incidenti navali Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 27 Mar 2024 10:43:02 +0000 it-IT hourly 1 Mayday: perché per segnalare un’avaria si usa questa parola https://cultura.biografieonline.it/mayday/ https://cultura.biografieonline.it/mayday/#comments Wed, 27 Mar 2024 07:49:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=684 La parola Mayday non ha nulla a che vedere con la traduzione di Primo Maggio, Festa dei Lavoratori che si festeggia nella maggior parte dei paesi del mondo. Il segnale internazionale di richiesta di aiuto deriva dal francese venez m’aider!” (venite ad aiutarmi).

Mayday
Mayday Mayday

L’utilizzo di questo termine è attribuito a Frederick Stanley Mockford, addetto alle comunicazioni radio impiegato nell’aeroporto di Croydon (Londra) che nel 1923 riceve l’incarico di trovare una parola facile e riconoscibile da ogni nazione, da utilizzare in caso di richiesta d’aiuto.

In quegli anni la maggior parte del traffico aereo avviene tra Croydon e l’aeroporto parigino Le Bourget; propone quindi l’espressione mayday che è una deformazione anglofona dell’espressione francese “m’aider”.

Tale espressione è ufficialmente utilizzata dal 1927.

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Il naufragio della Costa Concordia https://cultura.biografieonline.it/costa-concordia/ https://cultura.biografieonline.it/costa-concordia/#comments Thu, 13 Jan 2022 08:11:53 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8704 L’incidente marittimo avvenuto alla nave da turismo Costa Concordia è molto singolare sia per la dinamica per cui è avvenuto che per le modalità di svolgimento delle operazioni di soccorso e salvataggio.

Salpata dal porto di Civitavecchia a Gennaio 2012 per effettuare la crociera “Profumo di agrumi” nel Mediterraneo, la nave Concordia, appartenente alla compagnia di navigazione Costa Crociere è guidata dal comandante Francesco Schettino: a bordo vi sono 4.229 persone (1.013 membri dell’equipaggio e 3.216 passeggeri). La nave avrebbe dovuto toccare le seguenti tappe: Savona, Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, per poi ritornare a Civitavecchia.

La Costa Concordia rovesciata e inclinata su un fianco
L’incidente della Costa Concordia ebbe luogo il 13 gennaio 2012

L’incidente che causa il naufragio della Costa Concordia si verifica nei pressi dell’Isola del Giglio (Grosseto, Toscana) dove la nave impattato contro uno scoglio. In conseguenza dell’urto, si apre una falla di circa 70 metri sulla parte sinistra dell’imbarcazione. La crociera si interrompe bruscamente, la nave subisce un forte sbandamento, per poi arenarsi su uno scalino roccioso a nord di Giglio Porto.

Per la precisione, l’imbarcazione urta contro uno degli scogli piccoli delle Scole, ma non è lontana dalla costa: secondo i rilievi effettuati, si trova a circa otto metri di profondità e la riva è lontana soltanto 96 metri. Inoltre, dopo l’impatto, la nave ha rallentato bruscamente la velocità e l’andatura. L’incidente si verifica alle ore 21.42 del 13 gennaio 2012.

La dinamica dell’incidente

A causa della falla che interessa la parte sinistra dello scafo, la nave comincia rapidamente a riempirsi di acqua. Trascorrono circa 16 minuti dall’impatto con la scogliera, e alle 21: 58 il comandante Schettino chiama l’unità di crisi della nave, e riferisce al capo Roberto Ferrarini che si è verificato un black out sulla nave dopo l’urto. I due si risentono alle 22:06 quando Schettino dice a Ferrarini che non possiede elementi per prevedere un eventuale naufragio della nave.

Anche la Capitaneria di Porto di Livorno viene allertata, e dopo circa ventisette minuti dall’incidente si mette in contatto con la Costa Concordia, chiedendo chiarimenti sulla situazione. Le comunicazioni tra Schettino e Ferraririni si infittiscono man mano che si comprende l’entità della tragedia: mentre alle 22:17 Schettino segnala due compartimenti allagati, ma non vi è ancora la necessità di gettare le ancore in quanto la nave sta dirigendosi verso terra, alle 22:27 il comandante riferisce che le condizioni si sono aggravate e che tre compartimenti della nave sono ormai pieni di acqua.

A questo punto viene data l’allerta generale e i passeggeri vengono invitati a raggiungere i punti di raccolta dell’imbarcazione. I membri dell’equipaggio cominciano le operazioni di salvataggio con l’allestimento delle scialuppe: alle 22:58 Schettino ordina di abbandonare la nave.

Il comandante Francesco Schettino
Francesco Schettino, comandante responsabile della nave Costa Concordia

Poco più tardi, alle 23:11, Schettino riferisce a Ferrarini di avere inviato a fondo le due ancore, che la poppa della nave poggia sul basso fondo e che le operazioni di sbarco sono già in corso. Inoltre viene segnalata la presenza di un traghetto e di una motovedetta che prestano assistenza ai passeggeri.

In base alla registrazione di alcune telefonate intercorse tra il comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino e Gregorio De Falco, capitano di fregata della Capitaneria di Porto di Livorno, circa un’ora e mezza dopo l’inizio dello sbarco, viene intimato a Schettino di risalire subito sulla nave, che intanto si è coricata sul fianco di dritta. Il capitano risponde di trovarsi su una lancia di salvataggio e da qui coordina le operazioni. All’01:46 De Falco ordina a Schettino di risalire sulla nave e guidare le operazioni di salvataggio dei passeggeri, ma senza sortire alcun effetto.

Gregorio De Falco
Gregorio De Falco, capo sezione operativa della Capitaneria di Porto di Livorno, è uno dei protagonisti della vicenda

Mentre la condotta del comandante Schettino si presta a diverse obiezioni, il personale di bordo della Costa Concordia svolge un lavoro encomiabile e si prodiga per aiutare i passeggeri. In particolare, si distingue il Commissario di bordo Manrico Giampedroni, di 57 anni, che è stato ritrovato vivo dopo circa 36 ore dal naufragio con una gamba fratturata. Il bilancio dell’incidente è pesante: si contano 32 morti e 110 feriti, di cui 14 vengono subito ricoverati in ospedale.

I soccorsi

L’evacuazione dei passeggeri avviene in parte grazie all’intervento dell’equipaggio, in parte grazie ad alcune imbarcazioni civili che si trovano nei paraggi della Costa Concordia. A fornire soccorsi immediati, però, sono gli abitanti dell’Isola del Giglio, che mettono a disposizione alcune barche per giungere nei pressi della nave e recuperare le persone che abbandonano l’imbarcazione ormai pericolosamente inclinata su un lato. Sulla piccola isola si creata in breve una vera e propria emergenza sanitaria, in quanto scarseggiano i medicinali per le cure e l’assistenza dei numerosi naufraghi.

Nei giorni successivi cominciano i penosi lavori di recupero dei corpi senza vita dei passeggeri, che però si fermano tra gennaio e febbraio del 2012 a causa delle avverse condizioni climatiche e del mare agitato. Alcuni di questi saranno ritrovati a più di un anno di distanza dal naufragio, quando la nave è già un relitto. I resti dell’ultimo disperso vengono ritrovati tra il 13 e il 14 ottobre 2013: si tratta di un membro dell’equipaggio.

Disastro ambientale e recupero della nave

Prima di recuperare il relitto, è necessario svuotare il serbatoio della nave per evitare che l’olio combustile fosse versato nel mare. I serbatoi dell’imbarcazione vengono svuotati utilizzando la tecnica dell’hot tapping: le operazioni cominciano il 24 gennaio 2012 grazie all’intervento della società olandese chiamata “Smit Salvage”. Si teme infatti che il naufragio della Costa Concordia, oltre alla perdita di vite umane, possa provocare un immane disastro ambientale.

Dopo due mesi esatti, il 24 marzo 2012, le operazioni di svuotamento dei serbatoi vengono ultimate con successo. Il recupero della nave inizia il 29 maggio 2013, ad opera di due società specializzate, l’americana Titan Salvage e l’italiana Micoperi. Tutte le operazioni si svolgono nell’arco temporale di un anno, avendo particolare cura di non interferire sull’ecosistema dell’Isola del Giglio.

Il 16 settembre 2013 si procede alla Rotazione della nave (in inglese il termine tecnico è: parbuckling), sotto la guida di Nick Sloane. Non si è mai tentato un recupero del genere su una nave così pesante, prima d’ora. Proprio per questo motivo, l’operazione suscita la curiosità generale, anche all’estero.

Dopo aver raddrizzato e messo in sicurezza la nave, si dà inizio alla ricerca degli ultimi due dispersi.

Inchiesta giudiziaria

A seguito dell’incidente della Costa Concordia, il comandante Francesco Schettino viene arrestato con l’accusa di naufragio, omicidio colposo plurimo e abbandono di nave in pericolo. L’inchiesta giudiziaria nei suoi confronti rivela aspetti inediti della vicenda: sembra che il comandante, al momento dell’incidente, fosse in compagnia di una ballerina moldava che faceva parte dell’equipaggio. I due hanno ammesso di aver avuto una relazione.

Le ragioni dell’incidente inizialmente sono tutte da chiarire: l’ipotesi più accreditata è che sia stata una imperdonabile leggerezza, un errore umano del comandante che ha voluto far fare un “inchino” alla nave. Un gesto che è costata la vita a trentadue persone e che ha reso la vicenda della Costa Concordia famosa in tutto il mondo.

Schettino è stato condannato a 16 anni di carcere, in Cassazione, il 12 maggio 2017.

Il recupero della nave Costa Concordia

[Da Wikipedia] Dopo aver dichiarato Costa Concordia “perdita totale”, fu deciso che il relitto venisse smantellato a carico di Costa Crociere e degli assicuratori.

Il 16 settembre 2013, sotto il comando operativo del comandante Nick Sloane, alle ore 9:06 è iniziata la prima fase del recupero del relitto con la sua rotazione (in gergo tecnico, iniziando a “lentìare”) la nave (in inglese parbuckling) per disincagliarla dal fondale roccioso e raddrizzarla in posizione. L’operazione, per la quale erano inizialmente previste circa 12 ore di tempo (tirando i cavi d’ancoraggio a circa 3,5 m/h)[23], si è conclusa alle ore 4:00 circa del 17 settembre, dopo 19 ore, quando la Costa Concordia è stata riportata nuovamente in asse.

Durante le operazioni di collocazione dei cassoni, il 2 febbraio 2014 il sommozzatore spagnolo Israel Franco Moreno, di 40 anni, è morto per scompenso cardiaco e dissanguamento a causa di una ferita alla gamba.

Il 30 giugno 2014 il Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana ha annunciato che la demolizione del relitto sarebbe stata effettuata presso il porto di Genova.

La nave rimessa in galleggiamento

Le procedure per il rigalleggiamento del relitto sono iniziate il 14 luglio 2014 per completare la rimozione dall’isola del Giglio il 23 luglio 2014 e il trasferimento a Genova, nell’area portuale di Pra’-Voltri, il 27 luglio 2014.

Subito dopo l’ormeggio nel porto genovese, nel pomeriggio la proprietà della nave è stata ceduta dall’assicurazione della compagnia di navigazione al consorzio Ship Recycling costituito da Saipem (51%) e San Giorgio del Porto (49%) per la gestione dello smantellamento e del riciclo del relitto, con una commessa di circa 100 milioni di euro.

Il 12 maggio 2015 il relitto della nave, alleggerito di 5.700 tonnellate di materiali, dopo un trasferimento notturno di 10 miglia dalla banchina di Pra’, è stato collocato nell’area dell’ex Superbacino del porto di Genova per essere definitivamente smantellato.

Il 1º settembre 2016, la parte del relitto rimasta dopo la prima fase di smantellamento è stata trasferita alla velocità di 1 nodo, con l’ausilio di 5 rimorchiatori, coprendo la distanza di 1,8 miglia nautiche dal molo “Umberto Cagni” dell’area dell’ex Superbacino a quella del bacino di carenaggio numero 4 dell’area della calata “Giuseppe Gadda” dedicata alle riparazioni navali, dove, per terminarne la demolizione, i resti dello scafo sono stati messi a secco per essere fatti a pezzi.

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Perché si usa il codice SOS per le chiamate di soccorso? https://cultura.biografieonline.it/sos-morse/ https://cultura.biografieonline.it/sos-morse/#comments Sun, 18 Apr 2021 17:27:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9972 Il codice SOS viene utilizzato per la sua semplicità ad essere recepito, anche dai meno esperti, durante le chiamate di soccorso nelle comunicazioni telegrafiche ed acustiche. Si tratta di un codice facile da trasmettere e inconfondibile, essendo formato dalla sola successione di tre punti, tre linee e tre punti (• • • – – – • • •).

S.O.S.
SOS nel Codice Morse è una sequenza veloce da trasmettere e semplice da recepire

Utilizzato nel 1906 per la prima volta e, a livello internazionale, nella seconda conferenza radiotelegrafica internazionale svoltasi a Berlino per sostituire il segnale CQD di più difficile interpretazione. Ma già un anno prima della sua messa in uso, il governo tedesco utilizzò questa sequenza Morse, tre punti, tre line e tre punti, come segno universale di richiesta di soccorso. Le tre lettere SOS si rifarebbero alle iniziali della frase inglese “save our souls” (salvate le nostre anime) o ad acronimi del tipo “Save Our Ship“.

L’adozione a livello internazionale del codice risale al 1° luglio 1908.

In Italia invece SOS si rifà ad acronimi del tipo “Salvateci O Soccombiamo” o “Soccorso Occorre Subito”. L’SOS più famoso della storia della navigazione è quello che fu lanciato, poco prima di affondare, dal Titanic, raccolto dalla nave Carpathia, ma che giunse a destinazione troppo tardi per evitare il disastro e salvare la nave e la maggior parte dei passeggeri. In ogni caso, la chiamata di soccorso ha la precedenza assoluta su tutte le altre comunicazioni.

Invece, per le richieste di aiuto immediato da parte di un velivolo o di un’imbarcazione, attraverso la diffusione delle comunicazioni radiofoniche, utilizziamo il codice Mayday. Questo segnale internazionale si basa sull’enunciare la parola Mayday che deriva dalla pronuncia delle ultime parole della frase francese “venez m’aider” (venite ad aiutarmi).

In ogni caso, nella storia della navigazione e dell’aeronautica, l’introduzione delle comunicazioni radio ha contribuito di gran lunga a salvare migliaia e migliaia di vite umane, trovatesi in situazioni di difficoltà sia in mare che in cielo.

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Il disastro del Moby Prince avvenuto a Livorno il 10 aprile 1991 https://cultura.biografieonline.it/moby-prince/ https://cultura.biografieonline.it/moby-prince/#respond Wed, 20 Jun 2018 08:08:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=24767 Il disastro della nave traghetto Moby Prince avvenne il giorno 10 aprile del 1991. In quella buia sera, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. Lo scontro fece divampare un incendio che causò la morte di 140 persone a bordo del Moby Prince. Nell’articolo che segue ricostruiamo i fatti di questo terribile incidente.

Moby Prince
La carcassa della Moby Prince ormeggiata dopo il disastro

Lo scontro tra Moby Prince e la petroliera

Sono le ore 22.03 quando il traghetto Moby Prince della Nav.Ar.Ma. (Navigazione Arcipelago Maddalenino – oggi Moby Lines) molla gli ormeggi dal porto di Livorno per salpare verso Olbia. È il 10 aprile 1991. Mezzora dopo è in fiamme, trasformata in una bara galleggiante. Nella rada del porto toscano, la prua del traghetto è finita contro la petroliera Agip Abruzzo. Intanto, il porto toscano sembra essere diventata una base americana: è pieno di navi militari di ritorno dalla Guerra del Golfo.

I soccorsi sono impegnati sulla petroliera. Poi, per caso, alle 23.35 due ormeggiatori si accostano al traghetto in fiamme: è troppo tardi, le 140 persone a bordo sono già morte. C’è solo un superstite: si tratta del mozzo Alessio Bertrand, che si salva gettandosi in mare e che viene soccorso dagli ormeggiatori.

Da allora sono passati molti anni: secondo la Commissione d’inchiesta parlamentare, che attacca i soccorsi, l’indagine è stata «superficiale».

Le indagini: l’allarme, i dubbi, la ricerca della verità

In quella sera è la petroliera a lanciare l’allarme per un incendio a bordo, dopo la collisione con una bettolina:

«Come abbiamo fatto a scoprire noi che a finire contro la petroliera non era stata una bettolina bensì il Moby Prince? Abbiamo dato retta all’istinto; eravamo sotto l’Agip Abruzzo offrendo aiuto ai marittimi nel caso volessero abbandonarla. Abbiamo sentito che i soccorritori stavano dando l’allarme perché qualcuno aveva notato avvicinarsi una nave che si muoveva come se nessuno la guidasse, era senza più governo in mezzo a quel caos. È stato un flash. Abbiamo capito che doveva avere qualcosa a che fare con qualcosa di strano che avevamo scorto poco prima; come un inverosimile baluginare di fiamme dietro una sagoma scura. E ci siamo buttati da quella parte».

Sono le parole dei soccorritori. I due ormeggiatori sono Valter Mattei e Mauro Valli. Raccontano i due uomini:

«Che si trattava del Moby Prince ce l’ha detto il mozzo Alessio Bertrand, l’unico che ce l’ha fatta»

Si trovano a bordo dell’imbarcazione della Coop ormeggiatori, solo sette metri di vetroresina. La nave è fantasma; dopo aver portato in salvo il superstite, i due ormeggiatori tornano indietro, ributtandosi nella mischia, ma i motori sono ancora in funzione e la Moby Prince continua a girare; seguono una scia di odore di petrolio e la ritrovano: le lingue di fuoco escono dagli oblò.

Agip Abruzzo - disastro Moby Prince
La petroliera Agip Abruzzo in fiamme

Il processo di primo grado a Livorno

La Procura di Livorno, dopo l’incidente, apre un fascicolo per omissione di soccorso e omicidio colposo. Il processo inizia il 29 novembre 1995. Gli imputati sono quattro: si tratta del terzo ufficiale di coperta dell’Agip Abruzzo Valentino Rolla, accusato di omicidio colposo plurimo e incendio colposo; Angelo Cedro, comandante in seconda della Capitaneria di Porto, l’ufficiale di guardia Lorenzo Checcacci, accusati di omicidio colposo plurimo per non avere attivato i soccorsi immediatamente; Gianluigi Spartano, un marinaio di leva, imputato anche lui per omicidio colposo ma per non aver trasmesso la richiesta di soccorso.

In fase istruttoria vengono archiviate le posizioni dell’armatore di Nav.Ar.Ma, Achille Onorato, e quelle del comandante dell’Agip Abruzzo, Renato Superina. Il processo va avanti per due anni. Poi la sentenza arriva nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre del 1997.

Il presidente Germano Lamberti legge la sentenza che assolve i quattro imputati perché «il fatto non sussiste». Quindi si va in appello.

Nel 1999, è il 5 febbraio, la terza Sezione della Corte d’Appello di Firenze afferma di “non doversi procedere nei confronti del Rolla in ordine ai reati ascrittigli perché estinti per intervenuta prescrizione”.

Nella sentenza si legge però: “(…) non si può non rilevare, che l’inchiesta sommaria della Capitaneria, che per alcuni versi è la più importante perché interviene nell’immediatezza del fatto ed è in qualche modo in grado di indirizzare i successivi accertamenti e di influire sulle stesse indagini penali, può essere condotta da alcuni dei possibili responsabili del disastro”.

Dal processo principale al processo parallelo

Insieme al processo principale, in pretura vengono giudicate due posizioni stralciate: sono quelle del nostromo Ciro Di Lauro, che si autoaccusò della manomissione, sulla carcassa del traghetto, di un pezzo del timone; e quella del tecnico alle manutenzioni di Nav.Ar.Ma, Pasquale D’Orsi, nominato da Di Lauro.

Entrambi sono accusati di frode processuale: hanno infatti modificato le condizioni del luogo del delitto, cioè hanno orientato in modo diverso, in sala macchine, la leva del timone da manuale in automatico. Tutto per tentare di addossare la colpa del tragico incidente al comando del Moby Prince. Entrambi non vengono puniti per «difetto di punibilità». In altre parole succede che sia il pretore sia il pubblico ministero concordano sulle responsabilità degli imputati, ma non li ritengono punibili, perché, pur essendoci stata la manomissione, i periti non sono stati tratti in inganno. Tale sentenza sarà confermata sia dal processo di appello sia in Cassazione.

Il Tirreno - disastro Moby Prince - 11 aprile 1991
Il Tirreno: la prima pagina dell’11 aprile 1991, sul disastro del Moby Prince

La procura di Livorno riapre un filone d’inchiesta

È il 2006: su richiesta dei figli del comandante Angelo Chessa che comandava la Moby Prince, la procura di Livorno riapre un filone d’inchiesta sul disastro del traghetto. In particolare i familiari chiedono di indagare sul possibile traffico illecito di armi, e anche della presenza di navi militari o navi fuori dal controllo della Capitaneria di Porto. Il 5 maggio del 2010 il gip (giudice per le indagini preliminari) accoglie la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Livorno.

L’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta

Dopo una campagna per avere verità e giustizia durata due anni, nel 25° anniversario della strage, il 22 luglio 2016 al Senato all’unanimità viene votata l’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Moby Prince. Vengono fuori nuove verità: tra queste nella relazione finale emerge come dalla Capitaneria di porto, dopo la collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo:

«non siano partiti ordini precisi per chiarire l’entità e la dinamica dell’evento e per ricercare la seconda imbarcazione (il Moby)». Emergono strumentazioni inadeguate, dove è a disposizione un solo radar in possesso della stazione piloti, nessuna formazione in caso di incidenti in mare, soccorsi improvvisati non coordinati dalla Capitaneria di Porto.

E ancora: un’inchiesta giudiziaria frettolosa, dalla quale emergono conflitti di interesse. Poi, a distanza di 27 anni, si sono verificate omissioni da parte dei protagonisti che nel corso delle audizioni hanno dato dichiarazioni «convergenti nel negare evidenze in atti a loro attribuiti o fornito versioni inverosimili degli eventi».

Dalla relazione

Dalla relazione emerge anche che:

«Non fu avviata nessuna attività finalizzata alla ricerca del secondo mezzo coinvolto nell’incidente. E neppure di mettersi in contatto radio con i mezzi recenti usciti dal porto. Inoltre, anche quando, con incredibile ritardo, ci si imbatte nel traghetto incendiato, non risultano tentativi di spegnere a bordo e tantomeno di prestare soccorso ai passeggeri del traghetto».

E poi:

«Il contesto emerso, determinato forse dalla convinzione che la nave investitrice fosse una bettolina e non una nave passeggeri, desta sconcerto. Anche in considerazione del fatto che diversi elementi, fra i quali il posizionamento dei corpi nel traghetto, evidenzia che il comando della nave avesse predisposto un vero e proprio piano di emergenza con la raccolta dei passeggeri nel salone De Luxe in attesa che arrivassero i soccorsi. […]

Appare grave come anche all’epoca dei fatti non fossero previste attività periodiche di formazione e addestramento tali da consentire al personale militare e civile di affrontare avvenimenti di tale portata».

La riflessione finale della commissione

«La disamina degli atti porta a una univoca conclusione: la Capitaneria di Livorno, tanto nella fase iniziale dei soccorsi quanto nel momento in cui assunse la direzione delle operazioni il comandante Albanese, non ha valutato l’effettiva gravità della situazione con specifico riferimento al coinvolgimento di una nave traghetto.

Sia perché non sono stati resi disponibili dati utili all’identificazione del traghetto sia per l’incapacità di valutare la situazione, così determinando un’impostazione delle operazioni di soccorso unicamente volte verso la petroliera».

La commissione non riesce neppure a dare una risposta:

«Non è dato comprendere come e per quali motivi il comando della Capitaneria non sia riuscito a correlare l’avvenuta partenza di un’unica nave dal porto con la collisione; né a richiedere informazioni al personale presente sulla torre degli Avvisatori. È di palmare evidenza che se ciò fosse stato fatto si sarebbe tempestivamente apprezzato che l’altro natante coinvolto nella collisione era il Moby Prince».

Da qui la commissione ritiene che l’autorità marittima: «avrebbe – vista la situazione – dovuto valutare la possibilità di un intervento dei mezzi dipendenti dell’alto Comando periferico della Marina», invece – affermano – «durante le prime ore cruciali, prima e dopo il ritrovamento del traghetto, la Capitaneria appare del tutto incapace di coordinare l’azione di soccorso verso il Moby Prince».

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Il naufragio dell’Andrea Doria https://cultura.biografieonline.it/il-naufragio-dell-andrea-doria/ https://cultura.biografieonline.it/il-naufragio-dell-andrea-doria/#respond Thu, 26 Apr 2012 12:00:52 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1650 La Turbonave Andrea Doria può essere considerata il “Titanic” italiano, è una imbarcazione che ha rappresentato il fiore all’occhiello della Marina Italiana negli anni Cinquanta, spiccando tra le altre navi dell’epoca per eleganza e maestosità.

Il naufragio dell'Andrea Doria
Il naufragio dell’Andrea Doria

Alle ore 23.10 del 26 luglio 1956, mentre si trova nei pressi dell’Isola di Naunticket (nell’Oceano Atlantico) procedendo verso gli Stati Uniti, la nave “Andrea Doria” entra in collisione con l’imbarcazione svedese “Stockholm”, che la sperona violentemente, conficcandole l’intera prua nella fiancata. Lo squarcio profondo porta la nave ad inabissarsi rapidamente, senza avere il tempo di intervenire in qualche modo.

Pare che, al momento della collisione, si svolgesse una festa nel grande salone della nave, e gli invitati sono in attesa di vedere le foto scattate per l’occasione dal fotografo, un certo Italo Jacy Rainato di cinquantadue anni.

Questi, insieme al suo aiutante, corre sul Ponte di comando appena avverte un forte fremito che scuote la cabina e fa precipitare a terra gli acidi utilizzati per lo sviluppo delle fotografie.

Nel tragitto si odono delle grida, una donna porta in braccio i suoi bambini correndo alla ricerca della salvezza. “La nave sta affondando”, dice con il terrore impresso negli occhi. Passano alcuni minuti e tra le persone presenti a bordo si diffonde il panico.

Pur essendoci scialuppe a bordo, i piani di evacuazione dell’epoca non sono ancora in grado di assicurare che tutti possano uscire indenni dalla tragedia.

D’altronde, solo i moderni sistemi di addestramento e informazione consentono alle persone presenti sulla nave di attuare corrette manovre di salvataggio per evitare il peggio. Nonostante tutto, ci sono ancora dei casi (vedi il recente episodio della Costa Concordia) in cui il disastro in mare è purtroppo inevitabile.

Alcune scene sono davvero raccapriccianti: una donna rimane incastrata tra le lamiere della fiancata della nave speronata e suo marito gli è vicino sino alla fine, non riuscendo a salvarle la vita. Nel frattempo vengono calate le scialuppe, e nella concitazione dei soccorsi, mentre il padre sta per trasportarla con sé sulla scialuppa, una bimba sbatte forte la testa e muore.

Le operazioni di evacuazione durano circa tre ore: tutti i membri dell’equipaggio si danno fare per salvare più persone possibili prima che la nave coli a picco. Il bilancio è pesante: i morti sull’Andrea Doria sono cinquantadue, mentre il numero complessivo dei passeggeri è di 1.706.

L’ultima superstite della tragedia è una ragazza che viene ritrovata il giorno dopo, in evidente stato di shock: il suo nome è Linda Morgan, e sua sorella perde la vita durante l’impatto. Una delle ultime persone a lasciare la nave prima che affondi definitivamente è proprio il fotografo, che scende dall’imbarcazione verso le 3.15 del mattino.

I due comandanti, Calamai e Magagnini, accettano di abbandonare l’Andrea Doria solo all’alba, insieme ad alcuni marinai. Per fortuna i soccorsi sono tempestivi: la nave Ille de France, accorsa subito, porta via i superstiti, così come la William Thomas, che offre soccorso e assistenza a chi si è salvato dalla tragedia.

YouTube Video

Qualche giorno dopo il terribile naufragio novanta passeggeri denunciano l’equipaggio per la disorganizzazione nei soccorsi, mentre un libro svedese rivela che l’Andrea Doria aveva un difetto strutturale. Nonostante le ragioni del disastro siano più di una, è chiaro che si tratta di una sciagura non poteva essere prevista, quindi il cordoglio per le vittime innocenti è molto forte e sentito dall’opinione pubblica.

Oggi la nave giace sepolta nel fondo del mare, come tanti relitti che non sono più stati riportati alla luce. Quanto alla sicurezza della nave, sul quale argomento si parlò moltissimo, pare che fosse l’imbarcazione all’epoca più sicura dell’intera Marina Italiana, dotata di un doppio scafo e di un sistema radar molto avanzato per quei tempi.

Dell’imbarcazione svedese muoiono invece cinque membri dell’equipaggio, durante il momento dell’impatto. Dopo mesi e mesi di indagini sull’accaduto, il processo a carico degli ufficiali delle due navi si concluse con una conciliazione al di fuori delle aule di tribunale, nella quale entrambe le compagnie armatrici si impegnarono a pagare i danni arrecati e a risarcire le vittime.

Naturalmente le due versioni (quella svedese e la nostra, italiana) riportavano parecchie divergenze. Secondo la versione italiana, avvalorata da numerose testimonianze, la nebbia fitta è da ritenersi la causa principale del naufragio.

Le prime immagini del relitto della nave sul fondale marino sono state fornite da Peter Gimbel, il giorno dopo l’affondamento. Nel 1968, a distanza di un bel po’ di tempo, viene organizzata una spedizione di subacquei italiani, guidata da Bruno Vailati, che coordinò le operazioni di recupero di alcuni oggetti preziosi inghiottiti dal mare.

La vicenda dell’Andrea Doria è il tema di un documentario girato dal regista Fabio Tondelli, intitolato “L’affondamento dell’Andrea Doria: la verità tradita”, che ricostruisce in maniera approfondita i momenti della collisione e le conseguenze anche economiche del disastro.

Secondo le testimonianze raccolte, a bordo dell’Andrea Doria, al momento dell’impatto con la nave svedese, vi erano personaggi famosi, come l’attrice americana Betsy Drake, moglie di Cary Grant.

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Il naufragio e il ritrovamento del Titanic https://cultura.biografieonline.it/il-naufragio-e-il-ritrovamento-del-titanic/ https://cultura.biografieonline.it/il-naufragio-e-il-ritrovamento-del-titanic/#comments Tue, 13 Mar 2012 18:39:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1019 Ritenuto inaffondabile, il Titanic, è una nave passeggeri britannica della Olympic Class, proprietà della compagnia navale White Star Line, il cui nome è stato scelto dall’amministratore delegato Joseph Bruce Ismay. La costruzione inizia presso i cantieri Harland and Wolff di Belfast il 31 marzo 1909 ed è finanziata dall’armatore americano John Pierpont Morgan. Lungo 269 metri e largo 28, con una stazza di 46.328 tonnellate, al Titanic è assegnato il prefisso RMS che indica Royal Mail Steamer poiché effettua anche servizio postale.

Una foto del Titanic
RMS Titanic (Royal Mail Steamer)

Con una capacità di 3.547 persone tra passeggeri ed equipaggio, è in grado di raggiunge la velocità massima di 23 nodi (43 Km/h) con propulsione a vapore.

Come è fatto il Titanic

Salone e scalinata del Titanic
Salone e scalinata del Titanic

A bordo è presente una piscina coperta, una palestra, un bagno turco, un campo di squash e quattro ascensori. I ristoranti e le grandi sale sono decorate con gran sfarzo, come anche gli alloggi privati di prima classe, rifiniti con ornamenti ed accessori di gran lusso, dotati di soggiorno, sala lettura e sala da fumo.

Equipaggiato con la più avanzata e potente stazione radio, la cui portata raggiunge la distanza di 2000 miglia, e comandato dal capitano Edward John Smith, è il più imponente e lussuoso transatlantico del mondo, gioiello della tecnologia navale dell’epoca.

L’inaugurazione del Titanic

Parte per il suo viaggio inaugurale da Southampton (Regno Unito) il 10 aprile 1912, direzione New York, via Cherbourg (Francia) e Queenstown (oggi Cobh, Irlanda). Arrivato a Cherbourg e poi a Queenstown, riparte l’11 aprile verso New York. Dopo 4 giorni di navigazione, il 14 aprile, il Titanic riceve varie segnalazioni di presenza di iceberg dai piroscafi Rappahannock, Maseba e Amerika, dal vapore Baltik, dal mercantile Californian, alle quali però non viene dato il giusto peso. Alcune segnalazioni inspiegabilmente non giungono nemmeno al ponte di comando. A bordo la priorità è data alla decisione di quale velocità far tenere al transatlantico, decidendo di portarla al massimo possibile per avere poter arrivare a New York con un giorno di anticipo. Le responsabilità di queste decisioni non sono però mai chiarite.

Lo scontro con l’iceberg

E’ il 14 aprile 1912, domenica. Alle 23.35 le vedette avvistano ad occhio nudo un iceberg di fronte alla nave, suonano tre volte la campana di allarme e avvertono il ponte di comando. William Murdoch, primo ufficiale, vira immediatamente a sinistra dando il comando di “indietro tutta”, ma la velocità della nave e l’inerzia dovuta alla sua massa, non permettono di evitare l’impatto. Alle 23 e 40 minuti il Titanic entra in collisione con l’iceberg, che provoca sei squarci sotto la linea di galleggiamento. Nonostante la chiusura delle porte stagne, l’acqua invade i compartimenti ed il triste destino del Titanic è segnato: sarebbe affondato entro un’ora e mezza o due al massimo.

L’abbandono della nave

L'affondamento del Titanic
Un disegno che raffigura l’affondamento del Titanic

L’ordine di abbandonare la nave non tarda ad arrivare. I passeggeri vengono chiamati, le scialuppe vengono preparate e si seguono gli ordini del capitano. La prima scialuppa è calata con sole 28 persone a bordo, nonostante la sua capacità fosse di 65 passeggeri. Inoltre, delle 32 scialuppe previste, ne sono montate solo 16 più 4 pieghevoli, insufficienti per le 2.228 persone stimate presenti. Poco dopo mezzanotte, lo sparo di otto razzi di segnalazione non dà risultato, come anche le richieste di aiuto inviate tramite segnalazioni radio. La nave più vicina è il Carpathia che però riesce a giungere sul posto verso le 8 della mattina. Alla 1.30 la prua della nave è completamente sommersa, con la poppa fuori dall’acqua.

L’affondamento del Titanic

Alle 2.15 le luci della nave si spengono e lo scafo si spezza in due tronconi. Alle 2.20 del 15 aprile 1912 il Titanic si inabissa definitivamente nell’oceano. Gran parte dei naufraghi caduti in mare muore non per annegamento ma per congelamento, essendo la temperatura dell’acqua intorno agli 0 gradi. Sopravvivono 705 anime. La profondità oceanica nella zona del naufragio è di 3.800 metri, troppa per le tecnologie dell’epoca.

Il primo tentativo di ritrovamento

Il primo tentativo per ritrovare il relitto del Titanic avviene il 1° settembre 1985, compiuto da una spedizione composta da francesi e americani e condotta da Jean-Louis Michel e Robert Ballard del Woods Hole Oceanographic Institution, che localizzano e fotografano il relitto. Ad una distanza di circa 486 miglia dall’isola di Terranova e ad una profondità di 3.787 metri, il relitto giace su un fondale fangoso dell’Oceano Atlantico.

Nel 1987 si recuperano alcuni oggetti successivamente esposti in alcune mostre. Si recuperano circa 5.000 manufatti. Nel 1996 viene riportata a galla una porzione del ponte di prima classe con due cabine. Secondo gli studiosi, il relitto subisce un costante e veloce degrado a causa di batteri e microrganismi marini che lo consumano fin dal momento dell’affondamento e con il passare dei secoli si trasformerà in polvere e minerale ferroso.

Le conseguenze dopo la tragedia

Il relitto del Titanic
Il relitto del Titanic

A seguito del disastro, il 12 novembre 1913 a Londra viene convocata la Prima conferenza internazionale sulla sicurezza della vita in mare che stabilisce il finanziamento internazionale dell’International Ice Patrol, un’agenzia della guardia costiera americana che ancora oggi controlla e segnala la presenza di iceberg pericolosi nel nord Atlantico. Si stabilisce inoltre che le scialuppe di salvataggio devono essere in numero uguale a quello delle persone a bordo, si rendono obbligatorie: le esercitazioni di addestramento per le emergenze, le comunicazioni radio operative 24 ore su 24 e la dotazione di un generatore di emergenza con autonomia di un giorno. L’ultima superstite ancora in vita, Lillian Gertrud Asplund, è morta negli Stati Uniti il 6 maggio 2006, a 99 anni.

Il film “Titanic” del 1997

“1500 persone finirono in mare quando il Titanic sparì sotto i nostri piedi. C’erano 20 scialuppe nelle vicinanze, solo una di loro tornò indietro… una! Sei persone furono salvate dall’acqua… una di queste ero io. Sei su millecinquecento. In seguito, le 700 persone sulle scialuppe non poterono far altro che aspettare. Aspettare di morire… Aspettare di vivere. Aspettare un perdono… che non sarebbe mai arrivato”. Queste sono le parole pronunciate da Rose, interpretata da Kate Winslet, una delle protagoniste insieme a Leonardo DiCaprio del film “Titanic”, campione di incassi del 1997, diretto da James Cameron.

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