inventori Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 01 Oct 2024 12:37:56 +0000 it-IT hourly 1 Galileo e il suo telescopio https://cultura.biografieonline.it/galileo-e-il-suo-telescopio/ https://cultura.biografieonline.it/galileo-e-il-suo-telescopio/#comments Fri, 20 Oct 2023 14:30:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=365 Galileo GalileiIl 21 agosto 1609 Galileo Galilei rivoluzionò il mondo dell’astronomia: presentò al governo veneziano il suo cannocchiale. Ebbe il merito del perfezionamento e del primo uso astronomico delle lenti, che furono costruite nel 1607 da occhialai olandesi.

Lenti rivoluzionarie

Per la costruzione del suo telescopio, Galileo usò le sue mani: levigò le lenti, le combinò in modo congeniale, assemblò i vari pezzi. Costruì un tubo in legno, con due lenti di vetro alle estremità, una concava e l’altra convessa, il tutto accorpato con vari accessori. Unì quindi la consapevolezza del legame tra i suoi strumenti e il metodo scientifico, alla sua eccezionale abilità nel progettarli e costruirli. Con il risultato di riuscire a moltiplicare il potere d’ingrandimento del suo telescopio da 3x (tre ingrandimenti), fino a 8x, raggiungendo poi i 20-30 ingrandimenti.

Le lenti olandesi si trasformarono a tutti gli effetti nel telescopio galileiano.

Tramite il suo genio, fu possibile quindi osservare per la prima volta il cosmo, con uno strumento ben più potente e “scientifico” dell’occhio nudo.

Diresse il suo strumento verso il cielo e la prima cosa che osservò fu la Luna, che non si rivelò liscia come si riteneva fosse fino ad allora, ma individuò le sue montagne e crateri.

Notò le regioni chiare e quelle scure, e ottenne le prime informazioni sui moti lunari. Osservò le fasi di Venere e le macchie solari, osservò Saturno ma senza distinguere gli anelli, che scambiò per rigonfiamenti del pianeta stesso, pensando quindi che fosse un pianeta “tricorporeo”.

Scoprì la costituzione stellare della Via Lattea, con i suoi ammassi di stelle e corpi celesti, individuò i quattro maggiori satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede, Callisto) che chiamò “satelliti medicei”, per rendere omaggio alla famiglia dei Medici.

La scoperta di questi elementi confutavano la tesi che tutti i pianeti girassero intorno alla Terra, confermando invece la teoria eliocentrica di Niccolò Copernico, a discapito di quella geocentrica di Aristotele, che sosteneva erroneamente l’esistenza di un universo con la Terra posta al centro.

Un cannocchiale di nome Telescopio

Galileo battezzò il suo cannocchiale “Telescopio” (dal greco tele = “lontano” e skopeo = “osservo”) e le sue scoperte furono pubblicate il 12 marzo 1610 nel Sidereus Nuncius.

Telescopio di Galileo GalileiUnì scienza e tecnica, mostrando la prima applicazione del telescopio rifrattore, in cui l’immagine viene focalizzata attraverso l’utilizzo di lenti magistralmente assemblate.

Grazie a Galileo, in 400 anni la visione dell’universo si è completamente rivoluzionata.

Dove sono oggi i telescopi di Galileo

I due soli telescopi di Galileo esistenti al mondo sono attualmente conservati presso il Museo Galileo – Museo di Storia delle Scienze di Firenze.

Disse Galileo:

Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che ‘l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna”.

Galileo
Galileo

Un altro esempio nella storia dell’umanità di un uomo alla ricerca della verità, che cerca una spiegazione a ciò che osserviamo, senza credere ciecamente alle teorie di chi, per ignoranza, nega qualsiasi verità che non sia “conforme” ad alcuni preconcetti.

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Chi ha inventato lo scotch? Richard Drew e l’invenzione del nastro adesivo https://cultura.biografieonline.it/chi-ha-inventato-lo-scotch/ https://cultura.biografieonline.it/chi-ha-inventato-lo-scotch/#respond Thu, 11 Mar 2021 15:47:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15217 Il nastro adesivo, chiamato anche con il nome commerciale scotch, è uno strumento entrato a far parte della nostra vita quotidiana. Consiste in un nastro (di plastica o di carta) a cui è applicata, su di un lato, una sostanza adesiva. Concepito inizialmente per essere utilizzato per sigillare pacchi, il nastro adesivo si rivelò ben presto efficace anche per numerosi altri utilizzi, dal confezionamento di regali a svariati impieghi in ufficio e a casa. Ne esistono vari tipi: colorato, biadesivo, trasparente, dotati del pratico dispenser stendinastro.

Scotch 3M

L’inventore del nastro adesivo

L’inventore dello scotch fu lo statunitense Richard Drew, ricercatore dell’azienda statunitense 3M (Minnesota Mining and Manufacturing Company), fondata nel 1902. Drew inventò il nastro adesivo nel 1925, ottenne il brevetto il 27 maggio 1930 (si chiamava masking tape), e successivamente fu messo sul mercato il 31 gennaio 1930. In Europa giunse sette anni dopo.

Lo scotch e Richard Drew
L’inventore dello scotch: Richard Drew (1899-1980)

Origine del termine scotch

Il nastro adesivo creato da Drew era fabbricato con colla da falegname e glicerina. Sembra però che la 3M, per risparmiare, usasse una limitata quantità di colla, cosicché qualcuno la accusò di essere “scozzese”, in riferimento al fatto che gli scozzesi sono considerati restii nello spendere. Da qui il termine “scotch”, ovvero scozzese.

La nascita del post-it

Nel 1977 nascono invece i primi prototipi del famoso post-it: l’irrinunciabile foglietto di carta colorata, con una striscia di adesivo sul retro, utilissimo per lasciare messaggi e aiutare le persone distratte. Il post-it è stato inventato da un altro ricercatore della 3M, Arthur Fry, che, utilizzando un tipo di adesivo inventato dal suo collega, Spencer Silver, creò il primo “segnalibro adesivo”. Disponibile ora in svariate forme, colori e dimensioni, il post-it fu messo in vendita nel 1980.

Arthur Fry
Arthur Fry, l’inventore del post-it, nato nel 1931
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Coriandoli di Carnevale: chi li ha inventati e perché https://cultura.biografieonline.it/coriandoli-storia/ https://cultura.biografieonline.it/coriandoli-storia/#comments Fri, 12 Feb 2021 13:54:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=27913 L’inventore dei Coriandoli di Carnevale si chiama Enrico Mangili. Qui vi racconto come arrivò a pensare di utilizzare dei minuscoli dischetti di carta colorata per celebrare il Carnevale. E come partendo dalla periferia di Milano, una tradizione secolare venne sostituita in tutto il mondo dall’invenzione di un italiano.

Coriandoli di Carnevale
Coriandoli di Carnevale

Prima dei coriandoli

Il Carnevale si celebra da secoli, tanto che esistono numerose sfilate di Carnevale tradizionali in tutta Europa. Il Carnevale più celebre d’Italia è quello di Venezia: la prima testimonianza scritta di questa festa risale addirittura all’anno 1094.

Dal 1500 circa si cominciò a lanciare dei confetti di zucchero dai carri delle sfilate verso il pubblico e viceversa. Tale tradizione durò fino al 1875 quando vennero concepiti i coriandoli come li conosciamo oggi.

fu un illustre abitante di Crescenzago, a lui si deve l’invenzione dei coriandoli e delle stelle filanti.

Enrico Mangili, l’inventore dei coriandoli

Enrico Mangili fu un ingegnere, industriale, filantropo, insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro. Fu proprietario di una stamperia di tessuti a Crescenzago, paese della zona Nord Est di Milano. Il piccolo centro alle porte del capoluogo lombardo fu poi annesso al comune di Milano nel 1923.

L’azienda tessile del Cavalier Mangili dava lavoro a molte donne del paese. Per far funzionare i macchinari si sfruttava anche la forza idraulica della corrente del Naviglio mediante una ruota (tutt’oggi nel muro di villa Lecchi, lungo il Naviglio della Martesana, è possibile individuare i segni di dove era posizionata la ruota).

Il settore tessile a quei tempi dava da mangiare a moltissime persone nella zona della Lombardia, da Como a Milano, dove si allevavano bachi da seta per la produzione dei tessuti. Come lettiere per i bachi da seta venivano utilizzati dei fogli speciali a cui venivano applicati dei fori.

Correva l’anno 1875 quando Mangili ebbe l’idea di riciclare i piccoli dischetti di scarto di questi fogli, proprio per utilizzarli durante le sfilate di Carnevale.

Fu così che nel tempo, i tradizionali confetti di zucchero vennero sostituiti dai coriandoli di carta.

Da dove deriva il nome coriandoli?

Il nome coriandoli deriva dal fatto che nella zona di Milano, i confetti che venivano lanciati durante la festa di Carnevale, erano semi di coriandolo ricoperti di zucchero.

coriandolo semi
Semi di coriandolo. Curiosità: sono un ingrediente base per alcuni tradizionali stili di birra, come le blanche belghe

La pianta del coriandolo era molto comune in quei tempi attorno a Milano.

coriandolo foglie pianta
La pianta del coriandolo e le sue tipiche foglie verdi. Il nome latino è Coriandrum sativum. E’ chiamato anche prezzemolo cinese oppure con il nome spagnolo cilantro.

Il successo dell’invenzione di Mangili

Visto il successo iniziale della sua idea, Enrico Mangili iniziò a commercializzare i coriandoli. Di fatto contribuì a cambiare un pezzo di tradizione e di storia del Carnevale.

In breve tempo i coriandoli entrarono a far parte della tradizione del carnevale milanese per poi diffondersi a livello mondiale.

Il Cavalier Mangili fu inoltre una persona di grandi vedute e dal grande cuore: come benefattore contribuì economicamente alla fondazione dell’asilo che ospitava i figli delle donne che lavoravano per lui, le filatrici di Crescenzago.

Enrico Mangili
Enrico Mangili: il busto presente nel suo asilo

Tutt’oggi l’asilo esiste e si trova in via Padova 269, a Milano. Nel giardino dell’asilo campeggia un busto che ricorda la figura dell’ingegner Mangili.

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Chi ha inventato le luci di Natale? https://cultura.biografieonline.it/luci-di-natale/ https://cultura.biografieonline.it/luci-di-natale/#comments Wed, 09 Dec 2020 10:47:16 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20565 Le luci di Natale

Il periodo natalizio porta con sé svariate tradizioni. Una di queste è quella di illuminare il nostro Natale. In questo periodo dell’anno è piacevole rimanere incantati nell’osservare le luci di Natale e i giochi che producono. Esse rendono scintillanti le nostre case, i nostri giardini, le nostre strade. Un Natale di luce e calore.

Luci di Natale
Luci di Natale

L’invenzione delle luci di Natale

Un tempo, però, gli addobbi che si utilizzavano erano costituiti da nastri, ghirlande, fiocchi, candeline e piccoli frutti. Utilizzato come pianta decorativa già molto prima dell’avvento del Natale cristiano, era anche l’agrifoglio. A questi ornamenti se ne aggiunse un altro, più… lucente.

Nel 1882, Edward Hibberd Johnson, inventore e socio in affari di Thomas Edison, ebbe l’idea di attorcigliare un filo di lampadine colorate intorno al suo albero di Natale. Erano 80 lampadine rosse, bianche e blu delle dimensioni di una noce. Era il 22 dicembre 1882 e l’albero era quello nella sua casa a New York. La storia è stata riportata nel giornale Detroit Post and Tribune da un reporter di nome William Augustus Croffut.

Edward Hibberd Johnson
Edward Hibberd Johnson, il padre delle luci di Natale

Scriveva Croffut: “Ieri sera mi avvicinai al di là della Fifth Avenue, chiamato presso la residenza di Edward H. Johnson, vice presidente della Edison’s Electric Company. C’era, nella parte posteriore dei bellissimi saloni, un grande albero di Natale, che presentava un aspetto più pittoresco e sconcertante. Era brillantemente illuminato con molte sfere colorate grandi come una noce inglese. (…) C’erano ottanta luci in tutto, racchiuse in queste uova di vetro delicate, quasi equamente divise tra i colori bianco, rosso e blu. (…) Non ho bisogno di dirvi che il sempreverde scintillante è stato un bello spettacolo, difficilmente si può immaginare qualcosa di più bello”.

Le prime luci di Natale
Foto scattata il 25 dicembre 1882 che mostra l’albero di Natale di Edward Hibberd Johnson

Le prime luci di Natale

Da quel momento in poi, le luminarie sono entrate a far parte delle tradizioni natalizie. Non solo l’albero di Natale, ma anche le strade, gli esterni e gli interni delle case, sono resi scintillanti da ghirlande di luci di ogni colore, che rendono l’atmosfera più calda e festosa. Nel 1895, il presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland sfoggiò il primo albero illuminato elettricamente alla Casa Bianca, con più di cento luci multicolori.

Le prime luci di Natale destinate ad essere commercializzate, furono fabbricate dalla Edison General Electric Company di Harrison, in New Jersey. Apparvero sulle riviste americane per la prima volta nel numero di dicembre del 1901 della rivista Ladies’ Home Journal.

Casa con luci di Natale

Grazie a Edward Hibberd Johnson, quindi, il Natale, oltre che ad essere bianco, magico, gioioso (ma per alcuni anche malinconico), è diventato anche luminoso, luccicante, scintillante!

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Bluetooth: la curiosa origine del nome e il significato del simbolo https://cultura.biografieonline.it/bluetooth-significato-simbolo/ https://cultura.biografieonline.it/bluetooth-significato-simbolo/#respond Tue, 10 Nov 2020 06:32:39 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30742 Chiunque utilizzi un device per svago o lavoro conosce la funzionalità del Bluetooth, che è ormai parte integrante di ogni dispositivo elettronico. Che si tratti di un iPhone, di un tablet, o di un pc. Anche se ultimamente sembra essere passato in secondo piano con l’avvento della messaggistica istantanea di WhatsApp o Messenger su Facebook, questo metodo è ancora apprezzato ed utilizzato dagli utenti.

Bluetooth Logo

La principale funzione del Bluetooth è quella di mettere in condivisione contenuti multimediali tra dispositivi anche diversi tra loro, attraverso la connessione senza fili (wireless). E se questo è sicuramente l’aspetto più noto del Bluetooth, non tutti forse conoscono l’origine del nome e il significato del simbolo.

Bluetooth: l’origine del nome

Se andiamo a ricercare l’origine del nome, a prima vista potrebbe sembrarci strana o forzata, ma in realtà l’inventore del protocollo tecnologico ha volutamente attribuito a tale funzione il nome di un personaggio storico influente: il re danese Harald Gormsson – noto come Harald Bluetooth, che visse tra il 911 e il 986 d.C. (conosciuto in lingua italiana con l’appellativo di Aroldo I di Danimarca).

Harald Bluetooth
Harald Bluetooth Gormsson (Aroldo I di Danimarca) – illustrazione

Il sovrano danese riuscì storicamente ad unire tra loro i popoli di Norvegia, Danimarca e Svezia sotto l’egida di un’unica religione, quella cristiana; così la tecnologia Bluetooth permette oggi di attuare la condivisione tra dispositivi di vario genere.

Il simbolo

C’è traccia di questa similitudine anche nel simbolo del Bluetooth; esso infatti rappresenta l’unione di due rune nordiche, la H e la B, che sono appunto le iniziali del sovrano della Danimarca, Harald Bluetooth. Le due rune in questione sono Hagall (grandine) e Berkanan (Betulla).

Il logo Blootooth è la composizione di due rune nordiche: H, B
Il logo Blootooth è la composizione di due rune nordiche: H, B

La storia

Circa mille anni dopo, i due ingegneri che misero a punto la tecnologia Bluetooth decisero di attribuire a questa invenzione il nome del re che aveva la fama di aver unificato sotto l’aspetto politico e religioso i popoli di Scandinavia, divisi tra loro per tradizioni e a causa di antichi e mai risolti dissapori.

I due inventori della funzionalità Bluetooth, Jim Kardach (ingegnere presso la Intel, azienda americana specializzata nella produzione di microprocessori) e Svenn Mattison (che lavorava invece alla Ericsson), si ritrovarono nell’estate del 1997 a Toronto per lavorare insieme al nuovo progetto di trasmissione dei dati.

Per caso si ritrovarono a parlare di storia, e si accorsero di essere entrambi affascinati dalla storia della Danimarca, e della figura di re Aroldo I, soprannominato “Dente Blu” (Blåtand in lingua scandinava) a causa della sua abitudine di colorarsi i denti di questo colore prima di una battaglia.

Approfondendo i racconti riguardanti questo sovrano dalla personalità assai particolare, Kardach e Mattison decisero che il suo nome era proprio adatto al progetto cui stavano lavorando, che si proponeva di unificare i dati a livello tecnologico. E così è stato.

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Subbuteo: origine del nome e breve storia del gioco https://cultura.biografieonline.it/subbuteo-origini-nome-storia/ https://cultura.biografieonline.it/subbuteo-origini-nome-storia/#respond Sat, 07 Nov 2020 21:07:52 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30725 Subbuteo, calcio in miniatura

“Il calcio da tavolo”, o Subbuteo, è un gioco interattivo che permette di riprodurre le dinamiche di una partita di calcio tra giocatori appartenenti a squadre diverse. Chiunque può cimentarsi in un campionato di calcio senza uscire di casa, provando anche l’ebbrezza di sentirsi “mister” della propria squadra, come succede nel “calcio vero”.

Il classico tavolo verde del Subbuteo
Il classico tavolo verde del Subbuteo

Le origini

La storia del calcio affonda le sue radici nel Medioevo; per trovare i primi “calciatori in miniatura” dobbiamo tornare “solo” agli inizi degli anni Venti.

Alcuni marinai inglesi, appassionati di calcio, essendo impossibilitati a giocare a causa della ristretto spazio a disposizione sulle navi, pensarono bene di realizzare figure di calciatori utilizzando il piombo, ed una pallina delle stesse dimensioni di quella da ping pong.

Il primo calcio da tavolo di cui si ha traccia è quello inventato dall’inglese William Lane Keeling, che riuscì a realizzare il suo “Table Soccer” utilizzando materiali come il cartone, caucciù e bottoni per ottenere i giocatori e il pallone da gioco. Con un gesso tracciò le linee per delimitare il campo, e costruì le porte con il fil di ferro.

Il gioco originale così realizzato da Keelings nacque nel 1929 (con la sua società Newfooty) e fu prodotto e diffuso in modo crescente fino al 1939. Qualche tempo dopo, con la diffusione della plastica, il calcio da tavolo venne costruito con questo materiale più duraturo e resistente.

Subbuteo: il curioso nome

Da dove deriva la parola “Subbuteo” con cui si usa definire il calcio da tavolo?

L’etimologia della parola è alquanto curiosa, poiché si riferisce al nome latino di un volatile, il falco Subbuteo. Il “padre” inventore del Subbuteo con cui ci divertiamo oggi, Peter Adolph (1916-1994), aveva due grandi passioni: il calcio e l’ornitologia.

Rispetto alle miniature del predecessore Keeling, Adolph nel suo gioco fu capace di riprodurre giocatori in rilievo, senza utilizzare i materiali “grezzi” che rendevano il gioco poco funzionale e piacevole esteticamente.

Quando si recò all’ufficio brevetti per registrare il marchio del gioco inventato, propose di chiamarlo “Hobby”, come una razza di falcone che a lui piaceva particolarmente. Chiese anche che il volatile diventasse il logo del gioco. Alla prima proposta l’ufficio brevetti rispose negativamente perché il nome “Hobby” in inglese ha il significato piuttosto generico di “passatempo”, quindi poco adatto per un gioco specifico. Fu invece accettato il falco come logo.

Ma l’inventore non si arrese e così adottò il nome latino del medesimo volatile: il falco Subbuteo. Non solo ne depositò il brevetto, ma dopo poco tempo creò la società “Subbuteo Sport Games” rilevando pure la Newfooty che apparteneva a Keeling.

Le evoluzioni

Oggi il calcio da tavolo Subbuteo è universalmente riconosciuto con il nome latino di un uccello il cui becco ricorda proprio la posizione e il gesto del dito che colpisce il singolo giocatore in campo per spingere la palla.

Negli anni Il gioco ha attraversato diverse fasi. Dalle miniature arrotondate, che però non permettevano di direzionare l’omino nella maniera migliore, si è passati alle più moderne “sport figures” e “toccer”, miniature più grandi con una base piatta.

Infine, sono state introdotte le “ProfiBase”, ossia figurine che si infilano su un corpo unico di plastica rigida con il fondo piatto. Con queste è possibile tirare la palla in modo più forte e preciso.

Le regole e i campionati

Il Subbuteo ha le sue regole precise, ed ogni giocatore deve conoscerle prima di cominciare una partita.

Ad esempio:

  • il giocatore va colpito con il dito indice o medio;
  • non si deve lisciare la palla mentre è in campo;
  • ogni giocatore può fare solo tre tocchi (comprensivi del tiro in porta).

Una miniatura sarà mossa posizionando il dito indice o medio di qualsiasi mano in prossimità della stessa, colpendo con l’unghia qualsiasi parte della sua base. Non è permesso toccare la parte superiore della miniatura (la figura) quando si esegue un colpo.
Le miniature non possono essere sospinte, trascinate, accompagnate, né può essere sfruttata leva o supporto con qualsiasi superficie eccetto quella di gioco. La miniatura colpita lascerà immediatamente l’unghia del dito usato. La mano del giocatore ed il suo avambraccio non possono muoversi durante il colpo. Un colpo a punta di dito sarà considerato eseguito se un giocatore ha toccato una qualsiasi parte di una qualsiasi miniatura.

Dal regolamento ufficiale. REGOLA 1 (COLPO A PUNTA DI DITO)
Subbuteo dito finger

Le norme sono ovviamente più rigide se si gioca all’interno della Federazione: in Italia FISCT (Federazione Italiana Sportiva Calcio da Tavolo); nel mondo: FISTF (Federation International Sports Table Football).

Nel calcio da tavolo l’Italia ha ottenuto più volte il titolo di Campione del Mondo.

Oltre al Mondiale, ogni Paese organizza anche due Open e un Gran Premio.

Il Campionato europeo si tiene invece ogni anno (è la Coppa dei Campioni, il torneo più importante di tutti), a cui accedono due squadre per ogni nazione.

Le scatole del gioco sono spesso personalizzate e dedicate alle squadre reali, così da soddisfare le esigenze dei tifosi più appassionati. Come quelle di Milan e Juventus, ad esempio. Anche in versione retrò.

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Accendino Bic: la storia di un’invenzione di successo https://cultura.biografieonline.it/accendino-bic-storia/ https://cultura.biografieonline.it/accendino-bic-storia/#comments Mon, 10 Aug 2020 19:47:37 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29971 Ne 1973 il marchese Marcel Bich ebbe un’intuizione geniale, che lo portò a inventare l’oggi celebre Accendino Bic. Allo scopo di consolidare il suo impero imprenditoriale, nato dall’idea di trasformare la penna a sfera inventata da Biró in una penna per tutti gli utilizzi quotidiani, immaginò un accendino usa e getta.

accendino Bic, accendini Bic
Accendini Bic

Accendino Bic: l’idea

All’inizio degli anni ’70 Bich decise di acquistare l’azienda francese di accendini Flaminaire. La sua idea era quella di sviluppare un accendino usa e getta che facesse concorrenza ai poco pratici fiammiferi di legno e agli accendisigari che invece erano costosi e ingombranti.

Da qui l’idea di utilizzare un accendino già in uso, modificarlo con una carica di benzina non sostituibile e dotarlo di un sofisticato meccanismo di accensione.

i componenti di un accendino Bic
I componenti di un accendino: ogni accendino che esce dalla fabbrica deve superare almeno 50 controlli

Icona di design

Il successo fu strepitoso e l’accendino Bic divenne un’icona con il suo design ellittico, semplice e maneggevole. Ci sono diverse versioni oggi dell’accendino Bic: la piccola, la media e il formato normale che permettono comunque un utilizzo comodo dell’accendino usa e getta.

Dopo la sua produzione di massa, l’accendino divenne un successo mondiale consacrando il suo inventore Marcel Bich e permettendogli di veleggiare fra i grandi industriali europei.

L’accendino divenne un’icona e un oggetto da collezione, tanto che sia il MoMA di New York sia il Centre  Georges Pompidou di Parigi ne conservano alcuni esemplari come oggetti iconici e di design.

Marcel Bich

L’imprenditore Marcel Bich era originario di Chatillon (Aosta). Il suo cognome era scritto con l’acca finale ma quando si trasferì in Francia fece togliere l’ultima lettera. Bich in francese significa cerbiatta, un’associazione non tanto gradita al barone.

Egli preferì un suono più secco rispetto a quello che avrebbe avuto il suo cognome letto con l’acca finale.

Marcel Bich

Accendino Bic: storia e commento video

Quanto costa?

Si calcola che ogni giorno vengano venduti 6 milioni di esemplari!

Di seguito un esempio da Amazon.

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Mangiadischi Minerva GA 45 Pop, del designer Mario Bellini https://cultura.biografieonline.it/mangiadischi-minerva-mario-bellini/ https://cultura.biografieonline.it/mangiadischi-minerva-mario-bellini/#comments Fri, 07 Aug 2020 15:20:38 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29968 Il mangiadischi GA 45 Pop Minerva è stato lanciato sul mercato nel 1969. Disegnato da Mario Bellini, si tratta di un giradischi portatile. E’ un lettore di dischi in vinile, 45 giri. Questo mangiadischi ha rappresentato il desiderio di avere a portata di mano uno strumento bello, utile ma al contempo frivolo per ascoltare la musica preferita in qualsiasi luogo.

Mangiadischi Minerva GA 45 Pop, Bellini
Il mangiadischi Minerva GA 45 Pop, Bellini

Senza fili ma solo a batteria, il mangiadischi permetteva una certa duttilità: era disegnato come una borsa da passeggio riprendendo l’archetipo di un oggetto utile, ma anche bello da vedere.

Era composto da 3 elementi essenziali:

  • la struttura in plastica;
  • la maniglia per trasportarlo comodamente;
  • il vano batterie posto alla base per dare equilibrio all’ oggetto.

Si poteva appoggiare il Mangiadischi Minerva GA 45 Pop ovunque; non era pesante.

In breve divenne un prodotto diffusissimo proprio per queste sue caratteristiche fondamentali.

In fondo il mangiadischi esaudiva una serie di desideri che alla fine degli anni ’60 non erano tanto diversi dai desideri dei consumatori d’oggi: avere un oggetto piccolo, servizievole, comodo, da usare in ogni luogo e che portasse con sé allegria, svago, divertimento.

Una pubblicità dell'epoca del mangiadischi Minerva
Una pubblicità dell’epoca. Il testo recita così: SIAMO ARRIVATI ULTIMI ma abbiamo realizzato un giradischi automatico diverso. Diverso per il suo disegno industriale, per le sue dimensioni, per la sua qualità. E a un prezzo da non creare problemi. Arrivare ultimi così – è in pratica arrivare primi. MINERVA

Mangiadischi Minerva GA 45 Pop: il suo inventore, Mario Bellini

L’inventore, Mario Bellini, è un designer e architetto italiano, nato a Milano il 1º febbraio 1935. Con la sua genialità, utilizzò la tecnologia dell’epoca per soddisfare un bisogno comune, tuttavia riuscì a realizzare un oggetto che potesse durare nel tempo.

Mario Bellini
Mario Bellini

Oltre al celebre mangiadischi Bellini diede forma nel 1965 a Olivetti Programma 101, il primo Personal Computer della storia.
Altri oggetti celebri per il loro design ideati da Mario Bellini, successivi al Minerva, sono il Kar-a-sutra, nel 1972, e la Olivetti ETP 55 nel 1987. Il primo è un concetto di disegno industriale applicato alle automobili, precursore delle moderne monovolume; la seconda è una macchina da scrivere elettronica.

Tornando al Mangiadischi GA 45 Pop, oggi viene ricordato con malinconia proprio perché rappresenta appieno la colonna sonora degli anni ’70 e ’80. Oggi è considerato un oggetto vintage ed è possibile trovarlo nei mercatini gestiti perlopiù da privati appassionati.

Minerva GA 45 POP, mangiadischi: video, storia e illustrazione

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Moka Bialetti: storia e curiosità di un celebre prodotto di design https://cultura.biografieonline.it/moka-bialetti-storia/ https://cultura.biografieonline.it/moka-bialetti-storia/#comments Sat, 01 Aug 2020 14:47:41 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29964 La Moka Bialetti è una caffettiera celeberrima. E’ un oggetto di design storico, che ha reso il disegno industriale italiano famoso in tutto il mondo. E’ presente tutt’oggi nella collezione permanente della Triennale di Milano e anche in quella del MoMA di New York. Prima di raccontare la storia di questa macchina per il caffè, facciamo un passo indietro.

Moka Bialetti caffè
Il caffè mentre esce nel bricco della Moka

Milano e il caffè espresso

Il caffè italiano ha una sua identità precisa e generalmente quando si parla di caffè espresso si pensa all’Italia. Tuttavia il caffè è originario del mondo islamico ed è in quei luoghi esotici sono nate le leggende della sua origine. Fu però in Italia, e più specificatamente a Milano, che nacque l’espresso.

Nel 1905 il caffè espresso veniva realizzato dalle macchine a caldaia Pavoni, le quali producevano, grazie all’ intervento di esperti operatori delle dosi concentrate di caffè che venivano consumate con la proverbiale tazzina.

Questi macchinari, per quanto all’ avanguardia, non potevano essere utilizzati nelle abitazioni domestiche perché erano ingombranti e di non semplice utilizzo.

Moka Bialetti: l’idea

Alfonso Bialetti ebbe l’idea, nel 1933, di realizzare una piccola macchinetta che permettesse ad ogni famiglia italiana – e non solo – di prodursi in casa un espresso buono ed economico. Bialetti apparteneva ad una famiglia che da generazioni lavorava il metallo. Fu in Francia che Alfonso imparò a lavorare l’alluminio, apprendendo la tecnica di fusione a conchiglia.

Imparati i segreti dell’alluminio Bialetti rientrò in Italia e nel 1908 aprì un suo laboratorio.

L’alluminio si trova in grandi quantità sul territorio nazionale e grazie alle posizioni del fascismo per quanto riguardava le esportazioni, l’alluminio fu per molto tempo un materiale che poteva avere a prezzi bassi. Il progetto di Bialetti che riprendeva le forme del déco, fu geniale.

L’imprenditore riuscì a realizzare una macchina ottagonale divisa in tre parti:

  • una caldaia per la raccolta e l’ebollizione dell’acqua;
  • un filtro;
  • un bricco in cui il caffè fluisce dopo essere stato riscaldato.
Le componenti di una Moka Bialetti
Le componenti di una Moka Bialetti

La Moka Bialetti viene tuttora venduta in tutto il mondo.

La sua fortuna è dovuta, oltre che alla genialità di Alfonso Bialetti, anche alla capacità del figlio Renato Bialetti di lavorare sull’esportazione e sulla comunicazione, pubblicità e marketing.

Bialetti: pubblicità d'epoca
Pubblicità d’epoca con l’omino coi baffi

L’omino coi baffi, simbolo storico della moka, fu un’invenzione di Paul Campani che nel 1953 lo disegnò per una campagna pubblicitaria che ha fatto epoca: è uno dei contenuti promozionali più ricordati quando si parla di Carosello. Già nel 1954 la Moka Bialetti veniva venduta in un milione di esemplari.

La storia della Moka Bialetti raccontata in un breve video

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Penna Bic: l’invenzione e il racconto di una storia di successo https://cultura.biografieonline.it/penna-bic-storia-invenzione/ https://cultura.biografieonline.it/penna-bic-storia-invenzione/#comments Sat, 01 Aug 2020 08:51:31 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29940 Nel 1938 il giornalista ungherese László József Bíró inventò la penna a sfera. Bíró ebbe l’idea osservando l’inchiostro tipografico, il quale ha la proprietà di asciugarsi rapidamente e di non sbavare sul foglio ma contemporaneamente è poco fluido e quindi non poteva essere applicato attraverso l’uso di un pennino.

Bíró ebbe un’intuizione geniale: immaginò di applicare una sfera alla cannuccia dell’inchiostro in modo tale che la penna muovendosi sul foglio permettesse alla sfera di intingere l’inchiostro e girando di distribuirlo sulla carta. Grazie all ’aiuto del fratello Georg, un chimico di professione, Bíró riuscì a brevettare la sua idea e a realizzarla.

La penna a sfera così concepita ebbe un certo successo in applicazioni tecniche. Ad esempio, fu molto apprezzata dall’aviazione militare, perché l’inchiostro di stampa resisteva bene in ambienti in cui mancava la pressurizzazione.

Penne Bic
Penne Bic

La penna di uso comune

Fu però il barone Marcel Bich a trasformare la penna a sfera da oggetto tecnico a penna di uso comune e a diffonderla attraverso canali commerciali di più ampia diffusione. Il barone Bich nacque nel 1914 a Torino e diventò negli anni ‘30 cittadino francese.

La sua occupazione principale era quella di commerciante e produttore di stilografiche e portamine meccanici. Bich acquistò una serie di macchinari di precisione da imprese svizzere allo scopo di fissare una microsfera di carburo ad un supporto di ottone il quale a sua volta era attaccato ad un corpo in plastica.

Bic: la punta della penna a sfera
Bic: la punta della penna a sfera

La penna Bic

Nacque così la penna Bic. Essa aveva sette componenti: due metallici in punta, una sfera di carburo e un supporto di ottone, un corpo in plastica che contiene il canale dell’inchiostro, un tappino di chiusura e un tappo di protezione della punta, coordinato con il colore della penna.

La penna Bic ha sempre avuto quattro colorazioni standard:

  • il nero;
  • il rosso;
  • il verde;
  • il blu.

La sua semplicità, economicità e praticità l’hanno resa una penna immortale per tutte le situazioni.

Il successo

La Bic è una penna che abbiamo anche usato come cerbottana a scuola, che abbiamo mordicchiato nervosamente, che abbiamo perso, proprio perché costando poco non genera un particolare legame con il proprietario. E questo è anche il punto del suo successo: è uno degli oggetti più legati al senso del consumismo. Consumare per poi ricomprare.

La penna Bic si perde, si getta via e poi si ricompra, o si acquista in set di molti esemplari senza rendersi conto che più si usa e si getta, e più si creano rifiuti.

Ad ogni modo rimane un’idea geniale che ha semplificato il modo di scrivere. Ed ora sappiamo da dove derivano i nomi Bic e biro.

Commento video

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