Impero Romano Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 29 Sep 2023 13:11:17 +0000 it-IT hourly 1 Giulio Cesare di Shakespeare: riassunto e breve analisi https://cultura.biografieonline.it/riassunto-giulio-cesare-shakespeare/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-giulio-cesare-shakespeare/#respond Sun, 21 Nov 2021 15:54:42 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13419 Giulio Cesare” è una tragedia realizzata dal drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare, scritta con tutta probabilità nel 1599, usando come fonte principale le “Vite Parallele” di Plutarco.

Giulio Cesare (Shakespeare) - riassunto
Giulio Cesare di Shakespeare : una scena tratta da un film ispirato alla tragedia shakespeariana. Nella foto: Jason Robards interpreta Bruto (Brutus), nel film “23 pugnali per Cesare” (1970, di Stuart Burge)

Giulio Cesare di Shakespeare: la trama

La vicenda si apre con la descrizione della vita del console Giulio Cesare che trascorre le sue giornate in maniera del tutto tranquilla senza particolari intoppi ignorando quello che porterà le idi di marzo. Preoccupati dal potere crescente di Cesare, Bruto si lascia convincere ad entrare in una congiura, ordita da alcuni senatori romani tra cui Cassio (amico di Bruto), per impedire che il console trasformi la Repubblica Romana in una monarchia. A loro si uniscono altri cinque cospiratori tra cui anche:

  • Casca,
  • Trebonio,
  • Ligario,
  • Decio Bruto,
  • Metello Cimbro,
  • Cinna.
Giulio Cesare interpretato da Alain Delon (2008)
Giulio Cesare interpretato dall’attore francese Alain Delon (2008)

L’assassinio

Cesare, ritornato a Roma dopo la campagna d’Egitto, incontra perfino un indovino che lo avverte del pericolo imminente proprio durante le idi di marzo. Non servono a nulla nemmeno le premonizioni avute dalla moglie di Cesare, Calpurnia, che tenta di trattenere l’uomo dicendogli di rimanere a casa. Decio però lo convince a recarsi in Senato e Cesare decide di accettare l’invito in occasione della festa dei Lupercali; ma viene assassinato durante la riunione per mano dei congiurati che lo circondano e lo pugnalano.

Dopo la morte di Cesare arriva il console Marco Antonio (uno dei principali esponenti del partito cesariano) che si prodiga per organizzare i funerali del console ed esprimere l’elogio funebre in suo onore.

YouTube Video

Bruto si giustifica dell’uccisione del padre affermando che voleva evitare un’eventuale tirannia, ma subito dopo parla Marco Antonio, che dopo un’attenta lettura del testamento di Cesare, scuote i romani contro i congiurati infiammando gli animi. Dopo la morte di Cesare, tra Bruto e Cassio i rapporti diventano piuttosto tesi: Bruto accusa Cassio di regicidio in cambio di denaro. In seguito però, i due si riconciliano e si preparano alla guerra contro Marco Antonio e Ottaviano (pronipote e figlio adottivo di Cesare).

La scena più significativa è quella in cui appare agli occhi di Bruto lo spettro di Giulio Cesare che gli annuncia la sua prossima sconfitta (“Ci rivedremo” a Filippi).

La scena si sposta a Filippi. Durante lo scontro, Bruto vince sugli uomini di Ottaviano ma Antonio ha la meglio su Cassio che, piuttosto che essere fatto prigioniero, si suicida.

Poco dopo, anche Bruto subirà la stessa sorte, suicidandosi con la propria spada piuttosto che cadere in mano al nemico.

Cesare è stato vendicato.

Dopo la vendetta

Poco dopo, è lo stesso Marco Antonio a rendere a Bruto e ai suoi cospiratori l’onore delle armi e a pronunciarne l’elogio funebre.

L’opera continua, facendo un breve accenno alla futura frattura dei rapporti tra Marco Antonio e Ottaviano, che verrà narrata dettagliatamente nella tragedia di Antonio e Cleopatra (Shakespeare, 1607).

Nell’ultima parte, invece, si narra dell’ascesa al potere di Ottaviano e viene rimarcata la sconfitta di Marco Antonio durante la battaglia di Azio del 2 settembre 31 a.C..

Breve analisi dell’opera

L’opera è ambientata dapprima a Roma, poi la scena si sposta in Grecia e precisamente a Filippi.

L’opera è divisa in cinque atti.

  • I primi due atti si soffermano in particolar modo sulla vita del console Cesare, su Antonio amico e compagno di Cesare e sul figlio adottivo di Cesare, Bruto.
  • Il terzo atto narra le vicende relative alla congiura contro Cesare.
  • Gli ultimi due atti narrano della giustizia che ha avuto Cesare tramite coloro che gli vogliono bene.

I temi principali dell’opera sono quelli del tradimento e della cospirazione. Essi ci danno un’immagine dell’umana fragilità e mutevolezza, ed infine della vendetta.

Nell’opera troviamo tre personaggi di spicco:

  • Giulio Cesare (il console);
  • Ottaviano;
  • Antonio.

Tra i personaggi secondari spiccano:

  • Bruto (figlio adottivo di Cesare);
  • Cassio (amico di Bruto);
  • Calpurnia (moglie di Cesare).

Significativo è il tradimento del figlio adottivo di Cesare.

William Shakespeare aggiunge alle famose parole di Cesare “Tu, quoque, Brute!“, “Allora cadi, o Cesare!“, volendo far intendere che Cesare si rifiuta di sopravvivere ad un tale tradimento da parte di una persona nella quale aveva riposto la sua fiducia.

William Shakespeare
William Shakespeare

Shakespeare, Dante e la regina Elisabetta I

Ma, a differenza del sommo poeta fiorentino Dante Alighieri che non perdona Bruto, collocandolo nel peggior posto dell’inferno (viene dilaniato dai denti di Lucifero), William Shakespeare lo considera come un cospiratore di animo nobile. Secondo il drammaturgo inglese Bruto ha la buona intenzione di evitare che Roma diventi una monarchia assoluta.

L’opera tragica di Shakespeare rispecchia in modo indiscusso il clima di ansietà dell’epoca, causato dal fatto che la regina Elisabetta I si era rifiutata di nominare un successore; ciò avrebbe potuto portare, dopo la sua morte, ad una conseguente guerra civile simile a quella scoppiata in precedenza a Roma. Elisabetta I con grande abilità portò l’Inghilterra ad essere una nazione potente soprattutto sul piano internazionale, modello di civiltà e di cultura per tutti gli stati europei.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/riassunto-giulio-cesare-shakespeare/feed/ 0
Muzio Scevola e il modo di dire: mettere la mano sul fuoco https://cultura.biografieonline.it/muzio-scevola-mettere-mano-sul-fuoco-modo-di-dire/ https://cultura.biografieonline.it/muzio-scevola-mettere-mano-sul-fuoco-modo-di-dire/#respond Sat, 30 Oct 2021 16:24:42 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=36445 C’è una leggenda così famosa nell’antichità che ha poi dato origine al modo di dire mettere la mano sul fuoco, tutt’oggi utilizzato nella lingua parlata. Il protagonista della storia è Gaio Muzio Scevola. La celebre frase si usa per indicare la circostanza in cui qualcuno è davvero sicuro di qualcosa. Vediamo in questo articolo i fatti storici e le curiosità relative a quanto accadde.

Muzio Scevola mette la mano sul fuoco
Muzio Scevola mette la mano sul fuoco

L’avvenimento ci è stato tramandato dallo storico latino Tito Livio nel suo Ab Urbe condita ed è diventato un esempio di valore, coraggio e onestà. In origine il nome del giovane protagonista era Gaio Muzio Cordo, nato da una nobile famiglia romana negli anni in cui c’era stato il passaggio dalla monarchia alla repubblica (509 a.C.); si trattava di anni cruciali, in cui i romani lottavano contro gli Etruschi per la supremazia del territorio e della città.

Il contesto storico

Dopo la cacciata dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, la città scelse come forma di governo la repubblica, creando molto scontento tra la popolazione etrusca, da sempre eterna rivale. Gli Etruschi, guidati da Lars Porsenna, tentarono di riconquistare il potere perduto, sotto la supervisione di Tarquinio il Superbo, che nel frattempo si era messo alla guida delle due città di Veio e Tarquinia.

Scoppiarono così una serie di battaglie tra gli etruschi e i romani: lo scontro fu lungo e sanguinoso e durò per quasi un anno (508 a.C.).

Secondo la tradizione l’ultimo giorno del mese di febbraio ci fu la battaglia finale: essa non terminò effettivamente con dei vinti e degli sconfitti, perché secondo la leggenda ci fu una tempesta. La tradizione attribuisce la vittoria ai romani perché gli etruschi avevano perso un uomo in più.

L’impresa

Gaio Muzio era un giovane aristocratico che mal digeriva l’assalto degli Etruschi, ma soprattutto il ritorno alla monarchia. Escogitò così un piano per poter porre fine al lungo assedio della città, che stava mettendo in difficoltà la popolazione per la mancanza di grano; si presentò in Senato ad esporlo.

Secondo lo storico Tito Livio, che ne descrive il momento nella sua opera Ab urbe condita, utilizzò queste parole:

«Senatori, vorrei attraversare il Tevere e penetrare, qualora sia possibile, nell’accampamento nemico, non per compiere atti di razzia e ripagare il nemico con identica moneta. No, con l’aiuto degli déi vorrei fare qualcosa di più grande.»

Tito Livio, Ab Urbe Condita

Il suo scopo era quindi quello di uccidere per sua mano Porsenna.

Il Senato espresse il consenso. Così Muzio organizzò l’impresa: nascose un pugnale sotto la veste, giunse all’accampamento del re etrusco e si confuse con la folla di soldati senza farsi scoprire. In quel momento i soldati si erano messi in fila per ricevere la paga, al cospetto dello scrivano e del re; i due erano vestiti in maniera molto simile.

Egli, arrivato al cospetto del re e dello scrivano, non chiese quale dei due fosse il re ma sgozzò con il pugnale erroneamente lo scrivano.

Muzio Scevola davanti a Porsenna
Muzio Scevola davanti a Porsenna

A questo punto cercò di fuggire ma venne facilmente catturato dalle guardie del re, che lo portarono al suo cospetto.

Il coraggio di Muzio Scevola

Il giovane, anziché negare l’accaduto, si dimostrò molto coraggioso, nonostante il re avesse minacciato di bruciarlo sul rogo: mise la mano destra sul braciere acceso e la lasciò bruciare fino a consumarsi, pronunciando queste parole:

«Volevo uccidere te. La mia mano ha errato e ora la punisco per questo imperdonabile errore».

Il re rimase stupito dal coraggio del giovane. Decise così di risparmiargli la vita e lasciarlo libero.

Muzio gli rispose che altri trecento giovani avevano giurato di ucciderlo in nome della Repubblica romana e non si sarebbero lasciati intimidire, proprio come lui, terminando l’impresa al suo posto.

Secondo la tradizione, il re, spaventato da queste affermazioni, decise quindi di chiedere la pace ai romani.

I romani, per dimostrare la loro gratitudine a Muzio, gli donarono un terreno oltre il Tevere chiamato parte Mucia.

Dopo la perdita della mano destra, il suo cognome divenne quindi Scaevola, cioè mancino.

Curiosità

  • Per quanto riguarda l’etimologia, la parola Scevola sembrerebbe derivare da scaevula che indicava un amuleto contro il malocchio; esso si portava appeso al collo ed ha assunto solo successivamente il significato di mancino.
  • La leggenda, oltre che tramandata oralmente con diverse versioni, venne rappresentata anche nelle arti figurative, soprattutto in pittura: la scena cruciale è stata rappresentata da pittori del XVI-XVII secolo (Giovanni Antonio Pellegrini, Charles Le Brun, Michele Primon, per citarne alcuni); è stata dipinta anche nella Sala dei Capitani dei Musei Capitolini. Non ultimo, in Via Sallustiana a Roma c’è un frammento di bassorilievo che rappresenta una mano proprio all’altezza di un edificio, oggi utilizzato dall’ambasciata americana: secondo la tradizione corrisponderebbe al luogo dell’accaduto, proprio dove Muzio Scevola mise la mano sul fuoco.
  • La vera fortuna di questa leggenda sta proprio nel fatto che “mettere la mano sul fuoco” è diventato un motto d’uso comune; molto spesso chi pronuncia queste parole non è consapevole del fatto storico-leggendario che c’è alle spalle. Esso si collega pienamente con le origini latine della tradizione culturale italiana.
]]>
https://cultura.biografieonline.it/muzio-scevola-mettere-mano-sul-fuoco-modo-di-dire/feed/ 0
Forche Caudine: la battaglia storica, la lezione e il modo di dire https://cultura.biografieonline.it/forche-caudine-storia-modo-di-dire/ https://cultura.biografieonline.it/forche-caudine-storia-modo-di-dire/#respond Fri, 28 Aug 2020 16:00:22 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30141 Cosa sono le Forche Caudine? Da dove deriva il modo di dire passare sotto le Forche Caudine? Capita tutti i giorni di utilizzare delle espressioni che abbiamo sentito dire molte volte. Ne conosciamo il significato, ne facciamo un uso appropriato eppure non siamo consapevoli che il modo di dire che stiamo utilizzando affonda le sue radici nella Storia, addirittura in quella dell’Antica Roma.

forche caudine
Forche caudine: il significato è quello di subire un’umiliazione dopo la sconfitta

Forche Caudine: la battaglia storica: 326 – 304 a.C.

L’episodio in cui per la prima volta avviene quel passaggio per le forche caudine che poi è entrato nel gergo comune si ha durante la Seconda guerra sannitica. Questo episodio bellico è collocato fra il 326 e il 304 avanti Cristo e ha visto opporsi i Romani ai Sanniti, popolazione stanziata fra Campania e Sannio. Un’area geografica che oggi possiamo collocare fra Molise, Abruzzo meridionale e settore nord orientale della Campania.

Prima della battaglia

La seconda guerra sannitica è preceduta da un primo scontro datato 341 a.C., un conflitto che termina con i Sanniti in una posizione neutrale per la quale la popolazione dell’Italia meridionale non sarebbe entrata a sostegno dei nemici di Roma. Al proseguire della battaglia, nel 322 a.C. i Sanniti vengono sconfitti dai Romani con le seguenti disposizioni: consegnare Brutulo Papio, tutte le sue ricchezze e restituire i prigionieri. L’anno dopo il comandante Gaio Ponzio non accetta la pace, ma si apre una trattativa.

L’antefatto: pronti all’imboscata

Gaio Ponzio fa accampare i Sanniti nei pressi di Caudio, luogo fra Napoli, Avellino e Benevento, più o meno vicino a Montesarchio. E’ il nome del luogo a dare il nome al modo di dire.

Manda allora 10 soldati vestiti da pastori per farsi catturare dai Romani. Una volta prigionieri i soldati pastori rivelano che i Sanniti stanno assediando Luceria in Apulia.

Luceria – oggi Lucera, in provincia di Foggia – è alleata con Roma, per cui Roma deve intervenire.

Per giungere a Lucera, i Romani possono percorrere due vie: una più lunga, lungo l’Adriatico, e una più breve caratterizzata da ben due gole, nei pressi di Caudio. I Romani scelgono la via più breve, certi al punto delle loro scelta da non ricorrere nemmeno all’invio di soldati in avanscoperta.

Cul-de-sac

I Romani avanzano alla volta di Lucera, superano anche la seconda gola ma trovano la strada sbarrata da alberi e massi. Fanno dietro front, ma giunti alla prima gola trovano un nuovo sbarramento: cul-de-sac !

Ventimila soldati restano imbottigliati fra una gola e l’altra, ma non si perdono d’animo: si accampano, costruiscono un vallo vicino l’acqua, prossimi alla disperazione, sotto lo sguardo dei nemici che li guardano dall’alto.

Cosa fare: parola al saggio

I Sanniti, tuttavia, consci di essere in guerra con Roma, devono fare la scelta giusta. Per questo ricorrono al consiglio del saggio Erennio Ponzio, padre di Gaio. Erennio offre 2 soluzioni:

  • da una parte lasciare andare i Romani per ottenere la loro gratitudine;
  • dall’altra lo sterminio di tutti i soldati rendendo impossibile il riarmo e ottenendo la vittoria definitiva.

Nessuna delle due soluzioni viene presa in considerazione né messa in atto.

Roma sconfitta: l’umiliazione delle Forche Caudine

Siamo al dunque. I Romani accettano la sconfitta e vengono costretti a “passare sotto le forche caudine”.

La resa dei Romani non può essere una semplice resa. I Romani vengono costretti a passare sotto tre lance incrociate, abbassando il capo, disarmati, vestiti della sola tunica. Nel frattempo i nemici li colpiscono, fisicamente e verbalmente.

Passare sotto le forche caudine significa, da quel preciso momento storico, essere costretti a subire una grave umiliazione.

L’offesa ai Romani è tale che la notizia, giunta a Roma, genera un vero e proprio lutto con tanto di botteghe chiuse e attività del Foro sospese.

Il racconto in Ab urbe condita di Tito Livio (IX secolo)

Questo passaggio della storia è scritto in “Ab urbe condita” di Tito Livio del nono secolo. Si legge:

«Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando […] Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore.»

Il modo di dire, la pratica militare

Tale pratica, traslata poi nel subire un’umiliazione a vario titolo, trae un’impronta figurata dagli usi militari. E probabilmente all’ambito militare ha fatto ritorno, nel tempo. Militarmente, il passaggio per le forche caudine è cioè una routine messa in atto per punire i ladri, i soldati disobbedienti e torturare i prigionieri.

La lezione della Storia

Chi ricostruisce la lunga storia romana vede in questo episodio la sconfitta più pesante, da una parte, ma anche la più grande lezione subita dalla città Caput mundi. La monarchia era caduta nel 509 a.C. A seguire le popolazioni italiche avevano iniziato a combattere a vario titolo per impadronirsi di terre coltivabili e sbocchi sui mari.

L’episodio delle forche caudine giunge come un duro colpo per i Romani che prendono in considerazione la possibilità della loro vulnerabilità. Questo, in qualche modo, conduce alla fase discendente della Repubblica e alla nascita del grande Impero che tutti conosciamo e che ha segnato, in maniera assoluta, la storia dell’umanità.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/forche-caudine-storia-modo-di-dire/feed/ 0
Persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano, imperatore romano https://cultura.biografieonline.it/diocleziano-persecuzione-dei-cristiani/ https://cultura.biografieonline.it/diocleziano-persecuzione-dei-cristiani/#comments Tue, 12 Mar 2019 14:40:21 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26108 Quella che si consumò durante l’impero di Diocleziano, fra il 284 e il 305 d.C., fu la più grave persecuzione dei cristiani di tutta la storia dell’Impero romano. Furono ridotti e poi revocati i diritti legali dei cristiani attraverso quattro editti; il persecutore più accanito fu l’imperatore romano Gaio Aurelio Valerio Diocleziano.

Persecuzione dei cristiani
La persecuzione dei cristiani rappresentata in un quadro del pittore polacco Henryk Siemiradzki: Le torce di Nerone (1877) rappresenta una delle prime persecuzioni contro i Cristiani, al tempo dell’imperatore Nerone

Prima di Diocleziano

Nei primi due secoli dopo Cristo, la comunità cristiana fu vista come una società segreta e illegale.

Una società con obiettivi rivoluzionari che metteva insieme maghi e cannibali.

Questo profilo causò in prima battuta ostilità di ordine popolare. Ci furono azioni sporadiche e non violente.

I cristiani furono visti come minatori dei costumi tradizionali e delle feste pubbliche di matrice romana.

Mentre i cristiani si allontanarono dalle cariche pubbliche, le famiglie si lacerarono dall’interno per il fiorire dell’interesse verso il culto del Cristo.

Nel terzo secolo la persecuzione divenne attiva. Il cristianesimo, intanto, inizialmente attecchitosi nei ceti più bassi, iniziò a diffondersi in tutte le classi sociali.

Le persecuzioni dei cristiani

Nel 202 d.C., l’imperatore Settimio Severo (in carica dal 193 al 211 d.C.) emise un editto che vietò la conversione a Cristianesimo e Ebraismo. Massimino il Trace, imperatore dal 235 al 238 d.C., perseguitò i leader cristiani. Decio, imperatore dal 249 al 251 d.C., proseguì l’operazione anticristiana: i sudditi dovevano dimostrare di non essere cristiani e offrire un sacrificio agli dei; i dirigenti della Chiesa sarebbero stati arrestati, processati e giustiziati.

L’imperatore Valeriano, a seguire, emise un nuovo editto persecutorio che indicava esilio e condanna alle miniere come punizione nei confronti dei cristiani. Nel 258 d.C., sempre Valeriano divulgò un secondo editto che introdusse la pena di morte contro questa comunità religiosa.

Il vento mutò con il figlio Galeno che dal 260 al 300 d.C. rese possibile la cosiddetta “piccola pace della Chiesa”: ci furono 40 anni di libertà per i cristiani fino all’impero di Diocleziano. Il precedente imperatore Aureliano, infatti, catalizzò il tema sul culto di se stesso.

Diocleziano: l’escalation dell’odio

Diocleziano fu incoronato imperatore al termine del novembre del 284 d.C. A differenza di Aureliano non scelse di promuovere il culto di se stesso, ma tornò a riferirsi a quello del Pantheon e degli dei pagani. Egli, in particolare, si associò a Giove, capo del Pantheon stesso, e in un primo momento si dimostrò tollerante verso i cristiani.

La storiografia romana individua nella figura del co-imperatore Galerio il motore che accese e alimentò il successivo odio di Diocleziano verso i cristiani. Galerio infatti fu un fervente anticristiano e pagano, figlio di una sacerdotessa panteista sotto l’imperatore Decio.

Mentre nell’anno 302 ad Antiochia, nell’odierna Turchia, venne arrestato e in seguito giustiziato il diacono Romano, Diocleziano vietò ai cristiani le cariche amministrative e militari allo scopo di placare gli dei.

Quando l’oracolo di Apollo confermò l’esistenza del “male sulla Terra”, fu nei cristiani che si individuò questo male. Quindi, partì la persecuzione universale.

La persecuzione universale dei cristiani in 4 editti

I editto

Il primo editto fu emanato nel febbraio del 303. La norma: muoveva contro le proprietà e gli esponenti religiosi; imponeva la distruzione delle scritture cristiane, dei libri liturgici e dei luoghi di culto; proibiva i raduni; vietava il diritto di petizioni ai tribunali. Contestualmente, senatori, equites, decurioni, veterani e soldati furono privati dei loro ranghi e i liberti furono tramutati in schiavi.

Sebbene Diocleziano invitò all’azione “senza spargimento di sangue”, nelle province, vicine e lontane a Roma, si consumarono violente persecuzioni.

II editto

Il secondo editto, dell’estate del 303, impose l’arresto e la detenzione dei vescovi e sacerdoti. Lo storico Eusebio racconta di carceri piene al punto da dover liberare i criminali comuni.

III editto

Il terzo editto fu diffuso dal 20 novembre 303. Si definì l’amnistia generale. Ogni sacerdote, cioè, sarebbe stato liberato se avesse accettato di compiere un sacrificio agli dei.

Questo atto non ebbe valenza simbolica: condusse la strategia di creare una popolazione di rinneganti il cristianesimo, per paura, dolore e stenti nelle carceri, e così dividere la comunità.

IV editto

L’ultimo atto divenne pubblico all’inizio del 304 d.C. I cristiani furono obbligati a radunarsi e compiere un sacrificio comune. Sarebbero stati giustiziati in caso di rifiuto.

La persecuzione si protrasse fino alle dimissioni di Diocleziano nel 305. Fu interrotta definitivamente con l’Editto di Milano con cui Costantino, nel 313 d.C., diede libertà di culto a tutti i cittadini, inclusi i cristiani. Ognuno potè venerare le proprie divinità.

Si stima che le persecuzioni causarono la morte di circa 3.500 cittadini romani e non. Moltissimi altri furono – negli anni di Diocleziano e non solo – perseguitati, torturati e detenuti.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/diocleziano-persecuzione-dei-cristiani/feed/ 1
Ben-Hur, recensione del film del 2016 https://cultura.biografieonline.it/ben-hur-2016/ https://cultura.biografieonline.it/ben-hur-2016/#respond Mon, 26 Sep 2016 10:47:39 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19977 Diretto dal regista kazako Timur Bekmambetov, “Ben-Hur” è un film del 2016, remake del celebre omonimo film del 1959, che vide protagonista Charlton Heston. È la quinta volta che si adatta al mondo del cinema la storia narrata dal romanzo “Ben-Hur” (Ben Hur: A Tale of the Christ), scritto da Lew Wallace, nel lontano 1880.

Ben-Hur 2016 - I fratello non conoscono pietà
Una foto promozionale del film che mostra Giuda Ben-Hur (in alto) e il fratello Messala (in basso). I due si sfidano in una gara di bighe all’ultimo sangue.

Ben-Hur, trama del film

Giuda Ben–Hur è il figlio di un principe. La sua famiglia vive da lungo tempo in un palazzo fra le alture di Gerusalemme. Giuda cresce insieme al suo fratellastro Messala, un orfano romano che era stato accolto in casa loro ancora ragazzino. Giuda e Massala si vogliono molto bene e affrontano l’adolescenza insieme. Però la differenza di rango e l’amore di Massala per la sorella di Giuda, che viene contrastato dalla madre di quest’ultimo, lo spingono a lasciare Gerusalemme e ad arruolarsi con l’esercito romano.

Dopo tre anni di battaglie Messala ritorna a Gerusalemme con il grado di centurione. La città sta vivendo una trasformazione. I romani non tollerano più contrasti e hanno mandato Ponzio Pilato a sopprimere tutte le forme di ribellione. Messala è incaricato di occuparsi della sicurezza. Ma il fratello Giuda, che non vuole scontri fra romani e giudei, viene suo malgrado coinvolto in un attentato contro i romani.

Messala, che oramai è totalmente schierato con i romani, arresta Ben-Hur e lo manda in una galera come schiavo rematore. Da quel momento Giuda non penserà ad altro che alla sua vendetta.

Trailer

Commento al film

La sceneggiatura rispecchia il romanzo di Lew Wallace che fu pubblicato nel 1880. Il libro si concentrava sulla formazione di Ben-Hur e sul suo rapporto con Messala. Nel film i due si confrontano e crescono insieme prima che l’Impero romano diventi una dittatura su Gerusalemme. E prima che Roma imponga la sua legge senza compromessi.

Nello stesso periodo compare Gesù Cristo, che proprio mentre Ben-Hur porta a termine la sua vendetta viene arrestato e giudicato da Ponzio Pilato. Al di là dei riferimenti storici, che in questo caso si basano soprattutto sull’attenzione ai dettagli delle divise, delle regole di combattimento nell’arena e sugli abiti, ci troviamo di fronte ad un kolossal che non lascerà grandi tracce. Benché la regia non sia male, essa dà spazio sia ai dialoghi, a volte un po’ lunghetti, sia agli effetti speciali che nella parte finale raggiungono un buon livello tecnico.

Ben-Hur, la locandina del film del 1959 con Charlton Heston
Ben-Hur, la locandina del film del 1959 con Charlton Heston. Il film vinse ben 11 Oscar.

La gara delle bighe che rese famoso il precedente kolossal su Ben–Hur e in cui Charlton Heston interpretava il protagonista, è mozzafiato. Essa non risparmia nulla ad una visione completa in cui le bighe si distruggono fra di loro per poter arrivare primi.

Gli attori seguono un copione lineare che tiene abbastanza bene il ritmo, dialoghi a parte. Nel film troviamo Jack Huston nei panni di Giuda. Non ha il carisma che fu di Charlton Heston, ma comunque si impone bene sullo schermo. C’è anche un Morgan Freeman che lavora con equilibrio costruendo un personaggio mercenario – lo sceicco Ilderim – che aiuta Giuda a rialzarsi dalla disperazione in cui è caduto dopo l’arresto, la galera e il dolore per la perdita della sua famiglia.

Locandina e poster del film Ben-Hur del 2016

Ben-Hur, locandina e poster del film del 2016
Ben-Hur, locandina e poster del film del 2016

]]>
https://cultura.biografieonline.it/ben-hur-2016/feed/ 0
Le invasioni barbariche e i regni romano-barbarici (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/riassunto-invasioni-barbariche/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-invasioni-barbariche/#comments Tue, 16 Feb 2016 12:05:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16669 L’avanzata degli Unni di Attila, che già nel IV secolo era a capo di un impero vastissimo che si estendeva dal fiume Don alle Alpi, provocò, nella prima metà del V secolo, un forte fermento tra le popolazioni germaniche che, nel tentativo di sfuggire alla brutalità della dominazione unna, si riversarono entro i confini dell’impero d’Occidente; le invasioni barbariche peggiorarono la già minata stabilità politica imperiale e inevitabilmente segnarono la fine dell’impero stesso, con la conseguente nascita dei cosiddetti regni romano-barbarici in Occidente.

Invasioni barbariche e Regni romano barbarici
Storia, la caduta dell’Impero Romano d’Occidente: una mappa che identifica i confini dei regni romano-barbarici che vennero a formarsi in seguito alle invasioni barbariche

I Visigoti di Alarico e il sacco di Roma (401- 410)

Fu probabilmente Aureliano, il nuovo prefetto del pretorio in Oriente, a favorire tramite istigazione l’arrivo di Alarico in Italia tra il 401 e il 402, quando i Visigoti, superando le Alpi, giunsero e assediarono Milano, dove era imperatore Onorio.
Stilicone riuscì ad emarginare il pericolo sconfiggendo i Visigoti di Alarico a Pollenza nel 402, azione che ritardò un attacco ancora più grave che si realizzò circa otto anni: Alarico giunse nuovamente in Italia intorno alla fine del 408, investì Roma e la sottopose al saccheggio del 410.

In seguito al sacco di Roma, Alarico cercò di raggiungere l’Africa, ma “la sua flottiglia fu distrutta da una tempesta ed egli stesso morì nei pressi di Cosenza” (VILLARI).
Dopo aver seppellito il re visigoto nel letto del fiume Busento, i soldati elessero come nuovo re Ataulfo che, dopo aver tentato di stabilire degli accordi con l’imperatore Onorio, ritenne più prudente, come riporta il Villari, ritirarsi nelle Gallie dove “tentò di fondare uno Stato sul modello romano e sposò nel 414 la figlia di Teodosio, Galla Placidia, che egli aveva fatto prigioniera“.

Con la morte di Ataulfo, Galla Placidia tornò alla corte imperiale per sposare Costanzo, che era succeduto a Stilicone nella carica di generalissimo. L’Impero guadagnò lentamente il controllo in Gallia, in Germania e in Spagna, dove vennero stipulati degli accordi con i barbari, che, in parte, si riconobbero “federati dell’impero”. In merito a tutti questi successi, Costanzo III fu associato al trono di Onorio e alla morte di quest’ultimo fu succeduto dal figlio di Gallia Placidia, Valentiniano III.

La rinascita imperiale fu effimera: i Vandali di Genserico occuparono l’Africa romana (429); i regni creati in Spagna dai Visigoti e in Gallia dai Burgundi, Franchi e Vandali, pur essendosi dichiarati “federati dell’impero” acquistavano di fatto maggiore autonomia. In questa condizione del tutto sfavorevole per l’autorità imperiale, Valentiniano III (425- 455) non era più in grado di governare senza la tutela della corte di Costantinopoli.

Attila invade l’Impero d’Occidente

Intorno al 450 Attila, nel tentativo di dare al suo impero dei confini più ampi e stabili, fece irruzione nei territori occidentali. Il primo tentativo di conquista contro la parte occidentale dell’impero fu rivolto verso la Gallia, ma qui il grande generale Ezio lo affrontò con un grande esercito composto in gran parte da “federati”.

Attila
Attila

Attila tentò nuovamente di raggiungere l’Occidente nei decenni successivi, mirando in un primo momento ai territori confinanti con le Alpi Giulie e in un secondo momento a Roma, quest’ultima salvata in extremis da papa Leone I che riuscì a convincere Attila, il “flagello di Dio“, a rinunciare all’impresa.

L’incursione dei Vandali a Roma

Scampata all’attacco di Attila, Roma, venne attaccata dai vandali di Genserico nel 455. Arrivati alle foci del Tevere dal mare, i Vandali, saccheggiarono la città per quindici giorni : “il papa poté ottenere soltanto che fosse vietato ai soldati di assassinare gli abitanti e di incendiare la città” (VILLARI).

La rivolta di Odoacre

In questo preciso momento storico l’impero d’Occidente era costituito semplicemente dall’Italia. Nei due decenni successivi all’incursione di Genserico, il potere era praticamente nelle mani del generale goto Ricimiero. La corte di Costantinopoli nominava imperatori che spesso erano tali solo di nome, come nel caso di Giulio Nepote, deposto nel 475 dal generalissimo Oreste, che proclamò imperatore il figlio Romolo.

Con la rivolta militare capeggiata da Odoacre, Romolo fu deposto e il padre Oreste ucciso.
Odoacre rinuncio al titolo imperiale e, sostenuto da parte del senato, ottenne la nomina di patrizio, riconoscendo il tal modo solo l’autorità imperiale d’Oriente.
Con le invasioni barbariche l’impero d’Occidente aveva cessato di esistere.

I regni romano-barbarici

Anche se la latinità dell’impero andava disgregandosi, “le popolazioni barbariche non furono in grado di sovvertire le antiche istituzioni romane e di imporre i loro costumi e i loro ordinamenti” (VILLARI), poiché dovettero adattarsi alle civiltà dei popoli dominanti. La religione, che un tempo era stata un fattore di avvicinamento, fu a lungo un ostacolo all’integrazione, poiché i popoli barbari avevano accolto l’arianesimo, mentre i popoli latini erano cattolici.

I regni romano-barbarici vennero a formarsi con l’insorgere dell’autorità barbara in un contesto politico e istituzionale molto complesso; in un’ottica di contrasti sociali e religiosi, la disgregazione divenne ancora più evidente.

Con la fine dell’autorità imperiale in Occidente si formarono i seguenti regni romano-barbarici:

  • regno dei Vandali (Marocco, Algeria, Tunisia, Corsica, Sardegna, Baleari e parte delle Tripolitania);
  • regno dei Visigoti (Spagna e parte della Gallia);
  • regno degli Svevi ( parte nord – occidentale della penisola iberica);
  • regno dei Burgundi (bacino del Rodano);
  • regno dei Franchi (basso Reno);
  • regni anglosassoni (Britannia);
  • regni degli ostrogoti (Italia).

I regni romano-barbarici si caratterizzavano per la completa indipendenza del potere imperiale di Costantinopoli, il mantenimento della struttura amministrativa romana e la separazione giuridica su base etnica: popoli latini e barbari vivevano sullo stesso territorio con leggi differenti.

Le conversione degli ariani al cattolicesimo segnò una tappa importante nella “laboriosa gestazione della civiltà medievale”, in quanto grado conclusivo di un tanto atteso processo di assimilazione politica e religiosa.

Note Bibliografiche
R. Villari, Storia Medievale, Editori Laterza, Roma, 1975

]]>
https://cultura.biografieonline.it/riassunto-invasioni-barbariche/feed/ 1
Perché Nerone bruciò Roma? https://cultura.biografieonline.it/nerone-incendio-roma/ https://cultura.biografieonline.it/nerone-incendio-roma/#respond Sun, 15 Dec 2013 13:28:35 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8971 Secondo gli storici di quel tempo, l’imperatore Nerone fu il fautore principale dell’incendio che si diffuse nei quartieri più poveri di Roma la notte del 18 luglio del 64 (evento ricordato come Grande incendio di Roma). La responsabilità fu dell’Imperatore che avrebbe ordinato ai suoi uomini di appiccare l’incendio alla città.

Nerone incendiò Roma
Nerone diede fuoco a Roma?

Secondo gli storici infatti, Nerone non considerava Roma all’altezza dei suoi canoni di bellezza e per lui era necessario intervenire drasticamente, effettuando un notevole cambiamento urbanistico, spazzando via tutto il vecchio. Secondo Svetonio, Nerone era considerato un odiato despota ed esteta, amante del bello e nella sua opera “De Vita Caesarum”, lo accusa direttamente di aver provocato tale disastro.

Altre fonti storiche, invece, raccontano di un Nerone che avrebbe voluto far scoppiare l’incendio solo per lasciare un vivido ed indelebile ricordo della sua persona nella storia dell’umanità e per trarne semplicemente ispirazione per un suo epico canto. Ma Tacito smentisce tali fonti citando che nel periodo in cui scoppiò l’incendio, l’imperatore non si trovava a Roma e quando seppe dell’accaduto si premurò di rientrarvi per organizzare la ricostruzione urbanistica della città, ingaggiando immediatamente tecnici ed architetti.

Nerone

Tacito da nel complesso un giudizio positivo su Nerone che a suo dire, anche se mediamente, si preoccupò della città, anche se il suo pensiero primario fu quello di  costruire la Domus Area, ossia la nuova residenza dell’Imperatore. In un secondo momento, elogia il processo di riedificazione pianificato da Nerone in modo da evitare che si verificasse nuovamente una catastrofe.

I più arditi storici come il tedesco Gerhard Baudy, sostengono invece che l’incendio fu appiccato dai cristiani per far avverare una loro profezia apocalittica sulla distruzione di Roma. Ma in realtà, gli scritti lasciati da Tacito smontano tale ipotesi, dicendo che  Nerone fece ricadere su di loro la colpa, proprio perché gli attribuivano la responsabilità dell’incendio.

Comunque siano andati i fatti, il dubbio sull’imperatore è arrivato fino ai giorni nostri, ma secondo la maggioranza degli studiosi moderni l’incendio non fu colpa né di Nerone né  fu tantomeno doloso. Si trattò solo di uno spiacevole incidente causale dato che Roma, soprattutto in estate, era sovente soggetta a frequenti roghi.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/nerone-incendio-roma/feed/ 0
La caduta dell’Impero Romano https://cultura.biografieonline.it/fine-impero-romano/ https://cultura.biografieonline.it/fine-impero-romano/#comments Fri, 29 Nov 2013 13:29:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8829 Il 4 settembre 476 D.C. il re Odoacre occupò Ravenna e fece abdicare l’imperatore Romolo Augusto, decretando la fine dell’Impero Romano d’occidente. Fu in questo periodo, che i cristiani approfittarono della debolezza del “sistema impero”, per iniziare ad imporre e dettare le loro leggi.

La caduta e la fine dell'Impero Romano
4 settembre 476 è la data con cui si identifica la caduta e la fine dell’Impero Romano d’Occidente

La cause della fine dell’Impero Romano

Tra le cause più probabili ma anche più marginali attribuibili alla presunta fine dell’Impero Romano (organismo politico che all’apparenza sembrava resistentissimo ma che in realtà presentava al suo interno numerosi punti di criticità latenti), è sicuramente quella dovuta alle invasioni barbariche provenienti dai fiumi Reno e Danubio. Se in quel momento l’Impero Romano, fosse rimasto forte e compatto, la resistenza dei romani sarebbe stata di gran lunga superiore rispetto agli avversari ed avrebbe fronteggiato al meglio i popoli invasori.

Un’altra probabile causa, della sua caduta, è da attribuirsi probabilmente alla diffusione del Cristianesimo: in quel periodo i romani persero la verve combattiva che li caratterizzava, dopo il decadere dei loro culti pagani.

Un altro fattore da prendere in considerazione è sicuramente la crisi economica che in quel periodo provocò la nascita di un’economia chiusa, quella del latifondo, portando alla totale mancanza di scambi commerciali tra la città e campagna, con successivo aumento spropositato dei prezzi, dell’inflazione e che successivamente, portò a carestie.

La pressione poi di popoli invasori stranieri come gli Unni e i Visigoti dette il colpo di grazia definitivo ad una società già precaria, insieme: alle guerre, alle carestie e alle successive epidemie. Oltretutto in quel periodo, il potere del Senato e dell’Imperatore vennero a decadere perdendo tutto il loro valore. Tutti e due, erano diventate delle figure mosse dalle mani gestite da un esercito potentissimo, che dettava le leggi e gestiva gli Imperatori a proprio piacimento . L’unica eccezione alla regola, fu rappresentata dall’imperatore Diocleziano che però non riuscì ad evitare la fine dell’Impero Romano ed il successivo avvento del Cristianesimo.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/fine-impero-romano/feed/ 8