organizzazione cui spetta il compito di aggiornare continuamente l’Indice dei Libri Proibiti, eventualmente effettuando dispense speciali.

Dopo Pio V è la volta di Gregorio XIII, salito al soglio pontificio nel 1572, che, sulla scorta del clima prodotto dal Concilio di Trento, accentra sempre di più il potere ecclesiastico nelle mani del papa, promuove la costruzione di collegi stranieri e seminari a Roma e sviluppa la nunziatura, una specie di ambasceria che non dipende dalla Chiesa locale ma direttamente dal pontefice.

Al successore Sisto V, infine, va attribuita la decisione di imporre ai vescovi una visita ad limina periodica: una visita a Roma obbligatoria per relazionare, con documenti scritti, il Papa a proposito della situazione della diocesi di riferimento.

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