luce Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 01 Oct 2024 12:39:35 +0000 it-IT hourly 1 Ballo al Moulin de la Galette (Renoir): analisi dell’opera https://cultura.biografieonline.it/renoir-ballo-moulin-de-la-galette/ https://cultura.biografieonline.it/renoir-ballo-moulin-de-la-galette/#comments Sat, 27 Nov 2021 19:34:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13252 Ballo del Moulin de la Galette è un celebre quadro di Pierre-Auguste Renoir, dipinto nel 1876. E’ il quadro più importante di quel periodo. Ciò perché è un inno alla luce. Esso mostra il livello che Renoir aveva raggiunto nel riprodurre l’attimo di luce, cioè il momento in cui la luce cambia tutto e l’artista riesce a catturarla, rappresentandola in modo perfetto.

Bal du moulin de la Galette (Dance at Le Moulin de la Galette)
Ballo al Moulin de la Galette (Auguste Renoir, 1876) – Musée d’Orsay, Parigi – Olio su tela (175 x 131 cm)

Renoir comprese subito l’importanza dell’insegnamento di Monet riguardo alla luce e fu proprio la loro frequentazione a permettere a Renoir di apprendere gli insegnamenti di uno degli esponenti più importanti dell’Impressionismo.

Ballo al Moulin de la Galette: analisi del quadro

E, infatti, “Ballo al Moulin de la Galette” rappresenta in modo straordinario le idee fondamentali dell’Impressionismo.

La luce è ovunque ed anche le ombre sui volti, come nel caso del viso della ragazza in primo piano, hanno una loro tonalità.

Gli alberi sono pieni di macchie di luce e così la giacca del ragazzo di spalle che parla con la giovane. Ella ha la luce sul volto sotto ad una fronte ombrosa che, come si è detto, è coperta da un’ombra che esalta ancora di più la luce.

Le ombre sono dunque colorate, cioè sono frastagliate di luce e la luce è una protagonista assoluta del quadro. Proprio la luce dà movimento alla scena, le dona quel dinamismo gioioso che proprio nell’attimo che coglie, si compie.

La tecnica

Renoir utilizza la tecnica cara agli impressionisti: pennellate veloci che danno movimento alla scena ma anche dissolvenza; le immagini infatti sembrano fondersi e confondersi e proprio questo aspetto era fra i più osteggiati dai critici dell’Impressionismo.

Questo dipinto è indubbiamente un capolavoro.

Non solo per la maestria con la quale viene ricreata la scena di un ballo festoso e per il modo innovativo in cui la luce viene distribuita in tutte le immagini, ma perché interpreta perfettamente ciò che sta accadendo alla pittura moderna, cioè come sta cambiando e quali travolgenti novità arriveranno da lì a poco nell’arte pittorica.

Montmartre

Questo quadro, Ballo al Moulin de la Galette, ritrae un momento di vita dei giovani parigini. Sono tutti riuniti al Moulin de la Galette, celebre caffè del quartiere di Montmartre. Alcuni di loro ballano (sullo sfondo), altri chiacchierano tra loro, seduti ai tavolini (in primo piano).

E tra i personaggi seduti c’è lo stesso Renoir, che conversa con i suoi amici e con le sue modelle.

La fotografia storica ci trasmette anche la moda dell’epoca: le acconciature delle donne, le gonne che si sollevano durante il ballo, i cappelli a cilindro degli uomini.

Altri quadri di Renoir di questo periodo sono:

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Argenteuil (opera di Claude Monet): analisi del dipinto https://cultura.biografieonline.it/argenteuil-monet/ https://cultura.biografieonline.it/argenteuil-monet/#respond Sat, 20 Nov 2021 13:05:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20456 Claude Monet dipinge “Argenteuil” nel 1872, mentre vive con la famiglia vicino alla località francese. La sua è una sperimentazione che nasce dal confronto con i pittori paesaggisti inglesi William Turner e John Constable, che poté ammirare a Londra, dove si era trasferito durante la guerra franco-prussiana avvenuta nel 1870. Lì Monet era stato costretto a rimanere, a causa dei moti della Comune francese.

Argenteuil Monet 1872
Argenteuil“, Claude Monet (1872)

Argenteuil: analisi del dipinto di Monet

Il periodo londinese permette a Monet di studiare tecniche differenti e di imparare dai maestri inglesi una diversa rappresentazione della luce. Un esempio è il modo in cui rappresenta il riflesso tremolante di oggetti e piante sul fiume. Quasi fa sparire la consistenza degli stessi, obliandoli.

Lo studio fatto nei musei della capitale inglese permette a Monet di cambiare in parte la sua pittura. Fa un salto importante, anche nella scelta dei colori. Il cielo, ad esempio, ha lo stesso colore dell’acqua.

Inoltre, Monet evita l’utilizzo di toni forti, preferendo avvalersi di impasti più sfumati e meno accesi. Questa scelta permette all’artista di rappresentare perfettamente il contesto tranquillo e malinconico del luogo.

I dettagli

Osservando il quadro più dettagliatamente, si può notare che il paese di Argenteuil è sulla sinistra. Mentre sulla destra si possono vedere le colline di Orgemont. Nel centro, invece, appaiono alcune barche che si specchiano sull’acqua.

Si può osservare anche come la scelta dei colori aiuti a immaginare un luogo in cui la foschia potrebbe inghiottire tutto il panorama. Gli alberi delle barche che si vedono galleggiare sulla destra sono i protagonisti della tela e ne svelano il mistero, in un certo senso. Perché tutto il dipinto è basato sulle ombre e sul tremolio degli oggetti che, come si è detto, quasi svaniscono alla vista dello spettatore.

La magia del dipinto si mostra proprio di fronte a questa scelta del pittore. Gli alberi delle barche sono inoltre fondamentali per comprendere l’omogeneità dei colori e il modo di rappresentare la luce riflessa sull’acqua.

Per realizzare questo dipinto, Monet utilizzò la sua barca studio. Essa gli permise di muoversi sul fiume e di osservare da diverse angolature il paesaggio. Il dipinto, quando venne presentato al pubblico e alla critica, suscitò, come accadeva spesso agli impressionisti della prima ora, indifferenza e dileggio. Tuttavia, Argenteuil rappresenta uno dei primi dipinti che seguono le regole dell’Impressionismo e operano una svolta, non solo nel percorso artistico di Monet ma, più in generale, nello stile paesaggistico dell’epoca.

Attualmente il dipinto è esposto al Museo d’Orsay. E’ un olio su tela e misura 50×65 cm.

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Chi ha inventato le luci di Natale? https://cultura.biografieonline.it/luci-di-natale/ https://cultura.biografieonline.it/luci-di-natale/#comments Wed, 09 Dec 2020 10:47:16 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20565 Le luci di Natale

Il periodo natalizio porta con sé svariate tradizioni. Una di queste è quella di illuminare il nostro Natale. In questo periodo dell’anno è piacevole rimanere incantati nell’osservare le luci di Natale e i giochi che producono. Esse rendono scintillanti le nostre case, i nostri giardini, le nostre strade. Un Natale di luce e calore.

Luci di Natale
Luci di Natale

L’invenzione delle luci di Natale

Un tempo, però, gli addobbi che si utilizzavano erano costituiti da nastri, ghirlande, fiocchi, candeline e piccoli frutti. Utilizzato come pianta decorativa già molto prima dell’avvento del Natale cristiano, era anche l’agrifoglio. A questi ornamenti se ne aggiunse un altro, più… lucente.

Nel 1882, Edward Hibberd Johnson, inventore e socio in affari di Thomas Edison, ebbe l’idea di attorcigliare un filo di lampadine colorate intorno al suo albero di Natale. Erano 80 lampadine rosse, bianche e blu delle dimensioni di una noce. Era il 22 dicembre 1882 e l’albero era quello nella sua casa a New York. La storia è stata riportata nel giornale Detroit Post and Tribune da un reporter di nome William Augustus Croffut.

Edward Hibberd Johnson
Edward Hibberd Johnson, il padre delle luci di Natale

Scriveva Croffut: “Ieri sera mi avvicinai al di là della Fifth Avenue, chiamato presso la residenza di Edward H. Johnson, vice presidente della Edison’s Electric Company. C’era, nella parte posteriore dei bellissimi saloni, un grande albero di Natale, che presentava un aspetto più pittoresco e sconcertante. Era brillantemente illuminato con molte sfere colorate grandi come una noce inglese. (…) C’erano ottanta luci in tutto, racchiuse in queste uova di vetro delicate, quasi equamente divise tra i colori bianco, rosso e blu. (…) Non ho bisogno di dirvi che il sempreverde scintillante è stato un bello spettacolo, difficilmente si può immaginare qualcosa di più bello”.

Le prime luci di Natale
Foto scattata il 25 dicembre 1882 che mostra l’albero di Natale di Edward Hibberd Johnson

Le prime luci di Natale

Da quel momento in poi, le luminarie sono entrate a far parte delle tradizioni natalizie. Non solo l’albero di Natale, ma anche le strade, gli esterni e gli interni delle case, sono resi scintillanti da ghirlande di luci di ogni colore, che rendono l’atmosfera più calda e festosa. Nel 1895, il presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland sfoggiò il primo albero illuminato elettricamente alla Casa Bianca, con più di cento luci multicolori.

Le prime luci di Natale destinate ad essere commercializzate, furono fabbricate dalla Edison General Electric Company di Harrison, in New Jersey. Apparvero sulle riviste americane per la prima volta nel numero di dicembre del 1901 della rivista Ladies’ Home Journal.

Casa con luci di Natale

Grazie a Edward Hibberd Johnson, quindi, il Natale, oltre che ad essere bianco, magico, gioioso (ma per alcuni anche malinconico), è diventato anche luminoso, luccicante, scintillante!

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Lucciola: da dove deriva l’uso del termine come sinonimo di prostituta https://cultura.biografieonline.it/lucciola-termine-sinonimo-prostituta/ https://cultura.biografieonline.it/lucciola-termine-sinonimo-prostituta/#comments Thu, 25 Jul 2019 15:53:25 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26772 Qual è il modo e il contesto corretto per utilizzare il termine lucciola con il significato di prostituta

Il termine più utilizzato per indicare nel lessico giornalistico e nel linguaggio quotidiano una lavoratrice del sesso è prostituta.  Immediatamente dopo, tra le parole utilizzate c’è lucciola. In Italia infatti questo termine è di uso popolare per ricollegarsi a fenomeni connessi al mercato del sesso.

lucciola prostituta

Lucciola: la metafora della luce

Il modo di dire Lucciole ha dunque ha che fare con l’insetto notturno che emette luce intermittente in volo. Ed è da qui che deriva questo nome: dalla luce che proviene lungo le strade con fuochi e lumi che accendono le donne per illuminare nella notte i luoghi bui in cui stazionano. Tale termine è d’uso frequente nel giornalismo di cronaca, sociale e di costume.

lucciole in un prato
Lucciole in un prato

Lucciole vagabonde

C’è una canzone degli anni Venti dal titolo “Lucciole vagabonde” che così recita:

Quando più fitta l’oscurità
scende sulla città,
lucciole ansiose di libertà
noi lasciamo i bassifondi.

Senza una meta c’incamminiam
e sotto ad un lampion,
quando la ronda non incontriam,
cantiamo la canzon:

Noi siam come le lucciole,
brilliamo nelle tenebre,
schiave d’un mondo brutal
noi siamo i fiori del mal.

Se il nostro cuor vuol piangere,
noi pur dobbiam sorridere
danzando sui marciapiè
finché la luna c’è.

Celebre anche la canzone Roxanne, The Police (1978) che recita

Roxanne
You don’t have to put on the red light
Those days are over
You don’t have to sell your body to the night

Roxanne / Non devi accendere la luce rossa / Quei giorni sono finiti / Non devi vendere il tuo corpo per la notte

Una visione pittoresca e anche romantica

L’uso del termine lucciola per identificare le prostitute, al contrario di altri sinonimi popolari che sono dispregiativi, non viene utilizzato a fini denigratori. E’ invece un modo eufemistico, romantico e pittoresco per definire questo tipo di lavoro.

Si chiama “Lucciola” anche la rivista del Comitato per i diritti civili delle prostitute, che ha scelto come logo l’animaletto luminoso. Proprio perché è una parola meno stigmatizzata.

Tuttavia a seconda del contesto in cui viene utilizzato il termine “lucciola”, può essere inadeguato oppure adeguato. Per esempio, quando è utilizzato in un testo narrativo, di costume non procura problemi di correttezza comunicativa.

prostitute

Lucciole in epoche e culture differenti

Aldilà delle intenzioni, non si può accantonare la secolare condizione di discriminazione, emarginazione sociale e di condanna morale di cui sono vittime queste donne. È quella del commercio sessuale femminile, l’attività che in assoluto viene più stigmatizzata nelle società occidentali.

Le etère della Grecia antica, le geishe giapponesi, le cortigiane rinascimentali, le mantenute ottocentesche: sono figure assimilabili, esistite nei secoli, presso diverse culture.

Quale termine usare, in quale contesto

C’è ancora da precisare che nel testo della legge Merlin del 1958, che rappresenta il riferimento normativo principale in Italia che regolamenta  l’esercizio della prostituzione e il contrasto di ogni forma di sfruttamento, la parola prostituta non compar. Essa viene sostituita – nel lessico giuridico e politico – da perifrasi come “persone dedite alla prostituzione” o “persone che praticano/esercitano la prostituzione”.

Con queste espressioni si intendono anche gli uomini e i transessuali che esercitano nel mercato del sesso.

Ne deriva che esistono parole e espressioni più adeguate all’utilizzo di lucciole o prostitute in determinati contesti. È meglio utilizzare diciture come lavoratrice o lavoratore del sesso oppure l’equivalente inglese sex worker.

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Lights Out – Terrore nel buio, recensione del film https://cultura.biografieonline.it/lights-out-terrore-nel-buio/ https://cultura.biografieonline.it/lights-out-terrore-nel-buio/#respond Wed, 17 Aug 2016 14:24:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19429 Lights Out – Terrore nel buio (titolo originale: Lights Out) è il titolo di un film del regista svedese David F. Sandberg. Uscito nell’estate del 2016, è un remake del cortometraggio dello stesso regista che risale al 2013.

Lights Out - una scena del film
Lights Out – Terrrore nel buio: una scena del film con i protagonisti Martin (Gabriel Bateman) e la sorella Rebecca (Teresa Palmer).

Trama del film

Alla fine della giornata di lavoro, in una fabbrica di abiti, una segretaria e il suo capo, Paul, rimangono soli negli uffici oramai bui. E proprio nel buio la segretaria vede una strana figura che sparisce quando accende la luce. Terrorizzata e confusa lascia l’azienda.

Il suo capo, rimasto solo, viene aggredito da questa creatura. Essa sfrutta solo il buio per muoversi e colpire le sue vittime. La moglie di Paul, Sophie, rimasta vedova cerca di crescere nel modo migliore il figlio. Egli però dorme con la luce accesa, perché è spaventato da una strana creatura che vede muoversi nel buio della casa.

Questa creatura si chiama Diana e ha uno strano rapporto con Sophie. Il figlio di Sophie, Martin, un giorno, esausto perché non riesce a dormire di notte, si sente male a scuola. Viene chiamata la sorella Rebecca, la quale si rende conto che il fratello è in preda al panico.

Da quel momento inizia una lotta fra Rebecca e Diana che non vuole nessuno vicino a Sophie e quindi ha intenzione di sterminare tutta la sua famiglia.

Locandina e poster

Lights Out poster
Lights Out (locandina del film)

Lights Out – Terrore nel buio: trailer

YouTube video

Martin: Rebecca… Moriremo?!
Rebecca: No! Ci serve più luce.

Commento al film

Lights Out a dispetto di come è stato accolto dalla critica è un buon film horror. Una buona regia, diretta da David F. Sandeberg, che nasconde Diana dietro ad ogni ombra costruisce un ritmo incalzante che non finisci mai di impaurire per tutto il film.

Diana non può uccidere o ferire quando compare la luce. Per cui la sua presenza deve essere giustificata solo dal buio, il quale però non può essere l’unico tramite con cui si muove e contemporaneamente la luce non può essere l’unica arma con cui difendersi.

Con accorgimenti di vario tipo, lo sceneggiatore riesce a rendere la vita di chi sta nella luce terribile quanto quella di Diana che può muoversi grazie al buio che la protegge, perché in passato la sua pelle bruciava al sole.

L’incrocio fra questi due stati rende il film godibile anche se la trama scorre senza particolari colpi di scena.

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La luce e gli impianti fotovoltaici: come funzionano? https://cultura.biografieonline.it/luce-impianti-fotovoltaici/ https://cultura.biografieonline.it/luce-impianti-fotovoltaici/#comments Thu, 16 Jun 2016 13:16:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18741 La radiazione solare consente la vita sulla Terra, fornendo l’energia necessaria al suo mantenimento e regolando, inoltre, la gran parte dei fenomeni meteorologici e il clima.

La luce e gli impianti fotovoltaici - I pannelli solari
Pannelli solari

La necessità di ottemperare ad un sempre più oppressivo fabbisogno energetico, accompagnata ad una progressiva sensibilizzazione alle tematiche ambientaliste, hanno indotto l’uomo a voler sfruttare questa grande risorsa donata dalla nostra stella, il sole, per produrre corrente elettrica. Gli impianti fotovoltaici sono costituiti essenzialmente da una serie di pannelli recanti sulla propria superficie moltissime celle fotovoltaiche.

Il materiale più utilizzato per la realizzazione di questi dispositivi è il Silicio.

Il silicio negli impianti fotovoltaici e nelle celle fotovoltaiche

Il silicio è un semiconduttore, ossia gli elettroni di valenza (che si trovano sull’orbitale più esterno e gli unici a formare legami atomici) non sono eccessivamente mobili, come accade nei materiali conduttori, né tantomeno bloccati, come avviene nei materiali isolanti, nella cosiddetta “banda di valenza”.

Nell’atomo di silicio, la quantità di energia necessaria ad accelerare gli elettroni della banda di valenza è molto piccola, pertanto le particelle in questione possono passare nella banda di conduzione solo nel caso di assorbimento d’energia proveniente dall’esterno, come quella fornita dalla radiazione solare che, attraverso l’effetto fotoelettrico, è in grado di trasformare un materiale semiconduttore come il silicio, in un materiale conduttore.

Gli elettroni, una volta scalzati dalla loro banda di valenza, vengono convogliati in apposite griglie metalliche incastonate sulla superficie del pannello, generando corrente elettrica continua, che per poter essere utilizzata necessita di essere alternata nell’apposito inverter che ha la funzione di rendere la corrente fruibile con la frequenza di utenza (50Hz).

La luce: onda o particella?

Prima di sviluppare il principio secondo cui è possibile produrre corrente elettrica dalle onde luminose, non è possibile, a questo punto, evitare le domande: “Che cos’è la luce?“, “Di cosa è composta?”.

Il sole
Il sole

L’esperienza quotidiana ci suggerisce che la luce si propaga in linea retta; si pensi, ad esempio, ad un raggio luminoso che penetra in una stanza buia attraverso una fenditura nel muro. Dall’osservazione notiamo, infatti, che il raggio è rettilineo, mentre se prendessimo uno specchio per deviarne la direzione, noteremmo anche in questo caso un andamento rettilineo, poiché l’angolo di incidenza del raggio luminoso sulla superficie è uguale a quello di riflessione.

A partire dalla metà del Seicento, le teorie fisiche sui fenomeni luminosi erano diverse, pertanto, sono stati necessari ben due secoli per dimostrare l’effettiva natura della luce, ponendo in tal modo fine a molte delle controversie.

Le teorie della luce

Il dibattito era incentrato su due modelli postulati negli stessi anni che, descrivendo perfettamente alcuni fenomeni propri della luce anche se in maniera differente, non sembravano trovare un punto di incontro, quindi una svolta.

Il modello corpuscolare descriveva la luce come un flusso di particelle microscopiche (i cosiddetti corpuscoli), emessi in forma CONTINUA da opportune sorgenti luminose. Si trattava di flussi rettilinei e in grado di attraversare alcune superfici (quelle trasparenti) mentre “rimbalzavano” sui materiali opachi alla luce, tanto da impedirne l’attraversamento.

Il modello ondulatorio, d’altra parte, descriveva la luce come un’onda la cui propagazione avveniva in maniera analoga alle onde elastiche (come quelle che diffondono un sisma dal proprio punto di origine).

La luce è intesa quindi come trasferimento di energia e non di materia (corpuscoli), tanto da essere definita “energia radiante“.

Isaac Newton
Isaac Newton

Newton e Huygens

Tra i sostenitori della teoria corpuscolare vi era Isaac Newton (1642-1727), secondo cui i fenomeni luminosi si riducono ad un mero movimento di particelle con le proprietà di qualsiasi punto materiale (si pensi al moto delle biglie sul tappetino del tavolo da biliardo) che, urtando la retina dell’occhio, stimolano il senso della vista.

Christiaan Huygens
Christiaan Huygens

Il modello ondulatorio fu sostenuto da Christiaan Huygens (1629-1695), uno scienziato olandese contemporaneo a Newton, il quale descriveva la luce non più come flusso di particelle interagenti grazie a continui urti, bensì come onde circolari.

Per comprendere il fenomeno si pensi, ad esempio, ad un sasso che precipita in un pozzo: le onde circolari che si sollevano ritmicamente sulla superficie dell’acqua, propagandosi in direzione radiale, si allontanano dalla sorgente.

La svolta: la teoria dei quanti

Le varie teorie descritte risultavano complementari per molti aspetti; mentre un modello riusciva a descrivere un fenomeno, l’altro ne approfondiva altri versanti.

Max Planck (1858-1947) avanzò una ipotesi rivoluzionaria, secondo cui l’energia radiante, precedentemente introdotta, non veniva emessa in forma continua, ma per piccolissime quantità fisiche (discontinue), dette quanti.

L’energia associata a un quanto con frequenza ν è pari a E = hν, dove h è la costante di Planck, pari a 6.625x Js.

Per capire la differenza tra emissione continua ed emissione discontinua, si può pensare ad un particolare molto comune nella vita di ogni giorno: il rubinetto aperto di un lavandino fornisce acqua in maniera continua mentre le bottiglie forniscono, invece, acqua per quantità discrete pari al volume della bottiglia stessa.

Il concetto di quantizzazione può essere descritto da un altro esempio altrettanto comune: una palla può rotolare verso il basso o su un piano inclinato oppure rimbalzare lungo una scala. Nel primo caso la sfera ha un moto continuo, mentre nel secondo, gradino dopo gradino, ha un moto discontinuo, cioè avviene per salti in cui ogni scalino rappresenta un quanto di energia.

Max Planck
Max Planck

L’effetto fotoelettrico: produrre corrente elettrica dalla luce

Ai tempi di Planck, si conosceva già da tempo il fenomeno secondo cui sottoponendo una lamina di metallo ad una certa radiazione luminosa di determinata frequenza, essa si caricava elettricamente con carica positiva, quindi emetteva elettroni, cioè corrente elettrica (opportunamente rilevabile da strumenti come il Galvanometro, nome che deriva dal nome di Luigi Galvani).

Gli elettroni sono trattenuti all’interno del metallo da una certa energia, quindi per espellerli è necessario investire la lamina metallica da una radiazione luminosa avente energia E = hν, pari all’energia che trattiene le particelle all’interno del materiale.

Per comprendere meglio il fenomeno, si immagini di dover calciare un pallone oltre una staccionata: se l’energia impressa al corpo è troppo bassa, l’oggetto colpirà l’ostacolo e tornerà indietro, ma se il bersaglio venisse colpito con la forza necessaria, solo a quel punto, il pallone riuscirebbe a superare la barriera.

Nell’effetto fotoelettrico, l’energia necessaria E è proporzionale alla frequenza della radiazione luminosa incidente la lamina; se si supera la frequenza critica di radiazione (propria del materiale colpito dalla luce), si raggiunge la condizione sufficiente per cui si riesce a “scalzare” gli elettroni dalla lamina e quindi produrre corrente elettrica (su vasta scala).

Albert Einstein
Albert Einstein

Einstein e i fotoni

Queste osservazioni indussero Einstein a confermare l’ipotesi secondo cui la luce fosse sia un’onda elettromagnetica (descritta dalle equazioni di Maxwell) ma che avesse anche una natura corpuscolare. Solo le particelle cariche di energia, infatti, sarebbero in grado non solo di spostare altre particelle (in questo caso elettroni), ma di impartire ad esse una accelerazione tanto maggiore quanto più intensa è la radiazione.

A queste particelle di luce venne dato il nome di fotoni e la scoperta dell’effetto fotoelettrico (principio alla base dei comuni impianti fotovoltaici) valse ad Einstein il premio Nobel del 1921.

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Davide con la testa di Golia, opera di Caravaggio. Analisi dell’opera https://cultura.biografieonline.it/davide-con-la-testa-di-golia/ https://cultura.biografieonline.it/davide-con-la-testa-di-golia/#comments Fri, 13 May 2016 14:54:27 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18352 Caravaggio è il pittore della luce. La sua pittura utilizza la luce per dare un tono drammatico alla scena. Il passo che compie e che fa compiere all’arte pittorica è sovrumano e cambia, da quel momento in poi, l’utilizzo della luce che nella pittura non sarà più uguale a prima. Fra i molti dipinti che hanno reso immortale Michelangelo Merisi da Caravaggio, e che dimostrano come la luce diventa racconto drammatico della vita, troviamo “Davide con la testa di Golia“.

Davide con la testa di Golia - Caravaggio
Davide con la testa di Golia (Michelangelo Merisi da Caravaggio, 1609-1610) – Olio su tela, 125 x 100 cm – Galleria Borghese, Roma

Davide con la testa di Golia: analisi del dipinto

Capolavoro straordinario che suscita in me le emozioni più forti. “Davide con la testa di Golia” è un quadro incredibile se si analizza in dettaglio ciò che rappresenta. Un giovane, si suppone il Caravaggio stesso quando era un adolescente, tiene in mano la testa di Golia, che è il ritratto di Caravaggio da vecchio, che da poco ha staccato dal corpo con un colpo di spada.

Golia - Davide con la testa di Golia - dettaglio
La testa di Golia in dettaglio: il volto sarebbe quello dello stesso Caravaggio

Infatti, gli occhi di Golia sembrano emanare ancora un barlume di vita, una manciata di secondi in cui forse ancora l’afflato vitale è nel corpo mozzato, prima di scomparire definitivamente. La luce, che viene da sinistra, mostra il volto e il petto di Davide teso mentre tiene la testa del suo se stesso in pugno; la stessa luce racconta come la vita di Golia–Caravaggio sia finita male e abbia avuto un trascorso di sofferenza e trascuratezza. Davide guarda il volto di Golia sfatto e distrutto dalla corruzione di una vita dissoluta, mentre lui è ancora puro e incorrotto.

La condizione di Caravaggio

Mentre Caravaggio dipingeva questo quadro aveva trentotto anni e gli pendeva sul capo una condanna a morte per decapitazione. E allora, se davvero Caravaggio a memoria ha dipinto se stesso da giovane mentre uccide il Caravaggio maturo e corrotto, l’emozione che si prova nell’ammirare questi due volti del pittore è travolgente.

L’emozione

Come è profonda e intensa è l’emozione che suscita il contesto che possiamo ricostruire immaginando cosa può aver significato per Caravaggio decidere di dipingere se stesso in due stadi diversi della sua vita.

Meraviglia e stupore di fronte ad un capolavoro, ma anche la consapevolezza di potersi specchiare di fronte ad un passo decisivo della vita di ogni uomo e che ogni essere vivente vive nella propria intimità: il confronto fra la propria giovinezza e il tempo che è passato. E’ un dono importante questo dipinto, non solo per la sublime tecnica utilizzata ma anche per il coraggio che Caravaggio ha dimostrato nel dipingerlo.

Da ricordare anche l’opera, sempre di Caravaggio, che affronta lo stesso tema, realizzata nel periodo 1597-1598: Davide e Golia (dipinto conservato presso il Museo del Prado di Madrid).

Analisi dell’opera con commento video

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Mattina (M’illumino d’immenso): parafrasi e analisi https://cultura.biografieonline.it/mattina-ungaretti/ https://cultura.biografieonline.it/mattina-ungaretti/#comments Mon, 14 Mar 2016 17:05:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17471 Si intitola “Mattina” ed è composta da quattro sole parole divise in due celebri versi: M’illumino d’immenso. La lirica, può essere considerata il manifesto della poetica ungarettiana per la sua brevità e il messaggio lampante che lancia, ed è sicuramente una tra i componimenti più brevi dell’interno Novecento. È stata scritta da Giuseppe Ungaretti a Santa Maria La Longa (UD) il 26 gennaio del 1917.

Mattina
“Mattina”, celebre poesia di Ungaretti composta dai versi “M’illumino d’immenso”.

La raccolta di poesie, “L’Allegria”

La poesia “Mattina” fa parte della terza sezione, intitolata Naufragi, della raccolta L’Allegria, pubblicata per la prima volta nel 1931. Inizialmente l’intera raccolta era intitolata Allegria di Naufragi ma il poeta decise poi di semplificare il titolo e renderlo più diretto.

L’edizione definitiva è del 1942 e contiene diverse sezioni:

  • Il porto sepolto, con l’omonima celebre poesia, e che raccoglie le prime poesie dedicate all’esperienza della Prima Guerra Mondiale, vissuta da Ungaretti come soldato arruolato sul Carso;
  • Naufragi, che contiene ancora poesie di guerra composte sul fronte;
  • Girovago, poesie composte durante l’esperienza di guerra in Francia;
  • Prime, testi composti nel dopo guerra.

Le tematiche della raccolta esprimono i sentimenti di dolore nei confronti dell’esperienza della guerra che il poeta visse in prima persona e il senso di attaccamento alla vita che ne deriva. Un’altra tematica rilevabile è la fratellanza tra gli uomini. Essa diventa un valore fondamentale da perseguire nei momenti bui della guerra. Il titolo, Allegria, allude infatti allo slancio positivo dell’uomo che sopravvive nonostante i dolori e i naufragi della vita.

Mattina : storia, parafrasi e analisi

La poesia Mattina è composta da due soli versi e per comprenderla a pieno bisogna necessariamente leggere anche il titolo, al quale si riferisce imprescindibilmente il contenuto. Il famoso critico letterario Romano Luperini ha notato come il poeta abbia rappresentato la grandezza attraverso la luce.

Inizialmente la poesia doveva essere leggermente più lunga e doveva intitolarsi “Cielo e mare”:

M’illumino
d’immenso
con un breve
moto
di sguardo.

La ragione della riduzione sta nella volontà dell’autore di rappresentare su carta la sensazione del momento senza ricorrere a parole inutili. Il verso viene ridotto all’osso, in questo caso a sole poche parole (le parole-verso) per potenziare il valore semantico di ognuna di esse.

M’illumino d’immenso significa questo: lo splendore del sole che è sorto da poco regala al poeta una sensazione interiore che lo ricollega al senso di vastità. Egli si sente vivo e parte dell’infinito mistero della natura. Lo stato d’animo descritto è quasi mistico, di unione con l’universo.

I due versi sono dei ternari senza rima che, letti insieme, diventano un settenario perfetto. Tra i due versi ci sono anche alcune consonanze (ritorno del suono –m) che contribuiscono all’unificazione di essi.

È presente anche la figura retorica della sinestesia (accostamento di due termini appartenenti a sfere sensoriali differenti). La sensazione fisica della luce del sole (illuminare) viene riferita ad un sentimento interiore (scambio di sensazione e pensiero).

Si tratta di un componimento geniale. Il poeta, con sole poche parole, trasmette la sensazione forte e maestosa del risveglio mattutino. Esso rappresenta la voglia di vita e di grandezza, nonostante il continuo perpetrarsi degli orrori della guerra.

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Quali sono i colori primari, secondari e terziari? https://cultura.biografieonline.it/classificazione-colori/ https://cultura.biografieonline.it/classificazione-colori/#comments Thu, 14 May 2015 07:06:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14273 Il colore può essere definito come la percezione visiva di una radiazione luminosa di determinate lunghezze d’onda. Queste ultime vengono interpretate dal nostro cervello come i vari colori dello spettro visibile, ovvero tutti i colori che l’occhio umano è in grado di percepire. Il termine colore deriva dal latino colorem, affine a celare, ovvero “nascondere”.

Tavolozza colori
Una tavolozza di colori

In termini pratici, poiché a ciascuna frequenza del visibile è associato un determinato colore, un oggetto di colore verde riflette la radiazione verde ed assorbe quelle degli altri colori, un oggetto di colore rosso riflette la radiazione rossa ed assorbe quelle degli altri colori; un oggetto di colore nero, invece, assorbe tutte le radiazioni e non ne riflette nessuna, mentre un oggetto bianco riflette tutte le radiazioni.

Classificazione dei colori

In pittura, i colori vengono classificati in primari, secondari, terziari.

I colori primari (sottrattivi) sono colori fondamentali perché non si possono ottenere dalla mescolanza di nessun altro colore e sono il rosso (magenta), il blu (ciano) e il giallo. Dai colori primari si ottengono, mescolandoli, tutti gli altri. Insieme al nero e al bianco, i colori primari rappresentano la tavolozza essenziale di un pittore.

I colori secondari si ottengono mescolando tra loro due colori primari in uguali quantità. Ogni coppia di colori primari mescolati genera un colore secondario, in questo modo:

  • giallo + rosso = arancione
  • giallo + blu = verde
  • rosso + blu = viola

I colori terziari si ottengono dalla mescolanza di colori primari in diverse parti, come per esempio:

  • blu + rosso + rosso = rosso violaceo
  • blu + giallo + giallo = verde giallognolo
  • rosso + blu + blu = viola bluastro
  • rosso + giallo + giallo = giallo aranciato
  • giallo + blu + blu = blu verdastro
  • giallo + rosso + rosso = rosso aranciato

Cerchio di Itten
La ruota cromatica indica i colori fondamentali (rosso, blu, giallo) e i colori che si possono ottenere dalla loro mescolanza

L’intensità del colore e la sua cromia potrà essere più o meno accesa, a seconda della percentuale dei colori mescolati. Variando questa misura in rapporto percentuale, cambierà anche l’intensità del colore e si otterranno così infinite sfumature.

Il cerchio cromatico di Itten

Johannes Itten, pittore, scrittore e designer svizzero, considerato un teorico del colore, nel 1961 realizzò un cerchio cromatico per rappresentare i colori primari e i colori derivati dalle loro mescolanze. Il cerchio di Itten ci fa comprendere meglio il rapporto tra primari, secondari, terziari e complementari. Al centro del cerchio troviamo i tre colori primari; intorno ai primari, ci sono i tre colori secondari, ottenuti dalla mescolanza dei primari; nel cerchio esterno sono riportati i primari, i secondari e i terziari, questi ultimi ottenuti da ulteriori mescolanze. I colori complementari sono diametralmente opposti l’uno all’altro. Nel cerchio di Itten non sono inclusi il bianco e il nero, considerati “non colori”.

Cerchio di Itten
Scomposizione del cerchio di Itten in colori primari, secondari e terziari

Colori complementari

Si definisce colore complementare di un dato colore quello che gli è opposto nella ruota cromatica. I colori complementari sono quindi coppie di colori formate da un colore primario e uno secondario che, accostati, producono un effetto di massimo contrasto cromatico. Da questo se ne deduce che:

  • il colore complementare del giallo è il viola e viceversa
  • il colore complementare del rosso è il verde e viceversa
  • il colore complementare del blu è l’arancione e viceversa

Colori caldi e colori freddi

I colori possono essere anche suddivisi in base alla sensazione che provocano su chi li osserva. Rosso, giallo e arancione sono in genere considerati colori caldi, poiché vengono associati alla luce del Sole, al calore, all’energia, alla passione; blu, verde e viola evocano il freddo, il mare, il cielo, la calma, il riposo, la meditazione e vengono definiti colori freddi. Ovviamente, se un viola è tendente al rosso viene considerato caldo, mentre un viola in cui predomina il blu è freddo.

I colori dell’arcobaleno

Un familiare fenomeno meteorologico che ci permette di vedere tutti i colori prodotti da un raggio di luce visibile di una precisa lunghezza d’onda è l’arcobaleno, al quale si aggiunge l’indaco, che altro non è che una sfumatura tra il blu ed il viola.

Arcobaleno
Arcobaleno

La cromoterapia

Lo studio della luce e dei colori ha portato, nel corso dei secoli, alla consapevolezza dell’effetto che essi hanno sull’essere umano. I colori vengono infatti utilizzati a fini terapeutici, per il mantenimento del benessere psico-fisico e la cura di disturbi e malesseri, nella cosiddetta cromoterapia, che fa parte della “medicina alternativa”.

Cromoterapia

Daltonismo

L’anomalia nella percezione di uno o più colori, come il rosso, il verde o il blu è detta daltonismo. Le persone daltoniche confondono, per esempio, sfumature di rosso con quelle di verde: il soggetto non riesce a distinguere i due colori perché le lunghezze d’onda del rosso e del verde sono percepite come identiche. Per una spiegazione più dettagliata, si rimanda alla lettura dell’articolo: “Come vedono i daltonici e cos’è il daltonismo?”.

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Cavalli da corsa davanti alle tribune (La sfilata): quadro di Degas https://cultura.biografieonline.it/degas-cavalli-da-corsa-davanti-alle-tribune/ https://cultura.biografieonline.it/degas-cavalli-da-corsa-davanti-alle-tribune/#respond Mon, 02 Feb 2015 15:07:08 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12923 La corsa, come le ballerine, è un tema amato da Edgar Degas ma, mentre le ballerine si trasformano in una vera passione che lo porterà a dipingere quadri innovativi dove il movimento sarà il protagonista dell’opera, nel caso delle corse, la protagonista è la luce. “Cavalli da corsa davanti alle tribune” è intitolato anche “La sfilata“. La tecnica utilizzata è olio diluito con trementina.

Cavalli da corsa davanti alle tribune - Edgar Degas - 1866-1868
Cavalli da corsa davanti alle tribune (Edgar Degas, 1866-1868) – Olio su tela, 46×81 cm – Museo d’Orsay, Parigi

Nel quadro Cavalli da corsa davanti alle tribune“, ad esempio, il tema della luce è preponderante, tutta la scena sembra dipinta solo per sperimentare la luce. Degas sceglie naturalmente un soggetto popolare. Il quadro fu realizzato fra il 1866 e il 1868, in un epoca in cui le corse di cavalli stavano diventando di moda in Francia e la borghesia facoltosa le frequentava proprio perché erano diventate uno status simbol, come lo erano in Inghilterra. E infatti, Degas riprende alcuni temi cari ai pittori inglesi che riproducevano le gare di cavalli ma lo fa in un momento in cui i cavalli recitano un ruolo meno importante, cioè prima della corsa.

Cavalli da corsa davanti alle tribune (La sfilata): analisi del quadro

Degas, infatti, ricrea l’atmosfera di una corsa di cavalli prima che la gara inizi, quando il pubblico osserva il proprio fantino e i cavalli passeggiano avvicinandosi agli spettatori o raggruppandosi verso la linea di partenza. Tutto è dipinto nei minimi dettagli: l’incedere dei quadrupedi verso i punti di fuga del dipinto, con l’ultimo che chiude l’opera ponendosi alla fine, gli spettatori che li osservano vicino alle staccionate, e le forme dei cavalli e la postura dei fantini che permettono a Degas di sperimentare uno studio libero delle forme e del movimento.

Degas - Cavalli da corsa davanti alle tribune - dettaglio delle ombre
Esperimenti con la luce di Degas: il dettaglio delle ombre nel quadro

Il disegno dei soggetti e l’ombra che si sviluppa dai cavalli, sono due esempi opposti dell’altissimo livello di sperimentazione che Degas raggiunge con questa tela. La luce che diventa un elemento importante in quegli anni, permette a Degas di raggiungere una propria interpretazione di come la luce debba essere riportata su un quadro e aggiunge, in un certo senso, un altro importante capitolo alla storia dell’Impressionismo.

Il momento della giornata in cui sta avvenendo quella scena non può essere rappresentato che in quel modo, con quella particolare luce, che Degas interpreta in modo straordinario, posizionandola da destra mentre colpisce i fantini che si preparano ad affrontare la gara.

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