Giovanni Verga Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 22 Sep 2023 11:34:19 +0000 it-IT hourly 1 Fantasticheria, novella di Verga https://cultura.biografieonline.it/riassunto-fantasticheria/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-fantasticheria/#respond Thu, 27 Oct 2022 09:43:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8620 Fantasticheria” di Giovanni Verga è tratta dalle novelle “Vita dei campi” (1880). Il titolo di questa novella indica il divagare della fantasia dello scrittore sui ricordi di un breve soggiorno ad Aci-Trezza di una sua amica, una signora del gran mondo, e, per contrasto, sulle condizioni di vita della povera gente di quel piccolo villaggio di pescatori.

Aci-Trezza
Una foto panoramica di Aci Trezza (in siciliano Trizza), frazione del comune di Aci Castello, in provincia di Catania. Il luogo è un centro peschereccio di antica tradizione, noto per il suo caratteristico paesaggio. Questo luogo fu di ispirazione per Verga per la sua novella “Fantasticheria”.

Fantasticheria: analisi e commento

L’amica è il simbolo dei raffinati ambienti aristocratici e borghesi dei romanzi passionali scritti in precedenza dal Verga, la povera gente di Aci-Trezza è il simbolo del mondo degli umili, che il Verga pone al centro dei suoi interessi di scrittore, facendone l’oggetto di un romanzo che ha già in mente, “I Malavoglia”.

I due mondi, quello aristocratico e borghese, e quello dei poveri con le sue pene e i dolori, nella novella sono intenzionalmente contrapposti. La novella Fantasticheria ha la forma di una lettera che lo scrittore scrive all’amica, che alcuni anni prima aveva visitato con lui Aci-Trezza, un paesino di pescatori sulla costa orientale della Sicilia, a pochi chilometri da Catania.

Verga ricorda all’amica le due giornate trascorse insieme, le impressioni riportate sulla misera vita del villaggio e la sorte toccata ad alcune persone che avevano conosciuto o osservato, passeggiando per le vie del paese. Le impressioni della signora erano state pessime, tanto è vero che, arrivata lì per trascorrere un mese, al terzo giorno annoiata e stanca di vedere il verde della campagna e l’azzurro del mare, “e di contare i carri che passavano per via”, era ripartita, pentita di aver fatto quel viaggio.

D’altra parte aveva ragione.

Con le sue raffinate abitudini cittadine, con le sue esigenze di vita elegante e lussuosa, non poteva comprendere l’umile vita di quella gente, e giustamente stufata di essa, aveva esclamato: “Non capisco come si possa vivere qui tutta la vita”. Eppure la gente ci vive, le scrive lo scrittore, e nulla vale a staccarla da lì.

Di tanto in tanto avviene che il tifo, il colera, la malandata, la burrasca spazza via buona parte di quella gente, che dovrebbe desiderare di essere spazzata e scomparire, ma poi miracolosamente “ripullula nello stesso luogo”, torna cioè a rinascere, come i polloni delle piante abbattute, e riprende la vita di prima.

Giovanni Verga
Giovanni Verga

Il libro che Giovanni Verga scriverà, parlerà proprio di quella gente, di alcune persone che lo scrittore e la signora avevano conosciuto in quei due giorni.

La prima tra queste è Mena. Quella donna, dice Verga, a cui la signora soleva “fare l’elemosina col pretesto di comperare le sue arance messe in fila sul panchettino dinanzi all’uscio”, ora non c’è più davanti alla sua casa, che è stata venduta. Si è spostata più avanti e chiede l’elemosina ai carrettieri. Il vecchietto, che era stato al timone della loro barca in quei giorni, era morto all’ospedale della città.

Questo vecchietto sarà padron ‘Ntoni, il nonno dei Malavoglia.

Non c’è più nemmeno quella ragazza che faceva capolino dietro i vasi di basilico, sognando tante povere gioie per il suo avvenire. Il suo riso era andato a finire in “lacrime amare” nella città grande, “lontana dai sassi che l’avevano vista nascere e la conoscevano”. Questa ragazza sarà Lia nei Malavoglia. Migliore sorte era toccata ai morti.

L’uno era morto da buon marinaio nella battaglia di Lissa, l’altro in un naufragio. Saranno rispettivamente Luca e il padre Bastianazzao nei Malavoglia. Meglio per loro essere morti che mangiare “il pane del re”, stare cioè in carcere a Pantelleria, come era toccato a un loro congiunto, quello che nei Malavoglia sarà il nipote ‘Ntoni.

Nel paese ora rimangono tanti bambini, tanti pezzentelli che crescono in mezzo al fango e alla polvere della strada, “e si faranno grandi e grossi come il loro babbo e come il loro nonno, e popoleranno Aci-Trezza di altri pezzentelli, i quali tireranno allegramente la vita coi denti più a lungo che potranno, come il vecchio nonno, senza desiderare altro, solo pregando Iddio di chiudere gli occhi là dove li hanno aperti”.

A questo punto lo scrittore immagina che la signora dica con un sorriso di scherno che insomma l’ideale di quella povera gente che rimane abbarbicata in paese per tutta la vita, è quello stesso dell’ostrica, che rimane attaccata allo scoglio, dove è nata.

Proprio così, dice Verga, “e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo che quello di non esser nati ostriche anche noi”.

Del resto, continua lo scrittore, il tenace attaccamento di quella povera gente al paese dove è nata, la sua rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, “la religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano… cose serissime e rispettabilissime”.

Proprio per questo motivo egli ne ha fatto oggetto d’indagine e ha cercato di decifrare il dramma modesto e ignoto che ha distrutto “gli attori plebei”, conosciuti insieme all’amica.

E dalla riflessione sul loro dramma ha ricavato questa legge che regola il destino della povera gente: che cioè “allorquando uno di quei piccoli volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama del meglio, o per curiosità di mondo, il mondo da pesce vorace ch’egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui”.

Un’altra analisi

La novella, una delle più note di Verga, fa parte della raccolta Vita dei campi, pubblicata per la prima volta nel 1880. Consiste in una lettera scritta dall’autore ad una dama che era scappata da Aci Trezza perché annoiata dalla vita semplice condotta dalla gente del posto. La novella è importante perché rappresenta un ponte tra la produzione dell’autore romantico-scapigliata e quella verista.

L’autore e le opere

Giovanni Verga è uno dei più famosi scrittori dell’Ottocento italiano, oltre che il più importante della corrente del Verismo.

Egli nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri, si appassionò poi alla letteratura e si trasferì a Milano. Qui aderì al Verismo e decise poi di tornare nella sua città natale, dove morì nel 1922.

Per quanto riguarda la sua produzione, agli esordi egli scrisse soprattutto romanzi passionali e romantici come Una peccatrice e Storia di una capinera.

Intorno al 1874 si avvicinò al Verismo e scrisse le sue opere più famose: Nedda, Vita dei campi e Novelle rusticane (due raccolte di novelle sulla vita della povera gente siciliana), I Malavoglia e Mastro don Gesualdo che sono i suoi romanzi più famosi appartenenti al Ciclo dei Vinti (mai terminato).

Egli volle raccontare la realtà sociale della Sicilia, avendo come focus il mondo degli oppressi e degli umili (i vinti appunto), attraverso una narrazione impersonale e obiettiva.

Fantasticheria: la trama della novella

La novella ha la forma di una lettera scritta dall’autore per una nobildonna, probabilmente una sua amica, che decise di trasferirsi nel piccolo villaggio di Aci Trezza poiché era affascinata da questo mondo rurale e dal modo di vivere dei pescatori.

La sua permanenza continuò per circa un mese ma poi, una volta esaurite tutte le attività da fare nella cittadina, si scoprì annoiata e decise di tornare a casa, chiedendosi come si possa vivere tutta una vita lì.

Il narratore, per rispondere a questo interrogativo, inizia così un flashback in cui racconta le storie dei vari abitanti del luogo. C’è già un accenno a quasi tutti i personaggi che poi egli svilupperà nei Malavoglia, si trova infatti:

  • il vecchio padron ‘Ntoni (definito come il vecchietto al timone della barca),
  • la Longa,
  • ‘Ntoni,
  • Luca (cenno alla battaglia navale di Lissa),
  • Mena (descritta come la ragazza che faceva capolino dietro ai vasi di basilico in attesa del suo innamorato Alfio Mosca)
  • Lia (che finirà nella grande città e andrà in rovina).

Qui però non c’è il coro di voci rappresentato dagli abitanti ma un bozzetto dei personaggi e del mondo rurale in cui essi sono immersi. L’autore della lettera, dopo aver descritto i personaggi, afferma che il loro unico desiderio è quello di morire nel paesello proprio come l’ostrica che resta attaccata allo scoglio.

Conclude poi con la promessa che tratterà meglio di questo argomento e, in particolare, di chi viene allontanato dallo scoglio e vivrà poi il proprio personale dramma.

Spiegazione

Il testo è importante perché compaiono per la prima volta le basi per quella che sarà la stesura dei Malavoglia.

In particolare alcuni personaggi e la descrizione dell’ideale dell’ostrica, tematica fondamentale per l’autore: secondo lui infatti tutti quelli che non sono rimasti attaccati al loro scoglio cioè alle loro origini e alla loro condizione, anzi hanno provato a lanciarsi in nuovi progetti, sono destinati al fallimento.

Qui però il mondo rurale viene ancora idealizzato, non viene analizzato in maniera verista e disincantata, poiché appartiene a quella produzione ancora legata al periodo del tardo Romanticismo.

Manca anche la regressione, il narratore descrive infatti semplicemente il suo mondo. Questa novella, quindi, la si può accostare al mondo di Nedda e dei romanzi romantici e scapigliati.

Resta tuttavia un nodo fondamentale nella produzione dell’autore perché permette di comprendere il processo che ha portato alla stesura del Ciclo dei Vinti.

=> Leggi anche: la poetica di Verga e il Verismo <=

]]>
https://cultura.biografieonline.it/riassunto-fantasticheria/feed/ 0
Dal tuo al mio, opera di Giovanni Verga: riassunto e analisi storica https://cultura.biografieonline.it/dal-tuo-al-mio-verga/ https://cultura.biografieonline.it/dal-tuo-al-mio-verga/#respond Tue, 06 Nov 2018 08:40:41 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25370 La “roba” dal teatro alla narrativa: “Dal tuo al mio” è l’adattamento narrativo dell’omonimo dramma scritto da Giovanni Verga nel 1903. La storia in tre atti, divenuti tre capitoli, è apparsa a puntate sul periodico “Nuova antologia” nel 1905.

Dal tuo al mio - Giovanni Verga

Trama: ricchi e arricchiti in eterno conflitto

La storia narrata in “Dal tuo al mio” racconta il dramma negativo della famiglia Navarra e della loro zolfatara. Il nucleo famigliare è costituito dal Barone, vedovo, e dalle due figlie: Lisa e Nina. Il racconto si apre nel giorno del matrimonio, poi mancato, di Nina con il figlio di don Nunzio Rametto, lavoratore arricchito della miniera di Navarra.

La storia prosegue, battuta dopo battuta, a suon di conflitti sociali e di famiglia. Lisa, infatti, si innamora di un operaio, Luciano, al servizio di don Nunzio Rametto, assoldato per controllare il lavoro della zolfatara, in cui ha investito. La ragazza viene cacciata di casa e se ne perdono le tracce fino all’epilogo. Trascorso tragicamente un nuovo episodio in cui le parti – il Barone e Rametto – vogliono accordarsi rispetto al possesso della zolfatara, in un misto di debiti e accordi di dubbia giustezza, si alza il vento della rivolta.

I lavoratori, stanchi dei soprusi e soprattutto della paga indecorosa, infatti, entrano in sciopero.

Dal tuo al mio: il finale

Quando giungono alla porta del Barone, in casa c’è anche Lisa, accorsa ad avvertire il padre e la sorella dell’avvento dei riottosi. Solo sul finale, il Barone sembra arrendersi alla perdita della sua amata miniera e all’accordo con Rametto. Intanto è giunto in casa anche Luciano, ambasciatore degli minatori in rivolta, nonché genero rinnegato del padrone. Mentre i minatori avanzano, il bene economico viene messo almeno alla pari del futuro dei famigliari.

La pace venne poi naturalmente come il pericolo incalzava lì fuori, e li buttava fra le braccia l’uno dell’altro, stringendoli a difendere roba e vita. Luciano, primo allo sbaraglio sulla porta, disse risolutamente, mentre si udiva crescere e avvicinarsi il rumore della folla minacciosa:
– Via! Via di qua, vossignoria.
– Tu piuttosto! Pensa a tua moglie! Mettiti almeno al riparo, qui dietro al pilastro.-
In quella vera stretta d’ansia e di confusione, quando Sidoro, come un angelo dal cielo annunziò di lassù: “La forza! Ecco i soldati!”, padre e figli si strinsero nelle braccia gli uni degli altri, don Mondo, tornando da morte a vita, balbettando:
– Figli! Figli miei!

Brevi cenni storici: i Fasci siciliani

La figura di Luciano, al cui amore cede la figlia del padrone, Lisa, è ascrivibile al movimento dei Fasci siciliani.
Il movimento nacque il 1° maggio del 1891, a Catania, per volere di Giuseppe De Felice Giuffrida. Libertari, democratici e socialisti di ispirazione aderirono ai fasci, alla fine dell’Ottocento, sia il proletariato urbano che, poi, gli operai agricoli e i minatori (compresi gli zolfatari).

I Fasci siciliani dei lavoratori, delusi dall’innovazione che avrebbe dovuto far seguito all’Unità di Italia, lottarono per richiedere maggiore equità e finalmente il superamento del sistema di stampo feudale ancora vivo in Sicilia. In particolare, nelle richieste del movimento c’erano la riforma fiscale, la revisione dei patti agrari, per l’abolizione delle gabelle (imposte indirette su merci e scambi) e, infine, la redistribuzione delle terre.

Il movimento fu contrastato militarmente, con decine di morti, dal governo Giolitti e poi da quello di Francesco Crispi, sotto l’egida di Re Umberto I. La vicenda si concluse nel 1894 con lo scioglimento del movimento e l’arresto (più avanti mutato in amnistia) dei capi e dei responsabili del movimento.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/dal-tuo-al-mio-verga/feed/ 0
Cavalleria rusticana, novella di Verga (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/cavalleria-rusticana-verga/ https://cultura.biografieonline.it/cavalleria-rusticana-verga/#comments Sun, 05 Jun 2016 13:45:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18709 Uno dei testi più significativi scritto da Giovanni Verga è “Cavalleria rusticana“, appartenente alla prima raccolta di novelle intitolata “Vita dei campi” e pubblicata dall’editore Treves a Milano, nel 1880. La storia è ambientata a Vizzini, un paese siciliano, nel secondo Ottocento. I protagonisti del racconto ci fanno rivivere le loro storie e vicende umane provando sentimenti diversi come l’amore, la gelosia, l’invidia, il desiderio di vendetta e il dolore, adottando come metodo comunicativo un linguaggio definito “popolare”.

Cavalleria rusticana - Novella - Giovanni Verga - libro - riassunto
Cavalleria rusticana: la novella di Giovanni Verga è inclusa nell’opera “Vita dei campi“.

La prima parte del testo ha i connotati tipici della commedia, grazie ai dialoghi vivaci che seguono tra i vari protagonisti come quelli, ad esempio, tra Turiddu e la sua amata Lola, e quelli tra Turiddu e Santa.

La seconda parte della novella “Cavalleria rusticana“, invece, ha risvolti simili a quelli della tragedia. L’addio di Alfio alla sua amata Lola e il commovente addio di Turiddu che saluta per l’ultima volta la madre, fanno capire che, da lì a poco, accadrà quello che deve accadere, mettendo in evidenza il cosiddetto sentimento dell’onore e della vendetta, onte che, in quel periodo storico, venivano regolate con il coltello e con il sangue.

Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll’uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche.

Incipit di “Cavalleria Rusticana”

Cavalleria rusticana: riassunto della novella di Verga

Il romanzo è incentrato sulla vita di un contadino siciliano, figlio di Nunzia, che si chiama Turiddu Macca, tornato nel suo paese di Vizzini, che si sta preparando ad intraprendere il servizio militare.

Il giovane appartiene ad una famiglia poco agiata: la madre, infatti, è costretta a vendere la mula per garantire la sopravvivenza della stessa, ma attira su di sé l’attenzione di tutti per il suo modo di porsi e di atteggiarsi, sfoggiando la sua divisa da bersagliere ed in particolare il bellissimo cappello, icona unica e riconoscibile del corpo militare.

Turiddu, anche se viene lusingato da parecchie donne, ha occhi solo per la bella Lola, figlia del massaio Angelo. Tra loro, inizia un corteggiamento e poi l’amore e i due si fidanzano prima che lui parta per il servizio militare.

Durante la sua assenza, Lola però viene a conoscenza di un ricco carrettiere che si chiama Alfio, che riesce a rapire sentimentalmente la giovane donna. Dopo un lungo periodo di frequentazione con Alfio, Lola decide di cancellare definitivamente dalla sua vita il giovane Turiddu e di fidanzarsi con Alfio. Quando Turiddu, al suo ritorno, viene a sapere della notizia del fidanzamento di Lola cerca tutti i modi per riuscire a dimenticare la ragazza, ma senza riuscire ad ottenere il risultato sperato. Il colpo di grazia arriva quando Lola decide di convolare a nozze con Alfio, per poter anche godere di un tenore di vita migliore, visto il livello sociale più alto del suo prossimo sposo. A questo punto del racconto si evidenzia la svolta di vita che il giovane Turiddu deve affrontare. Ormai, apparentemente rassegnato ad aver perso definitivamente la sua Lola, è costretto a lavorare come guardiano delle terre, presso il vicino di casa di Alfio, ovvero Massaio Cola. Turiddu, roso dalla gelosia, studia un piano per vendicarsi di Lola.

L’uomo decide così di corteggiare la figlia del Massaio Cola, che si chiama Santa, dirimpettaia proprio di Alfio e Lola. Il giovane riesce così nel suo intento di far ingelosire Lola, senza preoccuparsi della povera Santa che si invaghisce di lui credendo nella sincerità dei suoi sentimenti. Lola, gelosa di Turiddu, studia un piano e decide di invitarlo a casa sua approfittando dell’assenza del marito Alfio. Tra i due, quasi inevitabilmente, scoppia la passione e Turiddu riesce a ottenere il suo scopo diventando ben presto l’amante di Lola. Si avvicina il periodo delle festività di Pasqua e Lola decide di confessarsi per non destare sospetti nella gente e per placare la preoccupazione nata in lei, dopo aver sognato una notte dell’uva nera che, secondo la tradizione popolare siciliana, significa guai in arrivo per la persona amata. Infatti, da lì a poco, Santa si accorge della tresca tra Turiddu e Lola e, sentendosi presa in giro, racconta tutta la vicenda dei due amanti al fratello Alfio, di ritorno da un viaggio di lavoro.

Finale di Cavalleria rusticana

Avuta la notizia, Alfio, accecato dagli istinti di rabbia, dapprima se la prende con la moglie Lola, poi va a cercare Turiddu, per sfidarlo a duello con lo scontro della resa dei conti, che naturalmente accetta, obbediente alle leggi della cavalleria del mondo contadino. Il giorno dopo, Turiddu si reca da sua madre per darle l’ultimo saluto, mentre Alfio fa capire a Lola quello che da lì a poco sta per accadere, il duello. Alfio e Turiddu si incontrano. I due si scambiano il “bacio della sfida” e iniziano a duellare, armati come insegna il codice, di solo coltello. Alfio, all’inizio del duello, sembra avere la peggio, ma poi riesce a riprendersi in extremis e infliggere la sua vendetta mortale a compare Turiddu, finendolo con una coltellata alla gola, riuscendo a dire sole le sue ultime parole prima di morire: “Ah, mamma mia!“. La vicenda si conclude, così, in modo tragico, con la morte di Turiddu tra i solitari fichi d’India della Canziria e, con quella coltellata, Alfio vendica non solo il suo amore ma anche il suo l’onore.

Giovanni Verga
Giovanni Verga

Commento all’opera

Cavalleria rusticana” ha riscosso un notevole successo sia di pubblico che di critica, grazie alle tematiche affrontate dallo scrittore, ovvero il dramma d’amore e di gelosia, che da sempre scatena e mette in luce i pensieri più profondi della mentalità popolare. Ma una altrettanto importante ed indelebile notorietà al romanzo venne portata dal compositore Pietro Mascagni, che scelse la trama del racconto come focus della sua opera e melodramma omonima che andò in scena, per la prima volta, a Roma al teatro Costanzi, nel 1890, risultando essere poi la più nota fra le sedici opere composte dal compositore livornese.

Verga decise però di far causa al musicista e all’editore per far valere i propri diritti d’autore. Il processo terminò con la vittoria di Verga, che ottenne a titolo di rimborso la considerevole somma di 143.000 lire.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/cavalleria-rusticana-verga/feed/ 2
Storia di una capinera: riassunto ed analisi https://cultura.biografieonline.it/storia-capinera-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/storia-capinera-riassunto/#comments Fri, 04 Apr 2014 15:37:53 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10305 Il romanzo Storia di una capinera, rappresenta una tappa essenziale nel percorso narrativo dell’autore Giovanni Verga. L’opera, edita dapprima a puntate sotto forma di rivista sul giornale di mode “ La ricamatrice” e solo successivamente in volume nel 1871, narra la storia di Maria, giovane siciliana, orfana di madre che, suo malgrado, viene costretta a ritirarsi a vita monastica in un convento di clausura catanese. La monacazione forzata era, all’epoca del Verga, assai diffusa.

Storia di una capinera (1871)
Storia di una capinera: una copertina del romanzo e un’illustrazione con il volto dell’autore, Giovanni Verga

La tematica poteva dare all’autore la possibilità di approfondire l’analisi della società e dell’economia del suo tempo; in realtà Verga preferisce focalizzare il suo interesse sulla figura femminile della protagonista, indagando e dando largo spazio alle sue fragilità ed ai suoi sentimenti più intimi.

Riassunto

Il libro inizia con una pagina introduttiva in cui l’autore spiega le ragioni che l’hanno spinto a scegliere proprio quel titolo per la sua opera: “Storia di una capinera” poiché la protagonista Maria, chiusa dalla famiglia in un convento, proprio come una capinera rinchiusa in una gabbia, morirà di dolore e malinconia rimpiangendo la perduta libertà.

Maria, entrata in convento ad appena sette anni, in seguito alla scomparsa della madre, è una novizia destinata per volere della famiglia a vita monacale.

La vicenda ha sullo sfondo Monte Ilice; è proprio lì che la famiglia di Maria (il padre, la seconda moglie, sposata dopo la morte della madre di Maria, ed i loro figli, Giuditta e Gigi) si è rifugiata per proteggersi dall’epidemia di colera.

Per evitare il pericolo di contagio anche Maria verrà temporaneamente allontanata dal convento: ormai diciannovenne la novizia lascerà per la prima volta la clausura per trasferirsi in campagna dove la sua famiglia ha una piccola residenza.

Trattandosi di un romanzo epistolare, la vicenda si prospetta al lettore sotto forma di lettere che Maria scrive a Marianna, consorella ed amica.

Nelle prime epistole Maria si scopre felice, spensierata ed entusiasta di poter godere finalmente a pieno della bellezza della natura.

Le giornate della giovare scorrono tra allegre corse nei prati e vivaci visite alla famiglia Valentini ed ai loro due figli, Annetta e Nino.

La felicità di Maria per la ritrovata libertà, nei primi tempi, va di pari passo ad un senso di inadeguatezza e disagio per una vita mondana cui non è abituata: ha paura di ballare, di essere guardata ed arrossisce ad ogni parola.

Un po’ alla volta, però, Maria abbandona tutte le sue inquietudini e comincia ad apprezzare la vita fuori dal convento che le sembra sempre più piacevole, piena di meravigliose sensazioni e di emozioni nuove ed inaspettate come l’amore casto per Nino, vicino di casa.

Anche Nino si innamora di Maria; la sua ingenuità e la sua disarmante naturalezza a poco a poco lo conquistano. Così tra i due scoppia l’amore: un amore fatto solo di sorrisi, silenzi e sguardi rapiti. Un amore, però, contrastato dalle famiglie perché per Maria (il cui patrimonio è già stato riservato ai figli di secondo letto del padre!) non è contemplato altro destino che il convento.

Maria scrive a Marianna della sua attrazione per Nino ma non trova dentro di sé la forza di disubbidire ad una famiglia che la vuole rinchiusa. Si scatenano così dentro la ragazza sensi di colpa ed una inquietudine che la porteranno ad ammalarsi ed a chiudersi in se stessa. La matrigna di Maria, accortasi dello stato d’animo della giovane, cercherà di accentuare tale isolamento escludendola da ogni occasione di gioco, festa ed incontro e soprattutto da ogni opportunità di vedere Nino.

A Maria rimarranno solo le lettere all’amica Marianna cui si aggrapperà con tutta se stessa riversando nelle epistole la sua disperazione per un destino che la vede tormentata e divisa tra un futuro in convento ed il desiderio di amare e di essere amata da Nino.

I due ragazzi, però, verranno definitivamente divisi, i loro familiari faranno in modo che non si vedano più e Maria, sempre più malata, non incontrerà mai più il suo Nino.

Nel frattempo il pericolo epidemia scompare, la famiglia Valentini torna a Catania ed anche Maria ritorna al convento catanese per prendere in modo definitivo il velo. Al contrario, la sua amica di penna Marianna, resterà presso la famiglia, lasciando per sempre il convento.

Nei primi tempi di ritorno alla vita monastica Maria sembra essersi tranquillizzata e pacificata con Dio; la ragazza cerca di convincersi che il sentimento per Nino altro non era se non un peccato da dimenticare.

Un tentativo inutile perché Maria avrà presto la consapevolezza che nulla sarà mai più come prima dentro di lei: il suo cuore e la sua testa non riescono a scordarsi di Nino a tal punto che Maria si sentirà impazzire non appena le verrà comunicato che l’amato ed indimenticato Nino sposerà la sua sorellastra Giuditta.

La vita monastica della giovane frattanto procede e la porta alla pronuncia dei voti definitivi, ma ciò non farà altro che amplificare la sua sofferenza. Nino e la sorellastra di Maria, dopo il matrimonio, andranno a vivere molto vicino al convento, tanto che Maria potrà addirittura spiare il suo amore dalle mura del monastero.

L’impossibilità di congiungersi a Nino e l’impossibilità di godere pienamente della vita finiranno per far odiare alla ormai disperata Maria la vita monastica e per renderla completamente pazza. Maria, terrorizzata al pensiero di essere rinchiusa nella cella delle folli con la consorella Agata (che ci sta già da molto tempo), alla fine vi verrà rinchiusa, e lì consumata dal dolore e dai rimpianti morirà lentamente di disperazione e pazzia. I suoi ultimi pensieri saranno ancora per il suo Nino

Finale

La narrazione di Storia di una capinera finisce con una lettera scritta da suor Filomena a Marianna, amica epistolare di Maria.

Nell’epistola Filomena racconta gli ultimi momenti della vita di Maria e le sue ultime volontà: quelle di far recapitare un piccolo involucro contenente un crocifisso d’argento, una ciocca di capelli e alcune foglie di rosa da donare a Nino dopo la sua morte.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/storia-capinera-riassunto/feed/ 2
Rosso Malpelo (di Giovanni Verga): riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/rosso-malpelo/ https://cultura.biografieonline.it/rosso-malpelo/#comments Wed, 11 Dec 2013 20:25:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8927 Il racconto di Giovanni Verga dal titolo Rosso Malpelo viene pubblicato per la prima volta nel 1878 e riunito in “Vita dei Campi” nel 1880. Fa parte di una raccolta di novelle che accorpa testi scritti dal 1878 al 1880 aventi come protagonisti personaggi delle realtà più umili della società siciliana dove domina il latifondo.

Rosso Malpelo
Rosso Malpelo è una delle novelle più celebri di Giovanni Verga

I protagonisti sono persone di bassa estrazione sociale, costretti ogni giorno a lottare per conquistare il proprio posto nel mondo. La grande novità lanciata da Verga con questi racconti è che i personaggi parlano in prima persona, egli utilizza infatti il discorso indiretto libero, lasciando inespresso il suo giudizio di narratore. Inizia con questi racconti infatti la grande rivoluzione del Verismo italiano che continuerà per tutta la fine dell’Ottocento.

Un tema preponderante della raccolta è l’esclusione dalla società, la diversità dei protagonisti. Emblematico è infatti il caso di Rosso Malpelo, la prima novella della raccolta. È un ragazzo la cui caratteristica è quella di avere i capelli rossi e per questo diventa la vittima della società che ha da sempre creduto alla triste superstizione che vede in queste persone portatori di sfortuna. Egli è quindi perseguito socialmente.

La voce narrante è quella della popolazione che lo vede come persona cattiva solo per il suo aspetto fisico. Il punto di vista dell’autore però alla fine emerge lo stesso per far capire che Rosso non è veramente cattivo come si pensa. C’è però un contrasto tra la voce narrante popolare e il punto di vista dell’autore che produce un effetto di straniamento.

La storia è quella di un ragazzo che lavora in una cava di rena in Sicilia. All’inizio viene protetto dal padre contro le dicerie della gente ma alla sua morte è costretto a cavarsela da solo anche perché la madre si risposa così come la sorella. Rosso però assimila tutto quello che ha imparato e lo insegna al suo unico amico chiamato Ranocchio. Anche lui muore e Rosso distrutto dal dolore accetta di andare ad esplorare una nuova galleria per la cava. Da questo viaggio non farà più ritorno.

Il racconto inizia con queste parole:

Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre col sentirgli dir sempre a quel modo aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.

Rosso Malpelo è un racconto crudo e terribile ma che vale la pena leggere in quanto mostra una realtà rovesciata in cui è strano ciò che invece dovrebbe essere normale, come per esempio l’amore. Domina la violenza dei forti sui deboli e che si abbatte sul protagonista attraverso la persecuzione della comunità. Rosso però a differenza dei molti ha il coraggio di guardare in faccia la realtà violenta in cui vive e si batte contro le sue leggi spietate. Odia gli ipocriti e rimane sempre coerente con se stesso e il suo modo di vivere, fino in fondo.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/rosso-malpelo/feed/ 1
La poetica di Giovanni Verga e il Verismo https://cultura.biografieonline.it/verga-poetica/ https://cultura.biografieonline.it/verga-poetica/#comments Sat, 30 Nov 2013 15:54:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8872 Prima di accostarsi alla poetica del Verismo, Giovanni Verga si rifà alla narrativa italiana ottocentesca. Mentre nelle sue prime opere: I carbonari della montagna e Sulle lagune segue i moduli del romanzo storico, in Una peccatrice, Storia d’una Capinera, Tigre reale, Eva, Eros, è legato al tardo romanticismo e alla Scapigliatura. Il contenuto di questi romanzi è di tipo erotico e passionale. L’ambiente è quello di una vita borghese elegante, che nell’amore cerca un diversivo e una romantica evasione dalla routine, verso un mondo di sensazioni nuove e grandi, anche se, alla fine, cade nell’angoscia della passione disillusa.

Giovanni Verga, esponente del Verismo
Giovanni Verga e la poetica del Verismo

La poetica di Giovanni Verga e il Verismo

I personaggi e le vicende narrate romanticamente aristocratiche sono immersi in un ambiente quotidiano, rappresentato in maniera realistica.  In questi romanzi troviamo un senso di fatalità oscura, un pessimismo dolorante che sarà anche nelle opere maggiori, e lo stile ancora provvisorio, anti-accademico, attento ai particolari delle cose, più che alle parole. I migliori, tra questi romanzi, sono Storia d’una Capinera ed Eva.

Il primo racconta la storia di una giovane costretta dalla famiglia a farsi monaca. La ragazza si innamora, ma la famiglia si oppone e lei impazzisce e muore di tisi, tra le mura tenebrose del convento. Il secondo racconta, invece, della passione di Enrico Lantieri per la ballerina Eva. Una passione che si conclude con l’abbandonato da parte dell’amante, e che conduce il giovane a morire di tisi e di passione per la Sicilia, sua terra nativa.

Anche qui, accanto agli elementi ultraromantici (come in Storia di una Capinera), c’è un brillante realismo nell’analisi psicologica di Eva e nella riflessione della motivazione economica che incide in modo importante sulla vicenda sentimentale. Si arriva all’approdo del Verismo da parte di Verga con la novella Nedda, che rappresenta l’inizio della sua “conversione” letteraria.

La novella racconta una storia di miseria e di sfortuna: Nedda, è una giovane bracciante siciliana, che lavora duramente per mantenere la madre malata. Dopo la morte della madre, si innamora di un giovane povero come lei, Janu, ma il giovane muore prima di poterla sposare. Come pure muore di stenti la bimba nata dal loro rapporto. La novità di questa novella è che non c’è da parte dell’autore un’intrusione soggettiva, ma si tratta di un’arte oggettiva, che lascia parlare le cose.

È questo un motivo tipicamente veristico, come lo è l’adesione al mondo della plebe, dei diseredati sfruttati e tragicamente rassegnati al loro destino di sofferenza. Il Verga passa ora a romanzi con personaggi comuni, immersi in un ambiente definito con dettaglio realistico, che vivono e soffrono la tragica lotta per la vita. Questo mondo crudele, che non è nato dalle costruzioni di una fantasia romantica, ma di passioni elementari, di storie vere è rappresentato in tutte le opere maggiori del Verga: raccolta di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane, nei romanzi I Malavoglia e Mastro don Gesualdo.

Con la poetica di Giovanni Verga e il Verismo, l’autore  ritrova la verità reale della vita e riesce a rappresentarla senza intrusioni autobiografiche e soggettive. Il Verga sentiva che il progresso inesorabile della specie era costruito sull’infelicità della persona. Da qui il suo tragico sentimento della vita e la compassione per i vinti, cioè per tutti gli uomini condannati al dolore e alla morte e la loro rassegnazione eroica.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/verga-poetica/feed/ 7
Mastro don Gesualdo: riassunto https://cultura.biografieonline.it/riassunto-mastro-don-gesualdo-verga/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-mastro-don-gesualdo-verga/#comments Wed, 20 Nov 2013 11:16:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8614 Il romanzo Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga è stato pubblicato nel 1889. Ad eccezione della morte di Gesualdo, che si svolge a Palermo, tutto il romanzo si svolge a Vizzini (in Sicilia) e nelle sue campagne, negli anni compresi tra il 1820 e il 1850. In Mastro-don Gesualdo il Verga racconta la storia di un ex muratore, Gesualdo Motta, che con il suo lavoro riesce ad arricchirsi.

Mastro Don Gesualdo
Una copertina e una pagina tratta dal romanzo di Giovanni Verga, Mastro Don Gesualdo

Al Mastro, tuttavia, non basta la potenza economica: mira, infatti, ad elevarsi socialmente. Per questo motivo sposa Bianca Trao, una nobile decaduta. La donna ha avuto una relazione amorosa col cugino Ninì Rubiera ed è stata lasciata perché la madre di lui, la baronessa Rubiera, si è opposta al matrimonio riparatore. Il matrimonio con Bianca però non porta a mastro, diventato don, la soddisfazione sperata. Egli, infatti, si sente escluso dal mondo della plebe dal quale proviene e si sente escluso anche dal mondo aristocratico, che lo considera un intruso. Per la plebe è diventato un “don”, per gli aristocratici rimane un “mastro”. Il dolore maggiore per l’uomo, però è nel non sentirsi amato né dalla moglie né dalla figlia Isabella, che è nata dalla relazione della madre con Ninì Rubiera.

Tuttavia poco importa a Mastro don Gesualdo, che fa educare la figlia in un collegio di nobili e la vizia come se fosse sua figlia, accontentandola in tutti i suoi desideri. Tra i due si verifica lo scontro, quando la ragazza si innamora del cugino Corrado La Gurna: mastro don Gesualdo si oppone e le fa sposare un nobile palermitano, Alvaro Filippo Maria Ferdinando Gargantes, duca di Leyra. Mastro don Gesualdo perde la moglie, morta di tisi, e lascia il paese (Vizzini, paese originario del Verga) a causa dei moti del 1848 ed essendosi ammalato di cancro va a vivere a casa della figlia, dove assiste allo scempio delle proprie ricchezze.

Immagine del volto di Giovanni Verga
Giovanni Verga

Finale

La morte di mastro don Gesualdo è l’episodio conclusivo del romanzo e racchiude tutto il pessimismo di Giovanni Verga. Mastro don Gesualdo sa della sua malattia e vuole fare testamento, ma il genero – per paura di perdere l’eredità – rimanda di volta in volta l’incontro con il notaio. Gesualdo, che vorrebbe lasciare in eredità qualcosa ai figli illegittimi avuti prima del matrimonio, manda a chiamare la figlia.

L’uomo parla con la figlia e la esorta a non sperperare le ricchezze che lui ha ottenuto con grande sacrificio. A questa raccomandazione ne segue un’altra: esorta la figlia a compiere lei il dovere di lui nel lasciare qualcosa ai fratelli (figli illegittimi di lui).

Durante il colloquio con la figlia, egli la sente lontana, distratta, ostile, come se fosse fatta di un’altra pasta, quella della famiglia della moglie defunta. A questo punto mastro don Gesualdo si arrende e non aggiunge più nulla. Le chiede di chiamare il prete. Dopo qualche giorno di agonia, assistito nella foresteria del palazzo da un servo poco premuroso, muore da solo. E non solo: dopo la sua morte viene deriso dai servi, che fanno dell’ironia osservando le sue mani grosse, segno di umili origini, e la fortuna che ha avuto di morire nella battista (tela finissima di lino).

Anche mastro don Gesualdo è un vinto, che paga lo scotto per l’ambizione di essere voluto uscire dall’ambiente in cui il destino lo aveva fatto nascere. Socialmente il romanzo rappresenta la borghesia in ascesa di nuova formazione, avida e ambiziosa, simboleggiata da mastro don Gesualdo, e le vecchie aristocrazie in declino, simboleggiate dai Trao.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/riassunto-mastro-don-gesualdo-verga/feed/ 2
I Malavoglia: riassunto https://cultura.biografieonline.it/verga-malavoglia/ https://cultura.biografieonline.it/verga-malavoglia/#comments Wed, 13 Nov 2013 20:54:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8494 Il romanzo “I Malavoglia”, uno dei lavori più celebri e noti, di Giovanni Verga fu pubblicato nel 1881. L’opera è preceduta da una breve dichiarazione programmatica sul verismo, con l’annuncio che al primo seguiranno altri quattro romanzi, che formeranno un ciclo dal titolo “I vinti”. Segue la storia della famiglia di pescatori, i Toscano, detti i Malavoglia.

I Malavoglia - libro - riassunto
Ambientato in Sicilia, I Malavoglia è il romanzo più rappresentativo del verismo italiano

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere…

[I Malavoglia, Incipit]

I Malavoglia: riassunto e trama

La famiglia è composta dal nonno padron ‘Ntoni, dal figlio Bastianazzo con la moglie Maruzza (detta la Longa) e da cinque nipoti: ‘Ntoni di vent’ anni, Luca, Mena detta Sant’Agata, Alessi e Lia. Il patrimonio della famiglia è costituito da una barca, chiamata “La Provvidenza”, e dalla casa del “Nespolo”, così chiamata per il nespolo che le cresceva accanto.

L’azione è ambientata in Sicilia ad Aci Trezza, a pochi chilometri da Catania. Le vicende si svolgono nei primi anni dell’unità d’Italia, tra il 1863 e il 1876.

Patron ‘Ntoni, per migliorare la condizione economica della famiglia, acquista a credito dallo zio Crocifisso, detto campana di legno, che fa l’usuraio, un carico di lupini, che Bastianazzo carica sulla Provvidenza per venderli a Riposto. Tuttavia, durante il tragitto, una tempesta provoca la perdita del carico e la morte di Bastianazzo.

Dopo la morte del figlio, seguono altre disgrazie: la morte di Luca nella battaglia di Lissa, la morte di Maruzza per il colera, la perdita della casa del Nespolo per l’insolvenza del debito. ‘Ntoni, tornato dal servizio militare, si unisce ad un gruppo di contrabbandieri e ferisce a coltellate il brigadiere don Michele, che lo ha sorpreso in flagrante. Processato, per alleggerire la posizione di ‘Ntoni, l’avvocato afferma che si è trattato di una questione d’onore: don Michele se la intendeva con la sorella Lia.

Foto Giovanni Verga
Giovanni Verga in un’illustrazione

L’imputato viene condannato a cinque anni di carcere, mentre Lia sconvolta dalle chiacchiere del paese, e presa dal senso di colpevolezza nei confronti del fratello, scappa e si perderà. Così padron ‘Ntoni, per il dolore, si ammala e muore. Intanto Alessi sposa la Nunziata e riesce a riscattare la casa del nespolo, dove va ad abitare con la sorella Mena, che si rifiuta di sposare compar Alfio. Quando ‘Ntoni ritorna dal carcere, si sente colpevole di aver provocato la rovina della famiglia. Questo non gli permette di restare e così va via per sempre. L’addio di ‘Ntoni è l’episodio conclusivo dei Malavoglia.

L’azione dei personaggi principali è poi fittamente intrecciata con una serie di personaggi minori, che sono i volti e le voci corali dell’intero piccolo paese, diseredato nella sua tragica condizione di miseria e di isolamento.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/verga-malavoglia/feed/ 5
Intervista a Vittoria Coppola https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-vittoria-coppola/ https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-vittoria-coppola/#respond Fri, 09 Mar 2012 12:26:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=941 Vittoria Coppola. Ventisei anni, leccese, laureata in Lingue e Letterature Straniere, ha visto cambiare la sua vita, dal punto di vista letterario e professionale, quando la redazione del Tg1 del format “Billy”, dedicato ai libri, ha eletto all’interno del proprio concorso il suo romanzo, “Gli occhi di mia madre” (Lupo Editore), come il più bello della stagione 2011. Ad influire in modo determinante per quanto riguarda la diffusione della sua opera, è stato senza dubbio il web, grazie al passaparola su Facebook e ai vari siti e blog che si occupano di letteratura emergente, ben lontani dai salotti televisivi ma molto più aggiornati e versati tra le nuove promesse letterarie italiane. Fino a qualche mese prima, Vittoria lavorava come receptionist in un albergo dei dintorni di Gallipoli, dedicandosi alla scrittura, sua grande passione, esclusivamente nei momenti liberi dal lavoro. Intervistata, ha raccontato la sua piccola favola letteraria e le sue aspettative dopo il successo ottenuto grazie al premio del Tg1.

Innanzitutto da dove nasce l’esigenza di raccontare questa storia e come mai hai preferito per il tuo romanzo ambientazioni così lontane da quelle da cui provieni, sia dal punto di vista temporale che spaziale?

La storia nasce istintivamente. Tuttavia, credo che sia anche il frutto di un’attenta osservazione di ciò che mi circonda. La stessa ambientazione temporale, fissata negli anni ’70, può essere attualizzata facilmente, grazie alle vicende narrate. Non ho scelto invece il Salento, da cui provengo, esclusivamente perché in questo momento sto usando la letteratura soprattutto per creare il sogno, come può essere l’ambientare una storia a Parigi, così lontana da me. Ora è il momento di fantasticare.

Quali sensazioni hai provato durante l’evoluzione che ti ha portato dallo scrivere di straforo, durante il tuo mestiere di receptionist, a ricevere un premio nazionale così importante?

Il concorso del Tg1 è stato un dono del cielo, vero e proprio. Il romanzo è stato scoperto per caso, in una pagina dedicata ai libri, sulla rete. Dopo però, il libro si è fatto avanti da solo, ha suscitato delle emozioni in un giornalista del Tg1, della redazione di Billy, il quale ha deciso di premiarlo con il titolo di “migliore scoperta letteraria della rete”. Dopodiché, il romanzo è stato inserito all’interno di questo concorso attivo da cinque anni e da lì, è arrivato il premio. L’iter è stato lungo ed emozionante, ma è andata bene alla fine.

Quanto è stata importante la rete per la tua affermazione?

La rete è fondamentale. Tra l’altro internet, se utilizzato come promozione della cultura, può essere un mezzo immediato e molto, molto potente, come lo è stato nel mio caso. Ho cominciato questa storia tra il 2009 e il 2010: ho delineato i personaggi, di notte, e ho scritto la storia, questo di giorno. È così che lavoro. Solitamente, dedico tempo alla scrittura soprattutto d’inverno, per poi, a partire da maggio, impegnare tutto il mio tempo nella promozione, inviando il materiale alle varie case editrici, cosa che ho fatto anche per questo libro.

I tuoi modelli letterari?

Ti posso dire sicuramente i libri che mi hanno emozionato di più. Il primo si intitola “Da quando non ci sei”, di Louise Candlish, una storia che ha lasciato proprio il segno dentro di me. Il secondo è “La ragazza di carta”, molto bello, di Guillaume Musso. E poi c’è “Storia di una capinera”, di Verga, e “Il tempo di Daisy”, di Sue Miller, che è uno dei libri che ho letto mentre scrivevo il romanzo.

È l’inizio di una brillante carriera letteraria? Ti ci butterai in tutto e per tutto?

Sì, assolutamente. Spero di arrivare un giorno a fare solo la scrittrice nella vita, anche se so che è molto difficile. Sicuramente continuerò a scrivere, anche se dovrò alternarlo al mio lavoro, almeno agli inizi.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-vittoria-coppola/feed/ 0