Grecia Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 01 Oct 2024 12:38:42 +0000 it-IT hourly 1 Le 12 fatiche di Ercole https://cultura.biografieonline.it/ercole-12-fatiche/ https://cultura.biografieonline.it/ercole-12-fatiche/#comments Fri, 24 Nov 2023 11:52:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22264 Le 12 fatiche di Ercole, detto Eracle in greco, sono delle storie che fanno parte della mitologia greca. Si ipotizza che siano state unite in un unico racconto chiamato L’Eracleia dall’autore Pisandro di Rodi, intorno al 600 a.C. Purtroppo però nulla si sa di certo perché questo testo è andato perduto. Certamente sappiamo che le storie sono state tramandate oralmente e sicuramente in un primo momento in maniera distinta. Esse raccolgono tutte quelle imprese che l’eroe Ercole ha dovuto compiere per espiare il peccato di aver ucciso sua moglie e i suoi figli durante un attacco d’ira. Tale condizione fu scatenata dalla dea Era per gelosia nei suoi confronti.

Ercole - Eracle - Dodici fatiche - Leone di Nemea - 12 fatiche di Ercole
Illustrazione: Ercole sconfigge il Leone di Nemea nella prima delle sue dodici fatiche. Esiste anche un riferimento astrologico con la Costellazione del Leone.

La nascita di Ercole

Ercole nacque da una relazione tra sua madre Alcmena, moglie di Anfitrione re di Tirinto, e Zeus, re degli dei. Quest’ultimo si innamorò della fanciulla e, per possederla, decise di assumere le sembianze del marito per una notte, così da potersi introdurre nel suo letto senza destare sospetti. Da questa relazione nacque Eracle, chiamato poi Ercole nella mitologia romana. Era, la moglie di Zeus, era molto gelosa del bambino che suo marito aveva avuto da un’altra donna e per questo rese la vita impossibile al fanciullo sin da quando aveva una tenera età. Mise due serpenti velenosi nella culla del bambino, che però fu così forte – la forza è la caratteristica principale dell’eroe Eracle – che riuscì ad ucciderli.

L’Oracolo di Delfi

L’ira di Era non si placò nel corso degli anni, anzi restò sempre vivida: fu a causa sua che l’eroe ebbe un attacco di rabbia e, in preda a questo sentimento, uccise la moglie Megara e i loro otto figli. Dopo questo evento, egli volle suicidarsi ma il suo amico Teseo e il re Tespio lo convinsero a recarsi presso l’oracolo di Delfi per purificarsi.

L’Oracolo consigliò all’eroe di mettersi al servizio del re di Argo, Micene e Tirinto, Euristeo. Egli fu colui che gli ordinò di eseguire le dodici fatiche, nell’arco dei dodici anni in cui sarebbe rimasto al suo servizio. Euristeo era però la persona che aveva usurpato il trono, posto che sarebbe invece spettato di diritto ad Ercole. L’eroe quindi provava un forte risentimento nei confronti di Euristeo. Se avesse superato queste prove, Eracle-Ercole avrebbe ottenuto l’immortalità.

Le 12 fatiche di Ercole: l’elenco

Le dodici imprese che Ercole dovette compiere sono nell’ordine:

  1. L’uccisione del leone di Nemea

    Eracle doveva cercare questo leone che terrorizzava la gente e che viveva nella zona compresa tra Micene e Nemea. Riuscì nell’intento strangolandolo con la forza delle sue mani. Con la pelle dell’animale (che aveva il dono dell’invulnerabilità) si cucì poi un mantello.

  2. L’uccisione dell’immortale Idra di Lerna

    Questo mostro, l’Idra di Lerna, era un serpente enorme che viveva in una palude. Aveva sette teste e non appena venivano recise, ricrescevano. Ercole riuscì a sconfiggerlo bruciando i tronconi da cui spuntavano le teste e schiacciandolo con un masso.

  3. La cattura della cerva di Cerinea

    La cerva era l’animale sacro ad Artemide, dea della caccia, e aveva il potere di incantare chiunque la inseguisse, conducendolo in luoghi dai quali non avrebbe più fatto ritorno. Ercole riuscì a condurre la cerva di Cerinea al re, ferendola leggermente. Euristeo rimase stupito della riuscita dell’impresa. Rimise poi la cerva in libertà per non far infuriare la dea Artemide.

  4. La cattura del cinghiale di Erimanto

    Ercole riuscì a catturare il feroce cinghiale di Erimanto che stava devastando la regione dell’Attica.

  5. Ripulire in un giorno le stalle di Augia

    Le stalle di Augia non venivano pulite da circa trent’anni. Ercole riuscì a portare a termine l’impresa in un solo giorno, deviando il corso di un fiume.

  6. La dispersione degli uccelli del lago Stinfalo

    Gli uccelli stavano devastando la regione del lago di Stinfalo cibandosi di carne umana. Erano uccelli mostruosi, con penne, becco ed artigli di bronzo. Con le loro penne che fungevano da dardi erano capaci di trafiggere mortalmente le loro vittime. Avevano inoltre un finissimo senso dell’udito. Ercole per sconfiggerli sfruttò proprio questa caratteristica. La dea Atena donò all’eroe delle potenti nacchere (o sonagli) di bronzo, il cui suono rese i mostruosi uccelli vulnerabili. Uccise così buona parte dello stormo utilizzando frecce avvelenate con il sangue dell’Idra di Lerna. Gli uccelli sopravvissuti invece volarono via per sempre.

  7. La cattura del toro di Creta

    L’eroe riuscì a catturare la terribile bestia, il toro di Creta, che stava creando molti problemi nell’isola. Vi riuscì grazie all’utilizzo di una particolare rete da lui costruita.

  8. Il rapimento delle cavalle di Diomede

    Le terribili cavalle di Diomede venivano nutrite con carne umana. Ercole riuscì a catturarle dopo aver ucciso il proprietario. Questi venne divorato dai suoi stessi animali.

  9. La presa della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni

    La richiesta relativa alla nona fatica di Ercole venne da Admeta, figlia di Euristeo. Ella desiderava la bellissima cintura d’oro della regina delle Amazzoni, Ippolita. L’oggetto, che le era stato donato dal padre Ares, la rendeva fortissima. Ercole partì con alcuni eroi, tra cui Teseo (anch’egli protagonista di 6 mitologiche fatiche), e riuscì ad ottenere la preziosa cintura dopo una battaglia con le terribili donne guerriere. Queste erano inoltre state spinte da Era ad odiarlo.

  10. Il rapimento dei buoi di Gerione

    Gerione fu un mostro con tre teste e sei braccia. I suoi buoi erano ben custoditi ai confini del mondo allora conosciuto. Ercole separò due monti e vi piantò due colonne (le colonne d’Ercole, oggi identificate con lo stretto di Gibilterra) pur di raggiungere gli animali. Nonostante una dura lotta con Gerione, riuscì nell’intento.

  11. La presa delle mele d’oro nel giardino delle Esperidi

    Ercole riuscì ad ottenere le preziose tre mele d’oro, scoprendo dove si trovava il giardino delle Esperidi. Lo fece mettendo in atto un tranello di cui fu vittima Atlante, l’unico a sapere l’esatta ubicazione del luogo.

  12. Portare vivo Cerbero a Micene

    Ercole riuscì con la forza delle sue mani a domare Cerbero, il terribile cane a tre teste che era posto a guardia degli inferi. Una volta giunto a Micene con Cerbero, il re Euristeo però ebbe così tanta paura dell’animale che ordinò ad Ercole di riportarlo indietro. Colpito dal suo coraggio, il re decise che era arrivato il momento di far terminare le fatiche di Ercole, liberando l’eroe dalla sua prigionia.

Le dodici fatiche di Ercole - Ercole e le tre mele d'oro - Eracle e Atlante
A sinistra Ercole con i tre pomi d’oro. A destra Atlante, che sorregge il mondo sulle sue spalle.

La metafora delle dodici fatiche di Ercole

Le 12 fatiche di Ercole possono essere interpretate come metafora di un cammino spirituale e di purificazione. Esse sono 12 perché nella più famosa rappresentazione scultorea nel tempio greco dedicato a Zeus ad Olimpia, sono appunto rappresentate in 12 metope (elementi architettonici del fregio dell’ordine dorico dell’architettura greca e romana).

Le leggende che circolavano intorno all’eroe e alle sue dodici fatiche, divennero poi famose nel corso dei secoli. Esse sono state narrate in particolare nella Teogonia di Esiodo e in numerose tragedie, sia di Sofocle che di Euripide. La fama dell’eroe Eracle-Ercole è rimasta intatta fino ai giorni nostri, grazie al suo coraggio e alla sua forza ma soprattutto al suo voler sfidare la morte.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/ercole-12-fatiche/feed/ 8
Venere di Milo: storia, descrizione e significato dell’opera https://cultura.biografieonline.it/venere-di-milo/ https://cultura.biografieonline.it/venere-di-milo/#comments Tue, 03 Oct 2023 17:44:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17625 Scultura di marmo, la Venere di Milo è una statua greca tra le più note e famose del mondo. Estremamente riconoscibile e simbolica è priva delle braccia e del basamento originale. La giovane Venere ritornò al mondo solcando le smarrite strade di un’età ormai perduta, vestita di una nobiltà marmorea e spogliata dal profano limite temporale, quale divinità scultorea di una bellezza bianca e immensa.

Venere di Milo - scultura
La Venere di Milo è una delle sculture più celebri della storia dell’Arte

Capelli raccolti, larghi fianchi fecondi e uno sguardo che ancora oggi colpisce nel complesso di una nudità incompleta ma sensuale, priva dell’illusorietà dell’imbelletto effimero, si fa effige di un’arte suprema, senza raffronti, nella crudele mutilazione del corpo solido che non eclissa l’originaria stupefacente bellezza, ma che paradossalmente fa della mancanza la via prediletta per comprendere la grandezza.

La “Venere di Milo” (130 – 100 a.C.) è tra le afroditi più suggestive scolpite nelle feconde terre del mondo classico, in quelle calde e brune terre egee, da cui fu rapita per incontrare lo sguardo del dispotismo francese e le pallide sale del Louvre, dove è collocata attualmente, in memoria di quella libertà erotica e sessuale che perse la sua purezza tanto tempo fa.

Quando la scultura diventa realtà, non esiste concezione temporale che contempli l’oblio. La grandezza è destinata a durare, la gloria a generare l’ eternità nella memoria, anche se sepolta.
Quando la polvere sotterra, l’uomo riporta alla luce il passato delle grandi ere umane, fiancheggiando la magnificenza di quella conoscenza nascosta che fa della storia umana il più grande mistero.

Venere di Milo - Louvre
La sala del Louvre in cui è esposra la statua della Venere di Milo

La Venere di Milo: genesi dell’opera

Le grandi scoperte archeologiche legano spesso la celebrità del proprio nome all’inusuale contesto esplorativo, casuale e ben lontano da una progettazione voluta, ma in ogni caso desiderata. La “Venere di Milo” come la “Nike di Samotracia” (190 a.C.) è figlia di un destino inatteso, che vide nell’indegna sepoltura la strada per risorgere e risplendere nuovamente.

Nike di Samotracia
Nike di Samotracia

Le fortuite sorti della Venere ricaddero nelle mani di un contadino che individuò, l’otto aprile del 1820, la scultura nel proprio campo, vicino al teatro antico dell’isola di Milo.
La statua venne fortemente contesa tra Francia e Grecia, fino al trasporto a Parigi per volontà dell’ammiraglio Jules Sébastien César Dumont d’Urville (1790 – 1842) e il Marchese di Rivière, ambasciatore francese alla corte ottomana, che la donò a Luigi XVIII, per raggiungere il Louvre solo un anno dopo, nel 1821.

Al momento della scoperta il marmo era terribilmente danneggiato, separato di netto in due parti era privo di braccia e del piede sinistro, mai ritrovati nonostante le ulteriori spedizioni archeologiche.

Note tecniche e descrittive

Modellata dal mare, custode del potere universale, tu regni sovrastandoci mediante la tua grazia perfetta, attraverso quella tranquillità che già di per sé possiede un’immensa forza. La tua nobile serenità si manifesta ai nostri occhi, affondando nei nostri cuori come il fascino di alcune tombe, come quieta musica.

Così Auguste Rodin (1840-1917) elevava l’esaltante bellezza di una dea impudente, nel motivo filosofico dell’invincibile giovinezza (“invincibile youth“), e dunque nel concetto dotto di arte viva, immutabile nella mutabilità del mondo, quale ideale permeante dell’anima umana.

Con la “Venere di Milo” l’arte diviene poesia, ispirazione e musa di ogni cuore sensibile alla bellezza. Poeti, scultori, filosofi e pittori di ogni epoca e inclinazione culturale posero su di essa le basi di una riflessione intima e appagante, lontana da un indottrinamento accademico, difforme dalla teoria scritta, dai trattati eruditi di una conoscenza studiata, meditata.

L’ideale che diventa forma, in un’emulazione dalla natura che non termina nella semplice imitazione, ma che si arricchisce di un sentimento emergente nella posa, nell’aura comunicativa di uno sguardo parlante.

L’incompletezza si accompagna ai segni testimonianti un rigore quasi scientifico nella resa di un panneggio bagnato, aderente ai fianchi levigati dell’inebriante Afrodite.

Il colore bianco e la poetica

Il bianco, forse un tempo policromo, del manto avvolgente, riecheggia violentemente la magnificenza solenne della Nike di Samotracia, la Vittoria alata che calò trionfante a salvare le umane sorti di un potere quasi sconfitto. Nel confronto appare chiara la straordinarietà delle due realizzazioni scultoree, dissimili e unite dal ideale classico, ricordano al mondo il potere dell’arte, il potere espressivo della figura femminile nell’arte, quale veicolo perfetto a comunicare le umane passioni, nell’armoniosità di un corpo nudo e mai volgare, di una somma bellezza e di una misurata concezione estetica.

La poetica del cuore umano conduce ad apprezzare l’inqualificabile potere di un’arte che si trasforma e che trova nei suoi pezzi mancanti il simbolo di ideali più alti e didascalici.

Quello che più colpisce la sensibilità dell’osservatore è proprio l’assenza, quel vuoto che, pur colmato dalla semplice immaginazione, non intende essere riempito.

La “Venere di Milo”, dono che riserva all’età moderna il sentimento glorioso di un’epoca passata, deve la sua incredibile fama proprio alla singolare combinazione di una perfezione fisica minacciata.

La forza della moderazione trova nelle tornite forme femminili le misure adeguate ad esprimere l’incredibile gioco di luci e ombre, in cui volumi emergono e si ammorbidiscono sotto le direttive luminose e sapientemente studiate della sala espositiva.

Lo sguardo della Venere di Milo

Lo sguardo ruota e avvolge l’intero corpo, quasi potendo cogliere quel movimento, quell’attesa meditativa di un istante bloccato nei recessi del tempo.

La grandiosità del tempo aureo dell’arte scultorea trova ovviamente le basi solide di un eccezionalità constatata, indiscutibile e volgente all’intera orbita delle opere d’arte classica. L’ideale classico trova nella capolavoro di Milo il tempo di elevarsi e di porre svariati quesiti sull’identità del suo autore, sull’ispirazione mitologica generatrice di un’ideale scultoreo che abbandona la rigida frontalità nella scelta di una torsione del corpo nello spazio, in quella posa leggermente riversata all’indietro, nel piede che regge il corpo in un dinamismo perfetto.

Nell’ “Antologia; giornale di scienze, lettere e arti” dell’ottobre del 1832, l’archeologo e abate Battista Zannoni (1774 – 1832) ripercorse varie tesi interpretative allo scopo di configurare un profilo, se pur del tutto mitologicamente identificativo, di colei che ispirò il mondo alla conquista del tempo (“O conqueror of time !“, Rodin).

Le ipotesi fornite dall’abate chiaramente tratteggiano i connotati confusi del volto femminino dei culto greco, dove risulta impossibile stabilire con convinzione chi fosse realmente la Venere rappresentata.

Venere di Milo - dettaglio del volto
Venere di Milo: dettaglio del volto

Ipotesi e teorie

Dal confronto con altre sculture scoperte fino a quel momento e dallo studio del possibile orientamento nello spazio delle braccia verso sinistra, il filosofo, archeologo e critico d’arte francese Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy (1755 – 1849) teorizzò la presenza della statua all’interno di un gruppo scultoreo insieme alla figura di Marte, ipotesi che venne confermata e poi screditata dal ritrovamento di un braccio sostenente un pomo, dalle stile nettamente inferiore rispetto alla statua madre.

Una conclusione di questo tipo risultava convincente nel frangente di una connessione che congiungeva gli artefatti archeologici alla mitologia classica, dunque alle vicenda della vendetta di Eris (dea della discordia) ai danni di Atena (dea della saggezza), Era (regina degli dei) e Afrodite (dea della bellezza) e della tragica guerra di Troia.

A questi Marte, a quei Minerva è sprone, e quinci e quindi
lo Spavento e la Fuga, e del crudele
Marte suora e compagna la Contesa
insaziabilmente furibonda

Iliade, cap. IV, Omero

L’attitudine del mondo antiquario era quella di attribuire le opere ripetute entro un certo profilo iconografico ad un gruppo scultoreo originale e dalle qualità stilistiche superiori, giungendo a considerare i gruppi del medesimo motivo originati tutti dalla celebre “Venere di Milo”; per tale motivo si pensò che il volto della Venere delle Cicladi si rassomigliasse a quello della Venere del Museo Pio – Clementino il quale, grazie a due medaglioni imperiali battuti a Gnido, era attribuita a Prassitele (400/395 a.C. – 326 a.C.); fu proprio tale congettura ad indirizzare Quatremère de Quincy all’ipotesi che la scultura fosse uscita dallo studio o dalla scuola dello scultore ateniese.

L’ipotesi del gruppo scultoreo venne ritrattata dall’archeologo francese, nel proponimento di una scultura nata per vivere nella solitaria collocazione e al contempo in una relazione intensa con le statue di altre due dee.

Le qualità espressive della giovane dea sono sublimi, dove la franchezza dello sguardo severo collide con il torso magnificamente nudo, di “un ventre splendido, largo come il mare“.

Venere di Milo
Venere di Milo

Note Bibliografiche

G. Bejor, M. Castoldi, C. Lambrugo, Arte Greca – Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori Education, Milano, 2008
P. Daverio, Louvre, Scala, Firenze, 2016
A. Rodin (1911), To the Venus de Milo, Art and Progress (2), vol. III, 409 – 413.
B. Zannoni (1822), Sulla statua antica di Venere, scoperta sull’isola di Milo, in G. P. Vieusseux, Antologia; giornale di scienze, lettere e arti, vol. VIII, Firenze: 47 – 52

]]>
https://cultura.biografieonline.it/venere-di-milo/feed/ 1
La macchina di Anticitera: cos’è e cosa fa? https://cultura.biografieonline.it/macchina-di-anticitera/ https://cultura.biografieonline.it/macchina-di-anticitera/#respond Tue, 14 Dec 2021 16:12:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=33455 La macchina di Anticitera è un congegno meccanico che risale ad un periodo storico individuabile fra il 250 e il 100 a.C. Prende il nome dal luogo del suo ritrovamento in Grecia. In inglese è indicata come Antikythera mechanism.

Frammento principale della Macchina di Anticitera
Frammento principale della Macchina di Anticitera

Anticitera, il luogo del rinvenimento

La macchina di Anticitera è stata rinvenuta in un relitto di Anticitera. Anticitera o Cerigotto è una piccola isola situata a sud del Peloponneso, a nord-ovest di Creta, tra Creta e l’isola di Cerigo, in Grecia. La macchina è fra quel che rimane di un naufragio risalente al primo secolo a.C. Il ritrovamento è avvenuto nel 1900. Ecco cosa avvenne.

Un gruppo di pescatori di spugne, persa la rotta a causa di una forte tempesta, si rifugiano nell’isoletta rocciosa di Cerigotto. A largo dell’isola, in un punto profondo circa 43 metri, scoprono il relitto. La nave, da studi successivi, risulta essere affondata intorno al primo secolo a.C.

Trasportava, come ci dicono i ritrovamenti, oggetti di prestigio, tra cui statue di bronzo e marmo. Tra questi preziosi, anche la macchina di Anticitera che in quella occasione viene finalmente, dopo secoli, riportata sulla terra ferma. Successivamente diventa oggetto di lunghi studi archeologici. Oggi è conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene, insieme ad una sua ricostruzione riprodotta in tempi moderni.

Che cos’è la macchina di Anticitera

Potrebbe essere definito come il più antico calcolatore meccanico conosciuto. La sua struttura è costituita da due ruote dentate che si muovono e che ne fanno un sofisticato planetario. Attraverso la macchina di Anticitera, infatti, si scopre, veniva calcolato:

  • il sorgere del Sole;
  • le fasi lunari;
  • i movimenti dei cinque pianeti noti – secondo quanto si conosceva dello spazio nel periodo storico di riferimento;
  • gli equinozi;
  • i mesi;
  • i giorni della settimana.

Attraverso l’utilizzo della macchina di Anticitera, infine, gli antichi greci calcolavano anche le date dei Giochi olimpici.

Come è fatta la macchina di Anticitera

La macchina di Anticitera trova luce fra gli oggetti salvati da un relitto a largo dell’isola che le dà il nome. Quando viene portata al cospetto dell’archeologo Valerios Stais, però, a causa delle centinaia di anni in mare, non è che un blocco di pietra. Stais si mette al lavoro sui reperti il 17 maggio del 1902 e in quella pietra nota un ingranaggio.

La pietra scopre presto un meccanismo fortemente incrostato e corroso, con tre parti principali e decine di frammenti. Alla fine del lavoro Stais si ritrova con un’intera serie di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni, collegate in un elaborato meccanismo a orologeria.

Schema del meccanismo della Macchina di Anticitera
Lo schema del meccanismo della Macchina di Anticitera

La macchina è di circa 30 centimetri per 15, spessa come un libro. È costruita in rame e montata su una cornice di legno. Sulla sua superficie ci sono oltre 2.000 caratteri di scrittura, decifrati al 95 per cento.

Il parere degli studiosi

Molti studiosi sin da subito si sono detti dubbiosi rispetto soprattutto alla collocazione storica della macchina di Anticitera. Il meccanismo, a loro parere, è troppo complesso per essere stato collocato nel relitto, fra statue e gioielli. Sicuramente risale invece ad un planetario e un astrolabio.

Nel 1951 il professor Derek John De Solla Price, fisico, storico e informatico inglese, inizia i suoi studi sulla macchina, facendo un’attenta esamina di ogni singola parte. Price scopre un apparecchio di altissima complessità, stila una descrizione completa del funzionamento originario. Conclude che, contrariamente a quanto si era creduto, nella Grecia del II secolo a.C. esisteva una tradizione di altissima tecnologia.

Derek John De Solla Price con un modello della macchina di Anticitera
Derek John De Solla Price con un modello della Macchina di Anticitera da lui studiato e ricostruito

Dà quindi parere più che positivo sulla collocazione storica della macchina. Solo nel 2016, scansioni ad alta risoluzione con raggi X hanno permesso di leggere le iscrizioni che, si scopre, riportano il calendario di eventi astronomici, eclissi e anche le date dei giochi olimpici.

Il vero prodigio della macchina è che sia giunta a noi

Da Price in poi, superata una prima incertezza, non è difficile datare al II secolo a.C. un congegno di così alta tecnologia. L’ellenismo, infatti, vide operare molti studiosi che si dedicarono ampiamente anche alla tecnologia, realizzando macchine molto sofisticate. Parliamo di automi come la macchina a vapore di Erone, per esempio.

Pensiamo alla figura di Archimede. Cicerone descrive una sua macchina, presente a Siracusa, che era capace di rappresentare i movimenti del Sole, dei pianeti e della Luna, le sue fasi e le eclissi. Sempre in Cicerone troviamo la descrizione di un’altra macchina riferita a Posidonio di Rodi. Questa macchina, descrive Cicerone, è capace di riprodurre in maniera esatta il moto diurno e notturno del Sole, della Luna e dei cinque pianeti.

Macchina di Anticitera - Antikythera mechanism - una ricostruzione del 2007
Una ricostruzione del 2007 della Macchina di Anticitera (Antikythera mechanism)

Un velo di mistero: i manufatti fuori dal tempo

In qualche caso anche la macchina di Anticitera viene annessa alla lista degli “Out od place artifacts” (OOPart) ovvero “manufatti fuori dal tempo”. Alcuni archeologi, e appassionati della materia, ancora faticano a riconoscere in questa macchina un artefatto scientifico ellenistico. Come tutti gli OOPart anche la macchina di Anticitera resta un marchingegno che con difficoltà, da una parte della comunità scientifica, viene collocato nel tempo.

In particolare, come ha definito il padre di questa categoria di studi, il naturalista statunitense Ivan T. Sanderson, resta “anacronistico”, fuori dal tempo, impossibile da riferire all’età storica a cui è stato riferito. Questo il nesso principale dell’archeologia misteriosa o pseudoarcheologia.

Fra i casi celebri di OOPart troviamo l’antica capitale del Perù, Cusco; la “Porta del Puma” in Bolivia; le rovine di Nan Madol e altri siti in Micronesia. Alcuni restano dei misteri aperti, altri con il tempo sono stati dichiarati dei falsi OOPart.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/macchina-di-anticitera/feed/ 0
Il mito di Zeus: riassunto https://cultura.biografieonline.it/zeus-mitologia/ https://cultura.biografieonline.it/zeus-mitologia/#comments Sun, 07 Nov 2021 10:28:58 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21971 Secondo la mitologia greca, Zeus è il re di tutti gli dei che governa il mondo dal Monte Olimpo. La sua sposa è Era. Ella però lo tradiva spesso e volentieri sia con uomini che con donne mortali e non, generando figli illustri che diventavano poi eroi. Questa divinità, a capo di tutti gli dèi, era anche venerata dai Romani col nome di Giove e dagli Etruschi col nome di Tinia.

Zeus

Il mito di Zeus è stato tramandato nel corso dei secoli prima oralmente, così come tutti gli altri miti greci. Poi in forma scritta, proprio a partire da Esiodo e dalla sua Teogonia, un poema che racchiude tutta la genealogia dei miti stessi e che ebbe una diffusione straordinaria. È infatti impossibile narrare la storia di Zeus senza conoscere la storia dell’origine del mondo, seguendo la già citata Teogonia.

L’origine del mondo

All’origine del mondo Gea, la Terra, generò Urano, ovvero il cielo stellato. Poi tutti gli altri elementi come i monti, il mare e i fiumi. Insieme ad Urano generò i Ciclopi, i Centimani e i Titani, che vennero confinati nel Tartaro. Il Tartaro era una sorta di luogo remoto nelle profondità della terra.

Uno solo di loro si salvò dal confino: Crono. Una volta cresciuto, Crono evirò suo padre e prese il potere sulla terra. Egli sposò Rea, una delle sue sorelle, da cui ebbe sei figli: Estia, Demetra, Era, Poseidone, Ade e Zeus. Per paura che qualcuno dei suoi figli potesse spodestarlo dal trono, egli decise ingoiarli appena nati. Zeus, l’ultimogenito, riuscì però a salvarsi grazie alla madre. Ella fece ingoiare a Crono una pietra invece del bambino, che poi nascose.

La vita e il mito di Zeus

Le versioni sulla sua infanzia e sulla sua crescita sono molte. Alcune affermano che egli sia stato educato dalla nonna Gea. Altre che fu allevato da una capra. Altre ancora raccontano che ad allevarlo sarebbe stata una Ninfa. L’unica verità comune è che egli fu l’unico dei figli di Crono che riuscì a salvarsi.

Una volta cresciuto, con uno stratagemma egli riuscì a far vomitare a suo padre Crono tutti i suoi fratelli. Zeus iniziò così una guerra contro il padre e gli altri Titani (Titanomachia). Al suo fianco ebbe l’aiuto dei Ciclopi, liberati dal Tartaro. Insieme riuscirono a sconfiggere Crono. Dopo la battaglia, Zeus decise di spartire il trono con i suoi fratelli, sorteggiando le diverse parti del mondo.

A Poseidone toccò il regno delle acque. Ad Ade il regno dei morti. A Zeus il regno dei cieli e l’aria. La terra venne divisa invece in parti uguali. Da quel momento Zeus iniziò a regnare sul Monte Olimpo, considerato sacro dai Greci. Sul monte vivevano tutte le divinità. Il re degli dei, per prima cosa, cercò di riordinare e ricostruire tutto quello che il padre aveva distrutto.

I figli di Zeus e la vita sull’Olimpo

Dal matrimonio con Era nacquero Ares, Ebe ed Efesto. Ma Zeus spesso tradiva la moglie, generando numerosi figli illegittimi. Tra questi i più celebri sono:

Durante queste sue avventure extraconiugali, si tramutava anche in forma animale. Aveva infatti la possibilità di potersi trasformare in qualsiasi cosa volesse.

La moglie aveva un carattere molto iracondo e sfogava la sua rabbia per i tradimenti del marito, vendicandosi sia con le sue amanti che con i loro figli. Questi secondo il mito non avevano vita facile. Nonostante i tradimenti e le ripicche, l’unione di Zeus ed Era rimase comunque salda nel corso del tempo.

Era (Giunone, per i romani) aveva generato il dio Efesto da sola, senza ricorrere ad atti sessuali. Il marito decise di generare a sua volta un figlio senza bisogno di un’altra donna: così nacque Atena, uscendo dal cranio spaccato di Zeus.

Il compito di gestire la vita sul Monte Olimpo non era certo facile per il sovrano degli dèi. Soprattutto perché gli dèi non possedevano un carattere umile. Incarnavano anzi tutti i difetti degli uomini, facendoli emergere ancor di più. Zeus cercava quindi di governare seguendo il buon senso e sedando tutte le liti che si scatenavano quotidianamente.

La sua occupazione preferita, oltre la ricerca delle amanti, era sicuramente banchettare. Famosi erano i sontuosi pranzi che duravano per giorni, organizzati sul Monte Olimpo.

Zeus, causa prima, primo motore. Quali cose sarebbero state fatte dai mortali senza Zeus? (ESCHILO)

Il mito di Zeus: Giove di Smirne (statua conservata presso il Louvre)
Giove di Smirne, statua conservata presso il museo del Louvre. Zeus (Giove) è rappresentato con la folgore in mano.

I simboli

Grazie alla sua importanza e ai numerosi ed enormi poteri che gli venivano attribuiti, Zeus era una delle divinità più venerate dell’Antica Grecia (insieme ad Apollo). A Zeus erano dedicati templi e oracoli in moltissime località quali Dodona, nell’Epiro, Creta, nell’Arcadia e anche in Sicilia (con il nome di Zeus etneo). Il re degli dèi incarna proprio la cultura greca e la sua complessa religiosità.

E’ considerato li dio del cielo e del tuono. I suoi simboli sono la folgore, il toro, l’aquila e la quercia. Nella mitologia si possono trovare molte analogie tra il capo dell’Olimpo e il norreno Odino, così come con lo slavo Perun.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/zeus-mitologia/feed/ 34
Il Carnevale in Europa: le 9 sfilate più importanti https://cultura.biografieonline.it/carnevale-in-europa/ https://cultura.biografieonline.it/carnevale-in-europa/#comments Wed, 07 Feb 2018 07:03:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=24001 Il carnevale con i suoi colori diffonde allegria ed è una festa che si svolge nei Paesi di tradizione cattolica. Si celebra nel periodo che va tra gennaio e febbraio. Il periodo varia in funzione della Pasqua. Così elementi giocosi e fantasiosi con l’uso appunto del mascheramento si manifestano attraverso le parate in pubbliche piazze. La parola carnevale deriva dal latino carnem levare cioè “togliere la carne”, come già spiegato in un articolo precedente sulle origini di questa festa, che indica appunto il banchetto che si teneva il martedì grasso. Le origini del carnevale risalgono ai riti pagani, che celebravano la fine dell’inverno per dare il benvenuto alla primavera. A livello europeo esistono varie sfilate. In questo articolo raccontiamo proprio come si svolge il carnevale in Europa con uno sguardo su alcune delle sfilate più famose. Tra queste ci sono quelle di Basilea, di Nizza, di Dusseldorf, di Malta, di Rethtymno (in Grecia), di Maastricht, di Aalborg, di Notting Hill e ovviamente il carnevale di Venezia, che è anche uno dei più celebri al mondo.

Carnevale di Venezia
Carnevale di Venezia

Il carnevale di Venezia (Italia)

In Italia è molto famoso il carnevale di Venezia. Il carnevale del capoluogo veneto è tra i più conosciuti non solo a livello europeo, ma a livello mondiale. Dalle origini antiche, si pensi che la prima testimonianza risale addirittura ad un documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di festeggiamenti pubblici e dove viene citata la parola carnevale per la prima volta.

Quindi si passa al primo documento ufficiale che dichiara il carnevale di Venezia una festa pubblica. Si tratta dell’editto del 1296 con il quale il Senato della Repubblica dichiara festivo il giorno che precede la Quaresima. Da qui, in quest’epoca e per molti secoli, il carnevale dura sei settimane, a partire dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri, facendo cominciare certe volte i festeggiamenti già nei primi giorni di ottobre.

In pratica durante il carnevale le attività della città di Venezia passano in secondo piano, mentre i veneziani si concedono i festeggiamenti, tra divertimenti e spettacoli, allestiti in particolare in piazza San marco, lungo la Riva degli Schiavoni e nei campi di Venezia. Qui ci sono attrazioni di ogni tipo: acrobati, giocolieri, musicisti, danzatori, e ancora: spettacoli con animali e varie esibizioni per un pubblico di varie età e di ogni classe sociale.

Il carnevale moderno di Venezia

Si basa su un programma di eventi e un calendario dettagliato che riguarda la grande manifestazione. La data ha inizio in coincidenza con il sabato precedente il Giovedì Grasso e termina il Martedì Grasso. I festeggiamenti durano undici giorni. In questi giorni si svolgono, proprio come in passato, feste di piazza ed eventi adatti ad ogni tipo di pubblico.

In Inghilterra: il carnevale di Notting Hill (Londra)

Lo spettacolare Notting Hill Carnival è nato nel 1964 in uno dei quartieri più eleganti di Londra, in Inghilterra, quello di Notting Hill appunto. Esso ospita una delle parate più importanti a livello europeo, seconda del mondo del genere caraibico, dopo quelle di Trinidad e Tobago. Il carnevale a Londra si celebra in estate, verso la fine di agosto, in questo famoso quartiere della parte ovest di Londra che si trasforma ogni anno in una meta simile ai Caraibi. E’ insomma una grande appendice, dove le sue strade vengono stravolte dal giocoso rumore e dai colori del carnevale. La folla raggiunge – o addirittura supera – il milione di persone.

Questa sfilata è seconda solo a quella di Rio de Janeiro ed è diventata proprio il più grande carnevale di strada in Europa. Il percorso dei festeggiamenti si articola su cinque chilometri, snodandosi nel centro del quartiere e lungo la Ladbroke Grove.

I partecipanti, dai vestiti di colore sgargiante, ballano al ritmo di jazz, soul, hip-hop, funk o semplicemente a ritmo di percussioni e tamburi. Si articola in quattro discipline: costumi e maschere, bande di ottoni, danze calypso e Soca, cioè un mix di musiche caraibiche e africane.

Il Carnevale di Londra, dai toni caraibici, si svolge nel quartiere di Notting Hill
Il Carnevale di Londra, dai toni caraibici, si svolge nel quartiere di Notting Hill

Danimarca: il carnevale di Aalborg

Nella città di Aalborg di circa 100.000 abitanti, che si trova nel nord dello Jutland, in pratica all’estremità settentrionale della Danimarca, il carnevale si svolge a maggio, per ovvi motivi legati alla temperatura. E’ una pittoresca città dove si fondono stili differenti che vanno dal rinascimentale al moderno. La nota caratteristica della sua sfilata è che ai festeggiamenti possono partecipare tutti. E’ sufficiente dipingersi il viso e poi partecipare alla parata insieme alle decine di migliaia di partecipanti. Il carnevale di Aalborg è il più grande di tutto il nord Europa.

Olanda: il carnevale di Maastricht

La festa a Maastricht per il carnevale dura tre giorni. Le fanfare sfilano per le strade della città a partire dalla Domenica del carnevale, dove la folla canta e balla lungo tutte le vie. I partecipanti indossano i tipici pekskes, cioè i costumi di carnevale. I bar per l’occasione restano aperti tutta la notte. Quindi i festeggiamenti si concludono il Mercoledì delle Ceneri, giorno successivo al carnevale, con un menu a base di Heering Biete, ovvero pane e aringhe.

Grecia: il carnevale di Rethymno

Proseguiamo l’articolo sulle sfilate più consigliate del carnevale in Europa, spostandoci in Grecia. Il carnevale in Grecia ha un tocco particolare sull’isola di Creta, a Rethymno, che si trova sulla costa nord-occidentale dell’isola. Qui si tengono i festeggiamenti che si articolano in sfilate, feste, costumi di fantasia, danza, musica, teatro e una enorme caccia al tesoro.

Il carnevale di Malta

A Malta il carnevale conta cinque secoli di tradizione. I festeggiamenti furono introdotti dal Gran Maestro Piero de Ponte nel 1535, proprio quando i Cavalieri Ospitalieri usarono l’isola come loro quartier generale. L’evento del carnevale si svolge nella capitale del paese, La Valletta. Qui sfilano carri allegorici con gruppi mascherati guidati dal Re Carnevale. Il programma ha inizio la settimana prima del Mercoledì delle Ceneri ed è fitto: gare di costumi, balli in maschera, oltre alla già citata sfilata dei carri.

Germania: il carnevale di Düsseldorf

A Düsseldorf, in Germania, lungo la valle del Reno, si celebrano vari festeggiamenti. È noto anche con il nome di carnevale Renano, caratterizzato dalla particolare presenza di molteplici balli in costume, feste, ricevimenti. La tipica maschera di questo carnevale è Hoppeditz: è una figura che rappresenta la pazzia, che si risveglia l’11 novembre di ogni anno per poi diventare protagonista dei festeggiamenti del mese di febbraio.

I festeggiamenti iniziano alle 11.11 dell’11° giorno dell’11° mese dell’anno, quindi l’11 novembre, giorno in cui la città viene consegnata a Hoppeditz e agli amici matti. Poi si passa ai festeggiamenti veri che precedono la Quaresima. Durante la festa c’è la tradizione dei Buetzchen, cioè i baci scambiati anche tra persone che non si conoscono. Mentre il giovedì grasso la città viene consegnata alle donne: sono le Moehnen a governare con il tipico carnevale delle donne. Si usa, alle ore 11.11, che le signore, presa in consegna la città, rapiscano il sindaco. Il sindaco riesce a liberarsi cantando melodie gioiose e offrendo alle signore bottiglie di vino.

Nel frattempo, le vie del centro vengono prese d’assalto con persone in costume che danzano e cantano. Secondo l’usanza poi, le donne devono tagliare le cravatte ai loro uomini, quindi si passa ai baci. La festa a Düsseldorf continua sino a notte inoltrata nei vari locali della città.

Carnevale Düsseldorf
Carnevale in Europa: Dusseldorf (2016) • Nella foto un carro allegorico in cui la Statua della Libertà americana, tiene in una mano la costituzione (verfassung) e nell’altra la testa del criticato presidente Donald Trump.

Il carnevale di Nizza (Francia)

Il carnevale di Nizza ha origini antichissime che risalgono al 1294. È la più importante festa invernale della Costa Azzurra. E’ una festa dove ogni anno partecipano oltre 600 mila spettatori che assistono alla famosa battaglia di fiori, alla parata del Martedì Grasso e ai fuochi d’artificio.

Durante la parata di quest’anno è in programma la partecipazione di 17 carri addobbati e automatizzati, di altezza che varia dagli otto ai sedici metri. Le sfilate si tengono di giorno e di notte. Mentre in Promenade des Anglais si tiene la battaglia dei fiori.

Il carnevale di Basilea (Svizzera)

A Basilea si svolge uno dei migliori carnevali d’Europa. Nella città svizzera si tiene il carnevale più grande del Paese dove sfilano i Fasnachtlers in costume lungo le vie della città. L’evento dura tre giorni e inizia con il Morgestraicht, ovvero il lunedì che segue al mercoledì delle Ceneri con strani personaggi travestiti che percorrono le vie della città con piccole lanterne poste sulla testa.

La particolarità della festa è data anche dalle caratteristiche lanterne che illuminano la città durante la parata, dove appunto vengono spente le luci dei lampioni. Al comando “Avanti, in marcia!”, si sentono i musicisti suonare. Incomincia così il carnevale.

Nei locali, la sera, si continua con esibizioni varie: dai versetti alle caricatura, dalle filastrocche ai commenti sull’anno precedente. Le esibizioni prendono il nome di Schnitzelbanken. Poi ci sono i Guggemuusige che sono i musicanti in maschera che si esibiscono il martedì sera. Il momento più spettacolare e bello è il cosiddetto Gassle. È il momento in cui si sviluppa lungo le vie più pittoresche la grande sfilata di partecipanti, singoli o in gruppi, tutti rigorosamente in maschera che suonano tamburi e pifferi, sino alle quattro del mattino del giovedì successivo al mercoledì delle Ceneri.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/carnevale-in-europa/feed/ 4
Nike di Samotracia, descrizione e storia https://cultura.biografieonline.it/nike-di-samotracia/ https://cultura.biografieonline.it/nike-di-samotracia/#comments Wed, 09 Mar 2016 12:39:30 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17265 La Nike di Samotracia vive dell’estasi di una bellezza incompleta e trionfante, celebrando l’esaltazione di una vittoria avvenuta più di duemila anni fa, ricorda al mondo il valore assolutamente intrinseco dell’imperfezione, dove il limite non priva di bellezza, ma l’esalta. Realizzata in marmo pario intorno al 200 a.C., conobbe l’ostinazione della ricerca archeologica di fronte all’enigma di una forma ancora a quel tempo sconosciuta e incompiuta.

Nike di Samotracia
Nike di Samotracia

La superba fenice, risorta dal cocente suolo dell’isola di Samotracia, deve la sua rinascita all’archeologo Charles Champoiseau che, quasi sedotto dal seno affiorante, la riportò nuovamente al mondo.

La collocazione in un contesto moderno, quale si configura il museo del Louvre, ridona bellezza e gloria al corpo mutilato che, nell’evocazione di una tenace sensibilità, spinge lo spirito in un’atmosfera mitologica ed eroica, in un tempo in cui la vita di uomini e dei s’intrecciava nell’umana lotta per la conquista di prestigio e potere.

Storia e archeologia a Samotracia

A nord-ovest dello stretto dei Dardanelli, un’isola dalla forma ovale e dal passato sacro e glorioso affiora dalle miti acque del mar Egeo, noto alle fonti classiche per l’infausta sorte toccata al figlio di Pandione, re di Atene, dopo aver creduto di aver perduto per sempre l’amato figlio Teseo.

Mappa dell'isola di Samotracia
L’isola di Samotracia

L’isola di Samotracia non associa unicamente la notorietà del proprio nome alle leggendarie cronache della storia classica, poiché essa fu in assai rare occasione teatro di memorabili scontri, tuttavia lega buona parte della propria celebrità alla propizia scoperta della statua ritraente la Nike alata.

Nike alata - scultura
Nike alata

Dalle sterili rocce brune non emerse mai il richiamo di un influente centro politico e commerciale, eccezion fatta per la piccola città di Paleopoli e dell’antico santuario celebrante le divinità conosciute come “Kabeiroi” (Κάβειροι).

L’altare di Samotracia giocò un ruolo fondamentale nelle vicende, spesso drammatiche, legate ai principi macedoni e tolemaici: nel 280 a.C., Arsinoe II (316 a.C. – 268 a.C.), figlia di Soter, minacciando di morte il marito Lisimago, costrinse quest’ultimo a rifugiarsi a Samotracia, fino a quando ella sposò, nel 279 a.C., il suo stesso fratello di sangue, Tolomeo Cerauno.
Perseus, l’ultimo grande re di Macedonia, vinto dall’esercito romano a Pydna, nel 165 a.C., trovò asilo nel santuario di Samotracia, fino alla resa obbligata imposta dal pretore Ottaviano.
L’antico tempio dorico, situato nella valle, iniziò gradualmente a essere circondato da edifici votivi, in particolar modo da un nuovo tempio dorico dotato di un portico, costruito dai principi tolemaici, un propileo e una grande rotonda, eretta da Arsione.

Gli scavi archeologi e la scoperta della Nike di Samotracia

La storia e l’archeologia dell’isola di Samotracia sono da considerarsi il proscenio di una scoperta straordinaria che, avvenuta nella seconda metà del XIX secolo, ridestò l’interesse del pubblico nei confronti dell’arte classica. L’archeologo viennese Alexander Conze (1831 – 1914), nel 1858, esplorò per la prima volta l’isola, conducendo un’indagine archeologica che si rivelò in termini di scoperte del tutto infeconda.

Nel 1863 Charles Champoiseau (1830 – 1909), viceconsole di Francia ad Adrianopoli, ottenne un finanziamento dal governo francese per l’avvio di nuovi studi sulle rovine degli edifici di Samotracia; gli scavi furono avviati nel marzo dello stesso anno, con il conseguimento di risultati che tuttora destano meraviglia.

Mentre gli operai erano impegnati a far emergere dalla polvere la facciata del Santuario dei Grandi Dei di Samotracia, Champoiseau, passeggiando a circa 50 metri dal sito, fu attratto dal candore di un marmo emergente dal terreno, il quale una volta liberato dai detriti si scoprì avere fattezze delicate di un seno; gli scavi proseguirono fino a una profondità di due piedi, portando alla luce una splendida figura femminile alata.

La scoperta della statua avvenne a pari passo con quella di alcuni blocchi di marmo dalla strana forma, e che per tale motivo sarebbero stati trascurati fino al 1879. La Nike di Samotracia raggiunse immediatamente la Francia e nel 1866 fu esposta al Louvre dove, in un buio angolo nella Sala delle Cariatidi, attraeva gli sguardi più affettuosi e ammiranti.

Nike di Samotracia - dettaglio
Un dettaglio della Nike di Samotracia, celebre scultura esposta al Louvre di Parigi • Il famoso “swoosh” dell’azienda Nike (che deriva il suo nome dalla dea della Vittoria) si ispira proprio al movimento dell’ala della Nike di Samotracia.

L’enorme attenzione che questa scoperta scatenò, spinse il governo a organizzare una nuova missione esplorativa sotto la direzione di M. Gustave Deville e Georges Ernest Coquart (1831 – 1902) che, al contrario di quanto si auspicasse, non portò nuova luce sulla gloriosa scoperta precedente.

Conze, che nel frattempo era divenuto professore a Vienna, persuase il Ministero Austriaco della Pubblica Istruzione a finanziare una nuova esplorazione archeologica a Samotracia. Nel 1873 Conze raggiunse il sito accompagnato dagli architetti Aloïs Hauser (1841-1910) e George Niemann (1841 – 1912): la spedizione consentì di chiarire gli aspetti ancora misteriosi legati all’architettura degli edifici costellanti l’isola, di portare alla luce dei piccoli frammenti di marmo e un certo numero d’iscrizioni.

Con la scoperta di nuovi blocchi marmorei sull’isola di Samotracia, l’archeologo austriaco Otto Benndor (1838 – 1907) generò un’ipotesi illuminante, congetturando gli elementi a disposizione affermò che i marmi dalla strana forma, per lungo tempo trascurati, costituivano in realtà il piedistallo della statua, nella fattispecie la prua sulla quale si elevava trionfante la dea Vittoria.

La Nike di Demetrio I di Poliorcete

L’ipotesi banndoriana trova fondamento nell’analisi del tetradramma, emesso nel 293 a.C., di Demetrio I Poliorcete (337 a.C. – 283 a.C.): monete di questo tipo erano coniate nel caso di vittorie navali di grande portata, in questo particolare frangente il ruolo encomiastico della Nike di Samotracia deve la sua genesi alla vittoria Demetrio I di Poliorcete su Tolomeo d’Egitto presso Salamina di Cipro, nel 306 a.C. .

La disputa sull’autore

L’archeologo britannico Charles Thomas Newton (1816 – 1894) nel saggio “Essey on Art and Archeology” presuppose che:

“Lo spessore, il trattamento originario delle pieghe in movimento e il drappeggio sono rivelazione di un movimento rapido, la cui magnificenza non fu mai valicata nel campo della scultura. […] Si è a conoscenza della fervida attività di Skopas a Samotracia, supposizione che permette di attribuire la Nike alla scuola di questo scultore” (CHILD).

Ulteriori studi condussero l’attenzione su Peonio di Mende, contemporaneo di Fidia, autore della Nike di Olimpia concepita per commemorazione della battaglia di Sfacteria del 425 a. C..
La scultura arcaica non si rivelò mai musa svelatrice dell’energica psiche umana, gli dei rappresentati da Fidia sono impassibili e permeati da una sublime tranquillità, mentre con Skopas l’arte ellenistica raggiunse l’espressione dell’antropica passione.

La Nike germogliò dal soffio vitale di un’idea nuova: la Vittoria alata fu solcata nel bianco marmo riconoscendole la fattezza di una giovane donna rifulgente di una vibrante vigoria, attestando nell’ampio panorama classico il sommo momento di congiunzione tra forza e delicatezza.

Note Bibliografiche
G. Bejor, M. Castoldi, C. Lambrugo, Arte Greca – Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori Education, Milano, 2008
T. Child, Art and criticism; monographs and studies, Harper & Brothers, Franklin Square, New York, 1892

]]>
https://cultura.biografieonline.it/nike-di-samotracia/feed/ 6
Colosso di Rodi https://cultura.biografieonline.it/colosso-di-rodi/ https://cultura.biografieonline.it/colosso-di-rodi/#comments Fri, 26 Feb 2016 09:16:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16701 Più di duemila anni fa il dio del sole Helios si ergeva sulle tiepide acque egee di cui si bagnavo le coste dell’isola di Rodi. Una divinità tangibile e bronzea, immensa e assoluta come lo spirito di chi investì la grandezza dell’umana forza per esprimere gratitudine alla divinità protettrice. Il Colosso di Rodi, realizzato nel IV a.C., accoglieva i naviganti e ricordava loro la potenza divina che gli aveva sottratti alla guerra, memoria che viene rinforzata dalla presenza della statua bronzea nel novero delle sette meraviglie del mondo antico.

Colosso di Rodi
Colosso di Rodi: illustrazione

Cenni storici

Nel IV secolo a.C. l’isola di Rodi presentava un impianto di tipo ippodameo, ovvero una pianificazione del tessuto urbano realizzata partendo dalla tracciatura delle strade e la successiva distribuzione diversificata degli edifici, permettendo una netta separazione tra aree pubbliche, private e sacre. L’ isola era organizzata in terrazzamenti ed era dotata di una cinta muraria di cui, grazie a delle indagini archeologiche, è stato possibile individuare la fase classica e quella ellenistica, probabilmente realizzata dopo l’assedio di Rodi da parte del re macedone Demetrio Poliorcete nel 305 a.C. .

Lo scontro con i macedoni era nato in seguito ai tentativi di interrompere i vantaggiosi rapporti tra l’isola di Rodi e l’Egitto, complicità che ostacolava la politica degli Antigonidi.

La conquista dell’isola avvenne con i mezzi più alti che l’arte poliorcetica poteva elargire: lo storico siceliota Diodoro Siculo (90 a.C. circa – 27 a.C. circa) raccontava della costruzione di una torre con ruote chiamata “Helepolis”, realizzata dall’ingegnere Epimaco, necessitava di 3400 uomini per essere manovrata (Βιβλιοθήκη ἱστορική, Biblioteca storica, XX, 5-6). Nonostante il considerevole coinvolgimento di uomini e armi, Demetrio fu obbligato ad arrendersi e a firmare la pace con Rodi.

Helepolis - Torre con ruote
Helepolis, la torre con ruote (illustrazione)

L’acropoli della città era situata sull’altura naturale del Monte S. Stefano, luogo che restituì le tracce del santuario di Atena e Zeus Poliadi e quello di Apollo Pizio, al di sotto della quale era collocato l’Odeion.

“La presenza di tombe monumentali come il cosiddetto Ptolemaion nei dintorni di Rodi o le altre grandi tombe nelle necropoli della stessa Rodi o l’archokrateion sono gli esempi più imponenti di una produzione di monumenti funerari tipologicamente varia e di grande impatto visivo che fanno di Rodi uno dei centri più interessanti per lo studio della architettura funeraria, di cui tuttavia ancora manca una trattazione complessiva” (CALIÒ).

Ricostruzione storica ed iconografica del Colosso di Rodi

Uno dei riferimenti più completi attestanti l’esistenza del Colosso di Rodi è da attribuirsi a Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.):
“Ma sopra tutti fu ammirato il Colosso del Sole in Rodi, opera di Chares Lindio discepolo di Lysippos. Fu dell’altezza di 70 cubiti questo simulacro, il quale poi cadde a terra dopo 66 anni a causa di un terremoto; ma anche a terra è uno spettacolo meraviglioso. Pochi arrivano ad abbracciare il pollice; le sue dita sono più grosse di molte statue. Vaste caverne si aprono nelle fratture della membra; e dentro si vedono dei sassi di grande mole, col peso dei quali l’artista aveva consolidato la massa durante la costruzione. Dicono che fu fatto in dodici anni e con 300 talenti che si erano ricavati dalla vendita del macchinario bellico abbandonato davanti a Rodi dal re Demetrio stanco del prolungarsi dell’assedio” (Naturalis Historia).

I 300 talenti indicati nel brano vennero utilizzati per la realizzazione del Helios Eleutherios. La storia classica rimanda alla memoria la tradizione di dedicare enormi statue per la salvezza ottenuta, come nel caso dello Zeus Eleutherios, costruito dopo la cacciata dei tiranni Dinomenidi di Lindo, nel V secolo a.C. .

Nonostante i numerosi riferimenti filologici, sono poche le informazioni legate all’aspetto e alla precisa collocazione del Colosso di Rodi: per il geografo e storico greco Strabone (60 a.C. –24 d.C.) il Colosso di Rodi, in seguito al terremoto del 227- 226 a.C. che ne aveva provocato la distruzione, venne nuovamente ricostruito in età romana-imperiale su volontà di un oracolo.

Filone di Bisanzio (280 a.C. – 220 a.C.) riportò alle cronache che la statua, realizzata in bronzo, era stata costruita assemblando pezzi fusi separatamente e in seguito giustapposti in progressione a partire dai piedi: tale supposizione è in netto contrasto con l’ipotesi più recente di un’esecuzione a martellatura su metallo.

L’aspetto del Colosso, secondo Albert Gabriel, era quello di un bellissimo kouros (scultura greca del periodo arcaico) dotato di torcia e lancia, descrizione che coinciderebbe con le serie montali dell’isola.

La ricostruzione iconografica del Colosso è stata facilitata dal ritrovamento di due reperti scultorei, probabili copie della statua bronzea: la testa fittile di Rodi, con dei fori sulla testa che lascerebbero pensare alla presenza di una corona ed identificata con Helios, e la statua in marmo di poro che, rivenuta a Santa Marinella e conservata a Civitavecchia, risale ad al periodo adrianeo (117 – 138 d.C.).

Nella statua di Santa Marinella il kouros ha una faretra sulle spalle e probabilmente nella mano destra porgeva una fiaccola, mentre nella sinistra un arco che fungeva da sostegno.

In un epigramma dell’Antologia Palatina, da molti considerato un carme celebrativo all’opera, compare un riferimento alla luce, precisamente alla “luce che brilla in mare e in terra“, espressione che confermerebbe la presenza della torcia nelle mani del rinomato Colosso di Rodi.

Colosso di Rodi incisione 1790
Il Colosso di Rodi illustrato in un’incisione del 1790

Per quanto riguarda la collazione è davvero molto difficile esprimere un responso conclusivo:
dalle note incisioni di Maarten van Heemskerck (1498 – 1574) e Joseph Emanuel Fischer von Erlach (1693 – 1742), il Colosso era posto a gambe divaricate all’entrata del porto, con i piedi separati e posti sulle due sponde.

Questa figurazione, ormai fortemente consolidata nell’immaginario collettivo, deve la sua sussistenza alla testimonianza di un italiano: Niccolò de Martoni, tornato da un viaggio a Rodi nel 1394, riportò ai contemporanei che le tradizioni locali parlavano dell’ubicazione del Colosso nell’attuale porto di Mandraki, nei pressi nel forte di San Nicola.

L’archeologo inglese Reynold Higgins (1916 – 1992) indicando certe discrepanze logistiche sulla presenza di alcuni frammenti nei pressi del forte, suppose che il Colosso era un tempo posizionato nelle vicinanze del Tempio di Helios, nel quale era custodita la “Quadriga del Sole” realizzata dallo scultore greco Lisippo (390/385 a.C. –306 a.C.).

Colosso di Rodi
Colosso di Rodi

Un contributo importante alla definizione dell’esatta collocazione fu dato dal classicista tedesco Wolfram Hoepfner che, attraverso l’esame dei blocchi in marmo grigio – blu presenti nella zona nord est del forte di S. Nicola, rilevò il basamento del Colosso, talmente alto che probabilmente fungeva anche da cinta muraria difensiva.

Per Hoepfner la statua presentava la mano destra alzata in un gesto di saluto e la sinistra, per ragioni statiche, era poggiata su una roccia. Gli ultimi frammenti del Colosso furono venduti ad un mercante arabo che, grazie all’ausilio di 900 cammelli, li trafugò da Rodi nel VII secolo d.C. .

Note Bibliografiche
D. Barbagli, Le sette Meraviglie del mondo antico, Giunti, Firenze, 2003
L. M. Caliò, Un architetto a Rodi. Amphilochos di Laago, (2008)
http://www.raco.cat/index.php/SEBarc/article/viewFile/208187/277370 [Accesso: 11/02/2016]

]]>
https://cultura.biografieonline.it/colosso-di-rodi/feed/ 3
Un uomo, libro di Oriana Fallaci: riassunto https://cultura.biografieonline.it/riassunto-un-uomo/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-un-uomo/#respond Fri, 08 Jan 2016 15:03:35 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16200 Uno dei romanzi più conosciuti della scrittrice, giornalista e attivista italiana Oriana Fallaci è “Un uomo”. Il libro venne scritto nel 1979 ma è ambientato negli anni Sessanta, ovvero nel periodo nel quale la Grecia era governata da un dittatore di nome Papadopulos.

Un uomo - libro - Oriana Fallaci
“Un uomo”: il libro fu pubblicato per la prima volta nel 1979

=> Il libro su Amazon <=

Un uomo: riassunto del libro

Oriana Fallaci narra le vicende di Alekos Panagulis che, nel 1968, è condannato a morte nella Grecia dei colonnelli per il tentativo di attentato ai danni del militare a capo del regime, Georgios Papadopulos. La scrittrice racconta così la sua vita e si sofferma sulla sua figura. Panagulis, infatti, si batte per la libertà, per la verità, contro tutte le dittature e contro il Potere, di qualunque colore esso sia. Panagulis cade vittima del conformismo (il potere) e del conformismo dell’anticonformismo (l’antipotere) che, in quanto tali, non identificano l’essere umano inteso come individuo, ma lo percepiscono solo come una figura appartenente alle masse da schematizzare e in seguito dottrinare.

Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna.

Incipit di “Un uomo”

Il romanzo “Un uomo” si apre proprio narrando le vicende del giovane studente di ingegneria, Alekos Panagulis, che tenta invano di uccidere il tiranno della sua Grecia Georgios Papadopulos. Ma, purtroppo per lui, il tentativo ai danni del tiranno fallisce miseramente e l’uomo viene quindi segregato in carcere per cinque anni, in un luogo dove subisce le più atroci torture senza nemmeno essere sottoposto a regolare processo.

Durante il periodo di prigionia, Panagulis, che sfugge alla condanna di morte, cerca in ogni modo di evadere dal carcere di Boiati ma purtroppo senza ottenere i risultati sperati. Fra l’altro, gli ultimi due anni in carcere sono i più duri, poiché Aleks è rinchiuso e imprigionato in una cella grande pochi metri quadrati realizzata appositamente per lui e chiamata dallo stesso protagonista “La Tomba” per la poca ampiezza del luogo.

Seconda parte

L’uomo è sfinito dai continui maltrattamenti subiti ma fortunatamente, dopo cinque anni da incubo, torna libero in seguito della grazia ricevuta dalla finta democrazia che ora governa il comando della Grecia, dopo la caduta del tiranno Papadopoulos. Qualche giorno dopo la sua scarcerazione, Alekos incontra la giornalista italiana Oriana Fallaci che l’aveva contattato per realizzare un’intervista sulla sua vicenda umana e alla quale chiede di scrivere un libro su di lui dopo la sua morte.

Tra i due si instaura una bella intesa sin da subito; in seguito, i due si innamorano di un amore profondo, complice e battagliero. Uscito di prigione, Panagulis si rende però di nuovo conto che il regime appena instaurato viene ora rappresentato da una nuova figura di colonnello, non tanto diversa nei metodi e nelle idee da quella precedente. Si rende subito conto che il parlamento è soggiogato (seppur indirettamente) dal potere della nuova dittatura militare.

Alekos tenta invano di pensare e organizzare nuovi progetti sovversivi contro il nuovo regime che però non riescono ad ottenere il loro fine. A questo punto, sorvegliato dai servizi segreti, decide di scappare in Italia raggiungendo la sua amata, sperando di ottenete l’aiuto dei politici italiani ed europei. Ma nemmeno loro riescono ad organizzare e realizzare una soluzione per risolvere la situazione di nuova dittatura che si era venuta a creare in Grecia.

Terza parte

Durante il periodo trascorso in Italia, il romanzo ci porta a seguire la storia tormentata tra Alekos e Oriana. La donna, in questo periodo, rimane perfino incinta ma perde il bambino in seguito a un intenso e acceso litigio proprio con Alekos. Il periodo italiano viene vissuto dai due giovani sia con momenti bellissimi che con momenti cupi, arrivando ad attraversare anche fasi di momentaneo allontanamento tra i due.

A un certo punto, Panagulis, viste le novità che arrivano dalla Grecia, decide di ritornare in patria sfruttando l’onda che sta pian piano sgretolando la dittatura e decide di unirsi all’Unione del Centro-Nuove Forze. In seguito, viene eletto deputato ma anche in questa occasione, non riesce ad adeguarsi ad un sistema che vuole indottrinare le sue idee.

Successivamente si occuperà di raccogliere documenti e testimonianze per dimostrare nuovamente all’opinione pubblica la natura corrotta dell’apparente nuova democrazia greca. Durante questo periodo, si scontra però con un nuovo ostacolo, rappresentato dal ministro della difesa Evangelos Averoff.

La situazione precipita ulteriormente quando Panagulis riesce a venire in possesso di alcuni documenti segreti che avrebbero compromesso e screditato certamente l’attuale governo greco. A questo punto, il romanzo ci racconta che probabilmente il Sistema decide di ingaggiare due sicari per mettere la parola fine al capitolo Panagulis.

Finale

Il tutto viene ideato e realizzato attraverso la messa in scena di un falso ma tragico incidente stradale nel quale Alekos Panagulis perde la vita alla guida della sua auto. Tutto a questo punto prende la svolta decisa dal Potere e il caso viene archiviato dall’attuale governo greco non come omicidio ma come tragica fatalità, ignorando tra l’altro completamente le perizie tecniche e scientifiche effettuate sulla sua automobile dalle forze investigative italiane.

Il romanzo si conclude con il funerale di Panagulis accompagnato dalle grida del popolo greco che, a questo punto, percepisce chiaramente la natura corrotta dell’attuale governo e inizia così a tramandare il pensiero e le parole dell’ormai defunto Alekos.

Il best seller “Un uomo” è stato tradotto in ben diciannove Paesi ed ha avuto un indiscusso successo planetario. Tanto che la stessa Oriana Fallaci ha sempre riportato di non aver mai immaginato che il suo libro potesse avere un così grande successo, ma che la riempiva di gioia il fatto che le parole di Alekos potessero avere ottenuto un così grande numero di seguaci in tutto il mondo.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/riassunto-un-uomo/feed/ 0
La guerra di Troia (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-troia/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-troia/#comments Mon, 02 Mar 2015 16:03:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13483 Secondo la tradizione gli antichi greci entrarono a Troia servendosi di un finto cavallo e la conquistarono definitivamente dopo ben 9 anni di guerra. Non si può parlare di una data precisa per queste notizie che appartengono ad un’epoca così lontana dalla nostra, ma quella che sembrerebbe essere più attendibile è la data del 24 aprile 1184 a.C.

Cavallo di Troia
Il cavallo di Troia è il simbolo della Guerra di Troia, ed è uno tra i più conosciuti dell’intera mitologia. Anche ai giorni nostri viene usato il termine “trojan horse” (o più semplicemente trojan) per identificare i virus informatici che appaiono come programmi innocui, ma che in realtà contengono un codice nascosto malevolo.

La guerra di Troia nella tradizione

Secondo la tradizione infatti, la guerra di Troia fu combattuta tra gli Achei (Greci) e la città di Troia, collocabile nell’odierna Turchia. Il conflitto si svolse probabilmente o dal 1250 o dal 1194. La guerra di Troia è la più conosciuta del mondo occidentale perché narrata da Omero nelle sue due opere più importanti: l’Iliade, che racconta i fatti avvenuti durante l’ultimo anno di guerra, e l’Odissea, che narra la conquista della città e le avventure di Ulisse per tornare a casa, l’isola di Itaca.

Omero

Tutta la letteratura greca e latina vede Omero come modello a cui ispirarsi ma nulla si sa di certo circa la sua vita. A partire dalla seconda metà del Seicento si iniziò a dubitare della sua esistenza e nacque la cosiddetta “questione omerica“. Erodoto e Plutarco scrissero la sua biografia ma secondo la tradizione esisterebbero almeno 7 versioni di essa, quasi tutte diverse.

Omero
Omero e la cecità: nell’immagine un dettaglio del quadro “Omero e la Sua Guida“, del pittore francese William-Adolphe Bouguereau (1825–1905).

L’etimologia del nome risalirebbe al greco ὁ μὴ ὁρῶν (o mè oròn) “colui che non vede“; la cecità era infatti una delle caratteristiche delle divinità e simbolo di profonda saggezza. Altre possibilità sono offerte dall’etimologia ὀμηρεῖν (“omerèin”) “incontrarsi“, che starebbe ad indicare dei circoli di cultura detti omerici che nelle loro riunioni leggevano i canti delle opere.

Anche letterati e filosofi italiani come Giambattista Vico si occuparono della questione della paternità delle opere omeriche. Egli infatti affermava che Omero non fu un poeta vero e proprio, ma rappresentò la personificazione della facoltà poetica del popolo greco. Qualunque sia la verità, Omero resta la figura più importante della letteratura occidentale.

La guerra di Troia: le cause del conflitto

Secondo l’Iliade la guerra di Troia cominciò a causa del rapimento di Elena, donna bellissima e moglie di Menelao, (re di Lacedemone, futura Sparta) da parte di Paride, figlio di Priamo il re di Troia.

Non erano rari nell’antichità i casi di rapimenti di donne, basti pensare a Medea, Ifigenia e tante altre che soccombevano senza potersi ribellare. Elena era ritenuta a quel tempo la donna più bella del mondo e Paride se ne invaghì perdutamente rischiando tutto pur di averla con sé. Menelao però radunò un esercito insieme al fratello Agamennone per andare a Troia a riprendersi la sua sposa e saccheggiare le terre nemiche.

Secondo la mitologia però la storia del conflitto comincia molto prima, precisamente al matrimonio tra Peleo e Teti. Tutte le dee furono invitate eccetto Eris, la dea della discordia che per vendicarsi gettò al centro del banchetto una mela d’oro con su scritto “alla più bella”.

Così Afrodite, Era e Atena cominciarono a litigare per stabilire a chi dovesse spettare questo premio. Zeus per evitare di scegliere e alimentare la polemica decise che sarebbe toccato al giovane Paride, principe troiano ignaro della sua discendenza reale, prendere l’incresciosa decisione. Egli però non seppe dare un giudizio quindi le dee gli offrirono un dono ciascuno per convincerlo: Era il potere politico, Atena la saggezza e Afrodite l’amore della donna più bella del mondo, Elena di Sparta. Egli allora scelse Afrodite, scatenando le ire delle altre due.

Elena era figlia di Tindaro e Leda, originaria di Lacedemone, la futura Sparta. Famosa da sempre per la sua bellezza, quando fu in età da marito il padre si trovò difronte a così tanti pretendenti da non sapere quale scegliere per non offendere gli altri. Forse fu lei stessa a scegliere il marito o forse lo fece per lei suo padre, tant’è che si decise di farle sposare Menelao, che ereditò anche il trono di Sparta.

Durante un periodo di assenza del marito, giunse a Sparta Paride in missione e, sotto l’influsso di Afrodite, riuscì a sedurre Elena e a portarla a Troia. Menelao, scoperto il rapimento, decise di radunare una flotta di navi greche per partire alla conquista della città e riprendersi la moglie. Cominciò così ufficialmente il conflitto che perdurò per circa 9 anni.

Troy (film)
Tra i film di epoca moderna più riusciti sulle vicende della Guerra di Troia, ricordiamo “Troy” (2004, di Wolfgang Petersen). Nel film Brad Pitt è Achille, Eric Bana è Ettore e Orlando Bloom è Paride.

Gli eroi e i protagonisti

Molti furono gli eroi che si contraddistinsero nel conflitto, che si svolse con esiti alterni per 9 lunghi anni. Ulisse e Achille da parte greca, Paride, Ettore, Enea da parte troiana furono solo alcuni dei più importanti e valorosi guerrieri.

Achille fece strage di troiani e gli dei si infuriarono per questo decisero che dovesse arrivare anche il suo turno. Fu ucciso da una freccia scagliata da Paride ma guidata da Apollo che lo andò a colpire proprio nel suo unico punto debole, il tallone. Dopo la sua morte ci fu una contesa per stabilire chi dovesse ereditare le sue armi tra Aiace ed Ulisse.

Si decise per quest’ultimo ed il giovane Aiace impazzì per la sconfitta, decidendo poi di suicidarsi. Ettore, uno dei più valorosi combattenti troiani e figlio di Priamo re di Troia, venne ucciso in un conflitto a tu per tu con Achille, che dopo la morte ne profanò il corpo. Paride, altro figlio di Priamo, affrontò Menelao in un duello e uccise Achille scoccando la freccia. Enea, figlio di Anchise e di Afrodite, si distinse per il valore in battaglia e riuscì a scappare dalle rovine di Troia, diventando così il protagonista dell’Eneide di Virgilio che narra le vicende del suo peregrinare nel Mediterraneo e della fondazione di Roma.

Ulisse fu l’eroe più astuto della guerra troiana, a lui infatti si deve l’invenzione dell’espediente del cavallo di Troia per riuscire a penetrare nelle mura della città ed espugnarla definitivamente. I Greci infatti, nel corso dell’ultimo periodo del conflitto, fecero credere ai Troiani che erano salpati verso casa.

Avevano però lasciato sulla spiaggia un cavallo di legno nel quale avevano nascosto 40 tra gli uomini più valorosi dell’esercito. I Troiani, credendo si trattasse di un segno degli dei, fecero entrare il cavallo in città e si diedero ai banchetti per festeggiare la fine della guerra. Durante la notte dal ventre del cavallo uscirono così gli uomini che misero a ferro e fuoco la città e sfondarono le mura.

Troia venne distrutta e l’esercito acheo si diede a rapine e ai saccheggi. La fine della guerra quindi venne decretata dall’ astuzia di Ulisse, che seppe sfruttare la semplicità d’animo dei Troiani a proprio vantaggio.

La conclusione

I Greci tentarono di tornare a casa ma incontrarono l’opposizione degli dei. Questi ultimi infatti si erano molto adirati per le violenze commesse dai guerrieri in città e soprattutto per la profanazione dei templi. Nessuno quindi riuscì facilmente a tornare nella terra d’origine. Basti pensare alla storia di Ulisse, narrata nell’Odissea, che vagabondò per dieci anni nel mare prima di toccare di nuovo le sponde della sua Itaca.

Menelao giunse prima a Creta e poi in Egitto, dal quale non riuscì a ripartire a causa dell’assenza di vento favorevole. Nestore fu l’unico che ebbe un ritorno rapido ed indolore perché premiato dagli dei per la sua buona condotta sul campo di battaglia, nel rispetto dei valori tradizionali.

La verità storica su Troia

Quanto ci sia di vero in questa storia certo probabilmente non lo sapremo mai. Nel 1870 l’archeologo Heinrich Schliemann scoprì proprio la città di Troia in Asia minore e quella di Micene in Grecia. Egli nei suoi scavi trovò ben 9 strati sepolti, e il settimo probabilmente corrispondeva proprio al periodo della guerra di Troia (1220 a.C.).

Foto di Heinrich Schliemann
Una foto dell’archeologo tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890)

La città era  un importante polo commerciale del tempo, cinta da mura  e venne poi distrutta da un terremoto che la rase al suolo. Da qui nasce forse la leggenda del cavallo, che era il simbolo di Poseidone, dio dei terremoti. Gli storici che indagano sulla questione si dividono: secondo alcuni ci fu sicuramente un conflitto tra la Grecia e Troia.

Secondo altri si tratta solo di leggende miste alla poesia omerica. Gli storici greci antichi come Tucidide affermarono che sicuramente ci fu un conflitto ma i Greci stessi gli diedero un’importanza troppo grande a causa del loro forte nazionalismo. Il mistero è sempre più oscuro ma chissà che un giorno la verità non verrà finalmente a galla o forse il bello della storia è proprio quello di credere a queste leggende, nonostante tutto.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-troia/feed/ 26
Il teatro greco e il teatro romano https://cultura.biografieonline.it/teatro-greco-romano-storia/ https://cultura.biografieonline.it/teatro-greco-romano-storia/#comments Mon, 16 Feb 2015 22:09:30 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13250 La tragedia e la commedia venivano rappresentate ad Atene durante le festività dionisiache di primavera e invernali. Nel IV secolo il teatro era diventato un fenomeno diffuso in tutta l’area della civiltà greca e non mancavano gli appassionati che facevano lunghi viaggi per assistere alle rappresentazioni nelle varie città. Ogni città possedeva il suo teatro. Il teatro non rappresentava solo il luogo degli spettacoli, ma era anche il luogo delle adunanze politiche.

Il teatro greco e il teatro romano

Il teatro e le sue componenti

La storia dell’edificio teatrale antico è la storia delle sue componenti: l’orchestra, la cavea, la skenè, le parodoi, del loro significato, della loro funzione. Si sa che dal IV secolo a.C. anche la skenè venne edificata in pietra. Nella parte anteriore, esisteva una specie di porticato tra le cui colonne venivano inseriti elementi pittorici, i pinakes (quadri), che servivano ad ambientare gli eventi del dramma. Durante il periodo classico il tetto della skenè veniva utilizzato per le apparizioni divine e le scene che dovevano essere svolte su un piano più alto. Poi, quando i festival si ridussero alla replica delle opere classiche, gli attori cominciarono a recitare sopra la skenè, o meglio sopra un nuovo elemento, il proskenion, che corrisponde al nostro palcoscenico, mentre l’orchestra era a disposizione del coro.

Da qui il complesso scenico si articolava su due piani: il primo, la fronte del proscenio, fornendo lo sfondo alle evoluzioni del coro; il secondo, la fronte della scena, fornendolo agli attori. Tuttavia, l’unica cosa certa è che nel periodo ellenistico, ovvero a partire dal III secolo a.C., il complesso scenico fu costruito da un doppio colonnato i cui intercolumni erano chiusi da riquadri dipinti. La cavea tende ad allungarsi a ferro di cavallo, mentre l’orchestra perde la forma circolare. Le parodoi, che avevano la funzione di ingresso per il pubblico e per il coro, accentuano la prima, perdendo l’antica disposizione obliqua e vengono chiuse da due cancelli, che uniscono l’edificio scenico e la cavea.

I primi teatri

Il primo teatro stabile di pietra fu costruito a Roma da Pompeo nel 55 a.C. e per lungo tempo fu il teatro per eccellenza. Successivamente, nel 13 a.C., fu costruito un secondo teatro, quello di Balbo e, pochi anni dopo, quello di Marcello, di cui sono arrivati a noi i resti. Nel corso del periodo imperiale, in tutta la provincia romana, furono costruiti ex novo numerosi teatri e, in Grecia, i teatri ellenici vennero adattati alle esigenze dei romani.

Differenza fra teatro greco e romano

Uno degli elementi che differenziano i teatri greci da quelli romani è di carattere strutturale: i romani usarono saltuariamente un declivio naturale per appoggiare le gradinate della cavea. Mentre gli elementi interni rimangono quelli del teatro greco, ma con delle modifiche: lo spazio dell’orchestra viene dimezzato, diventando semicircolare e come conseguenza anche l’arco della cavea diventa semicircolare.

L’orchestra non viene più utilizzata dal coro, che nel teatro romano è quasi assente, ma diventa una platea per un’élite di spettatori. La scena viene abbassata ad altezza uomo, mentre nel teatro ellenistico era alta più di tre metri. Muta la facciata dell’edificio, che diventa nel periodo imperiale sempre più imponente: una serie di colonnati sovrapposti su più piani, fino a tre, con colonne e pilastri di preziosi marmi policromi.

Gli attori entrano in scena dalle tre porte. La porta centrale era detta regia e costituiva l’elemento centrale del teatro, si apriva all’interno di una nicchia. Le due porte laterali prendevano il nome di hospitalia.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/teatro-greco-romano-storia/feed/ 3