Greci Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 24 Nov 2023 13:07:43 +0000 it-IT hourly 1 Le 12 fatiche di Ercole https://cultura.biografieonline.it/ercole-12-fatiche/ https://cultura.biografieonline.it/ercole-12-fatiche/#comments Fri, 24 Nov 2023 11:52:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22264 Le 12 fatiche di Ercole, detto Eracle in greco, sono delle storie che fanno parte della mitologia greca. Si ipotizza che siano state unite in un unico racconto chiamato L’Eracleia dall’autore Pisandro di Rodi, intorno al 600 a.C. Purtroppo però nulla si sa di certo perché questo testo è andato perduto. Certamente sappiamo che le storie sono state tramandate oralmente e sicuramente in un primo momento in maniera distinta. Esse raccolgono tutte quelle imprese che l’eroe Ercole ha dovuto compiere per espiare il peccato di aver ucciso sua moglie e i suoi figli durante un attacco d’ira. Tale condizione fu scatenata dalla dea Era per gelosia nei suoi confronti.

Ercole - Eracle - Dodici fatiche - Leone di Nemea - 12 fatiche di Ercole
Illustrazione: Ercole sconfigge il Leone di Nemea nella prima delle sue dodici fatiche. Esiste anche un riferimento astrologico con la Costellazione del Leone.

La nascita di Ercole

Ercole nacque da una relazione tra sua madre Alcmena, moglie di Anfitrione re di Tirinto, e Zeus, re degli dei. Quest’ultimo si innamorò della fanciulla e, per possederla, decise di assumere le sembianze del marito per una notte, così da potersi introdurre nel suo letto senza destare sospetti. Da questa relazione nacque Eracle, chiamato poi Ercole nella mitologia romana. Era, la moglie di Zeus, era molto gelosa del bambino che suo marito aveva avuto da un’altra donna e per questo rese la vita impossibile al fanciullo sin da quando aveva una tenera età. Mise due serpenti velenosi nella culla del bambino, che però fu così forte – la forza è la caratteristica principale dell’eroe Eracle – che riuscì ad ucciderli.

L’Oracolo di Delfi

L’ira di Era non si placò nel corso degli anni, anzi restò sempre vivida: fu a causa sua che l’eroe ebbe un attacco di rabbia e, in preda a questo sentimento, uccise la moglie Megara e i loro otto figli. Dopo questo evento, egli volle suicidarsi ma il suo amico Teseo e il re Tespio lo convinsero a recarsi presso l’oracolo di Delfi per purificarsi.

L’Oracolo consigliò all’eroe di mettersi al servizio del re di Argo, Micene e Tirinto, Euristeo. Egli fu colui che gli ordinò di eseguire le dodici fatiche, nell’arco dei dodici anni in cui sarebbe rimasto al suo servizio. Euristeo era però la persona che aveva usurpato il trono, posto che sarebbe invece spettato di diritto ad Ercole. L’eroe quindi provava un forte risentimento nei confronti di Euristeo. Se avesse superato queste prove, Eracle-Ercole avrebbe ottenuto l’immortalità.

Le 12 fatiche di Ercole: l’elenco

Le dodici imprese che Ercole dovette compiere sono nell’ordine:

  1. L’uccisione del leone di Nemea

    Eracle doveva cercare questo leone che terrorizzava la gente e che viveva nella zona compresa tra Micene e Nemea. Riuscì nell’intento strangolandolo con la forza delle sue mani. Con la pelle dell’animale (che aveva il dono dell’invulnerabilità) si cucì poi un mantello.

  2. L’uccisione dell’immortale Idra di Lerna

    Questo mostro, l’Idra di Lerna, era un serpente enorme che viveva in una palude. Aveva sette teste e non appena venivano recise, ricrescevano. Ercole riuscì a sconfiggerlo bruciando i tronconi da cui spuntavano le teste e schiacciandolo con un masso.

  3. La cattura della cerva di Cerinea

    La cerva era l’animale sacro ad Artemide, dea della caccia, e aveva il potere di incantare chiunque la inseguisse, conducendolo in luoghi dai quali non avrebbe più fatto ritorno. Ercole riuscì a condurre la cerva di Cerinea al re, ferendola leggermente. Euristeo rimase stupito della riuscita dell’impresa. Rimise poi la cerva in libertà per non far infuriare la dea Artemide.

  4. La cattura del cinghiale di Erimanto

    Ercole riuscì a catturare il feroce cinghiale di Erimanto che stava devastando la regione dell’Attica.

  5. Ripulire in un giorno le stalle di Augia

    Le stalle di Augia non venivano pulite da circa trent’anni. Ercole riuscì a portare a termine l’impresa in un solo giorno, deviando il corso di un fiume.

  6. La dispersione degli uccelli del lago Stinfalo

    Gli uccelli stavano devastando la regione del lago di Stinfalo cibandosi di carne umana. Erano uccelli mostruosi, con penne, becco ed artigli di bronzo. Con le loro penne che fungevano da dardi erano capaci di trafiggere mortalmente le loro vittime. Avevano inoltre un finissimo senso dell’udito. Ercole per sconfiggerli sfruttò proprio questa caratteristica. La dea Atena donò all’eroe delle potenti nacchere (o sonagli) di bronzo, il cui suono rese i mostruosi uccelli vulnerabili. Uccise così buona parte dello stormo utilizzando frecce avvelenate con il sangue dell’Idra di Lerna. Gli uccelli sopravvissuti invece volarono via per sempre.

  7. La cattura del toro di Creta

    L’eroe riuscì a catturare la terribile bestia, il toro di Creta, che stava creando molti problemi nell’isola. Vi riuscì grazie all’utilizzo di una particolare rete da lui costruita.

  8. Il rapimento delle cavalle di Diomede

    Le terribili cavalle di Diomede venivano nutrite con carne umana. Ercole riuscì a catturarle dopo aver ucciso il proprietario. Questi venne divorato dai suoi stessi animali.

  9. La presa della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni

    La richiesta relativa alla nona fatica di Ercole venne da Admeta, figlia di Euristeo. Ella desiderava la bellissima cintura d’oro della regina delle Amazzoni, Ippolita. L’oggetto, che le era stato donato dal padre Ares, la rendeva fortissima. Ercole partì con alcuni eroi, tra cui Teseo (anch’egli protagonista di 6 mitologiche fatiche), e riuscì ad ottenere la preziosa cintura dopo una battaglia con le terribili donne guerriere. Queste erano inoltre state spinte da Era ad odiarlo.

  10. Il rapimento dei buoi di Gerione

    Gerione fu un mostro con tre teste e sei braccia. I suoi buoi erano ben custoditi ai confini del mondo allora conosciuto. Ercole separò due monti e vi piantò due colonne (le colonne d’Ercole, oggi identificate con lo stretto di Gibilterra) pur di raggiungere gli animali. Nonostante una dura lotta con Gerione, riuscì nell’intento.

  11. La presa delle mele d’oro nel giardino delle Esperidi

    Ercole riuscì ad ottenere le preziose tre mele d’oro, scoprendo dove si trovava il giardino delle Esperidi. Lo fece mettendo in atto un tranello di cui fu vittima Atlante, l’unico a sapere l’esatta ubicazione del luogo.

  12. Portare vivo Cerbero a Micene

    Ercole riuscì con la forza delle sue mani a domare Cerbero, il terribile cane a tre teste che era posto a guardia degli inferi. Una volta giunto a Micene con Cerbero, il re Euristeo però ebbe così tanta paura dell’animale che ordinò ad Ercole di riportarlo indietro. Colpito dal suo coraggio, il re decise che era arrivato il momento di far terminare le fatiche di Ercole, liberando l’eroe dalla sua prigionia.

Le dodici fatiche di Ercole - Ercole e le tre mele d'oro - Eracle e Atlante
A sinistra Ercole con i tre pomi d’oro. A destra Atlante, che sorregge il mondo sulle sue spalle.

La metafora delle dodici fatiche di Ercole

Le 12 fatiche di Ercole possono essere interpretate come metafora di un cammino spirituale e di purificazione. Esse sono 12 perché nella più famosa rappresentazione scultorea nel tempio greco dedicato a Zeus ad Olimpia, sono appunto rappresentate in 12 metope (elementi architettonici del fregio dell’ordine dorico dell’architettura greca e romana).

Le leggende che circolavano intorno all’eroe e alle sue dodici fatiche, divennero poi famose nel corso dei secoli. Esse sono state narrate in particolare nella Teogonia di Esiodo e in numerose tragedie, sia di Sofocle che di Euripide. La fama dell’eroe Eracle-Ercole è rimasta intatta fino ai giorni nostri, grazie al suo coraggio e alla sua forza ma soprattutto al suo voler sfidare la morte.

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Il duello tra Ettore e Achille: spiegazione e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/duello-ettore-achille-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/duello-ettore-achille-parafrasi/#comments Fri, 11 Mar 2022 05:28:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=37233 Il momento del duello tra Ettore e Achille è uno dei più importanti e rappresentativi dell’intera Iliade. Esso è incluso nel capitolo XXII in cui viene descritta la battaglia finale tra greci e troiani, che si trasforma in una sconfitta per questi ultimi.

L’eroe greco Achille fa strage di nemici e si avvicina sempre di più alle mura della città. Priamo, il re di Troia, si accorge che per il suo popolo non c’è più scampo e per questo apre le porte per far entrare gli ultimi soldati tra le mura.

Solo il coraggioso Ettore rimane fuori e decide di affrontare Achille in un pericoloso testa a testa.

Inizia così il sanguinoso duello.

Duello tra Ettore e Achille - Hector Achilles Duel
Ettore e Achille si affrontano in uno scontro corpo a corpo

E’ l’evento finale dell’Iliade.

Riassunto e trama

Il duello è strutturato in maniera corposa.

Inizia con l’avanzare dei due eroi uno contro l’altro.

Ettore dice ad Achille che, se dovesse vincere, restituirebbe il suo corpo agli Achei, così gli chiede di fare lo stesso. Achille controbatte dicendo che tra di loro non è possibile scendere a patti.

E’ quest’ultimo a scagliare per primo la lancia, ma manca il bersaglio. Prontamente la dea Atena recupera la lancia e la restituisce ad Achille, suo prediletto.

Ettore se ne accorge e scaglia la lancia: colpisce lo scudo e l’asta rimbalza lontano. Egli chiama Deifobo, suo fratello, per raccoglierla ma lui non c’è più. Ettore si rende conto così che non ha più il favore degli dei, e che Atena lo ha ingannato. Impugna allora la sua spada e si avventa contro Achille.

E’ il momento del duro combattimento corpo a corpo.

Achille colpisce Ettore sulla clavicola e lo fa cadere al suolo.

Duello tra Ettore e Achille: il testo

Qui Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava,
dritta corse la punta traverso al morbido collo;
però il faggio greve non gli tagliò la strozza,
così che poteva parlare, scambiando parole.

Stramazzò nella polvere: si vantò Achille glorioso:
“Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo,
di restare impunito: di me lontano non ti curavi,
bestia! Ma difensore di lui, e molto più forte,
io rimanevo sopra le concave navi,
io che ti ho sciolto i ginocchi. Te ora cani e uccelli
sconceranno sbranandoti: ma lui seppelliranno gli Achei”.

Gli rispose senza più forza, Ettore elmo lucente:
“Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori,
non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani
degli Achei, ma accetta oro e bronzo infinito,
i doni che ti daranno il padre e la nobile madre:
rendi il mio corpo alla patria, perché del fuoco
diano parte a me morto i Teucri e le spose dei Teucri…”

Ma bieco guardandolo, Achille piede rapido disse:
“No, cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori;
ah! Che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me
a tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che m’hai fatto:

nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne,
nemmeno se dieci volte, venti volte infinito riscatto
mi pesassero qui, altro promettessero ancora;
nemmeno se a peso d’oro vorrà riscattarti

Priamo Dardanide, neanche così la nobile madre
piangerà steso sul letto il figlio che ha partorito,
ma cani e uccelli tutto ti sbraneranno”.

Rispose morendo Ettore elmo lucente:

“Va’, ti conosco guardandoti! Io non potevo
persuaderti, no certo, ché in petto hai un cuore di ferro.
Bada però, ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi,
quel giorno che Paride e Febo Apollo con lui
t’uccideranno, quantunque gagliardo, sopra le Scee”.

Mentre diceva così, l’avvolse la morte:
la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,
piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.

[Iliade, canto XXII, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino, 1993, vv-325-363]

Parafrasi

Qui il glorioso Achille lo colpì mentre armeggiava con la spada; la punta attraversò il morbido collo però l’asta pesante non gli tagliò la gola; infatti Ettore poteva parlare, scambiando parole. Cadde al suolo tra la polvere, Achille glorioso si vantò:

«Ettore, mentre spogliavi Patroclo delle sue armi, credevi di restare impunito: pensavi di potermi sfuggire, visto che ero lontano, animale! Ma io rimanevo sulle navi, pronto a difenderlo e molto più forte, io che ti ho fatto cadere a terra. Ora i cani e gli uccelli ti guasteranno il corpo sbranandoti, ma lui seppelliranno gli Achei».

Ettore, dall’elmo lucente, gli rispose senza più forza: «Ti prego per la tua vita, per le tue ginocchia, per i tuoi genitori, non lasciare che mi sbranino i cani degli Achei vicino le navi, accetta oro e bronzo e tutti i doni che ti daranno mio padre e mia madre: restituisci il mio corpo alla patria affinché i Troiani mi diano gli onori funebri con il rogo e la sepoltura…».

Ma Achille veloce, guardandolo di sbieco, disse: «No, cane, non mi pregare né per le tue ginocchia né per i tuoi genitori; ah! Perché la mia rabbia e il furore mi dovrebbero spingere a tagliuzzare la tua carne e a divorarla per quello che mi hai fatto, nessuno terrà il tuo corpo lontano dai cani, nemmeno se mi pesassero un riscatto dieci, venti volte infinito, e promettessero ancora altre cose: nemmeno se vorrà riscattarti a peso d’oro il capostipite dei Troiani, neanche in questo modo la tua nobile madre ti piangerà steso su un letto, ma ti sbraneranno cani e uccelli».

Ettore dall’elmo lucente rispose morendo: «Va’, ti conosco guardandoti! Non potevo convincerti, no certo, perché hai nel petto un cuore di ferro. Stai attento però, che io non sia la causa della rabbia degli dei, quel giorno in cui Paride guidato da Apollo ti ucciderà, tu ancora coraggioso, sopra le porte Scee».

Mentre diceva queste parole, la morte lo colse; la vita volò via dal corpo e scese nel mondo dei morti, addolorata per il suo destino, lasciando la giovinezza e la forza.

La conclusione dell’Iliade

Achille lega il corpo di Ettore e lo fa trascinare dal suo cocchio, riducendolo a brandelli.

Questa era secondo gli antichi greci una grandissima offesa, poiché nei combattimenti era usanza restituire il corpo ai familiari per rendere almeno onore alla sepoltura.

Questa scena cruenta e l’intero scontro sono molto ben rappresentati nell’opera cinematografica del 2004 Troy, di Wolfgang Petersen.

Brad Pitt nei panni di Achille (2004)
L’attore Brad Pitt nei panni di Achille (2004)
Eric Bana interpreta Ettore
Eric Bana interpreta Ettore

Nel vedere quella terribile scena la popolazione urla di dolore, come se tutta la città venisse distrutta dalle fiamme.

Re Priamo decide quindi di recarsi al campo acheo per riscattare il corpo del figlio: Achille si intenerisce davanti a questo povero padre che lo supplica e gli restituisce il corpo di Ettore lavato e profumato.

L’Iliade si conclude con la celebrazione dei funerali di Ettore.

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Prometeo, il mito https://cultura.biografieonline.it/prometeo/ https://cultura.biografieonline.it/prometeo/#comments Sun, 17 Oct 2021 07:55:39 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23926 I personaggi mitologici esercitano il loro fascino anche sull’uomo moderno. La mitologia antica richiama modelli universali, archetipi dell’umanità aldilà di ogni limite geografico e storico, quindi sempre validi. I miti rappresentano le forze che popolano il mondo interiore degli esseri umani e le esperienze fondamentali che questi affrontano durante la loro esistenza terrena: il bene, il male, il rapporto con la Natura, il cambiamento, l’amore, l’odio. Tra i personaggi mitologici più conosciuti vi è Prometeo, che è a metà strada tra un dio e un uomo e non appartiene del tutto alla categoria degli Dei Olimpici.

Discendenza di Prometeo ed origine del suo nome

Prometeo è un Titano come il padre Giapeto (fratello di Cronos), ma non appartiene alla stirpe degli Dei dell’Olimpo. Il nome Prometeo deriva da “pro- metis” (il preveggente, colui che pensa prima degli altri). Per quanto riguarda la donna che mise al mondo Prometeo, la tradizione greca non ha elementi univoci: c’è chi riferisce il nome di Climene e chi invece quello di Asia, figlia di Oceano.

Prometeo
Prometeo porta il fuoco al genere umano – Dettaglio tratto da un’opera di Friedrich Heinrich Füger, 1817 (Neue Galerie, Kassel, Germania)

L’alter-ego di Prometeo è il fratello Epimeteo, che a causa della sua impulsività e mancanza di razionalità viene ingannato da Zeus. Oltre ad Epimeteo, la tradizione mitologica attribuisce altri due fratelli a Prometeo: Menezio e Atlante. Fra i tre, Prometeo si distingue per astuzia e scaltrezza e si schiera sempre con gli esseri umani contro gli Dei, rappresentati dal Divino Zeus, che per questo è puntualmente adirato con lui.

Prometeo e il destino degli uomini

Il mito di Prometeo si ricollega direttamente alla nascita dell’umanità e alla conseguente frattura tra gli Dei e gli uomini. Vi era infatti un tempo in cui questi vivevano insieme senza alcuna discordia.

Un giorno però tra gli dei e gli uomini nasce una discussione circa la spartizione delle parti di un toro. Zeus, chiamato ad intervenire per risolvere la questione, pensa di affidare la decisione al saggio Prometeo.

La spartizione dell’animale non rappresenta un’operazione puramente tecnica, in quanto segna il netto confine tra la condizione degli Dei e quella degli uomini. Su Prometeo incombe il compito assai gravoso di definire l’esatta frontiera tra il mondo degli Dei e quello degli uomini.

L’inganno di Prometeo a Zeus

Prometeo procede con estrema cura alla pulizia dell’animale, taglia la carne, raccoglie le ossa e nasconde la parte più polposa all’interno del ventre sporco e viscido del toro. Poi ne ricava due pacchetti e li sottopone al vaglio di Zeus, che opta per la parte di carne che in apparenza sembra più appetitosa e di colore chiaro. Una volta aperto il pacchetto, però, Zeus si rende conto di essere stato ingannato, in quanto l’involucro contiene soltanto ossa, ben pulite e astutamente raccolte. L’ira di Zeus verso Prometeo a questo punto è incontenibile.

Il fuoco e le conseguenze dell’inganno

A seguito dell’inganno di Prometeo, Zeus decide di sottrarre agli uomini uno dei beni più preziosi, il fuoco. Questo fa ripiombare l’umanità ad un livello inferiore, più simile a quello delle bestie. Il fuoco è un elemento naturale che nella mitologia greca simboleggia la forza divina e rappresenta il potere della conoscenza che gli Dei avevano concesso agli uomini per raggiungere il progresso.

Prometeo

Oltre al fuoco, Zeus toglie agli uomini la disponibilità del grano, considerato la principale fonte di nutrimento e che, in passato, cresceva spontaneamente nei campi, senza alcuna fatica. D’ora in poi gli uomini saranno costretti a lavorare duramente per fare crescere il grano, scavando nella nuda terra e aspettando che i semi piantati germoglino per procedere alla raccolta.

Prometeo e il seme di fuoco

Prometeo, però, per riparare alla sventura arrecata agli uomini, si introduce nell’Olimpo e riesce a rubare un “seme di fuoco” e lo porta via in una canna senza essere visto. Il fuoco che Prometeo dona agli uomini non è però come quello divino. Essendo generato da un seme va sempre alimentato. Quando il Padre degli Dei si accorge che il fuoco è tornato a brillare nel mondo degli uomini, si adira tantissimo, e medita una vendetta furiosa. Infatti dopo poco tempo questi ordina ad Efesto, il Dio della metallurgia, di plasmare in argilla una forma femminile giovane e bella sulla quale le dee dell’Olimpo soffiano l’alito della vita per renderla in tutto per tutto simile ad una donna in carne e ossa.

Pandora, il vaso e i mali del mondo

Tale archetipo di donna si chiama Pandora, bellissima e adornata di gioielli splendenti, e somiglia ad una Dea. Dietro la sua bellezza disarmante si cela l’inganno. Per timore che l’ira divina possa colpire lo sprovveduto Epimedeo, Prometeo si fa giurare dal fratello di non accettare alcun dono proveniente dagli Dei. Ma quando la splendida Pandora gli fa visita, Epimedeo dimentica qualsiasi giuramento e si lascia sedurre dalla donna. Epimedeo prende in sposa Pandora e la fa vivere in casa sua.

Zeus intende portare a termine il suo piano di vendetta. Dice quindi alla donna di cercare in casa del marito una giara, che sia ben coperta e nascosta. Pandora si mette alla ricerca della giara appena il marito esce, e la trova in dispensa. Su suggerimento di Zeus, apre il coperchio per guardare cosa contiene, ma poi lo richiude subito come il Dio gli dice di fare.

Dalla giara escono fuori tutti i mali del mondo che, fino a quel momento, erano rimasti nascosti senza abbattersi sugli uomini: dolore, paura, povertà, morte, guerra, violenza. Solo l’attesa del futuro (“elpis”) resta intrappolata all’interno del contenitore, lasciando almeno agli uomini la possibilità di avere la speranza come unica consolazione. Da questo episodio nasce il mito del vaso di Pandora.

Prometeo e Chirone

La punizione nei confronti di Prometeo è abbastanza dura, dato che Zeus lo imprigiona su una montagna legandolo ad una colonna. Il povero Prometeo diventa la vittima dell’aquila di Zeus, che si ciba della sua carne. Ogni giorno il rapace divora il fegato di Prometeo che il giorno dopo gli ricresce per diventare nuovamente cibo per l’aquila.

A liberare Prometeo da questa triste sorte interviene il Centauro Chirone, che è immortale. Tra Prometeo e Chirone avviene uno scambio: il primo riceve da Chirone l’immortalità in cambio del suo diritto a morire. Il povero Chirone, ferito, soffre tantissimo fisicamente e vorrebbe mettere fine al suo dolore con la morte, ma essendo immortale non gli è concesso. Grazie a questo scambio Prometeo è finalmente libero.

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La guerra di Troia (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-troia/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-troia/#comments Mon, 02 Mar 2015 16:03:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13483 Secondo la tradizione gli antichi greci entrarono a Troia servendosi di un finto cavallo e la conquistarono definitivamente dopo ben 9 anni di guerra. Non si può parlare di una data precisa per queste notizie che appartengono ad un’epoca così lontana dalla nostra, ma quella che sembrerebbe essere più attendibile è la data del 24 aprile 1184 a.C.

Cavallo di Troia
Il cavallo di Troia è il simbolo della Guerra di Troia, ed è uno tra i più conosciuti dell’intera mitologia. Anche ai giorni nostri viene usato il termine “trojan horse” (o più semplicemente trojan) per identificare i virus informatici che appaiono come programmi innocui, ma che in realtà contengono un codice nascosto malevolo.

La guerra di Troia nella tradizione

Secondo la tradizione infatti, la guerra di Troia fu combattuta tra gli Achei (Greci) e la città di Troia, collocabile nell’odierna Turchia. Il conflitto si svolse probabilmente o dal 1250 o dal 1194. La guerra di Troia è la più conosciuta del mondo occidentale perché narrata da Omero nelle sue due opere più importanti: l’Iliade, che racconta i fatti avvenuti durante l’ultimo anno di guerra, e l’Odissea, che narra la conquista della città e le avventure di Ulisse per tornare a casa, l’isola di Itaca.

Omero

Tutta la letteratura greca e latina vede Omero come modello a cui ispirarsi ma nulla si sa di certo circa la sua vita. A partire dalla seconda metà del Seicento si iniziò a dubitare della sua esistenza e nacque la cosiddetta “questione omerica“. Erodoto e Plutarco scrissero la sua biografia ma secondo la tradizione esisterebbero almeno 7 versioni di essa, quasi tutte diverse.

Omero
Omero e la cecità: nell’immagine un dettaglio del quadro “Omero e la Sua Guida“, del pittore francese William-Adolphe Bouguereau (1825–1905).

L’etimologia del nome risalirebbe al greco ὁ μὴ ὁρῶν (o mè oròn) “colui che non vede“; la cecità era infatti una delle caratteristiche delle divinità e simbolo di profonda saggezza. Altre possibilità sono offerte dall’etimologia ὀμηρεῖν (“omerèin”) “incontrarsi“, che starebbe ad indicare dei circoli di cultura detti omerici che nelle loro riunioni leggevano i canti delle opere.

Anche letterati e filosofi italiani come Giambattista Vico si occuparono della questione della paternità delle opere omeriche. Egli infatti affermava che Omero non fu un poeta vero e proprio, ma rappresentò la personificazione della facoltà poetica del popolo greco. Qualunque sia la verità, Omero resta la figura più importante della letteratura occidentale.

La guerra di Troia: le cause del conflitto

Secondo l’Iliade la guerra di Troia cominciò a causa del rapimento di Elena, donna bellissima e moglie di Menelao, (re di Lacedemone, futura Sparta) da parte di Paride, figlio di Priamo il re di Troia.

Non erano rari nell’antichità i casi di rapimenti di donne, basti pensare a Medea, Ifigenia e tante altre che soccombevano senza potersi ribellare. Elena era ritenuta a quel tempo la donna più bella del mondo e Paride se ne invaghì perdutamente rischiando tutto pur di averla con sé. Menelao però radunò un esercito insieme al fratello Agamennone per andare a Troia a riprendersi la sua sposa e saccheggiare le terre nemiche.

Secondo la mitologia però la storia del conflitto comincia molto prima, precisamente al matrimonio tra Peleo e Teti. Tutte le dee furono invitate eccetto Eris, la dea della discordia che per vendicarsi gettò al centro del banchetto una mela d’oro con su scritto “alla più bella”.

Così Afrodite, Era e Atena cominciarono a litigare per stabilire a chi dovesse spettare questo premio. Zeus per evitare di scegliere e alimentare la polemica decise che sarebbe toccato al giovane Paride, principe troiano ignaro della sua discendenza reale, prendere l’incresciosa decisione. Egli però non seppe dare un giudizio quindi le dee gli offrirono un dono ciascuno per convincerlo: Era il potere politico, Atena la saggezza e Afrodite l’amore della donna più bella del mondo, Elena di Sparta. Egli allora scelse Afrodite, scatenando le ire delle altre due.

Elena era figlia di Tindaro e Leda, originaria di Lacedemone, la futura Sparta. Famosa da sempre per la sua bellezza, quando fu in età da marito il padre si trovò difronte a così tanti pretendenti da non sapere quale scegliere per non offendere gli altri. Forse fu lei stessa a scegliere il marito o forse lo fece per lei suo padre, tant’è che si decise di farle sposare Menelao, che ereditò anche il trono di Sparta.

Durante un periodo di assenza del marito, giunse a Sparta Paride in missione e, sotto l’influsso di Afrodite, riuscì a sedurre Elena e a portarla a Troia. Menelao, scoperto il rapimento, decise di radunare una flotta di navi greche per partire alla conquista della città e riprendersi la moglie. Cominciò così ufficialmente il conflitto che perdurò per circa 9 anni.

Troy (film)
Tra i film di epoca moderna più riusciti sulle vicende della Guerra di Troia, ricordiamo “Troy” (2004, di Wolfgang Petersen). Nel film Brad Pitt è Achille, Eric Bana è Ettore e Orlando Bloom è Paride.

Gli eroi e i protagonisti

Molti furono gli eroi che si contraddistinsero nel conflitto, che si svolse con esiti alterni per 9 lunghi anni. Ulisse e Achille da parte greca, Paride, Ettore, Enea da parte troiana furono solo alcuni dei più importanti e valorosi guerrieri.

Achille fece strage di troiani e gli dei si infuriarono per questo decisero che dovesse arrivare anche il suo turno. Fu ucciso da una freccia scagliata da Paride ma guidata da Apollo che lo andò a colpire proprio nel suo unico punto debole, il tallone. Dopo la sua morte ci fu una contesa per stabilire chi dovesse ereditare le sue armi tra Aiace ed Ulisse.

Si decise per quest’ultimo ed il giovane Aiace impazzì per la sconfitta, decidendo poi di suicidarsi. Ettore, uno dei più valorosi combattenti troiani e figlio di Priamo re di Troia, venne ucciso in un conflitto a tu per tu con Achille, che dopo la morte ne profanò il corpo. Paride, altro figlio di Priamo, affrontò Menelao in un duello e uccise Achille scoccando la freccia. Enea, figlio di Anchise e di Afrodite, si distinse per il valore in battaglia e riuscì a scappare dalle rovine di Troia, diventando così il protagonista dell’Eneide di Virgilio che narra le vicende del suo peregrinare nel Mediterraneo e della fondazione di Roma.

Ulisse fu l’eroe più astuto della guerra troiana, a lui infatti si deve l’invenzione dell’espediente del cavallo di Troia per riuscire a penetrare nelle mura della città ed espugnarla definitivamente. I Greci infatti, nel corso dell’ultimo periodo del conflitto, fecero credere ai Troiani che erano salpati verso casa.

Avevano però lasciato sulla spiaggia un cavallo di legno nel quale avevano nascosto 40 tra gli uomini più valorosi dell’esercito. I Troiani, credendo si trattasse di un segno degli dei, fecero entrare il cavallo in città e si diedero ai banchetti per festeggiare la fine della guerra. Durante la notte dal ventre del cavallo uscirono così gli uomini che misero a ferro e fuoco la città e sfondarono le mura.

Troia venne distrutta e l’esercito acheo si diede a rapine e ai saccheggi. La fine della guerra quindi venne decretata dall’ astuzia di Ulisse, che seppe sfruttare la semplicità d’animo dei Troiani a proprio vantaggio.

La conclusione

I Greci tentarono di tornare a casa ma incontrarono l’opposizione degli dei. Questi ultimi infatti si erano molto adirati per le violenze commesse dai guerrieri in città e soprattutto per la profanazione dei templi. Nessuno quindi riuscì facilmente a tornare nella terra d’origine. Basti pensare alla storia di Ulisse, narrata nell’Odissea, che vagabondò per dieci anni nel mare prima di toccare di nuovo le sponde della sua Itaca.

Menelao giunse prima a Creta e poi in Egitto, dal quale non riuscì a ripartire a causa dell’assenza di vento favorevole. Nestore fu l’unico che ebbe un ritorno rapido ed indolore perché premiato dagli dei per la sua buona condotta sul campo di battaglia, nel rispetto dei valori tradizionali.

La verità storica su Troia

Quanto ci sia di vero in questa storia certo probabilmente non lo sapremo mai. Nel 1870 l’archeologo Heinrich Schliemann scoprì proprio la città di Troia in Asia minore e quella di Micene in Grecia. Egli nei suoi scavi trovò ben 9 strati sepolti, e il settimo probabilmente corrispondeva proprio al periodo della guerra di Troia (1220 a.C.).

Foto di Heinrich Schliemann
Una foto dell’archeologo tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890)

La città era  un importante polo commerciale del tempo, cinta da mura  e venne poi distrutta da un terremoto che la rase al suolo. Da qui nasce forse la leggenda del cavallo, che era il simbolo di Poseidone, dio dei terremoti. Gli storici che indagano sulla questione si dividono: secondo alcuni ci fu sicuramente un conflitto tra la Grecia e Troia.

Secondo altri si tratta solo di leggende miste alla poesia omerica. Gli storici greci antichi come Tucidide affermarono che sicuramente ci fu un conflitto ma i Greci stessi gli diedero un’importanza troppo grande a causa del loro forte nazionalismo. Il mistero è sempre più oscuro ma chissà che un giorno la verità non verrà finalmente a galla o forse il bello della storia è proprio quello di credere a queste leggende, nonostante tutto.

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La battaglia di Maratona e la leggenda di Fidippide https://cultura.biografieonline.it/battaglia-maratona-storia/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-maratona-storia/#comments Fri, 12 Sep 2014 13:13:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=11996 La battaglia di Maratona avvenne durante la prima guerra Persiana. Era il 12 settembre dell’anno 490 a.C., dieci anni prima della battaglia delle Termopili. Le forze in campo: esercito greco, composto da diecimila opliti, schierato contro l’esercito persiano composto da duecento navi che trasportavano cinquemila cavalieri e ventimila fanti.

La Battaglia di Maratona
La Battaglia di Maratona avvenne il 12 settembre 490 A.C.

La battaglia di Maratona: cause

L’imperatore persiano era Dario I, padre di Serse, l’avversario del re Leonida alle Termopili. Dario governava il più grande impero dell’antichità. Le sue colonie si estendevano dal fiume Indo fino alla Ionia, sulla costa occidentale della Turchia. Proprio le colonie ioniche furono il motivo dello scontro. Nel 511 a.C. gli ateniesi esiliarono il loro dittatore, Ippia, il quale si rifugiò nella Ionia, sotto la protezione dei persiani. Quando una parte della popolazione si sollevò contro i persiani, gli ateniesi decisero di inviare in loro soccorso venti navi. Fu la colonia greca di Mileto la prima a ribellarsi. Il re di Mileto, Aristagora, organizzò la rivolta, ottenendo l’appoggio di Atene e di Efeso.

Per cinque anni, dal 499 a. C. al 494 a.C., Mileto ed altre colonie della Ionia contrastarono i persiani, che dopo un iniziale smarrimento riuscirono a contenere le rivolte ed infine a soffocarle. Tutte le città greche si sottomisero ai persiani tranne Sparta e Atene. Il re Dario non accettò questa attitudine e decise di invadere e distruggere Atene.

Duecento navi salparono per la Grecia continentale. Atene mobilitò subito il suo esercito. L’intento di Dario era rimettere sul trono di Atene il dittatore Ippia, che era stato cacciato anni prima. Fu proprio lui a consigliare al comandante dei persiani, Dati, di attraccare a Maratona, in quanto considerava quel territorio favorevole per i movimenti delle truppe persiane. Atene sapeva che rischiava la sua distruzione. Mentre i persiani, vista la loro superiorità numerica, erano sicuri che avrebbero ottenuto una facile vittoria.

Battaglia di Maratona: la mappa
Ricostruzione di una mappa del mondo greco all’epoca della Battaglia di Maratona

Gli eserciti in campo

I persiani erano dotati di una cavalleria veloce, abituata a muoversi in tempi rapidi e a percorre lunghe distanze in poco tempo e di una fanteria pesante costituita da mercenari. L’esercito greco, invece, era formato da cittadini opliti, abituati a combattere in formazione: la falange in cui i greci si stringevano compatti e che era costituita da più fila di soldati. Lo scudo dell’oplita posto a destra proteggeva il soldato a sinistra. La prima e la seconda fila colpivano dall’alto e dal basso, mentre gli scudi creavano una barriera.

L’armamento degli opliti era formato dal dory, una lancia che misurava da due metri a due metri e settanta centimetri, che pesava due chili ed era dotata di una punta in ferro. All’altra estremità c’era un’altra punta in ferro che controbilanciava la lunghezza della lancia. La spada, invece, si chiamava xiphos, serviva per il corpo a corpo ed era lunga fino a 90 cm . Lo scudo, hoplon, era circolare e aveva due impugnature: un passante di cuoio nel mezzo, in cui infilare il braccio ed un manico posto sul bordo interno in cui tenere con maggior forza lo scudo.

La falange oplitica aveva la caratteristica di essere schierata in otto file successive, in modo tale che la seconda linea proteggeva la prima e la terza la seconda. Ogni uomo che cadeva veniva prontamente sostituito dai soldati delle file anteriori. Il comandante dei persiani era, come si è detto, Dati, che poteva utilizzare la cavalleria per scombinare i fianchi degli ateniesi, gli arcieri per fermare la prima carica dei nemici e la fanteria per lo scontro corpo a corpo. Il comandante degli ateniesi era invece Callimaco, che aveva al suo servizio dieci strateghi, generali provenienti dalle dieci tribù in cui erano stata divisa l’Attica. Uno dei più brillanti e preparati era Milziade.

La battaglia

Milziade, insieme ad altri quattro generali, voleva attaccare i persiani subito, mentre stavano ancora sbarcando sulla piana di Maratona. Gli altri cinque generali, invece, volevano aspettare gli spartani, terrorizzati all’idea di doversi scontrare da soli contro i persiani. Fu Dati a risolvere il dilemma. Il comandante persiano, infatti, commise un errore madornale. Decise di inviare la sua cavalleria trasportata da una parte della flotta nel porto di Atene, sperando che i cittadini ateniesi, che appoggiavano Ippia, si ribellassero vedendo le navi nemiche e facessero cadere Atene nelle mani dei persiani. Questo, però, permise a Milziade di avere un’argomentazione inattaccabile con Callimaco. Se, infatti, la cavalleria era l’arma più importante dei persiani, la fanteria sarebbe stata facilmente attaccabile dagli opliti, e se quest’ultimi avessero vinto, avrebbero avuto il tempo di tornare ad Atene per difendere la città. Ottenuto il permesso di Callimaco, Milziade decise di schierare l’esercito e di farlo avanzare.

Strategia greca

I persiani erano schierati per un chilometro e mezzo. Gli ateniesi pertanto dovettero rivedere la loro formazione, perché non erano di pari numero rispetto ai persiani e per essere schierati sulla loro stessa lunghezza dovevano mettere quattro file al centro e le classiche otto file ai lati. Così fecero. Milziade comandava al centro e Callimaco sulla linea destra. Per evitare, però, il primo attacco persiano, che tradizionalmente si svolgeva con una pioggia di frecce, Milziade decise di far avvicinare a circa duecento metri le truppe a passo di marcia. E prima che gli arcieri scoccassero le frecce, ordinò di accelerare il passo. Ottenne così di evitare parte delle frecce e di confondere i fanti persiani, che non si aspettavano che l’esercito avversario potesse correre mantenendo compatte le file. Si trattò di un azzardo notevole. Perché diecimila uomini che corrono con l’armatura senza perdere la posizione non era facile da ottenere.

Motivi del successo

Primo: i soldati appartenevano alle classi medio alte ed erano quindi tutti educati all’attività sportiva. Secondo: una delle discipline che utilizzavano negli allenamenti era la corsa con l’armatura. Terzo: la compattezza delle fila era uno degli aspetti caratteristici dell’addestramento degli opliti.

L’impatto contro i fanti persiani fu a favore dei greci. Le ali dello schieramento persiano vennero travolte dagli opliti che così poterono avanzare. Mentre il centro dovette retrocedere a favore dei persiani. In questo modo, pero, si creò un accerchiamento dei persiani che si videro travolti ai lati e nella retroguardia. Questo seminò il panico fra i soldati, una parte dei quali fuggì. Milziade ne inseguì una parte ma poi si rese conto che i soldati che salivano sulle navi avevano intenzione di salpare. La meta più probabile era Atene, la quale non avrebbe resistito ad un attacco. Decise quindi di ordinare ai soldati di attaccare le navi e i fuggitivi. Gli opliti riuscirono a bruciarne sette mentre le altre salparono.

La battaglia di Maratona: epilogo

Milziade aveva poco tempo. Se le navi fossero arrivate nel porto di Atene, probabilmente la città si sarebbe arresa. Milziade, allora, decise di mandare un messaggero, Tersippo, che percorse correndo i quarantadue chilometri che separavano Maratona da Atene. Tersippo ci mise due ore a raggiungere la città per avvertire che l’esercito greco aveva vinto. Poi morì per lo sforzo. L’episodio narrato da Erodoto e Plutarco, anche se secoli dopo e con alcuni dubbi sulla sua autenticità, ha dato vita alla nota gara olimpionica. Gli ateniesi per evitare l’assedio della città utilizzarono donne, anziani e bambini come figure militari, in modo tale che Dati pensasse che la città fosse piena di soldati.

Infatti, quando le navi arrivarono nel porto, Dati pensò che la città sarebbe stata espugnata con difficoltà, mentre l’esercito greco da Maratona stava procedendo velocemente verso Atene. Decise pertanto di ripiegare e ritirarsi. Questo insperato successo militare diede ai greci una sicurezza nella loro forza militare che li accompagnò per molti anni. La vendetta per la sconfitta fu consumata nella seconda invasione persiana, quando il figlio di Dario, Serse, sconfisse Leonida alle Termopili. Per poi essere sconfitto da Temistocle a Salamina.

La conseguenza più diretta di queste vittorie militari fu un’accelerazione nella crescita politica, culturale ed economica della Grecia, che grazie alle sue imprese militari acquistò una sicurezza nel suo destino e nelle proprie capacità.

La piana di Maratona oggi
Grecia: una foto moderna della piana di Maratona.

La leggenda della corsa di Filippide

Una leggenda attribuita tradizionalmente a Erodoto ma divulgata da Plutarco, che a sua volta cita Eraclide Pontico nell’opera Sulla gloria degli Ateniesi, sostiene che Fidippide (o Filippide, chiamato da Plutarco Eucle o Tersippo) dopo la battaglia sarebbe corso fino ad Atene dove sarebbe morto per lo sforzo all’arrivo, dopo aver pronunciato la celebre frase “Abbiamo vinto“. Anche Luciano di Samosata riporta la stessa leggenda, chiamando il corridore Filippide, nome preferito a Fidippide nel Medioevo.

Gli storici ritengono che questa leggenda sia solamente una fusione della reale corsa fino a Sparta compiuta dall’emerodromo (così è chiamato il messaggero che correva da una città all’altra per recapitare i messaggi affidati) prima della battaglia per chiedere il sostegno dei Lacedemoni agli Ateniesi contro l’aggressione persiana; la faticosa marcia da Maratona ad Atene fu infatti compiuta dagli Ateniesi dopo la battaglia per anticipare un possibile sbarco persiano davanti alla città.

La distanza della maratona moderna

La corsa lunga oltre 42 chilometri è chiamata “maratona” proprio dal mito di Fidippide e della sua corsa: a tale racconto si ispirò Pierre de Coubertin; la distanza della maratona olimpica moderna (42,195 km) venne stabilita e ufficializzata solo nel 1921, dopo essere stata adottata ai Giochi Olimpici della IV Olimpiade (Londra, 1908).

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Battaglia delle Termopili: riassunto e fatti storici https://cultura.biografieonline.it/battaglia-termopili-storia/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-termopili-storia/#comments Mon, 01 Sep 2014 10:11:30 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=11833 La battaglia delle Termopili fu uno degli scontri bellici più famosi della storia dell’umanità. I motivi sono tanti e riguardano non solo lo scontro impari fra le forze in campo, ma anche il fatto che la posta in gioco non era solo la conquista di un territorio. C’era in ballo anche la difesa della giovane democrazia ateniese, che avrebbe in seguito influenzato lo sviluppo della democrazia in Occidente. Inoltre la Battaglia delle Termopili, fu uno scontro eroico fra l’avanguardia spartana, composta da 300 soldati, mentre le retrovie formavano un contingente di settemila uomini, e l’esercito dell’impero persiano che all’epoca dominava il mondo.

Battaglia delle Termopili
Battaglia delle Termopili

Motivi che portarono alla guerra

La guerra fu combattuta nel 480 a.C. e vide come protagonisti il re spartano Leonida, il comandante ateniese Temistocle e il re persiano Serse. I motivi che portarono i persiani a marciare verso la Grecia risalivano a molti anni prima, quando i greci inviarono venti navi da guerra per sostenere la ribellione delle colonie della Ionia che si erano ribellate ai persiani. L’impero persiano comprendeva un territorio che andava dall’India fino all’Egitto, era il regno più ricco e potente dell’antichità. Il suo fondatore, re Ciro II, lo aveva diviso in venti territori comandati da altrettanti satrapi, che fungevano da governatori con ampi poteri in ambito amministrativo e giudiziario. Tuttavia, i popoli non venivano schiavizzati e asserviti totalmente alla volontà dei persiani, ma potevano mantenere il loro credo religioso e le loro principali tradizioni. Ovviamente dovevano versare un tributo al governo centrale e accettare il potere del satrapo, che però in alcuni ambiti lasciava una certa autonomia alle consuetudini del popolo conquistato. Queste concessioni, rare nel mondo antico, non furono però sufficienti ai popoli della Ionia, che decisero di ribellarsi ai persiani durante il regno di Dario, pronipote di Ciro II.

L’invio delle navi da parte degli ateniesi venne visto come un’offesa e un atto di guerra e pertanto Dario decise di vendicarsi ad ogni costo. La sua vendetta si realizzò con la prima guerra persiana, culminata con la battaglia di Maratona. Vinta, però, dai greci. La seconda invasione, invece, fu ordinata dal figlio di Dario, Serse, che con un esercito di 300.000 uomini e una flotta di 1000 navi, nel 480 a.C. decise di distruggere Atene. Il governo ateniese venne avvertito dei piani di Serse dal messaggio di una spia e chiese aiuto alle altre città stato.

All’epoca la Grecia era divisa in tante città stato che spesso erano in lotta fra loro. I due principali antagonisti erano Sparta e Atene. Gli spartani, come era loro consuetudine, chiesero, prima di accettare l’alleanza con Atene, un verdetto all’oracolo di Delfi. L’oracolo si espresse dicendo che solo la morte di un re spartano avrebbe impedito che le loro case fossero bruciate dai persiani. Leonida, all’epoca re degli spartani, ritenne di essere lui il predestinato a contrastare Serse. Decise pertanto di inviare il suo esercito contro l’imperatore Serse, ma siccome si era nel periodo delle Carnee, una festa religiosa durante la quale era vietato agli spartani di andare in guerra o di svolgere alcun addestramento militare, Leonida poté radunare solo i 300 uomini della sua guardia personale. Li scelse personalmente e optò solo per coloro che già avevano un figlio maschio. Non si può sapere se Leonida ritenesse quella missione un suicidio; tuttavia, un fatto certo è che nella cultura spartana morire combattendo era una morte giusta.

Addestramento militare degli spartani

Gli spartani avevano un culto particolare per l’addestramento militare e per la battaglia. Un bambino, se superava appena nato l’esame del suo stato fisico, esame che poteva costargli la morte qualora gli fossero stati riscontrati difetti o imperfezioni nel corpo, rimaneva con la madre fino ai sette anni. Poi veniva inviato nei campi di addestramento in cui rimaneva fino ai diciannove anni, compiuti i quali entrava nell’esercito. Durante gli anni dell’addestramento i ragazzi spartani venivano sottoposti ad ogni genere di pressione fisica e psicologica, affinché diventassero degli ottimi guerrieri. Lottavano fra di loro, a volte si uccidevano, oppure sopportavano sofferenze intensissime come essere frustrati davanti ai compagni fino a sanguinare. Lo scopo era abituarli alla sofferenza e alla morte che avrebbero incontrato sul campo di battaglia.

L’iniziazione all’età adulta, che coincideva anche con il congedo dall’addestramento, consisteva nell’introdursi in una delle stanze in cui dormivano gli schiavi e soffocarne uno senza essere scoperti.

Ma torniamo agli eventi relativi alla Battaglia delle Termopili fra greci e persiani.

Serse riunì un grande esercito e si assicurò l’alleanza della Tessaglia, della Macedonia, di Tebe e di Argo. Dopo aver organizzato in ogni minimo particolare l’invasione, fece costruire un ponte di barche sull’Ellesponto, un tratto d’acqua lungo un chilometro e mezzo, che collegava l’Asia con l’Europa. Per costruirlo impiegò i suoi migliori ingegneri che unirono un numero notevole di barche e barconi da trasporto con corde di papiro e poi inchiodarono delle tavole sulle barche affinché gli uomini e gli animali ci potessero passare sopra. Nel giro di poco tutto l’esercito di Serse si trovò nella Grecia settentrionale.

La battaglia delle Termopili

La principale difesa all’invasione persiana era lo stretto delle Termopili che, secondo gli accordi presi con Atene e gli altri alleati, sarebbe stato difeso dagli spartani. La Battaglia delle Termopili prende il nome proprio dallo stretto: all’epoca questo non era più lungo di quindici metri e pertanto rappresentava un problema per l’immenso esercito persiano che aveva bisogno di maggior spazio di manovra. Questo era il vantaggio che Leonida sperava di sfruttare per sé. La sua avanguardia era formata da trecento uomini mentre le retrovie erano formate da settemila uomini che rappresentavano le città di Tegea, Flio, Corinto, Mantinea, Orcomeno, Thespies, Micene e Tebe.

La conoscenza del terreno ed una tattica militare appropriata alle condizioni del luogo, avrebbero concesso un iniziale vantaggio all’esercito spartano se i soldati persiani si fossero mossi senza cavalleria. L’entrata delle Termopili aveva poi un ulteriore vantaggio, perché da un lato c’era uno strapiombo di 91 metri sul mare e dall’altro il monte Kalidromo che era alto 1500 metri. Pertanto, sfruttando il movimento, si poteva costringere la fanteria persiana ad un corpo a corpo che limitasse la loro forza numerica.

Quando i persiani raggiunsero il passo, il primo gesto di Serse fu quello di negoziare la resa dei greci. Di fronte ad una risposta negativa e ferma di Leonida, Serse minacciò di abbattere i soldati lacedemoni con 5000 frecce che avrebbero oscurato il Sole. La risposta fu sprezzante: “Meglio così, combatteremo all’ombra”, disse uno dei soldati di Leonida. Ma il vero problema per gli arcieri di Serse non era la quantità di frecce da lanciare ma il fatto che i loro archi erano fatti di legno di palma, che permetteva una gittata più limitata. Infatti le frecce che raggiunsero i greci non riuscirono a penetrare le armature e i caschi dei greci, rendendo di fatto nulla la prima mossa di Serse. Subito dopo vennero inviati diecimila soldati della fanteria leggera, i quali dovettero scontrarsi con la famosa falange greca.

La falange greca

La falange era una delle strategie più potenti dell’esercito greco. I soldati si posizionavano uno accanto all’altro su diverse file. La lancia nella mano destra in posizione di attacco e lo scudo nella mano sinistra ben saldo (lo scudo greco aveva un passante di cuoio in cui il soldato infilava il braccio mentre la mano afferrava un’impugnatura posta al bordo dello scudo. Questo permetteva di tenere lo scudo ben saldo e di posizionarlo al centro o sulla sinistra a protezione del compagno).

La posizione della falange permetteva di proteggere il compagno a sinistra e nel frattempo di poter colpire l’avversario con la lancia. La falange solitamente era costituita da un’unità minima di quatto soldati posti in otto file e veniva chiamata enomotia. Quattro enomotie costituivano una pentecontia, quattro pentecontia componevano un lochos. Sette lochoi costituivano l’unità massima che i greci consideravano come esercito.

L’avanzata dei primi diecimila fanti persiani fu respinta dalla falange degli spartani, che resistevano agli urti con i loro scudi e da destra e dal basso colpivano senza pietà con le lance. La Battaglia delle Termopili fu di fatto un massacro. Serse si infuriò per questo secondo tentativo che non aveva portato ad alcun risultato. I greci avevano perso poche unità.

Perché i soldati persiani si dimostrarono così facili da battere?

Proviamo a rispondere a questa domanda.

Primo: perché erano abituati ad una battaglia su tutt’altro terreno, in cui gli scontri avvenivano in movimento e non avanguardia contro avanguardia.

Secondo
: perché una delle tattiche fondamentali dell’esercito di Serse era l’uso della cavalleria che spezzava i fianchi all’esercito nemico e che in questo caso non poteva essere utilizzata a causa del ristretto ambito di manovra.

Inoltre le armature dei fanti persiani erano leggere e gli scudi erano di legno, mentre le armature dei greci erano di bronzo così come gli scudi.

Gli Immortali

Il secondo giorno Serse decise di inviare gli Immortali, la sua tremenda guardia personale. Si chiamavano Immortali perché il loro numero rimaneva sempre lo stesso, infatti qualsiasi perdita subissero, tornavano ad essere diecimila, in quanto ogni caduto veniva prontamente sostituito. Inoltre indossavano un cappuccio, la tiara, attraverso la quale potevano vedere l’avversario ma nessuno poteva vedere e distinguere il loro volto. Anche il loro armamento non era adeguato allo scontro con la falange spartana. Gli Immortali, infatti, indossavano sotto alla tunica nera delle piastre di metallo sovrapposte ed erano dotati di uno scudo di vimini intrecciato e robusto e di una lancia corta. Avevano inoltre una spada corta e un arco. Lo scontro fu pertanto a favore degli spartani. L’equipaggiamento degli Immortali poteva avvantaggiarli negli scontri in campo aperto, perché era leggero e permetteva movimenti agili, ma contro l’armamento spartano, composto da caschi, scudi e pettorali di bronzo, le spade degli Immortali potevano poco e le lance degli spartani invece riuscivano agilmente a penetrare le corazze e lo scudo degli Immortali. Alla fine della giornata gli Immortali erano stati decimati.

Serse a questo punto si trovava in una situazione di stallo. Per ben due volte il suo esercito era stato respinto. Avrebbe potuto scatenare tutti i suoi uomini contro gli spartani ma l’esito non sarebbe stato diverso. E allora adottò un espediente. Qualcuno, forse il greco Efialte, un traditore che non era stato accettato fra le fila degli spartani, gli disse che esisteva un sentiero che aggirava il monte e che gli avrebbe permesso di attaccare i greci dalla retroguardia. E così Serse mandò, la notte del secondo giorno, diecimila uomini su per il sentiero. Leonida conosceva quel passaggio e già alcuni giorni prima aveva schierato un contingente di soldati. Erano i focesi, i quali però si convinsero che Serse avrebbe proseguito per il sentiero verso la loro regione e decisero pertanto di tornare alle loro case per prepararsi all’attacco. Quando Leonida seppe della defezione dei focesi, decise di ordinare la ritirata del suo esercito e di rimanere con i suoi trecento, più mille uomini della città di Thespies, a difendere la ritirata. Fu così che rimasero in pochi a contrastare i persiani.

La battaglia delle Termopili: epilogo

Leonida decise di morire insieme ai suoi uomini per permettere la ritirata di quattromila soldati che altrimenti sarebbero stati attaccati e vinti dai persiani. Decise di rimanere forse anche per affrontare quello che ogni spartano desiderava fin dall’inizio del suo reclutamento: una morte gloriosa. E infatti morirono tutti. La battaglia si svolse rapidamente, ogni spartano lottò per sé, non fu utilizzata la tattica della falange. Leonida, secondo ciò che narra Erodoto, fu fra i primi ad essere colpito dalle frecce e ci fu una lotta feroce fra spartani e persiani per avere il suo corpo. Poi le frecce dei persiani uccisero gli ultimi supersiti. Serse, che in tre giorni di battaglie aveva perso più di ventimila uomini, ordinò la sepoltura dei persiani caduti in combattimento e fece infilzare la testa di Leonida su un palo, in modo tale che l’esercito, mentre marciava, vedesse che il condottiero greco era stato ucciso.

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Storia del compleanno https://cultura.biografieonline.it/storia-del-compleanno/ https://cultura.biografieonline.it/storia-del-compleanno/#comments Mon, 16 Jan 2012 10:11:24 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=126 La storia del compleanno ha radici antiche, sembra, infatti, che ad inventarlo furono gli egizi che lo consideravano un tributo al faraone e che ne festeggiavano la nascita con riti pagani che si avvicinavano al concetto della festa con doni e spettacoli in suo onore.

La sua prima valenza, quindi, fu religiosa e serviva ad omaggiare il dio faraone. Per questo motivo fu rifiutato dal cristianesimo che lo vedeva come un retaggio del paganesimo e lo considerava quindi un rito pagano.

Il rito moderno del compleanno si è imposto solo quando tale concezione si è affrancata dal cristianesimo che considerava il battesimo una rinascita e ricordava le feste dei santi celebrando la loro nuova nascita ad una nuova vita. Per quanto riguarda la ritualità, invece, possiamo far risalire l’origine delle candeline accese sulla torta da un rito pagano che serviva, appunto accendendo le candele, a tenere lontani gli spiriti maligni quando un gruppo di persone si ritrovava a festeggiare un evento o a svolgere una cerimonia propiziatoria.

Compleanno, dolce e regali

Le origini della tradizione della torta di compleanno

L’idea della torta probabilmente risale ai Persiani che utilizzavano tecniche di pasticceria di alto livello riportate in molte ricette attuali. A proposito, se cercate suggerimenti, sul nostro sito amico Cucinare Meglio, potete trovare molte ricette per una festa di compleanno.

I Greci utilizzarono questi due elementi per celebrare la dea Artemide, il sesto giorno di ogni mese. Dicevamo, quindi, che il compleanno era visto come una celebrazione religiosa pagana che falsava il senso del battesimo per cui fu osteggiata dal cristianesimo fino a quando, durante il medioevo, non cominciò ad essere considerata in modo diverso non come una festa religiosa e divenne di moda prima negli ambienti aristocratici dell’epoca moderna, poi nella borghesia del XIX secolo e infine, ma non prima del XX secolo, negli ambienti popolari.

Questa evoluzione è stata accompagnata da un cambiamento nel modo in cui veniva considerato il tempo. Infatti, il tempo circolare dell’anno liturgico in cui venivano scandite le feste religiose e gli anniversari della morte dei cari ha fatto seguire una misurazione lineare del tempo che diversifica l’identità degli anni invece che riprodurli uno uguale all’altro.

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