È il periodo in cui Matisse cerca di arruolarsi, di partire con i suoi amici Camoin e Puy. Richiesta che viene rifiutata. Da qui si trasferisce con la famiglia a Tolosa, poi a Collioure, ed è qui che entra in contatto con Juan Gris, un artista madrileno che, insieme a Georges Braque e Pablo Picasso, aveva contribuito alla nascita del Cubismo.
Qui Matisse ritrova altresì alcuni amici fauves. In più, l’artista frequenta il futurista Gino Severini. Insomma, si tratta di incontri che influiscono sulla sua arte di questi anni, che si appiattisce in forme geometriche.
Il cubismo viene fatto risalire proprio ad un’osservazione di Matisse fatta davanti al dipinto, “L’Estaque“, di Georges Braque esposto al Salon d’Automne. E’ così che la frase “piccoli cubi” di Matisse viene riportata dal critico d’arte Louis Vauxcelles, che per primo utilizza il termine cubismo, per indicare quel movimento artistico d’avanguardia nato a Parigi intorno al 1907.
Nelle opere cubiste il soggetto è spezzato, viene analizzato e poi assemblato in forma astratta. Viene a formarsi un ambiguo spazio vuoto, che caratterizza appunto questo movimento artistico.
In questo contesto nasce quest’opera di Matisse, “Testa bianca e rosa”. La figura rappresenta il ritratto della prima figlia Marguerite, quasi astratto, che il pittore realizza a Parigi nel 1914, nel suo studio di Quai Sanint-Michel.
Il dipinto è caratterizzato da questo volto geometrizzato, dai tratti neri, con il viso colorato a metà. Una parte è colorata di rosa, mentre l’altra parte è bianca. Al collo della donna c’è una collana con ciondolo, il collo è grigio, e si intravede dalla scollatura della camicia a righe rosa e viola.
Con l’avvento della guerra, anche l’arte di Matisse assume una piega malinconica, carica di dolore. Sono anni molto tristi per il pittore, che si sente in colpa per non aver partecipato attivamente, combattendo al fronte.
L’artista francese è lontano dalla famiglia, continua uno studio attento del cubismo di Juan Gris e Pablo Picasso, che trasforma in creazioni schematiche dalle forme geometriche, dall’uso di colori scuri. Il nero diventa talmente carico da conferire alla tela una luce vibrante.
È il periodo questo che lo porta a dipingere quasi sempre sua moglie Amelie e sua figlia Marguerite. Poi nel 1916 incontra l’italiana Lorette, che inizia a considerare sua musa ispiratrice. Un incontro che si rivela positivo. E’ il momento in cui Matisse è alla ricerca di se stesso, di un nuovo stile e una nuova personalità.
Il pittore non si riconosce più nel fauvismo che aveva inventato, né nel cubismo a cui si era avvicinato e neppure nella passione che lo legava a Van Gogh. Sono mesi di grande turbamento, che tuttavia si risolvono grazie all’incontro con la modella italiana, anche se inizialmente il rapporto di lavoro si rivela traumatico. Pian piano si passa a livelli di armonizzazione lasciando spazio ad imposizioni dolci.
Nel biennio 1915–1917 Matisse ricomincia a raffigurare ciò che aveva osservato durante il viaggio in Marocco: le Odalische, per esempio.
A palazzo Zabarella, a Padova, è stata allestita la mostra “Da MONET a MATISSE. French Moderns, 1850–1950” con il contributo del Brooklyn Museum. Il Brooklyn è una delle istituzioni con le quali palazzo Zabarella dialoga per fornire esempi originali di mostre e percorsi culturali che hanno contraddistinto la storia dell’arte.
Così è questa mostra, la quale riunisce una serie di quadri emblematici di un secolo in cui gli artisti si allontanano dalle formalità accademiche per concentrarsi, invece, sulla vita quotidiana. Ma la mostra è anche un percorso selezionato per celebrare la Francia come luogo del modernismo internazionale della seconda metà dell’Ottocento.
Il percorso è ricco di sorprese e di capolavori; troviamo infatti esposte opere differenti per soggetto, dimensioni e stile – realizzati dai principali artisti dell’epoca, sia quelli di origine francese, sia quelli che si sono formati e hanno esposto in Francia: Pierre Bonnard, William Bouguereau, Gustave Caillebotte, Paul Cézanne, Marc Chagall, Jean-Baptiste-Camille Corot, Gustave Courbet, Edgar Degas, Fernand Léger , Henri Matisse, Claude Monet, Berthe Morisot, Gabriele Münter, Pierre-Auguste Renoir, Odilon Redon, Yves Tanguy, Édouard Vuillard, Auguste Rodin e molti altri, per un totale di 45 maestri.
Il focus sono le trasformazioni dell’arte in concetti e movimenti che hanno permesso a molti artisti di sperimentare un percorso originale dalla seconda metà dell’800 alla prima del ‘900.
Attraversiamo, come se fossimo in una macchina del tempo, in cui l’arte è la nostra bussola, 100 anni di storia.
L’esposizione ha il pregio quindi di essere un percorso che può aprire altre porte verso una comprensione prospettica dei cambiamenti artistici avvenuti a Parigi in un lasso di tempo contenuto, se si pensa a quali rivoluzioni l’arte è andata in contro in quel periodo.
Iniziamo infatti con pittori più legati all’arte tradizionale e accademica come Gérôme e Bouguereau. Proseguiamo poi con i soggetti non convenzionali dipinti da Millet, che fu ispiratore di Van Gogh e Boudin.
Nei loro quadri la pennellata è più sciolta e libera. La luce diventa una guida per i dipinti in plein air.
Ci avviciniamo al modernismo con i lavori di Sisley e Pissarro. E giungiamo a vedere i primi lampi dell’impressionismo con Monet, Renoir e Degas.
Meraviglioso poi il quadro di Boldini da osservare in una prospettiva di movimento ed energia che incanta per la sua modernità e forza creatrice.
Il ‘900 è anche rappresentato dalla scultura di Rodin che chiude idealmente il percorso, dopo che Matisse e Chagall ci hanno mostrato il modo in cui la pittura poteva essere sperimentata oltre il soggetto.
La mostra è una sintesi molto interessante di un percorso essenziale nella storia dell’arte.
In Francia sono avvenuti, a cavallo dei due secoli, alcune delle trasformazioni più significative che hanno sconvolto i generi ma hanno anche cambiato la percezione di come la realtà poteva essere vista e rappresentata dall’arte.
Il catalogo della mostra “Da MONET a MATISSE. French Moderns, 1850–1950” è un ottimo specchio di questo cambiamento; una sintesi affascinante che apre altre porte meravigliose alla scoperta dell’arte e della sua evoluzione.
Matisse aveva pensato inizialmente a tre pannelli, da collocare in tre piani della residenza del collezionista, che dovevano rappresentare simbolicamente le tre età dell’uomo. Poi, invece, il collezionista ne acquistò solo due.
Queste opere rappresentano le prime tele decorative di grandi dimensioni di Matisse.
“La Danza” è stato realizzato nel 1910 ed è un olio su tela, di centimetri 260 x 391, custodito presso San Pietroburgo al The State Hermitage Museum. L’opera è ispirata alle sei danzatrici che si vedono sullo sfondo della “Joie de vivre” della Barnes Foundation, ma riadattata alla forma rettangolare del dipinto. L’opera rappresenta l’azione, dove si vedono cinque danzatrici che danzano tenendosi per mano a formare un cerchio, che sta per aprirsi tra le due danzatrici poste in basso a sinistra.
La danzatrice in basso è infatti protesa in avanti per afferrare la mano dell’uomo, mentre il danzatore fa una torsione del busto per afferrare la mano dell’altra donna. Vi è una forte accensione cromatica di una gamma ridotta di colori, rosso, verde e blu. Rosso per le carni, verde per il prato e blu per il cielo.
In contemporanea, l’artista realizza l’altro pannello, “La Musica”, destinata al secondo piano della residenza del collezionista, che doveva rappresentare il secondo momento delle tre età dell’uomo, quello della passione. Si tratta di un olio su tela, di centimetri 260 x 389, anche questo custodito a San Pietroburgo presso il The State Hermitage Museum.
Matisse rappresenta cinque figure maschili che suonano e cantano, dove il violinista è rappresentato in piedi e le altre quattro figure sedute sul prato verde, sotto il cielo blu.
Sono figure chiuse e concentrate nel loro mondo interiore, e guardano fuori dalla tela in direzione di un immaginario direttore.
Sono rappresentate con il colore rosso, come quello de “La Danza”.
]]>A Nizza Henri Matisse decide di passare l’inverno, lasciando Quai Saint-Michel, uno studio vicino a Notre-Dame, dove realizza diverse opere sul tema dell’atelier.
Da Il pittore e la modella a Le piume bianche (Les plumes Blanches), in cui ritrae la modella Antoinette Arnoux. A Nizza, dove resta incantato dalla bellezza del posto, Matisse frequenta nuovi amici e rivede anche quelli di vecchia data.
È qui, proprio a Nizza, che l’artista francese dipinge molti quadri, tra cui Meditazione dopo il bagno, l’opera che andiamo ad analizzare. È qui che decide di abbandonare le sperimentazioni degli anni trascorsi per ritornare alla tradizione.
L’opera è un olio su tela del 1920-1921 di centimetri 73 x 54. Il dipinto è custodito presso la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli al Lingotto di Torino.
In “Meditazione dopo il bagno” Matisse realizza la scena di una giovane in turbante e accappatoio, dopo aver fatto un bagno.
Il luogo è la stanza del pittore, all’Hotel Mediterranée, oggi sede del nuovo casinò e ribattezzato Palais de la Mediterranée.
È riconoscibile la tovaglia a righe rosse, fiori, in particolare papaveri e non anemoni, come nel quadro “Donna e anemoni“, realizzato nella stessa camera d’albergo, anch’esso nel 1920. E ancora: il cassettone, lo specchio, la poltrona, il pavimento a mattonelle rosa e la finestra.
Elemento fondamentale della pittura dell’artista francese è la luce, che tratta in modo naturalistico, luce delicata, chiara e avvolgente.
L’artista crea un’atmosfera gioiosa, un’atmosfera delicata, raffinata.
La modella ritratta potrebbe essere Antoinette Arnoux oppure Henriette Darricarrère.
Il viso non è perfettamente caratterizzato ed è rivolto verso un punto della stanza, a sinistra, guardando l’immagine frontalmente, proprio come fosse sovrappensiero.
A rendere intima l’atmosfera, contribuisce anche la finestra chiusa.
Ciò rende la camera silenziosa e molto intima e protegge dall’esterno, non mostrando il paesaggio mondano e marino.
La protagonista è colta in un momento di meditazione.
Lo sguardo meditativo della donna ritratta è sottolineato dai colori usati per dipingere la parte destra della stanza: toni chiari, grigiastri perfettamente in linea con lo sguardo.
Sono colori che contrastano invece con l’altra metà della stanza dipinta con colori vivaci, resa allegra e vivace dai fiori e dalla tovaglia a righe rosse.
]]>Ai pennelli il pittore sostituisce le forbici perché, nel 1941, dopo aver subito un intervento chirurgico per un cancro all’intestino, è costretto sulla sedia a rotelle. Dà l’addio ai pennelli ma non si rassegna. Freme rinchiuso nella stanza all’Hotel Regina di Nizza. Qui il pittore si trasferisce dopo il divorzio dalla moglie Amélie. E’ allora che inventa una nuova forma d’arte: il “cut-out”. Matisse riesce così a dare vita ad opere grandiose, bellissime, dalle svariate forme. Da quelle organiche a quelle geometriche. Da qui nascono composizioni vivaci, che trasmettono felicità, allegria. Tra i vari collage che l’artista realizza, ci sono una serie di lavori chiamati “Nudi Blu”.
Ma torniamo a “L’Escargot“. In quest’opera, Matisse conserva lo sguardo da bambino. Si tratta di un collage allegro, fantasioso, in cui l’artista trasmette un sentimento di gioia, utilizzando colori vividi su carta bianca. L’opera misura 2,87 x 2,88 metri ed è custodita presso la Tate Modern Gallery di Londra. Questa del collage, è una forma d’arte che lo stesso artista definisce “una specie di paradiso”, sperimentando l’astrattismo espressivo.
Le lumache sono animali piccoli: Matisse ne prende una e la fa diventare enorme. Il corpo grande è blu, la testa è verde. Poi vi sono una spirale di colori dalle varie forme. Insomma, nonostante la malattia, il pittore francese realizza questo papier collé trasmettendo il suo amore per la vita, con la gioia.
Matisse a proposito della sua opera diceva:
Con questo e gli altri collage, Matisse spezza ogni stereotipo, smentendo chi pensa in modo meccanico ad opere drammatiche che possano riflettere la sua condizione di salute. Niente di tutto ciò, niente opere cupe, spiritualistiche o drammatiche, ma opere che rappresentano il ritratto della felicità. Lo trasmette proprio con questa “L’Escargot“, dove si percepisce che l’artista è contento.
Matisse non si preoccupa di dipingere “a tesi”. Si lascia ispirare dalla realtà, da ciò che lo colpisce, dando forma alla meraviglia che ciò rappresenta per lui, quasi con lo stesso stupore e la stessa semplicità propria di un bambino. Tutto è realizzato quindi con estrema semplicità, con capacità di sintesi, con grande senso della misura. Sembra quasi una partitura musicale, che fa “danzare” L’Escargot davanti agli occhi dello spettatore.
]]>La prima opera a lei dedicata è “l’Italienne” (L’italiana), che l’artista realizzò in una fredda giornata di fine-estate o autunno del 1916 mentre soggiornava al quarto piano di un edificio lungo la Senna, quasi di fronte a Notre Dame, a Parigi. Il titolo è stato dato al dipinto perché in quel periodo Matisse utilizzava per le sue opere una modella italiana, Lorette, in questo caso. Le tonalità di quest’opera, la posa ieretica, velata di tristezza sono il frutto o lo specchio della realtà che si stava vivendo, seppure sembrava quasi che Matisse vivesse in una sorta di bolla lontano dagli echi del conflitto (Prima Guerra Mondiale).
Così, anche se non vuole “contaminare” la sua opera con la realtà che sta vivendo, non si possono non notare il nero tanto carico dei capelli e dei lineamenti del volto della modella. Matisse in questo dipinto riduce la gamma di colori ad una serie di verdi e di bruni, per focalizzare l’attenzione sulla figura di donna. Si tratta di una figura frontale, neobizantina, senza nessun attributo di eleganza, proprio perché l’eleganza si genera per sottrazione. Già, quando Matisse realizza quest’opera – nel 1916 – ha 47 anni ed è considerato uno dei grandi dell’epoca.
Nel quadro “Laurette in turbante bianco” (indicata a volte anche come Lorette con il copricapo persiano) si evidenzia l’armonia tra l’artista e la modella, che in quel periodo hanno già abbandonato timori e incertezze. Timori e incertezze che si lasciano intravedere invece ne L’italiana. In questa seconda opera, Lorette è distesa e serena, le sue lunghe ciocche nere sono luccicanti. Il quadro, realizzato nel 1917, è un olio su tela che misura 35 x 26 centimetri, ed è conservato a Lucerna, in Svizzera, presso il Sammlung Rosengart Art Museum.
Les Trois Soeurs (Le tre sorelle) così intitolato da Matisse in quanto illustra Loreta, Rosa e la terza sorella Maria Elena, la minore. Laurette all’epoca ha circa trenta anni, splendida, alta, dai capelli corvini. Si è trasferita a Parigi con una sorella, Rosa, rimasta vedova, che è più giovane di lei di qualche anno. Costrette ad emigrare a causa della miseria nel loro paese.
Così a Parigi la donna trova il suo lavoro, cioè posare per l’artista Henri Matisse. Anche l’artista sta vivendo un periodo difficile, è infatti alla spasmodica ricerca di sé stesso, di un nuovo stile: il fauvismo da lui inventato, il cubismo, il cézannismo, la passione per van Gogh sono momenti nei quali non si riconosce più. Laurette rappresenta la nuova via, la rottura con il passato. I vecchi cromatismi fragorosi del periodo fauve e le vecchie interpretazioni cubiste e impressioniste lasciano il posto a quelle nuove impostazioni dolci e armoniose. Queste caratteristiche diverranno poi la personalità e l’arte di Matisse nei successivi quarant’anni.
Si inaugura così un nuovo periodo. Esso è caratterizzato da: la cultura degli interni, la idealizzazione della figura della donna, il cromatismo ricco e splendente dal quale le figure e le nature morte sono concepite come sculture. La luce e la luminosità sono sempre al centro della sua produzione e il cromatismo vario, cangevole. Laurette rappresenta per Matisse una rivoluzione, uno sconvolgimento nella sua esistenza. È stato per lui un arricchimento o meglio, per entrambi un arricchimento, fatto di un rapporto di fiducia, spontaneità. Una simbiosi perfetta delle due anime.
La figura del modello d’artista nasce a Parigi nel 1860 circa. Parigi in questo periodo è il centro planetario della cultura e dell’arte. Ci sono gli impressioni e i postimpressionisti, nomi come Manet, poi Degas, Corot, Rodin, Cézanne, Van Gogh, Matisse, poi Picasso, pionieri dell’arte. Da qui si deve la nascita dei modelli, in particolare, quelli italiani, ciociari. Tra questi, l’artista Matisse attratto dal movimento di questi corpi sulle pedane o che si muovono liberamente nello studio, rimane colpito mentre assiste nello studio di Rodin, vera industria della scultura di quel tempo. Così Matisse rivoluzionò la sua arte.
]]>È il volto umano che ha sempre interessato l’artista francese, dove “ogni figura ha il suo ritmo particolare”, spiega Matisse nel 1954 a proposito del ritratto in generale. È dal ritratto che Matisse suscita scandalo, con la scelta della posa, ad esempio, della signora Matisse nella Donna con cappello, trattato in un articolo precedente.
La stanza dai caratteristici mobili, la tovaglia a righe rosse, con la carta da parati a racemi; una grande finestra con le tende, che mostra la silouette dei passanti; una poltrona imbottita e comoda con decorazioni in pizzo, dove spesso Matisse usa collocare la modella nuda. Stavolta invece Antoinette posa vestita, intenta a leggere un libro, lasciando spazio ad un momento di pausa dalla lettura, con la faccia appoggiata alla mano destra e il capo piegato a destra con lo sguardo verso lo spettatore.
Donna e anemoni è un’opera vivace, come quelle dipinte dall’artista in questo periodo (anni Venti). Una vivacità che Matisse esprime con piccole pennellate e chiazze di colore. E ancora: morbide linee decorative, forme appiattite ma molto realiste. C’è un gioco di corrispondenze tra forme e colori, fatte dall’artista francese in modo rigoroso: così i rossi della parete e della poltrona si ritrovano sulle righe rosse della tovaglia.
Quindi si passa al mazzo di fiori sul tavolo che mostra colori e dimensioni molto vicini al viso della modella. Matisse riesce a fare del colore una fonte di luce. È l’artista che riesce a dipingere la realtà trasformandola in forme semplificate, appiattite, accostando colori primari e secondari puri, accesi e luminosi. Una “violenza” cromatica che scandalizza al punto che la sua arte è definita fauve, che significa appunto belva. Matisse è la forza della linea, l’emozione del colore.
Matisse resta incantato da Nizza, dove il suo soggiorno sarebbe dovuto essere breve. Invece è lì che decide di passare trent’anni della sua vita, sino alla sua morte. Scopre la città nel 1917: a Nizza si reca per curare una bronchite e decide proprio di alloggiare all’hotel Mediterranéé, oggi ribattezzato Palais de la Mediterranée, sede del nuovo casinò.
Più tardi trova un appartamento al quarto piano di un palazzo d’epoca con vista, che si affaccia sulla Baia degli Angeli. Da qui attinge la sua forza, dalla vista del mare e ammira la luce di Nizza che si offre ai suoi occhi. È proprio dalla luce che trae la sua ispirazione.
Così dice Matisse a tal proposito:
Quando ho capito che ogni giorno avrei potuto sognare questa luce, allora sono riuscito anche a credere alla mia fortuna.
In pratica la luce, che per un pittore assume mille significati, per Matisse è la fortuna di trovare ogni giorno la medesima illuminazione, per riprendere il suo quadro e dare continuità al suo stato d’animo.
]]>Quest’opera venne realizzata dall’artista francese nel 1953 su fogli dipinti a guazzo. Il quadro è composto da tagli di carta. In questo periodo, l’ultimo della sua vita, Matisse si dedicò a tecniche come il collage (si veda ad esempio: L’Escargot, dello stesso anno). Le dimensioni del quadro Le Bateau sono di 13,84 centimetri x 10,33 centimetri. Il quadro rappresenta una barca dalla vela blu in un giorno di vento, con le nuvole; nella parte inferiore viene rappresentato il riflesso dell’acqua delineato da delicate curve viola.
Ci si accorse dell’errore grazie ad un agente di cambio, la signora Genevieve Habert. La donna era una grande ammiratrice dell’artista francese. Visitò per ben tre volte la mostra newyorchese, acquistando persino il catalogo, prima di affermare in modo deciso la sua ipotesi. La donna non poteva infatti credere che Matisse avesse realizzato l’immagine dando più risalto al riflesso dell’acqua rispetto alla barca.
La sua ipotesi venne confermata dal catalogo acquistato: qui infatti l’immagine mostrava il quadro disposto nel verso giusto. Questo elemento la convinse ad avvicinarsi ad una guardia del museo per fargli notare l’errore. Ma la guardia non gli diede retta. Così l’agente di cambio, ormai decisa, si recò all’ufficio informazioni ma, essendo domenica, lo trovò chiuso. La signora, decisa a non mollare, contattò il New York Times che aveva già seguito la mostra a partire dall’inaugurazione.
Tra l’imbarazzo generale, il 5 dicembre 1961, il direttore artistico del museo Monroe Wheeler diede ordine di provvedere per rimediare all’errore: il quadro Le Bateau di Matisse, venne così raddrizzato. Non tardarono ad arrivare scuse e spiegazioni da parte dell’assistente curatore Alicia Legg, la quale spiegò che anche in passato si è verificò l’errore di appendere il quadro in maniera errata, a causa dei fori profondi nel telaio e delle etichette poste sul lato sbagliato. Tuttavia l’opera almeno una volta fu esposta in modo corretto, come indicavano i fori scoperti sul lato corretto del telaio.
In pratica, considerato che la mostra si era conclusa il 4 dicembre di quell’anno, si verificò la situazione per certi versi grottesca, per cui l’opera venne mostrata in modo adeguato solo durante la sua disinstallazione. Oggi “Le Bateau” fa parte della collezione permanente del MoMA e finalmente si può ammirare il quadro nel verso giusto, grazie alla donna ammiratrice di Henri Matisse che fece notare l’errore.
]]>La donna è rappresentata con un grande cappello, realizzato da Matisse proprio per le esigenze del quadro, con una piuma di struzzo. La piuma è appunto considerata un ornamento, un elemento decorativo, ma in realtà rappresenta anche qualcos’altro: leggerezza, proprio per il fatto che la piuma è soffice, impalpabile, che si può sollevare con un soffio.
È lo stesso Matisse nel giugno del 1919 a spiegare questo lavoro allo storico d’arte svedese Rognar Hoppe. L’artista dice:
Guardi ad esempio, questo ritratto di giovane donna con una piuma di struzzo sul cappello. La piuma è considerata un ornamento, come elemento decorativo, ma essa rappresenta anche qualcos’altro, è un materiale, si sente per così dire la sua leggerezza, la piuma soffice, impalpabile, che possiamo sollevare con un soffio. La stoffa della blusa è di una qualità tutta particolare e anche il disegno possiede un carattere proprio e determinato. Voglio rendere contemporaneamente ciò che è tipico e ciò che è individuale, un riassunto di tutto ciò che vedo e sento davanti a un soggetto.
Ne “Il pittore e la modella”, di cui si è trattato in un articolo precedente, Henri Matisse ritrae la sua modella italiana Laurette, che posa per lui nuda o vestita, sino alla fine del 1917, con i suoi capelli neri e occhi a mandorla. Nel quadro la rappresenta vestita di verde, mentre è seduta su una poltrona color malva, con uno sfondo scuro, con accanto una parete bianca con appeso uno specchio veneziano. Laurette è dipinta con linee sintetiche. Si tratta di un lavoro che precede i circa cinquanta ritratti che il pittore farà della modella italiana.
Ma torniamo a Le piume bianche. La modella è raffigurata su uno sfondo color mattone, con questo grande cappello di piume di struzzo color crema, in tinta con l’abito che scopre le spalle, evidenziando il collo e il décolleté. Grandi occhi truccati che fissano oltre la tela raggiungendo lo spettatore, lunghi capelli castani e labbra quasi in tinta con lo sfondo della tela. Braccia composte, posa per il pittore seduta. Colore radioso e luce vibrante, pennellate sciolte e fluide.
L’autore del dipinto, nato al nord della Francia nel 1869, è tra i più amati ancora oggi, anche se il suo stile è tutt’altro che semplice. La sua opera si sviluppa relativamente tardi, proprio mentre studiava legge e quando faceva un lavoro regolare da impiegato statale.
Fondamentale è il colore nelle opere di Matisse, tanto da essere definito un “genio dei colori”. Il pittore parte dalla raffigurazione della realtà per poi trasformarla in forme semplici e appiattite proprio attraverso l’uso dei colori primari e secondari, puri e accesi. Così accosta i gialli al violetto, il rosso al verde, il blu all’arancio. Bene descrive Matisse il suo pensiero su degli appunti trovati sulla scrivania dell’artista:
E sui modelli che utilizza scrive:
Per Matisse “Vedere è già un atto creativo che richiede impegno”. Tutto quello che si vede nella vita quotidiana subisce la deformazione “prodotta dalle abitudini acquisite”. Infine l’artista francese sintetizza con un concetto illuminante a proposito dei mezzi e della semplicità scrivendo:
I mezzi che usiamo per dipingere non sono mai troppo semplici. Per parte mia ho sempre mirato a diventare più semplice. La semplicità assoluta coincide con la massima pienezza. E il mezzo più semplice per quanto concerne la visione, libera la massimo grado la percezione dello sguardo. Alla lunga solo il mezzo più semplice è efficace. Ma serve coraggio per diventare semplici, da sempre. Credo che nulla al mondo sia più difficoltoso. Chi lavora con mezzi semplici non deve temere di apparire banale.
]]>La struttura dell’opera è classica. La figura è posta davanti alla finestra chiusa, che permette di vedere una nuvola cinerea che incombe sul mare. Mentre il cielo non è azzurro ma color mattone, proprio come il pavimento, facendo della finestra un quadro nel quadro.
Matisse mette in relazione l’interno e l’esterno, quindi il soggetto e il mondo. L’uomo guarda fuori dalla finestra dando le spalle all’osservatore. Con la testa – un ovale bianco simile a quello di un manichino – guarda verso l’esterno dove la parete di vetro lo separa dal mondo.
Sul vero personaggio del quadro sono state fatte delle ipotesi per stabilire chi sia il violinista. Potrebbe trattarsi del figlio di Matisse, l’adolescente Pierre già rappresentato nel ritratto “Lezione di piano” (un olio su tela di centimetri 245,1 x 212,7, conservato presso il MoMa, a New York), che il pittore francese aveva costretto a studiare violino.
Proprio a Pasqua, nel 1918, Pierre andò dal padre a Nizza. Esiste un disegno realizzato da Henri Matisse dove ritrae il figlio mentre si esercita con il violino. In esso utilizza quasi lo stesso punto di vista dell’opera qui in esame. Tuttavia, anche Matisse suonava bene il violino, esercitandosi con diligenza. Potrebbe quindi trattarsi di un autoritratto.
Il quadro è stato acquistato dal Museo d’Arte Moderna di Parigi nel 1975.
È durante la Prima guerra mondiale che il lavoro dell’artista si trasforma in modo radicale. Le opere di questo periodo, infatti, testimoniano un’influenza cubista. Si vedono forme geometriche evidenziate dall’uso di colori scuri, in cui dominano il verde, il grigio e il nero. È il periodo in cui Matisse studia le opere dei cubisti e si esercita, facendo de L’esprit de géometrie il suo punto di riferimento.
Anche la figura del violinista, in questo caso, è caratterizzata da forme geometriche contornate di nero. Le gambe a rettangolo, il trapezio della sommità, la circonferenza irregolare della testa. I colori utilizzati sono sobri e contenuti. La ringhiera della finestra è composta da rigide asticelle bianche. Scompaiono qui gli arabeschi dei balconi che erano tanto cari al pittore francese, presenti ancora in alcune opere come la “Lezione di piano”, dipinto realizzato nel suo studio di Issy-Les-Moulineaux, dove l’artista si trasferisce nel 1915, dopo il tentativo di arruolarsi durante la guerra.
Il dipinto “Violinista alla finestra” è incentrato da una grande luminosità, che viene evidenziata dalla presenza dei neri che danno un’inquadratura come se fossero le quinte di un teatro. Per Matisse valgono le indicazioni di Paul Gauguin che sosteneva il “magico accordo” dei colori e la semplificazione attraverso la sintesi delle impressioni.
L’artista francese ha scritto pochissimo, le sue idee sull’arte le ritroviamo attraverso interviste e conversazioni. Il motivo? Quello principale è che vi è il convincimento dell’artista che non esiste nulla da spiegare né da descrivere. Secondo Matisse,
E poi:
]]>Chiunque si dedichi alla pittura dovrebbe iniziare tagliandosi la lingua.