letteratura italiana Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 19 Aug 2024 14:48:17 +0000 it-IT hourly 1 Il Gattopardo: riassunto e commento al romanzo https://cultura.biografieonline.it/il-gattopardo/ https://cultura.biografieonline.it/il-gattopardo/#comments Mon, 19 Aug 2024 14:14:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10081 Il romanzo Il Gattopardo è stato scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa tra il 1954 e il 1957. Passò praticamente inosservato a due case editrici: Einaudi ed Arnoldo Mondadori, che si rifiutarono di pubblicarlo. Il romanzo non ebbe successo quando l’autore era in vita ma solamente qualche anno dopo. Fu pubblicato solamente nel 1958, un anno dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1957. La casa editrice Feltrinelli affidò la prefazione a Giorgio Bassani.

Il Gattopardo - Tomasi di Lampedusa
Il Gattopardo, celebre romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: una copertina (ed. 1963) e una foto dell’autore

Nel 1959 era già un best seller che contava una tiratura di 100.000 copie. Il romanzo non fu capito all’inizio, ma solo successivamente gli intellettuali e critici si avvicinarono ad esso.

Il Gattopardo rappresenta un classico esempio di romanzo storico che l’autore ha scritto ispirandosi alla storia della sua famiglia: i Tomasi di Lampedusa. Il romanzo tratta infatti il periodo storico del Risorgimento che visse il bisnonno dell’autore, Giulio Fabrizio Tomasi che viene chiamato nel romanzo principe Fabrizio Salina.

Il Gattopardo: riassunto e trama

Il romanzo inizia con il racconto della recita del rosario a casa del principe di Salina, dove egli vive con la moglie e sette figli. Egli è una persona distinta, molto affascinante ma anche decadente per certi aspetti. Ciò perché riflette proprio sul disfacimento della nobiltà a seguito dello sbarco dei mille in Sicilia.

Egli guarda con disprezzo ai cambiamenti che stanno avvenendo nell’Italia risorgimentale. Al contrario di suo nipote Tancredi che invece cavalca l’onda del successo garibaldino, cercando di convincere anche lo zio a farlo e ad immischiarsi tra le file della nuova nobiltà.

Tancredi è innamorato della cugina Concetta, donna graziosa e superba e a sua volta è innamorata di lui.

L’estate trascorre nella residenza di Donnafugata, dove la famiglia entra a contatto con il sindaco del paese Don Calogero Sedara. Egli  rappresenta la nuova ambiziosa borghesia attratta dalla vecchia nobiltà.

La figlia del sindaco, Angelica, bellissima ragazza mette gli occhi su Tancredi, che cede al suo fascino. I due così si sposano.

Al momento di votare l’annessione al Regno di Sardegna, il principe di Salina decide per il no, nonostante gli venga anche offerto il posto di senatore.

Finale

Decide quindi di condurre il resto della sua esistenza appartato  fino al giorno della morte, avvenuta a Palermo a seguito di un viaggio a Napoli, assistito devotamente dalle cure dei familiari.

L’ultimo capitolo mostra invece la vita delle figlie di Fabrizio, dedicata completamente alla religione e all’illusione dei tempi passati.

Il principe di Salina non ha mai accettato i cambiamenti avvenuti nella sua regione a seguito dell’Unità d’Italia: i siciliani infatti si sono sentiti bloccati nella loro tranquillità e hanno visto gli italiani come invasori.

Analisi e commento

L’autore si è ispirato alla tradizione romanzesca siciliana di Giovanni Verga e Federico De Roberto e ci presenta la vicenda risorgimentale da un punto di vista machiavellico.

È stato considerato più che un romanzo storico, quasi un romanzo anti storico perché afferma non più la positività dell’esistenza quanto l’affermazione che il corso della storia genera nuove infelicità. La famiglia Salina infatti resterà chiusa per sempre nell’illusione di un mondo che ormai è cambiato completamente.

Il titolo si basa su una frase posta sullo stemma della famiglia Tomasi:

«Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra».

Il regista Luchino Visconti ne trasse anche un film nel 1963 che riscosse un ottimo successo.

Romanzo storico, sì o no?

Vittorio Spinazzola, in una analisi degli anni novanta intitolata “Il romanzo antistorico”, attribuisce a una triade di romanzi la fondazione di un nuovo atteggiamento del romanzo rispetto alla storia.

I tre titoli sono:

  1. I Viceré, di De Roberto;
  2. I vecchi e i giovani, di Pirandello;
  3. Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa.

Secondo Spinazzola non vi è più l’ottimismo di una concezione storicista e teleologica dell’avvenire dell’uomo, bensì la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive. Il romanzo antistorico è il deposito di questa concezione non trionfalistica della storia.

Nei tre testi citati, il corso della storia genera nuovi torti e nuovi dolori, invece di lenire i vecchi.

Un altro elemento di differenza tra Il Gattopardo e altri romanzi storici è il suo essere una trasposizione in un racconto di fantasia di vicende familiari che in parte sono realmente avvenute e sono state tramandate attraverso la bocca dei parenti di Tomasi di Lampedusa. A differenza – ad esempio – de I promessi sposi  – qui abbiamo una rappresentazione che è essa stessa una testimonianza storica di come una parte della nobiltà visse quel determinato periodo di transizione risorgimentale.

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La Compagnia dei Celestini, di Stefano Benni: riassunto https://cultura.biografieonline.it/compagnia-dei-celestini/ https://cultura.biografieonline.it/compagnia-dei-celestini/#respond Sat, 06 Jul 2024 15:20:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18282 Uno dei romanzi più significativi dello scrittore Stefano Benni è “La Compagnia dei Celestini“, edito da Feltrinelli nel 1992.

È stato calcolato che il peso delle formiche esistenti sulla terra è pari a venti milioni di volte quello di tutti i vertebrati – così lo scultore ottocentesco Amos Pelicorti detto il Mirmidone rispondeva a coloro che gli chiedevano perché componesse le sue opere in mollica di pane.

Incipit del libro “La Compagnia dei Celestini”

La Compagnia dei Celestini - Libro
La Compagnia dei Celestini (Stefano Benni, 1992)

La Compagnia dei Celestini: riassunto

Parte I

Il romanzo narra le vicende di tre orfani: Lucifero, Alì e Memorino. I tre giovani vivono la loro vita nel deprimente convento dei padri Zopiloti, a Gladonia, conducendo una vita molto sacrificata e in perfetto stile carcerario. Gli unici svaghi per i bambini sono la “pallastrada” e la speranza di trovare due genitori pronti ad adottarli. I tre fanno parte della Compagnia dei Celestini che raccoglie gli spiriti più belli e gli orfani più meritevoli dell’istituto. La situazione cambia a loro favore, quando i tre ricevono una lettera da parte del Grande Bastardo in persona che invita tutti i ragazzi dell’orfanotrofio a partecipare al Campionato di Pallastrada.

Dal punto di vista dell’organizzazione, il Campionato di Pallastrada è una sorta di torneo a eliminazione diretta, a cui partecipano otto squadre di orfani, ma questo gioco e i suoi giocatori sono malvisti da qualsiasi autorità. I tre decidono quindi di scappare dall’Orfanotrofio dei Celestini per trovare altri due bambini che si possano unire al gruppo per giocare al segretissimo campionato.

Parte II

I ragazzi riescono nell’intento di fuggire dell’orfanotrofio grazie al prezioso aiuto di una bambina, che si chiama Celeste, che conosce come le sue tasche ogni stanza e passaggio segreto della struttura e che in seguito si unisce a loro, poiché è alla ricerca dei gemelli Finezza.

Alla ricerca del gruppo di evasi partono, da una parte, Don Biffero e Don Bracco, che intendono riportarli all’orfanotrofio prima che la notizia della fuga diventi di pubblico dominio e, dell’altra, due intrepidi giornalisti, Fimicoli e Rosalino che, scoprendo l’accaduto, non vedono l’ora di fare il loro servizio sulla fuga dei ragazzi e di poter filmare, prima di tutti, il Campionato di Pallastrada, spronati dall’egoarca Mussolardi.

Durante le loro avventure i ragazzi incontrano i nove pittori pazzi Pelicorti, i magici gemelli campioni di pallastrada, il re dei famburger Barbablù, il meccanico Finezza, il professor Eraclitus e l’Egoarca Mussolardi.

I ragazzi riescono alla fine nel loro intento e arrivano nel luogo segreto per tesserarsi al Campionato Mondiale di Pallastrada, ma partecipando con una formazione diversa rispetto al previsto. Qui, incontrano le diverse squadre che partecipano al torneo e le gare si susseguono.

Arriva la finale che si svolge tra i Celestini e i Devils, ovvero tra i cosiddetti angeli contro i diavoli, che si svolge nei pressi di un antico palazzo. La situazione precipita quando Mussolardi (l’uomo più ricco e avido del paese) e un generale dedito alla mafia di nome Buonommo, attaccano il campo di gioco per cercare in tutti i modi di guadagnare soldi dall’evento segreto e a loro si aggiungono anche il leggendario cacciatore di scoop Fimicoli e Don Biffero, arrivati da poco, che si uniscono alla generale confusione del momento.

La Compagnia dei Celestini - copertina
La copertina del libro “La Compagnia dei Celestini”

Conclusione

Nel marasma più totale, purtroppo, alcuni bambini vengono uccisi dalle truppe durante l’agguato e così, per nascondere il terribile fatto, tutti scelgono di optare per l’uccisione di tutti coloro che hanno preso parte alle gare di pallastrada. Si tratta di una vera e propria carneficina: i bambini innocenti vengono uccisi in nome dell’omertà e dell’audience da individui ormai privi di ogni tipo di scrupolo. Purtroppo muoiono tutti, alla fine, tutta la zona viene sgomberata da qualunque anima innocente con gas nervini e bombe incendiarie.

A questo punto, un fantasma appare agli occhi di Don Biffero, che comprende il significato della profezia e percepisce l’ormai prossima fine del suo paese. Il fantasma avvisa che, grazie alle loro deplorevoli e pessime azioni, il futuro di Gladonia è ormai segnato. La città brucerà per sempre, dato che sono state uccise, senza alcun motivo, tutte le anime innocenti del Campionato di Pallastrada. Il libro di Stefano Benni si conclude enunciando la totale distruzione dello stato di Gladonia da parte delle fiamme e annunciando l’entrata imminente in paradiso di tutte le giovani anime che hanno vissuto la tragedia.

Commento all’opera

Nel libro di Stefano Benni non viene risparmiato nessuno, buoni e cattivi sono uguali di fronte alla morte. Non esiste un lieto fine nel romanzo, esiste solo la parola fine. Lo scrittore usa un linguaggio ironico, arrivando al grottesco, nella descrizione dei personaggi e delle scene cruenti, aprendo la porta al genere horror. Stefano Benni descrive nel libro la metafora della società moderna divisa in due: da una parte il bene e da una parte il male.

Stefano Benni
Stefano Benni

Tutto quello che è buono e puro (i celestini, i bambini, la pallastrada) vengono infatti distrutti e cancellati dal male, individui senza scrupoli, interessi commerciali e perfidie di ogni tipo. Il romanzo ottenne un buon successo in termini di critica e di lettori e ne venne tratta una serie di cartoni animati di co-produzione italo-francese dal titolo: “Street Football-La compagnia dei Celestini“. La serie è stata prodotta nel 2005 dalla de Mas & Partners, con la collaborazione di Rai Fiction, France 3, Télé Images Kids, Agogo Media.

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Storia della colonna infame: riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/colonna-infame-manzoni/ https://cultura.biografieonline.it/colonna-infame-manzoni/#comments Thu, 09 May 2024 17:11:53 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8121 Storia della colonna infame è il titolo di un saggio storico scritto da Alessandro Manzoni. Sebbene la prima edizione risalga al 1840, venne scritto in un lungo arco di tempo. Originariamente la storia avrebbe dovuto far parte del V capitolo di Fermo e Lucia (il titolo originariamente previsto per i Promessi Sposi).

Alessandro Manzoni: Storia della colonna infame
Storia della colonna infame

Riassunto

Parte I

Il 21 giugno del 1630 è un venerdì tetro. La città di Milano è divorata dalla peste, moltissime sono le vittime che la malattia ha mietuto. Quel giorno, di mattina, una donna, Caterina Rosa, vede dalle finestre della sua casa in via Vetra, un uomo avvicinarsi alle porte e ai muri delle case poste di fronte alla sua finestra.

La donna è convinta di vederlo ungere i muri con un unguento scuro. Lo accusa quindi di spargere la peste per diffonderla e uccidere altre persone. Una vicina di Caterina Rosa, Ottavia Bono, successivamente conferma alle autorità di aver visto anche lei un uomo ungere i muri della strada dove vive.

La polizia, dopo aver trovato i muri sporchi di nero – in realtà si tratta di inchiostro – crede alle testimonianze delle due donne e arresta un sospetto. È Guglielmo Piazza. Le sue mani sono  sporche di nero, che viene scambiato per unguento pestilenziale. Il Piazza, commissario di sanità, viene quindi arrestato e sottoposto ad interrogatorio. La casa, perquisita, non produce alcuna prova del crimine. Guglielmo Piazza viene interrogato lungamente e anche torturato. Resiste ma poi sotto la pressione degli inquisitori che gli promettono l’impunità e la libertà, confessa di aver ricevuto l’unguento pestilenziale da Giangiacomo Mora. Mora è un barbiere di umili origini, che vende, fra le altre cose, balsami che servono teoricamente per curare alcune malattie.

Parte II

Il Mora viene subito arrestato e portato in galera. Perquisita la casa davanti agli occhi sbigottiti della moglie e dei quattro figli, gli inquirenti trovano e sequestrano strani liquami. Durante il processo il Mora si difenderà dicendo che non sono preparati pestilenziali bensì che si tratta di ranno – un miscuglio di cenere e acqua bollente usato per lavare i panni. Ma i giudici e gli esperti nominati dal tribunale, dopo molte incertezze e molti dubbi, dichiarano l’unguento una pozione pestilenziale atta a prolungare e diffondere la peste.

A questo punto non c’è più scampo né per il Mora né per il Piazza. Entrambi, perseguitati dagli inquirenti e sfiniti da continue torture morali e fisiche, cedono alle promesse dei torturatori. Questi assicurano la libertà qualora denuncino altri complici.

Denunciano allora Baruello, un tale da entrambi conosciuto, due arrotini e due membri della famiglia Migliavacca. Il processo sembra quindi assumere una dimensione più consistente con coinvolgimenti insospettabili come quello del figlio del comandante della guarnigione spagnola a Milano.

La tortura e le macchinazioni sono costruite dagli inquirenti affinché il processo assuma una dimensione sempre più ampia. Esse divengono una sorta di simulacro della doppia verità, in cui l’estorsione di una confessione sempre più allucinante conduce ad un fiume di bugie quasi inarrestabile. I due imputati oramai distrutti dagli interrogatori portano all’arresto delle cinque persone che hanno accusato. Ma le promesse di libertà e perdono, fatte ai due imputati dagli inquirenti, non vengono avvallate dai giudici. Essi sentenziano il 27 luglio dello stesso anno la condanna a morte dei due principali imputati.

Finale

Entrambi, dopo indicibili torture, vengono giustiziati il 2 agosto del 1630. Con loro vengono uccisi gli altri cinque imputati. Solo il figlio del comandante spagnolo viene ritenuto innocente. Dopo l’esecuzione della sentenza e sempre per ordine del tribunale viene rasa al suolo la casa del Mora. Egli è ritenuto il più colpevole degli imputati e sopra alle ceneri della casa viene eretta a futura memoria una colonna con un’iscrizione latina, che dovrà ricordare, a tutti coloro che la guardano, l’infamia dei propagatori di peste. La colonna è stata rimossa nel 1778.

Al Castello Sforzesco di Milano fu posta una lapide presso la Colonna Infame.
Foto della lapide che fu posta presso la Colonna Infame. (Milano, Castello Sforzesco)

Analisi e commento

Alessandro Manzoni racconta una storia di ingiustizia terribile e paradossale ma vera. Il suo non è un saggio storico, né un breve romanzo storiografico, bensì una lucida analisi di ciò che la legge può permettere agli uomini di cattiva volontà. La sua analisi dell’animo umano e della perversa ricerca del colpevole a tutti i costi svelano una storia a due facce, permettendo al lettore di scoprire le molteplici facce della verità.

Storia della colonna infame fu pubblicata in appendice ai Promessi sposi, ma la storia era già stata raccontata nel 1777 da Pietro Verri, che la riportò nelle sue Osservazioni sulla tortura. Quando Verri scrisse la storia dell’ingiusta condanna di Mora e Piazza e degli altri cinque imputati, la colonna infame era ancora in piedi a triste ricordo di quel processo; fu abbattuta un anno dopo la pubblicazione del saggio.

Il passato non deve essere mai dimenticato, diceva Leonardo Sciascia, ma deve essere vissuto continuamente nel presente affinché non ritorni.

In molti paesi la tortura esiste ancora.

Storia della colonna infame - Manzoni - riassunto e analisi
Storia della colonna infame – Manzoni – riassunto e analisi

Storia della colonna infame per punti

Opera e Contesto

  • Storia della Colonna Infame è un saggio storico scritto da Alessandro Manzoni e pubblicato per la prima volta nel 1840.
  • L’opera ripercorre il processo e la condanna a morte di alcuni innocenti accusati di essere gli untori, responsabili della diffusione della peste a Milano nel 1630.
  • Manzoni, oltre a ricostruire i fatti accaduti, conduce una profonda riflessione sulle cause e le conseguenze dell’ingiustizia, mettendo in luce i meccanismi che portarono al tragico errore giudiziario.

Temi principali

  • Giustizia e ingiustizia: Manzoni critica duramente il sistema giudiziario dell’epoca, corrotto e incline all’abuso di potere, che condannò ingiustamente persone innocenti.
  • Verità e menzogna: L’autore sottolinea l’importanza di ricercare la verità e di non cedere alle facili spiegazioni o alle menzogne, anche quando queste sembrano offrire un apparente conforto.
  • Potere e sopruso: Manzoni denuncia l’oppressione del potere nei confronti dei più deboli e indifesi, come gli untori, vittime di una società accecata dalla paura e dalla superstizione.
  • Razionalità e fanatismo: L’opera contrappone la luce della ragione all’oscurità del fanatismo e della superstizione, che portarono alla persecuzione degli untori.
  • Perdono e riscatto: Manzoni invita al perdono e al riscatto, non solo per le vittime dell’ingiustizia, ma anche per i loro carnefici, accecati dall’ignoranza e dall’odio.

Stile e linguaggio

  • Manzoni utilizza uno stile sobrio e rigoroso, basato su un’attenta analisi delle fonti storiche.
  • La sua scrittura è chiara e accessibile, ma non per questo priva di profondità e rigore.
  • L’autore ricorre spesso all’ironia e alla satira per denunciare le ingiustizie e le assurdità del processo agli untori.

Significato e attualità

  • Storia della Colonna Infame è un’opera che conserva una grande attualità, invitandoci a riflettere sui pericoli dell’ingiustizia, del fanatismo e della superstizione.
  • Manzoni ci ricorda che la ricerca della verità e la difesa dei diritti degli oppressi sono sempre doveri imprescindibili.
  • Il saggio è un monito contro l’indifferenza e la passività di fronte alle ingiustizie, e un invito a battersi per la costruzione di una società più giusta e solidale.

Conclusione

Storia della Colonna Infame è un’opera fondamentale per comprendere la storia e la cultura italiana. È un testo che ci invita a riflettere su temi universali come la giustizia, la verità, il potere e la responsabilità individuale, e che conserva una grande attualità anche nel mondo di oggi.

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Marcovaldo: riassunto e analisi del libro di Calvino https://cultura.biografieonline.it/riassunto-marcovaldo/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-marcovaldo/#comments Sat, 16 Sep 2023 13:12:34 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9364 Tra le pubblicazioni di maggiore spicco dello scrittore Italo Calvino, troviamo “Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città”, una raccolta di 20 novelle, pubblicata per la prima volta nel novembre del 1963, in una collana di libri per ragazzi dell’editore Einaudi.

Le 20 novelle e il legame con Torino

Le venti novelle che compongono l’opera di Italo Calvino si presentano come delle vere e proprie favole contemporanee, con uno stile ed un tono che richiamano le narrazioni orali tradizionali.

Marcovaldo, di Italo Calvino riassunto
Marcovaldo: un’immagine relativa a una copertina del libro e una foto dell’autore, Italo Calvino

Le novelle sono ambientate in una grande città imprecisata. Probabilmente Italo Calvino fa riferimento a Torino, una delle città protagoniste del boom economico degli anni Sessanta, dove Calvino ha lavorato e vissuto per molti anni.

“Le montagne ed i grandi corsi, il fiume, le colline prossime alla città”, sono tutti elementi caratteristici del capoluogo piemontese che compaiono nei racconti.

Torino diventa lo specchio di mescolanza di quotidianità mediocre mista ad invenzione creativa che per l’autore è il modello di città.

Marcovaldo: il protagonista

Attraverso le vicende del protagonista Marcovaldo, Italo Calvino si sofferma sulla minuziosa descrizione della città industrializzata italiana moderna, tutta fumo e ciminiere, figlia del miracolo cosiddetto economico, mentre il protagonista vuole evadere dalla routine asfissiante, alla continua ricerca di aria pulita e del mondo della natura. Nell’arco di venti novelle, si susseguono situazioni descritte in modo semplice e piacevole, il tempo è scandito dal passaggio delle varie stagioni dell’anno.

Il sottotitolo “Le stagioni in città”, difatti, si riferisce alla struttura dei racconti, associati ognuno ad una delle quattro stagioni dell’anno.

Il protagonista principale delle novelle è un manovale con problemi economici che lavora in una grande città industriale, presso la ditta Sbav che è il prototipo dell’azienda che sfrutta i suoi lavoratori e al tempo stesso il simbolo di una società dei consumi che non appartiene al protagonista.

Marcovaldo è un uomo sensibile, ingenuo, creativo, un po’ buffo e malinconico interessato all’ambiente.

La prospettiva della narrazione oscilla così tra picchi di realismo e di comicità.

Le avventure del protagonista ci mostrano come la società delle città moderne possa arrivare ad influenzare le persone ed il loro rapporto con la natura.

Italo Calvino nelle sue opere mette in evidenza la vita caotica della città, l’industrializzazione crescente e la povertà delle fasce più basse della popolazione, la difficoltà dei rapporti umani ed interpersonali in un’urbanizzazione senza razionalità ed ordine.

Marcovaldo in televisione

Il capolavoro di Italo Calvino, “Marcovaldo”, è stato adattato per il piccolo schermo, nel 1970, dalla Rai per la regia di Giuseppe Bennati. Nelle puntate che sono andate successivamente in onda sul secondo canale, il protagonista principale delle novelle, Marcovaldo, è stato interpretato da Nanni Loy.

Nel cast vi sono figure di spicco come: Arnoldo Foà, Didi Perego, Daniela Goggi.

La colonna sonora era a cura di Sergio Liberovici.

La sigla del teleromanzo è stata intonata da Nino Ferrer e Silvana Aliotta.

Riassunto del libro

Il libro si apre con le avventure/disavventure del protagonista Marcovaldo, un manovale che vive in un mondo spesso ostile ed indifferente, tanto che molto spesso lui si perde e si smarrisce nella città stessa, alla continua ricerca dell’illusione di trovare un piccolo paradiso terrestre in un contesto urbano che lo porta molto spesso a conseguenze perlopiù tragicomiche.

Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre. (INCIPIT)

Le prime 5 novelle

Nella prima novella “Funghi in città”, ambientata in primavera, il protagonista trova in una piccola aiuola della città dei funghi e decide di farli assaggiare ai suoi famigliari, senza farsi notare dallo spazzino Amadigi, che potrebbe sottrargli quel “tesoro”. Il protagonista rimane con un palmo di naso quando scopre che altri hanno avuto la medesima idea di raccogliere quei funghi e che la raccolta dei funghi non commestibili porta ad un ricovero collettivo in ospedale per intossicazione.

Nella seconda novella “La villeggiatura in panchina“, ambientata in estate, vediamo il protagonista stufo di vivere nella sua invivibile dimora cittadina che decide di trascorrere la notte su una panchina, pensando di trovare pace, riposo e frescura ma non mette in conto i rumori della notte, la scomodità della panchina ed una coppia che litiga a poca distanza da lui e la sua pseudo villeggiatura risulta solo stressante.

Le vicende si spostano poi in autunno e, nella terza novella, “Il piccione comunale”, Marcovaldo è alle prese nella cattura di una beccaccia, con vani risultati. Intrappola alla fine solo un piccione comunale e i panni della sua povera coinquilina.

Nella quarta novella “La città smarrita nella neve”, il protagonista è sotterrato da un carico di neve e, arrabbiato dell’accaduto, cercherà di far sparire tutta la neve dal cortile del palazzo.

Nella quinta novella “La cura delle vespe”, Marcovaldo scopre che per curare i suoi reumatismi può utilizzare il veleno delle api. I suoi figli improvvisano quindi una caccia alle api ma quando il figlio Michelino commette un’imprudenza, tutti finiscono all’ospedale per le punture degli insetti.

Altre novelle

In “Un sabato di sole, sabbia e sonno”, il dottore della mutua gli consiglia di combattere i reumatismi con la pratica delle sabbiature. Marcovaldo quindi si fa ricoprire di sabbia su una barca, che però precipita di lì a poco, dopo una rapida, su un gruppo di bagnanti.

Nella novella successiva “La pietanziera”, Marcovaldo scambia la sua pietanziera del pranzo con un bambino. Cambia le sue salsicce con il fritto di cervello ma viene denunciato dalla governante e successivamente obbligato a rinunciare al suo pranzo.

Le avventure continuano e Marcovaldo con i suoi figli, nella novella successiva “Il bosco sull’autostrada”, cercano legna per ripararsi dal freddo ma una volta arrivati in autostrada, i figli confondono i cartelli pubblicitari con un vero e proprio bosco.

Nella novella “L’aria buona”, Marcovaldo e i suoi figli si recano su una collina per respirare un po’ d’aria pulita ma finiscono ahimè per rimediare solo un ricovero in sanatorio.

Poi in “Un viaggio con le mucche”, Marcovaldo durante una notte insonne si getta all’inseguimento di una mandria di mucche ma perde le tracce del figlio Michelino. Inizialmente lo invidia ma poi quando lo ritrova, il figlio gli racconta della vita campagnola dura e faticosa.

Tra le altre avventure troviamo quella del “Coniglio Velenoso”, nella quale il protagonista ruba un coniglio che era oggetto di una sperimentazione scientifica; questo incauto furto gli provocherà non pochi problemi.

Ne “La fermata sbagliata”, invece di scendere alla fermata del cinema, Marcovaldo sbaglia e scende ad una fermata che lo porta prima a bere in un pub e poi a salire su un volo diretto a Bombay.

In “Dov’è più azzurro il fiume”, il protagonista, nelle vicinanze della fabbrica dove lavora, si cimenta nella pesca ma viene subito bloccato da una guardia comunale che di lì a poco gli fa notare il colore anomalo delle acque, dovuto al forte inquinamento di una ditta di coloranti.

In “Luna e Gnac”, Marcovaldo non riesce godere della visione del cielo notturno estivo a causa della luce intermittente di un cartello pubblicitario del Cognac Spaak, così il figlio Michelino rompe il meccanismo dell’insegna e la ditta concorrente della Spaak, la Tomawak, assolda la famiglia di Marcovaldo per continuare i sabotaggi ma il risultato ottenuto non avrà gli effetti sperati.

Troviamo ancora il protagonista alle prese con una pianta che si trovava all’ingresso della Sbav, ne “La pioggia e le foglie”. Cerca di prendersi cura della pianta che però cresce a dismisura e perde le sue foglie.

Poi in “Marcovaldo al Supermarket”, dove riempie il suo carrello della spesa a più non posso ma, non avendo i soldi per pagare, dovrà lasciare il tutto.

In “Fumo, vento e bolle di sapone”, Marcovaldo e i figli tentano di arricchirsi vendendo detersivi di varie marche ma con scarsissimi risultati. Quando i finanzieri vengono a conoscenza di ciò, Marcovaldo deve liberarsi della merce, decidendo di gettarla nel fiume, con un conseguente grosso danno per l’ambiente circostante.

L’idillio sembra arrivare in estate nel racconto “La città tutta per lui” ma quando viene intervistato da una troupe televisiva e successivamente coinvolto nei lavori di allestimento per un set di riprese, finisce subito il suo sogno.

Ne “Il giardino dei gatti ostinati”, Marcovaldo viene a conoscenza di una palazzina semi abbandonata, abitata solo da una vecchietta e da mille felini, nutriti dai vicini. La donna confessa a Marcovaldo di vivere assediata dai gatti e di non potersene liberare. A primavera partono i lavori per la costruzione di un nuovo, grande condominio ma i gatti ed altri animali impediscono i lavori degli operai.

In ultimo nei “I figli di Babbo Natale”, Marcovaldo veste i panni di Babbo Natale per la ditta Sbav. Scambia il figlio di un grande industriale per un “bambino povero”, regalandogli un martello, una fionda e dei fiammiferi. Il bambino devasta quindi tutti i regali e la ditta Sbav, prendendone spunto, lancia sul mercato il “Regalo Distruttivo”.

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Accabadora: riassunto, analisi e commento del romanzo di Michela Murgia https://cultura.biografieonline.it/accabadora-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/accabadora-riassunto/#comments Fri, 11 Aug 2023 07:15:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=11347 Accabadora è il libro di successo scritto dall’autrice Michela Murgia, edito dalla casa editrice Einaudi. Il romanzo è stato pubblicato nel maggio 2009 e successivamente tradotto in lingua tedesca l’anno dopo, edito dalla casa editrice Wagenbach di Berlino.

Grazie a questo romanzo, l’autrice ha vinto la sezione narrativa del Premio Dessì nel settembre 2009. Nel maggio 2010, il racconto è stato premiato con il SuperMondello, tra i riconoscimenti maggiori relativi al Premio Mondello. Infine, sempre nel settembre dello stesso anno, ha ricevuto il Premio Campiello.

Accabadora (romanzo di successo di Michela Murgia)
Michela Murgia – Accabadora (2009)

Puoi leggere le prime pagine del romanzo su Amazon.

Accabadora: analisi

Accabadora è ambientato nello splendido scenario della Sardegna degli anni Cinquanta. L’autrice del libro affronta temi delicati e scottanti per quel periodo, come quello relativo all’adozione e all’eutanasia. Si tratta di un libro dai connotati magici, intriso di parole intriganti utilizzate perfettamente dalla celebre scrittrice.

Il lettore si identifica con le vicissitudini della principale protagonista, Maria, che viene adottata da un’anziana donna, sarta del paese. Il suo nome è Bonaria Urrai. Questa le chiede solo di prendersi cura di lei in caso di necessità o bisogni futuri. In realtà, la protagonista non sa che la donna nasconde un segreto.

Bonaria infatti percepisce l’oscurità delle persone, fa numerosi sortilegi e, quando non si può evitare, entra nelle abitazioni delle persone a portare la morte.

Il lettore avverte una sorta di mistero che avvolge la donna anziana, ma solo in ultimo l’arcano viene svelato.

L’anziana viene descritta in modo perfetto, attraverso i suoi continui silenzi prolungati, rendendo l’atmosfera del racconto ancor più misteriosa e intrigante.

Maria si rende conto a poco a poco della vera identità e personalità dell’anziana Bonaria Urrai.

Riassunto e trama

Il libro narra le vicende della principale protagonista Maria, quarta figlia femmina di una vedova poco amorevole e di Tzia Bonaria, la vecchia sarta del paesino di Soreni in Sardegna, temuta da tutti i cittadini.

La vecchia sarta decide di occuparsi della bella Maria e di prendersi cura di lei, dopo l’increscioso episodio che vede la bambina di sei anni intenta a rubare delle ciliegie in una bottega della zona.

Chiede alla famiglia della bambina il consenso a occuparsi di lei. Lo ottiene senza resistenza, dato che veniva considerata un peso sia per la madre che per le sue sorelle. La bambina viene quindi adottata dall’anziana donna.

Tra le due si crea il classico rapporto madre-figlia. La bambina viene quindi denominata una fill’e anima. E’ quella figlia che Dio non ha mai concesso all’anziana donna in gioventù, ma che arriva in tarda età proprio come una benedizione voluta dal cielo.

Tuttavia la bambina rimane stupita dal rispetto e dalle attenzioni della nuova madre. Tanto che le offre una stabile dimora, un’istruzione, un futuro radioso. La donna inoltre non chiede nulla in cambio, solo di farle compagnia ed eventualmente, in futuro, prendersi cura di lei.

C’è però una vena di mistero nell’anziana che ama solitamente vestirsi di nero. C’è mistero nei suoi silenzi, nello sguardo timoroso di chi la incontra, nella sua sapienza millenaria. E il mistero continua nel suo modo di affrontare i temi legati alla vita e alla morte e nelle sue misteriose uscite in notturna.

Seconda parte

Bonaria Urrai in realtà è l’accabadora del paese, dallo spagnolo acabar che significa appunto finire. La donna conosce sortilegi e fatture. Lei è l’ultima madre, la donna che i moribondi si ritrovano accanto e che, con un atto che potrebbe essere considerato paragonabile a un’eutanasia, aiuta gli interessati senza speranza alcuna, a raggiungere la pace dell’aldilà.

Maria viene a conoscenza solo in età adulta della vera identità dell’anziana donna, quando viene a sapere dal suo amico Andrìa, che una notte aveva sorpreso l’accabadora (l’anziana donna) nell’atto di compiere la sua caritatevole opera.

L’aveva fatto proprio nei confronti di suo fratello che aveva una gamba amputata e che l’aveva implorata di porre fine alla sua sofferenza.

Maria, alla conoscenza del fatto, rimane sconvolta e decide di partire dalla Sardegna alla volta di Torino.

Il rapporto tra le due donne si spezza e la voragine che si crea tra le due diventa insanabile.

Maria trova lavoro a Torino come bambinaia presso la famiglia Gentili. Qui fa la conoscenza di Anna Gloria, una bambina molto attiva, e di un ragazzo timido con cui instaura un rapporto di amicizia, che si chiama Piergiorgio.

Il rapporto tra i due giovani viene però frainteso, tanto che un giorno i genitori del ragazzo decidono di licenziare Maria.

Accabadora: il finale

Dopo quasi due anni di lontananza dalla Sardegna, la donna riceve una lettera della sorella che la invita a ritornare nell’isola: il motivo è l’aggravarsi delle condizioni di salute di Tzia Bonaria.

Maria torna al paese e lascia Torino decidendo di accudire, come aveva promesso, la donna. L’anziana sopravvive tra dolori lancinanti davvero insopportabili. Solo allora Maria rivaluta le sue convinzioni in merito al tema ostico dell’eutanasia.

Per fortuna, nel momento fatidico della decisione presa, l’anziana donna si spegne in modo naturale, evitando così a Maria di ricorrere al gesto estremo. Solo in ultimo, lei comprenderà finalmente gli insegnamenti della sua seconda madre, che riteneva che “le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge”.

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X Agosto: analisi della poesia di Giovanni Pascoli https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/#comments Thu, 10 Aug 2023 08:58:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8989 10 agosto

Il X Agosto di Pascoli è una poesia dedicata al padre del poeta, morto nel 1867, il 10 agosto. Giorno questo in cui si festeggia San Lorenzo ed è quello in cui si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. In questa poesia Giovanni Pascoli descrive oltre al fenomeno delle stelle cadenti, anche l’uccisione di una rondine, che stava per portare il cibo al nido.

X Agosto, San Lorenzo
Il 10 agosto, giorno di San Lorenzo, è il momento dell’anno in cui più è probabile osservare nitidamente le stelle cadenti

E l’uccisione del padre, che stava portando due bambole a casa. Conclude prendendosela con il cielo che non dà alcun aiuto all’uomo, non una lue che illumini il suo doloroso cammino.

Testo completo della poesia

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Parafrasi e analisi

San Lorenzo, io lo so il perché di quel pianto di stelle sfavilla nel cielo. Questa è la trasposizione di un fenomeno naturale che ha un significato più profondo: la legge di sofferenza, d’ingiustizia e di morte. Ritornava una rondine al suo nido e l’uccisero: cadde tra gli spini: aveva nel becco la cena per le sue rondini. La morte della rondine prefigura quella dell’uomo.

Rondine
Una rondine: come spiegato nella parafrasi, questo uccello è usato simbolicamente nella poesia di Giovanni Pascoli

La rondine abbattuta ha le ali aperte come se fosse in croce; e sembra richiamare il sacrificio di Cristo. La rondine uccisa tende quel verme al cielo inaccessibile; e il suo nido è nell’ombra della sera e il pigolio dei rondinini diminuisce lentamente nel languore dell’agonia.

Anche un uomo tornava a casa (il padre del poeta, ma Pascoli non lo nomina): l’uccisero; disse:Perdono; resta negli occhi sbarrati un grido: portava due bambole in regalo…

Ora là nella casa solitaria, lo aspettano invano: egli è immobile, attonito, e anch’egli, come la rondine, ha quel gesto di disperata protesta verso il cielo lontano e impassibile. E tu, cielo infinito, immortale, inondi la terra, atomo sperduto e dominato dal male, di un pianto di stelle.

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Gli indifferenti (Moravia): riassunto e breve analisi https://cultura.biografieonline.it/riassunto-gli-indifferenti/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-gli-indifferenti/#comments Wed, 21 Jun 2023 12:02:18 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13925 Uno dei libri più celebri di Alberto Moravia è “Gli indifferenti”. In questo romanzo d’esordio, Moravia mette in scena le ipocrisie e meschinità della società borghese del suo tempo, che rimane indifferente al declino sociale ed economico di quell’epoca.

Gli Indifferenti - Alberto Moravia - 1929
Gli Indifferenti (Alberto Moravia, 1929)

Gli indifferenti: riassunto e analisi

Il romanzo narra le vicende di due fratelli, Carla e Michele Ardengo, e della mamma Mariagrazia rimasta sfortunatamente vedova. I due fratelli si fanno influenzare dal clima che li circonda mentre Leo (l’amante della madre Mariagrazia) tenta in ogni modo di raggiungere i suoi scopi senza preoccuparsi di ciò che accade intorno a lui.

Moravia non ha un giudizio positivo di questo personaggio, continuandone a sottolineare la sgradevolezza caratteriale e soprattutto anche nei tratti fisici.

L’uomo viene descritto coperto da precoce calvizie, rosso in volto, volgare e spesso in preda alla libidine.

Da sottolineare come l’autore abbia usato il personaggio di Mariagrazia che, con il suo linguaggio popolare, si discosta in modo evidente dagli altri che appartengono ad un ceto superiore. Tutti in personaggi della trama sono incapaci di reagire di fronte alla situazione di declino economico e sociale in cui versa la loro famiglia. Un altro personaggio chiave del libro è Leo, l’amante della madre, spregiudicato e insensibile.

Capitolo 2

Nel secondo capitolo, viene descritta una concitata cena di famiglia, interrotta dalle continue frecciatine di Mariagrazia rivolte all’amante. I due si riappacificano e il giorno seguente, durante il compleanno della figlia Carla, Leo viene invitato a pranzo e tenta un approccio con la ragazza, cercando di farla ubriacare.

Il tentativo di Leo fallisce miseramente e Carla ad un certo punto si salva grazie all’entrata in scena della mamma. Mariagrazia si sente sempre più trascurata da Leo e pensa che lui si sia invaghito di un’altra donna, ovvero la sua amica Lisa.

Lisa invece è perdutamente innamorata del giovane Michele che, come sua sorella Carla, è incapace di agire di fronte alle problematiche economiche che lo affliggono e, pur sapendo che Leo circuisce la madre per impossessarsi della loro dimora, non fa nulla e attende indifferente il proprio destino.

Capitolo 3

Nel terzo capitolo, infatti, i protagonisti principali della vicenda sono riuniti in salotto e discutono dell’imminente rovina economica, evidenziando la loro apatia di fronte al problema. Il romanzo prosegue con Michele che si lascia coinvolgere da Lisa, anche se non nutre alcun sentimento nei riguardi della donna che si è invece invaghita seriamente di lui.

La svolta avviene quando Lisa, vista l’indifferenza di Michele nei suoi riguardi, gli confessa della relazione segreta tra Carla e Leo (l’amante della loro madre). A questo punto, Michele si vede costretto ad affrontare Leo per salvaguardare l’onore della propria famiglia.

Il ragazzo, dopo essersi impossessato di una pistola, si reca a casa di Leo e tenta di ucciderlo sparando ma, vista l’inesperienza all’uso di un’arma, si dimentica di caricare quest’ultima. Oltre al danno la beffa. Leo è salvo.

Visto il forte trambusto, Carla, che si trovava in una stanza attigua, interviene e cerca di calmare gli animi del fratello, calmandolo e chiarendo la sua situazione sentimentale con Leo.

Finale della storia

A questo punto, per evitare che la villa sia venduta a un miglior offerente, Leo chiede in sposa Carla.

La ragazza accetta la proposta di matrimonio, anche se conosce bene i comportamenti negativi che Leo ha avuto nei confronti della madre, semplicemente perché attratta dall’idea di una vita borghese e benestante per lei e per i suoi familiari.

I due fratelli Carla e Michele tornano a casa e qui trovano Mariagrazia e Lisa mascherate, pronte per recarsi ad un ballo in maschera. A quel punto la mamma invita anche Carla ad unirsi a loro.

L’epilogo finale lascia tutti con il fiato sospeso: Moravia si focalizza sulla figura di Carla che è pensierosa e non sa ancora come comunicare alla madre la sua intenzione di sposare il suo ex-amante Leo in un clima che definirei a dir poco surreale.

 

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Alberto Moravia
Alberto Moravia

Gli indifferenti e la critica

Il libro “Gli indifferenti” di Moravia ha ottenuto sin da subito un enorme successo. I critici di quel tempo hanno espresso un parere favorevole del romanzo di Moravia.

Un certo alone di scandalo per i fatti e le vicende descritti nel libro, portò al successo popolare l’opera che però venne criticata dalla classe dirigente di quel periodo per la sincerità realistica e cruda in esso contenuta.

Moravia, nella sua opera, tratta i temi dell’indifferenza, ovvero del rifiuto di ogni problematica morale, della relativa impotenza di fronte ad una vita concepita come un semplice e mero destino da subire e dell’incomunicabilità tra i vari personaggi della trama.

Il film su “Gli indifferenti” al cinema

Inoltre, dal romanzo fu tratto anche un film omonimo nel 1964, diretto da Francesco Maselli. Tra gli attori presenti ricordiamo:

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Lavandare, analisi, parafrasi e commento alla poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/lavandare-pascoli/ https://cultura.biografieonline.it/lavandare-pascoli/#comments Wed, 24 May 2023 07:14:21 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18565 Il componimento “Lavandare” viene inserito da Giovanni Pascoli solo nella terza edizione di Myricae (1894) e fa parte della sezione L’ultima passeggiataMyricae è stata la prima raccolta del poeta ed ha avuto una vicenda editoriale piuttosto complessa. Una prima edizione, composta da sole 22 liriche, venne pubblicata nel 1891 in occasione del matrimonio di un amico. Negli anni successivi il poeta ampliò il corpus delle liriche fino ad un totale di 156 e l’edizione definitiva fu quella del 1900.

Lavandare - testo della poesia di Giovanni Pascoli

Il titolo è in latino ed indica la pianta delle tamerici (piccoli arbusti della macchia mediterranea): il poeta lo ha ricavato da un verso delle Bucoliche di Virgilio che recita:

non omnes iuvant arbusta humilesque myricae
(non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici).

Pascoli rovescia però questa negazione e dedica la sua raccolta di poesie proprio ad una pianta umile e semplice perché vuole dare spazio alla descrizione delle piccole cose di campagna. La raccolta comprende 15 sezioni e prevalgono i testi brevi, come Lavandare. Per quanto riguarda i temi, Myricae può considerarsi una sorta di diario ricco delle impressioni del poeta e quindi un romanzo autobiografico: predominano quindi il tema della morte del padre, del paesaggio che diventa il simbolo della condizione interiore.

Lavandare: il testo

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.

Parafrasi

Nel campo che è per metà arato per metà no
c’è un aratro senza buoi che sembra
dimenticato, in mezzo alla nebbia.

E scandito dalla riva del fiume si sente
il rumore delle lavandaie che lavano i panni,
sbattendoli, e lunghe cantilene:

Il vento soffia e ai rami cadono le foglie,
e tu non sei ancora tornato!
da quando sei partito sono rimasta
come un aratro abbandonato in mezzo al campo.

Analisi della poesia

Lavandare è un madrigale, composto da due terzine e una quartina di endecasillabi con rime ABA CBC DEDE.

La lirica descrive le sensazioni del poeta che, mentre i campi sono avvolti dalla nebbia, sente in lontananza i suoni provenienti dal lavatoio e i lunghi canti delle lavandaie. Nella prima strofa viene descritto un campo immerso nella nebbia su cui spicca un aratro abbandonato. Dominano i colori spenti: il campo viene descritto infatti come mezzo grigio e mezzo nero.

Nella seconda strofa viene descritto il rumore dei panni che vengono lavati nell’acqua e il canto delle lavandaie. Qui prevalgono le sensazioni uditive (suono dei panni, il canto triste, il tonfo).

Nella terza strofa viene riportata la canzone cantata dalle lavandaie che parla di una giovane donna abbandonata dall’innamorato e che è rimasta sola come l’aratro in mezzo al campo. La lirica è quindi circolare: si apre e si chiude con l’immagine- simbolo dell’aratro abbandonato che rappresenta la solitudine. Questa scena descritta nella poesia serve proprio a trasmettere la sensazione di abbandono e malinconia che rinvia proprio al poeta stesso: egli si sente abbandonato dai suoi cari perché è rimasto orfano del padre e la sua vita è stata funestata da una serie di lutti. Il paesaggio diventa quindi un simbolo per raccontare il proprio stato d’animo.

La poesia Lavandare si caratterizza per il ritmo lento, quasi da cantilena, l’utilizzo di molte allitterazioni (v. 8 tu non torni, v. 10 in mezzo alla maggese) di rime interne (v. 5 sciabordare-lavandare).  Importante l’utilizzo transitivo del verbo nevicare al verso 7: il ramo fa cadere le foglie come fossero fiocchi di neve.

Giovanni Pascoli
Una foto di Giovanni Pascoli

È presente anche una similitudine al verso 10 come paragone tra la ragazza abbandonata e l’aratro in mezzo al campo.  Questa rappresentazione della natura in una delle liriche più lette del Pascoli aiuta il lettore a percepire la sensazione di vuoto e abbandono, sempre presente nell’animo del poeta, come una ferita mai sanata.

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Ultime lettere di Jacopo Ortis: riassunto https://cultura.biografieonline.it/riassunto-ultime-lettere-jacopo-ortis/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-ultime-lettere-jacopo-ortis/#comments Wed, 29 Mar 2023 19:59:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13526 Uno dei romanzi più significativi del poeta e scrittore italiano Ugo Foscolo è Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Tale opera è considerata il primo romanzo epistolare della letteratura italiana. L’opera si ispira ad un fatto realmente accaduto: la vicenda del suicidio di uno studente universitario, Girolamo Ortis. Foscolo, in seguito, mutò il nome di Girolamo in Jacopo, in onore di Jean-Jacques Rousseau.

Jacopo Ortis
Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo epistolare del 1802 di Ugo Foscolo

Le ultime lettere di Jacopo Ortis: analisi

Le lettere del giovane suicida Jacopo Ortis sono indirizzate ad un amico, Lorenzo Alderani, che, dopo il suicidio di Jacopo, le avrebbe date alla stampa corredandole con una presentazione e con la rispettiva conclusione. Si tratta anche di un romanzo autobiografico, poiché si ispira alla doppia delusione avuta da Foscolo, da una parte, per l’amore impossibile per Isabella Roncioni che non riuscì a sposare, e dall’altra parte, per la patria, riferendosi al Trattato di Campoformio dove Napoleone decide di cedere all’Austria parte del territorio.

Ugo Foscolo prende spunto dal modello letterario de I dolori del Giovane Werther di Johann Wolfang von Goethe e risente molto dell’influsso del poeta e drammaturgo Vittorio Alfieri, tanto che il suo capolavoro è considerato una tragedia alfieriana in prosa.

Ugo Foscolo
Ugo Foscolo

Riassunto

Il romanzo narra le vicende di uno studente universitario veneto di passione repubblicana: Jacopo Ortis. Dopo aver assistito impotente al sacrificio della sua patria, Jacopo si rifugia presso i Colli Euganei. Il ragazzo trascorre una vita in perfetta solitudine, ormai deluso da tutto e da tutti, passando il suo tempo libero scrivendo al suo caro amico Lorenzo Alderani, leggendo il filosofo greco Plutarco o intrattenendosi quando capita con un sacerdote, con il medico e con altre persone della cittadina. La sua vita ha una svolta quando incontra il Signor T e le sue due figlie Teresa e Isabellina. L’uomo inizia a frequentare la loro casa e si innamora perdutamente di Teresa, ma la donna è già promessa in sposa al freddo e avido Odoardo.

Proprio durante una passeggiata, Teresa confessa a Jacopo di non sentirsi felice e di non volere sposare Odoardo, al quale il padre l’ha promessa in sposa solo esclusivamente per mere questioni economiche. Il ragazzo da una parte è felice di questa sua dichiarazione, dall’altra però sente la sua disperazione per un amore a suo dire impossibile.

Seconda parte

Stanco di tutto, decide di andare a Padova, dove è riaperta l’Università. Dopo alcuni mesi, però, Jacopo ci ripensa e ritorna da Teresa. Nel frattempo, approfittando dell’assenza del futuro sposo Odoardo riprende i dolci colloqui con la donna. Ma anche quella felicità dura un soffio. Il destino è segnato: “l’uomo sarà infelice” e questo Jacopo lo ripete narrando la storia di Lauretta, una fanciulla infelice, nelle cui braccia è morto il fidanzato e i cui genitori sono dovuti fuggire dalla loro patria.

Per un periodo i due giovani sono travolti dall’amore; poi Jacopo, oppresso da una parte dalla scomoda situazione vissuta con Teresa, promessa sposa di Odoardo, e dall’altra assillato dal dolore di poter servire la propria patria, d’improvviso si ammala. Il giovane, in seguito, confessa al padre di Teresa, venutogli in visita, l’amore per la figlia.

Una volta guarito, il giovane decide di partire alla volta di alcune città italiane, scrivendo una lettera d’addio alla donna amata. Jacopo si reca a Ferrara, Bologna e Firenze. Qui visita i sepolcri dei “grandi” a Santa Croce (scriverà poi il celebre carme Dei Sepolcri pochi anni dopo). Poi, portando sempre con sé l’immagine di Teresa, viaggia fino a Milano dove sarà fondamentale l’incontro con Giuseppe Parini, che lo dissuade da qualsiasi tentativo di mettere in scena atti di audacia per salvare, a sua detta, la sua patria.

Finale

Jacopo continua a viaggiare fino a quando viene messo al corrente del fatto che Teresa si è sposata. Decide quindi di ritornare sui Colli Euganei per salutare per l’ultima volta la donna che ama; poi parte alla volta di Venezia dove riabbraccia per l’ultima volta la madre. In ultimo si reca di nuovo verso i Colli Euganei. L’uomo, dopo aver scritto una lettera a Teresa e l’ultima all’amico Lorenzo Alderani, si uccide piantandosi un pugnale nel cuore.

Temi trattati

Ugo Foscolo, nella sua opera, tratta il tema del suicidio considerato come una scelta dell’ultima libertà che il destino non può togliere. Tra gli altri temi trattati troviamo quello della patria, tanto caro allo scrittore, il tema dell’amore inteso come una forza positiva da cui scaturiscono la bellezza e l’arte, quello della morte, della speranza di essere compianto (“la morte non è dolorosa“) e della sepoltura nella propria terra.

Il tema della patria è rimarcato perfino con un’affermazione scritta nell’incipit del romanzoUltime lettere di Jacopo Ortis“:

Il sacrificio della patria nostra è consumato, tutto è perduto

Infatti, secondo lo scrittore, anche la società è tutta impegnata solo a occuparsi del benessere materiale, apparendo indifferente al richiamo dei valori ideali e al sacrificio. Il lessico usato da Foscolo è caratterizzato da frasi esclamative e interrogative, da risonanze letterarie drammatiche e da parecchie pause espressive.

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Traversando la Maremma toscana: riassunto, figure retoriche e parafrasi della poesia di Carducci https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/#comments Tue, 03 Jan 2023 17:38:02 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40819 La lirica Traversando la Maremma toscana è una delle più apprezzate di Giosuè Carducci. Essa descrive la commozione del poeta nel ripercorrere in treno l’itinerario tra Livorno e Roma passando per la sua adorata Maremma, dove egli aveva trascorso la sua infanzia.

L’autore e la poetica

Giosuè Carducci nacque in Versilia nel 1835 e trascorse l’infanzia proprio in Maremma. Si laureò in lettere alla Normale di Pisa e poi intraprese la carriera di insegnante del ginnasio in diversi paesi toscani. Si trasferì a Bologna dove insegnò all’Università fino a quando non gli subentrò Giovanni Pascoli.

Carducci era un grande appassionato della classicità ma poi col tempo ampliò i suoi interessi anche alla letteratura europea.

Da giovane fu un attivo anticlericale (scrisse l’inno A Satana nel 1863), poi però con gli anni divenne più moderato; accettò il Regno d’Italia e anche l’attivismo ecclesiastico.

Le sue raccolte poetiche più importanti sono:

  • Giambi ed epodi – composti in età giovanile, ricchi di vena polemica;
  • Rime nuove (1861-87);
  • Odi barbare (1873-89).

Venne eletto senatore a vita e ricoprì il ruolo di ultimo poeta-vate dell’Italia a lui contemporanea, come cantore della patria.

Nel 1906 Carducci vinse il Premio Nobel per la Letteratura.

Giosuè Carducci
Giosuè Carducci

Morì nel 1907 a Bologna.

La sua raccolta più importante è Rime Nuove, che include la poesia qui analizzata, Traversando la Maremma toscana, come numero 34, del libro II.

I temi della raccolta sono autobiografici e storici; il poeta infatti celebra eventi contemporanei ma anche ricordi della sua giovinezza e della terra natale. Egli ha un atteggiamento anti-romantico: celebra il culto dei classici contro la barbarie della moderna società italiana a lui contemporanea.

Altri temi importanti sono il contrasto tra ideale e reale, vita e morte e lo scorrere inesorabile del tempo.

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Traversando la Maremma toscana: testo completo

Dolce paese, onde portai conforme
L’abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov’ odio e amor mai non s’addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
Erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
E dimani cadrò. Ma di lontano

Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine.

Parafrasi

O dolce paese, da cui trassi la fierezza del mio carattere e la mia poesia sdegnosa (di compromessi)e il cuore, le cui passioni non si calmano mai, finalmente ti rivedo e il cuore mi balza nel petto.

Ritrovo in te, Maremma, i profili familiari con gli occhi tra il sorriso e il pianto, e in quelle immagini ricerco e ritrovo le tracce dei miei sogni giovanili.

Oh, molte cose che ho amato e sognato sono state vane, mi affannai sempre e non raggiunsi mai lo scopo e presto morirò.

Ma da lontano mi regalano gioia le tue colline con la nebbia che sale e le verdi pianure tra le piogge mattutine.

Maremma Toscana
Maremma Toscana

Traversando la Maremma toscana: analisi, spiegazione, figure retoriche e commento

Questa poesia è un sonetto.

Lo schema metrico è:

ABAB ABAB CDC DCD

Si tratta di una lirica molto intensa nella quale il poeta descrive il paesaggio della Maremma toscana, dove era vissuto fin da bambino.

Egli ricorda le sue emozioni con tanta nostalgia perché sente che la morte è vicina.

La lirica infatti ruota intorno a due nuclei tematici importanti:

  1. la nostalgia del tempo passato e della giovinezza;
  2. la sensazione dello scorrere del tempo e della precarietà del presente.

Il sonetto parte con un’invocazione (O dolce paese): la Maremma è un luogo di favola perché gli ricorda la sua infanzia. Ma ci sono anche tante opposizioni:

  • odio e amore;
  • sorriso e pianto;
  • speranza e delusione.

Il verso 9 arriva ad una triste conclusione: tutto ciò che ha sognato è stato vano e tra un po’ la morte sopraggiungerà: Carducci era infatti reduce da una malattia e temeva di morire.

Nell’ultima strofa invece si ritorna alla dolcezza iniziale grazie all’enjambement (lontano-pace v. 11-12); si conclude quindi in un modo meno amaro.

Altre poesie

Tra le altre poesie di Carducci comprese in Rime nuove qui analizzate, ci sono:

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