Firenze Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 29 Aug 2024 14:25:32 +0000 it-IT hourly 1 Nascita di Venere: spiegazione e interpretazione dell’opera di Botticelli https://cultura.biografieonline.it/venere-botticelli/ https://cultura.biografieonline.it/venere-botticelli/#comments Thu, 29 Aug 2024 13:11:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17241 Se il concetto di bellezza è per sua natura mutevole e indefinibile, nel tempo risiede l’antidoto che impedisce alla beltà espressa nell’arte di invecchiare e tramutarsi in una lode effimera. La Venere, realizzata da Sandro Botticelli tra il 1482 e il 1485, tracciò con i suoi lunghi capelli e le longilinee gambe affusolate, l’inizio di un periodo glorioso per l’arte italiana, connotando il canone di una bellezza eternamente fulgente e proclamando un’innovazione in pieno spirito rinascimentale. Realizzata per la famiglia de’ Medici, la “Nascita di Venere“, sviluppò in se stessa gli ideali classici che, nel risveglio nell'”humana conscientia“, ritornarono a popolare le tele dei migliori pittori di corte italiani ed europei.

Nascita di Venere (Venere di Botticelli, Birth of Venus)
La “Nascita di Venere” (1482-1485, opera spesso indicata anche come “Venere di Botticelli“) è un dipinto a tempera su tela di lino (172 cm × 278 cm) esposto agli Uffizi di Firenze. Per bellezza, intensità, poesia e notorietà, è di fatto un’opera simbolo per l’intera epoca del Rinascimento.

Per chi fosse interessato ad ammirare in una sola immagine ciò che sotto il nome di Rinascimento riempie libri interi, può concedersi il lusso di un contatto diretto con la storia della Firenze rinascimentale visitando la Galleria degli Uffizi.

Nascita di Venere: analisi dell’opera con note tecniche e descrittive

Dalla pelle chiara e dai lunghi capelli dorati, Venere sorse dalle acque schiumose di un mare sconosciuto e, nascondendo con la folta chioma divina le pudiche membra, si eresse misteriosa e timida nella sua identità mitologica e manchevole di ogni umana volgarità.
Nell’immagine surreale e pagana di una vita che scorga da una conchiglia, dal cielo piovono rose, generate, secondo la leggenda, dal mite vento primaverile.

La neonata Venere si esibisce timorosamente al mondo e reggendosi su unico piede, contribuisce alla messa in scena del concetto classico di “contrapposto”, con spalle e gambe ruotate rispetto al busto, espediente che conferisce un portamento più sciolto e rilassato.
Il valore classico della pudicizia è rimarcato dalla giovane donna che, avvolta nello splendido abito ricamato a fiordalisi, soccorre la Venere con un mantello quasi a voler a proteggere universalmente il senso del pudore.

La fanciulla che arriva dalla riva è un’Ora (custode dell’Olimpo) e viene in questo caso rappresentata dal Botticelli senza le altre sorelle, innovando e contrastando la versione proposta dalla letteratura mitologica. La giovane donna è cinta al petto da un tralcio di rose identico a quello presente nella “Primavera“, con uno scollo abbellito da ghirlande di mirto, la pianta sacra a Venere.

La Primavera di Botticelli
Primavera (Sandro Botticelli, 1482 circa) – Tempera su tavola, dipinto per la villa medicea di Castello. Conservata a Firenze, nella Galleria degli Uffizi – E’ possibile notare le somiglianze dell’abito della figura femminile sulla destra, cinto di fiori, con la Nascita di Venere.

Il drappo si apre ad accogliere il corpo nudo e tenero della dea; si tratta di un mantello regale dalla lucente e preziosa bellezza della seta vermiglia, ricamata con sottili e raffinati decori floreali.

Mentre Zefiro, Brezza – in alcuni casi identificata con la ninfa Clori, la futura sposa di Zefiro – e l’Ora rivolgono i propri sguardi verso Venere, questa si offre sottomessa alla vista dell’osservatore; gli occhi languidi dalle pupille dilatate e la testa reclinata si oppongono alla tradizionale vocazione classica che invece permea il resto della composizione pittorica.
Gli occhi velati di una triste malinconia, come molti degli altri elementi estremamente naturalistici, elargiscono alla tela fiorentina un’armoniosa bellezza e una potente simbologia.

Un dettaglio della Nascita di Venere (Venere di Botticelli)
Un dettaglio del quadro: i volti e gli sguardi di Zefiro, Brezza (o Clori), e la Venere di Botticelli

Nella rappresentazione di una nascita sovrumana dalle origini violente e divine, Botticelli considerò l’archetipo della “Venere pudica” e della “Afrodite anadyomenē” di echi notoriamente classicheggianti.

Dal punto di vista tecnico Botticelli si servì, inconsuetamente per l’epoca, di una tela di lino su cui stendendo un’imprimitura a base di gesso accorse all’uso di una tempera magra, sperimentando sia l’uso della tecnica a pennello che a “missione”.

Nascita di Venere: la genesi dell’opera

Risulta grandemente difficoltoso definire con certezza, in modo definitivo e approfondito, la storia di questo straordinario capolavoro. Vasari citò per la prima volta l’opera botticelliana nel 1550: la “Nascita di Venere” era collocata nella Villa di Castello del Duca Cosimo dove

“due quadri figuranti, l’un, Venere che nasce, e quelle aure e venti che fanno venire in terra con gli Amori; e così un’altra Venere, che le Grazie la fioriscono, dinotando la primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse” (VASARI).

La Venere di Poliziano incontra la Venere di Botticelli

Angelo Poliziano (1454-1494) nell’opera incompiuta conosciuta come “Stanze de messer Angelo Poliziano cominciate per la giostra del magnifico Giuliano di Pietro de Medici” (1475) anticipava di qualche anno il tema classico e mitologico dell'”Afrodite anadyomenē” (Ἀφροδίτη Ἀναδυομένη, nascente dal mare), ripreso dal Botticelli solo nel 1482, si profilò come il più adeguato a racchiudere lo spirito del proprio tempo, divenendo, di fatti, l’emblema del primo Rinascimento fiorentino.

Vale la pena riportare un breve estratto dell’opera nella quale Poliziano, sposando l’oraziano “Ut pictura poësis”, redige con delle pennellate fatte di poesia il Regno di Venere, quello che Botticelli (1445-1510) renderà in sinfonie di colori e profumate atmosfere:

“Al regno ov’ogni Grazia si diletta,
ove Biltà di fiori al crin fa brolo,
ove tutto lascivo, drieto a Flora,
Zefiro vola e la verde erba infiora.”
(Poliziano, Il Regno di Venere, Stanza 68)

Simonetta Vespucci: la musa botticelliana

Che cosa induce la nascita di un capolavoro? L’ispirazione spesso fluisce dai più alti emisferi del pensiero umano, intrecciandosi con gli ideali e spesso ricondotta in una forma visibile grazie alla “divina” mano dell’artista. Scultori e pittori rendono visibile l’invisibile, tramutando gli ideali in simbologie e le simbologie in forme e colori.

Quando l’inteligentia è toccata dal mirabile spirito dell’amore, che già di per sé è una forma d’arte, il merito dell’artista è semplicemente quello di aver prestato alla sua arte la bellezza di un volto già esistente.

È questo il caso di Simonetta Vespucci (1453-1476), musa ispiratrice di Botticelli, che inondò di ammirazione i cuori di chi ebbe la fortuna di incontrarla, tanto da prestare i suoi bei connotati alla sposa di Efesto, Venere.

La Vespucci fu l’amante di Giuliano de’ Medici nel segno di un’immagine simbolo di ciò che nell’ideale collettivo incarna il Rinascimento, ma al di là di Botticelli, Simonetta, ispirò opere teatrali e musicali, serbando per sempre la sua giovane anima nel cuore dell’arte e di chi l’amò.

Il dettaglio del viso della Venere di Botticelli
Foto dettagliata del volto poetico della Nascita di Venere, dipinto dalle sapienti mani Sandro Botticelli

Note bibliografiche

  • G. Lazzi, Simonetta Vespucci: la nascita della venere fiorentina, Polistampa, Firenze, 2010
  • E. L. Buchoholz, G. BÜhler, K. Hille, S. Kaeppelle, I. Stotland, Storia dell’arte, Touring Editore, Milano, 2012
  • G. Vasari, Le opere di Giorgio Vasari pittore e architetto aretino, Davide Passigli e soci, Firenze, 1832-2838
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Sagrestia Nuova e tombe medicee: il significato delle sculture di Michelangelo https://cultura.biografieonline.it/firenze-sagrestia-nuova/ https://cultura.biografieonline.it/firenze-sagrestia-nuova/#comments Fri, 18 Nov 2022 07:47:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9287 Alla morte di Giulio II, nel 1513, viene eletto papa, col nome di Leone X, Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. Egli, che dal padre ha ereditato l’inclinazione per le arti e l’intuito nella scelta degli artisti, rivolge la sua attenzione al completamento di quelle opere fiorentine iniziate per volontà del padre o del bisnonno Cosimo e, per varie ragioni, rimaste interrotte.

Sagrestia nuova - scultura di Michelangelo
Dettaglio di una delle sculture di Michelangelo, presenti nella Sagrestia nuova a Firenze (Basilica di San Lorenzo, 1525 circa)

Sagrestia Nuova e basilica di San Lorenzo

Tra queste c’è la Basilica di San Lorenzo, progettata da Filippo Brunelleschi, costruita in gran parte dopo la morte dell’architetto e rimasta senza facciata. Così del problema si occupa Michelangelo Buonarroti che, nel 1518, firma il contratto per la realizzazione della facciata, dopo essere giunto, con successivi studi, all’elaborazione del progetto definitivo, purtroppo mai eseguito, forse perché troppo complesso.

Nel 1520 il contratto per la facciata di San Lorenzo veniva sciolto; subito dopo l’artista attende alla creazione di una cappella annessa alla stessa Basilica, voluta anche questa da papa Leone X.

Lo scopo è quello di accogliere le tombe del fratello Giuliano duca di Nemours, del nipote Lorenzo duca d’Urbino, del padre Lorenzo il Magnifico e dello zio Giuliano.

La cappella sorse accanto al transetto destro, di fronte e in corrispondenza esatta della Sagrestia di Brunelleschi; completa così, armonicamente, la pianta della chiesa – quindi di misure e forme identiche.

Fu detta per questo motivo Sagrestia Nuova.

Michelangelo: Sagrestia nuova. San Lorenzo (Firenze)
Firenze, Basilica di San Lorenzo: la “Sagrestia nuova”, di Michelangelo Buonarroti

La Sagrestia Nuova tra Brunelleschi e Michelangelo

La Sagrestia Nuova rispecchia, nell’interno, alcune caratteristiche brunelleschiane: strutture architettoniche in pietra contro il fondo chiaro. Ma le analogie sono solo apparenti.

  • In Brunelleschi la pietra “serena” ha la funzione di definire geometricamente la forma e lo spazio mediante la prospettiva lineare.
  • In Michelangelo il grigio della pietra determina il risalto contro il piano d’appoggio.

Lo spazio è diviso orizzontalmente da cornici in vani sovrapposti: il vano superiore ha finestre più strette in alto che alla base; in tal modo si ottiene maggiore senso verticalistico.

Anche le pareti, invece che superfici neutre di materiale volutamente povero come in Brunelleschi, sono mosse; quelle inferiori sono costruite da materiale nobile e duraturo: il marmo di Carrara, notoriamente prediletto da Michelangelo.

La scultura non è subordinata all’architettura: vive autonomamente.

Partito da un progetto con tombe parietali, dopo un nuovo progetto in cui le tombe erano poste in un’edicola centrale a quattro facciate, Michelangelo torna alla prima soluzione.

I sepolcri, infatti, sono costituiti da sarcofagi, sui cui coperchi arcuati in curva “catenaria” giacciono figure nude semisdraiate. Mentre le statue dei defunti seduti sono parzialmente contenute entro nicchie sovrastanti.

I sepolcri che hanno questa forma sono due: quelli dedicati

  • a Giuliano duca di Nemours
  • a Lorenzo duca d’Urbino.

Mentre il monumento di Lorenzo il Magnifico e di Giuliano non è stato realizzato.

Michelangelo: tomba per Giuliano duca di Nemours
Firenze: tomba di Giuliano duca di Nemours. Scultura di Michelangelo

Questi ultimi, infatti, sono dovuti agli scultori Fra’ Giovanni Angelo Montòrsoli e Raffaele da Montelupo.

Un nuovo capolavoro di Michelangelo

Ma il gruppo divino è fra le opere più belle di Michelangelo, che riprende il tema già trattato in gioventù, accentuando però il rapporto madre-figlio in un moto “a serpentina” che li unisce completamente: un essere nuovo nasce da un altro essere. Anzi, ne trae ancora nutrimento ricevendo la vita attraverso il latte.

Scultura di Michelangelo: Lorenzo duca Urbino, tomba
Firenze: tomba di Lorenzo duca Urbino. Scultura di Michelangelo

Michelangelo esprime il dolore universale.

Non c’è esasperazione drammatica, ma cognizione dell’ineluttabile condanna dell’uomo.

Sul sarcofago di Lorenzo giacciono L’Aurora e il Crepuscolo, su quello di Giuliano il Giorno e la Notte, col significato simbolico, comune all’arte cristiana, della caducità della vita umana e del suo rapido declino verso la morte.

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Galleria degli Uffizi https://cultura.biografieonline.it/uffizi/ https://cultura.biografieonline.it/uffizi/#comments Wed, 27 Oct 2021 17:11:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16797 Attraversando i saloni espositivi della Galleria degli Uffizi, ci si imbatte in una varietà consistente di percorsi tematici, che consentono di ripercorrere le tappe salienti della storia dell’arte e dei suoi protagonisti. Il polo museale degli Uffizi vanta una storia antica e prestigiosa, circostanza che accresce il fascino di un luogo che deve essere necessariamente visitato se si raggiunge Firenze. Nato nella seconda metà del XVI secolo per volontà del duca Cosimo I, la Galleria degli Uffizi è uno dei musei più visitati e conosciuti al mondo, con una collezione di capolavori che spazia da Giotto fino ai grandi maestri della pittura del XVIII secolo.

Uffizi - Galleria degli Uffizi - Firenze - Museo
Firenze: una veduta esterna della Galleria degli Uffizi

La storia del Museo degli Uffizi

La storia del museo affonda le proprie radici nel pieno Rinascimento fiorentino e deve la sua nascita alla figura di Cosimo I de’ Medici (1519-1574) il quale, dopo la morte di Alessandro de’ Medici (1532-1537) per mano del cugino Lorenzino, assunse il potere a Firenze e il titolo ducale.
Cosimo, figlio del condottiero Giovanni delle Bande Nere (1498-1526) e di Maria Magdalena Romola Salviati (1499-1543), provò senza indugio di essere un monarca abile, accogliendo una politica di conquista territoriale e di accordi con l’Impero e il Papato.

Dopo il trasferimento nell’antico edificio comunale di Palazzo Vecchio, Cosimo I, nell’intenzione di affiancarlo a una nuova sede governativa, commissionò, nel 1560, la costruzione del monumentale complesso degli “Uffizi“, con lo scopo di accogliere gli uffici amministrativi e giudiziari di Firenze in un unico sito.

La costruzione e la decorazione del palazzo furono affidate in un primo momento, tra il 1540 e il 1555, all’architetto e scultore Giovanni Battista del Tasso (1500-1555) e solo in seguito a Giorgio Vasari (1511-1574), che ebbe il merito di celebrare con la sua arte le imprese del duca e quelle di molti altri uomini illustri.

L’edificio presentava tre livelli: al piano superiore erano relegate le attività artigianali, gli opifici, gli studi degli artisti e laboratori; nel primo e secondo piano le magistrature fiorentine (Nove Conservatori del Dominio e della Giurisdizione fiorentina, l’Arte dei Mercatanti, l’Arte del Cambio, l’Arte della Seta, l’Arte dei Medici e Speziali, l’Università dei Fabbricanti e il Tribunale della Mercanzia, Ufficiali dell’Onestà, le Decime e Vendite, gli Ufficiali della Grascia, il Magistrato dei Pupilli, i Conservatori di Leggi e i Commissari delle Bande), la cui presenza è tuttora accertata dall’esistenza di simboli e iscrizioni sugli architravi.

Le nicchie vasariane, destinate ad accogliere le sculture, furono abitate solo a partire del XVIII secolo: ventotto statue che da Giotto a Galileo Galilei, da Machiavelli a Michelangelo esaltavano la grandezza del genio toscano.

Uffizi - sculture personaggi famosi
Uffizi: alcune sculture di celebri personaggi

L’intonaco bianco, tipico della tradizione fiorentina, si alterna alla pietra serena che, proveniente dalla valle della Mensola era tanto pregiata da essere disponibile solo con una licenza di chi governava, fu impiegata per la costruzione dei portali e le nervature del complesso.
Il nobile scalone vasariano, con i suoi 126 gradini di pietra serena, conduceva solo al primo piano del complesso, fermandosi al vestibolo del teatro della corte medicea.

Dell’antico teatro di corte, eretto da Bernardo Buntalenti (1531-1608) nel 1585, resta sul pianerottolo l’antico portale di marmo che introduceva al teatro, oggi adibito a “Gabinetto di disegni e stampe”, e le tre porte, una delle quali, quella centrale, esibisce stemmi medicei, gigli fiorentini e gli emblemi del principe, quali l’alloro e il suo segno astrologico, l’ariete.

In vista delle nozze del figlio Francesco con Giovanna d’Asburgo (1547-1578), nel 1565, Cosimo I incaricò infine il Vasari di realizzare un camminamento, privato ed esclusivo, che consentisse al principe, partendo dalla Reggia, di attraversare la città senza scorta armata lungo quasi un chilometro.

Il camminamento vasariano, costruito in pochi mesi, correva lungo gli Uffizi, s’inseriva nel vivo di case e palazzi, fino a sfociare nel giardino di Boboli. Papa Pio V, con la bolla papale del 13 dicembre 1569, assegnò a Cosimo il titolo e la corona granducale.

“L’incoronazione vera e propria, avvenuta a Roma il 5 marzo dell’anno successivo, fu uno degli ultimi atti ufficiali del nuovo granduca, che già nel 1564 aveva nominato reggente per affari interni dello stato il figlio primogenito Francesco” (TUENA).

Nel XVII secolo, il Cardinale Leopoldo de’ Medici (1617-1675) realizzò il “Gabinetto di disegni e stampe”, uno dei più importanti nuclei di grafica del mondo. Quando nel XVIII secolo giunsero al potere i Lorena, Pietro Leopoldo decise di creare un nuovo ingresso pubblico alla galleria, finalmente aperta secondo il moderno pensiero illuminista. In questo modo il palazzo degli Uffizi divenne – modernamente inteso – il primo museo della storia d’Occidente.

L’attuale sistemazione è ispirata all’originario allestimento del Granduca Francesco I.

La Tribuna

I lavori per la realizzazione della Tribuna furono avviati sotto la supervisione di Bernardo Buontalenti, nel 1584.
“Si è soliti considerare la Tribuna come uno sviluppo consequenziale dell’idea di Studiolo. Ma l’idea che ha generato la Tribuna, la sua funzione successiva, e la sistemazione degli oggetti esposti, ne fanno qualcosa di molto diverso. Piuttosto la Tribuna è la riduzione di un museo e, più specificatamente, la riduzione della Galleria degli Uffizi […] un luogo espositivo, destinato a mostrare piuttosto che conservare; più una sala di rappresentanza che un luogo privato” (TUENA).

La stanza a forma ottagonale richiamava la Torre dei Venti di Atene (“horologion”), poiché il numero otto è il numero cosmico dei venti.

La struttura della Tribuna rievoca un ordine trascendete, nella quale s’inserivano e legittimavano gli emblemi del principe. I colori rosso, blu e oro alludono ai quattro elementi della natura: il simbolo dell’aria è richiamato dalla rosa dei venti collocata nella lanterna da cui filtra la luce naturale, la cupola decorata a conchiglie rimanda all’acqua, il rosso delle pareti al fuoco, mentre la terra è celebrata dai marmi del pavimento.

“Attraverso la lanterna, una banderuola di ferro indicava anche all’interno della Tribuna la direzione del vento: e già questo diretto rapporto col mondo esterno dovrebbe far riflettere quanti fanno derivare direttamente la Tribuna dallo studiolo” (TUENA).

Alla decorazione del tempietto concorsero alcuni dei più importanti artisti di corte: Benvenuto Cellini, Bartolomeo Ammannati (1511-1592), il Giambologna (1509-1608), Vincenzo Danti (1530-1576), Lorenzo della Nera e Vincenzo de’ Rossi (1525-1587).

La collezione della Galleria degli Uffizi

Non è facile ricostruite l’evoluzione delle collezioni medicee dopo l’ingresso di Carlo VIII a Firenze, nel novembre del 1494. La dispersione della collezione non avvenne, come molti credono, con il saccheggio del palazzo, ma inseguito a una serie di divisioni ereditarie e complesse questioni economiche, disgregazione che ebbe luogo fino a quando non venne a istaurarsi a Firenze un governo duraturo.

Il duca acquistò, tra il 1546 e il 1561, due ricche collezioni di medaglie. Non si lasciò scappare l’”Arringatore” e fece di tutto per ottenere la statua dello scita. Scriveva nel marzo 1563:

“… è risoluto di volere ad ogni modo il villano che arrota il coltello e poiché voi ci dite che il patrono d’esso e risoluto a darlo per ottocento scudi, se non potete darli meno, pigliatelo, ad ogni modo…”.

Nel 1565 commissionò l’intaglio con l’effige del Savonarola all’incisore Giovanni delle Corniole (1516-1566) e successivamente acquistò il cammeo in pietra stellata raffigurante serpente arrotolato.

Alla morte di Cosimo, nel 1574, la collezione vantava più di ottanta vasi, tra antichi e moderni, in pietra dura. Il duca si era impegnato a riacquistare le collezioni di Lorenzo de’ Medici, impedendo che entrasse nell’eredità di Margherita d’Austria (1522-1586), moglie del duca Alessandro, andata in sposa a Ottavio Farnese (1524-1586).

Poco amato dai suoi sudditi e poco avvezzo alla politica, Francesco ampliò la raccolta medicea: nel 1575 acquistò la collezione del vescovo di Viterbo Gualtiero, raccolta che comprendeva il cammeo detto dell’ “Ingresso trionfale”. Quando nel 1581 Francesco I istituì il primo nucleo della Galleria con la collezione d’arte di famiglia, intervenne trasformando in sale espositive gli ambienti dell’ultimo piano, alla quale si accedeva soltanto dagli ingressi privati del Palazzo Vecchio.

Attualmente le sale espositive del museo ospitano i più grandi capolavori scultori e pittorici italiani ed europei.

La Primavera Botticelli
La Primavera di Botticelli è una delle opere d’arte più visitate e note, conservate presso gli Uffizi.

Le sale dedicate all’arte medievale accolgono la “Maestà di Santa Trinità” (1290-1300) di Cimabue, la “Maestà di Ognissanti” di Giotto, la “Madonna Rucellai” (1285) di Duccio di Buoninsegna, l’ “Annunciazione tra i santi Ansano e Massima” (1333) di Simone Martini e Lippo Memmi, la “Presentazione al tempio” (1342) di Ambrogio Lorenzetti e la “Pala della beata umiltà” (1341) di Pietro Lorenzetti.

Il gotico internazionale è pronunciato attraverso: “L’incoronazione della Vergine” (1414) di Lorenzo Monaco, “L’adorazione dei Magi” (1423) di Gentile da Fabriano; mentre la sala dedicata al Rinascimento vanta capolavori come la “Sant’Anna Metterza” di Masolino (1424-1425), la “Battaglia di San Romano” (1438) di Paolo Uccello, la “Primavera” di Botticelli (1432), il “Battesimo di Cristo” (1475-1478) di Leonardo e Verrocchio, il “Doppio Ritratto dei duchi di Urbino” (1465-1472) di Piero della Francesca, il “Trittico Portinari” (1477-1478) di Hugo van der Goes, il “Compianto e sepoltura di Cristo” (1460-1463) di Rogier van der Weyden.

Galleria degli Uffizi: note Bibliografiche
F. M. Tuena, Il tesoro dei medici Collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento, Giunti

Sito ufficiale
www.uffizi.org

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Pagamento del tributo, affresco di Masaccio https://cultura.biografieonline.it/pagamento-del-tributo-masaccio/ https://cultura.biografieonline.it/pagamento-del-tributo-masaccio/#respond Mon, 19 Sep 2016 09:44:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19904 Di nuovo ingegno e spirito sperimentatore fu uno dei maestri dei primi anni del Quattrocento: Tommaso di Giovanni di Simone Guido di Castel San Giovanni. Masaccio, l’autore degli affreschi nella cappella Brancaccio (o Brancacci) a Firenze e databili l’anno 1426/27, furono i testimoni di una maturità artistica improvvisa e sorprendente. Essa nacque dalle nuove possibilità compositive, insite nell’uso di figure a tutto tondo. Figure non più alloggiate su uno stretto margine in primo piano con lo sfondo oro o su una superficie “risolta in senso coloristico’” (Görlich), ma sapientemente coordinate con il paesaggio, profondo e molto realistico. Di questi affreschi fa parte il “Pagamento del tributo“.

Pagamento del Tributo - Masaccio - Affresco
Pagamento del Tributo • Affresco realizzato da Masaccio nel 1426 circa, presso la Chiesa di Santa Maria del Carmine, a Firenze • Dimensioni: 255 x 598 cm

Lo scrigno

Un tesoro d’affresco, vivido e ancor brillante d’orgoglioso spirito rinascimentale, l’opera di Masaccio Pagamento del tributo, ottenne il proprio impiego come capolavoro universale nella scenografia meravigliosa e commovente della Cappella Brancacci, nella Chiesa di Santa Maria di Carmine a Firenze. E’ un luogo santo di tradizioni e visite spettacolari giacché scuola d’immensa grandezza. Un esempio mirabile di maestria, d’ingegno alla quale, a quanto riporta il Vasari, trovarono conforto nell’ispirazione personaggi del calibro di Michelangelo.

Pagamento del tributo: note tecniche e descrittive

Tra i tesori rinascimentali, la cupola della sacra cattedrale dell’acume umano trovò, come un bagliore divino nel firmamento, il proprio rinomato riconoscimento tra i grandi maestri del primo Quattrocento fiorentino.

La sacralità di un’arte risplendente di antichi geni e grandi capolavori compose lo spartito della propria venerabilità, quella dei santi, degli apostoli e delle religiose simbologie in una doppia matrice. Quella della grandezza intrinseca di un’arte di per sé consacrata alla magnificenza priva d’abbandono, dunque d’oblio, e quella della destinazione imperitura ed eternamente santificata dei luoghi di culto.

Divino ingegno umano, divino il suo esercitare. La mano che lega il talento alla fede, la pratica pittorica allo sbocciare di un capolavoro sul sottile strato imbiancato di una parete fredda, quasi intollerante e atea prima che sia fatalmente raggiunta dal pennello.

Commento

Affascinante. Un fiore incontrollato di petali di fisionomie e calde cromie tra la porosità della pietra, tra il tocco della creazione mediante il crine dello strumento e la sua incombente genesi.

La creazione che si trasmette da Dio agli uomini, dagli uomini all’impasto di pigmenti e oli, di forme e martiri.

Esistere e completare l’opera di Dio arricchendo e compiendo l’eterno mistero della creazione mediante la creazione di altre eterne meraviglie, guidate da Dio e dunque parte del suo immenso disegno. Furono in molti gli apostoli, dodici per la Bibbia, ma innumerevoli per la storia universale dell’arte.

Masaccio, le cui «[…] cose fatte inanzi a lui si possono chiamar dipinte, e le sue vive, veraci e naturali. », compì il prodigio che porta il nome di crescita, cambiamento, mutamento azionato dall’imminenza di una modernità sovrastante ogni attimo e che in ogni misura nutre la propria esistenza dalla fonte di un ‘‘pensiero interrotto’’. Pensiero che cedette, in altre parole, alla tentazione di un sentiero totalmente inesplorato. Quello slegato dalle celestiali forme del weicher Stil, tipiche del periodo tardo gotico.

La Pesca di Pietro
La Pesca di Pietro: dettaglio della scena presente sulla sinistra dell’affresco

La realizzazione

Il Pagamento del tributo fu realizzato in trentadue giornate. L’affresco mostra vividamente una scena della storia di San Pietro.

Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.
(dal Vangelo secondo Matteo)

Un classico della tradizione iconografia pittorica, l’affresco, tende d’ambizione mostrandosi nuovo, inconsueto, del tutto aperto alla nuova compagine rinascimentale.
Campiture nette, plasticità data dall’accostamento di luce e colore sono le principali particolarità dell’opera iniziatica intrapresa dal giovane Masaccio.

Il volto di Gesù nel dettaglio
Il volto di Gesù nel dettaglio

Fisionomie scultoree, sintetiche prive dell’attaccamento rassicurante delle forme di un disegno preparatorio nitido e ricco di dettagli accurati. Come fu per Masolino e Filippino Lippi.
La costruzione scenica appare totalmente innovativa nel suo realismo. Nell’architettura delle mura della città di Cafarnao sulla destra, cave e piene di loggette e tettoie (in alto a destra).

Pagamento del Tributo - Masaccio - dettaglio - Gesù e gli apostoli
Il dettaglio dell’opera con Gesù e gli apostoli

Un punto di fuga che trova il proprio fuoco dietro la testa del Redentore, il fulcro della scena, nel pieno di un’atmosfera unificata nella luce e nel colore e che in tal modo provoca l’inclinazione delle ombre.

Le figure

Le figure nel Pagamento del tributo si esprimono secondo la grammatica di un linguaggio nascente, quello connaturante una tematica nuova. Ritraggono episodi sentiti come reali, concreti, vicini al presente e del tutto svincolati dai significati riposti e simbolici. Sono agenti mediante una drammaticità puramente e unicamente accessibile.

Il pagamento del tributo
Il pagamento del tributo

Nuova risulta essere la figura del giovane guardiano, ritratto di spalle, che esige il tributo prima dell’entrata nella città.

Sullo sfondo scuro delle montagne i nimbi, dischi rispondenti alla prospettiva, sospesi sulle teste e sincronizzati con i movimenti dei loro possessori.

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Maestà di Santa Trinita, opera di Cimabue https://cultura.biografieonline.it/maesta-santa-trinita-cimabue/ https://cultura.biografieonline.it/maesta-santa-trinita-cimabue/#comments Tue, 05 Apr 2016 09:46:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17620 La “Maestà di Santa Trinita” (1280), realizzata da Cimabue per la chiesa di Santa Trinita di Firenze, patì gli esiti di vicende complesse, legate alle vicissitudini della chiesa ospitante e di una nicchia culturale di estimatori forse troppo tardiva. La complessità delle opere di Cimabue colpisce ogni tipo circostanza analitica, stagliandosi nell’orbita di un’emozionalità connaturata nello spirito religioso del motivo della reale e sacra figura madonnale accompagnata dal Bambino.

Maestà di Santa Trinita - Cimabue
Maestà di Santa Trinita – opera di Cimabue databile tra il 1290 e il 1300 • Tempera su tavola; dimensioni: 385 x 223 cm

Nella completa comprensione del Trecento fiorentino, quale proscenio di lunghe e fulgenti rinascite artistiche, è facile dedurre il ruolo anticipatore di un’ arte non più rigidamente bizantina, ma nata progressivamente dalle intuizioni dei grandi protagonisti della Firenze guelfa e ghibellina.

Anche questa volta la Galleria degli Uffizi di Firenze si raffigura come luogo sacro alla custodia di un ennesimo capolavoro artistico, nell’uso di direttive espositive volte a far emergere le sottili linee evolutive che raffrontano la tabula cimabuesca con la “Madonna Rucellai” (1285) di Duccio di Buoninsegna e la “Maestà di Ognissanti” (1310) di Giotto.

Genesi dell’opera

Nell’attenta analisi cronologica e tecnica dei “primitivi” senesi e fiorentini, emerge il netto contrasto, in termini valutativi, grandemente operante nel contesto dotto dell’opera di committenza delle grandi cerchie religiose nei confronti di un avanguardismo pittorico nascente, e di un apprezzamento tardivo rispetto alla tangibile pregevolezza dell’opera.

I grandi capolavori di Cimabue subirono, in via quasi del tutto esclusiva, una sorte favorevole, in una completa combinazione tra il riconoscimento dell’ingegno tecnico e la conseguente approvazione da parte del pubblico contemporaneo. Un’eccezione affiora proprio dallo studio dei percorsi che legano la pala lignea della Maestà di Santa Trinita alle varie collocazioni, a partire dal periodo successivo alla sua destinazione originaria:

Avendo poi preso a fare per i monaci di Vall’Ombrosa nella badia di Santa Trinita di Fiorenza […] la qual tavola finita fu posta da’ quei monaci in sull’altar maggiore di detta chiesa, donde essendo poi levata, per dar quel luogo alla tavola che v’è oggi di Alesso Baldovinetti, du messa in una cappella minore della navata sinistra di detta chiesa.  (Vasari)

Da questo breve estratto vasariano sembra che al momento della sua realizzazione, la “Maestà di Santa Trinita” di Cimabue, dopo la prima fase di consenso, avesse perso il fascino nativo del dorato culto ieratico della Madonna col Bambino al di là della “maniera” bizantineggiante, almeno fino al 1471, quando venne crudelmente rimpiazzata dalla “Trinità con San Benedetto e San Giovanni Gualberto” del fiorentino Alesso Baldovinetti, per raggiungere le infauste sorti di una collocazione di minore influenza in cappelle di ordine secondario o addirittura destituita ad opera di manchevole fattura all’interno dell’infermeria del monastero.

La tabula lignea della “Trinità con San Benedetto e San Giovanni Gualberto”, realizzata per la famiglia Gianfigliazzi, nelle persone di Messer Giovanni e Messer Gherardo, testimonia agli occhi dei critici moderni il venir meno delle capacità immaginative dell’artista fiorentino, raffigurandosi, di fatti, come opera comparativa di forte contrasto rispetto all’ingiusta sorte toccata alla pala cimabuesca, quale cardine primo nell’esatta funzione di superamento della “scabrosa, goffa e ordinaria […] maniera greca (bizantina)“.

Il ruolo dei “primitivi”, che, nel paradigma storiografico rinascimentale, avevano precorso Michelangelo Merisi, Raffaello Sanzio e gli altri grandi esponenti del Cinquecento italiano, subì un’incredibile riconsiderazione tra il Settecento e l’Ottocento, grazie all’opera dei grandi collezionisti europei e nostrani; tale atteggiamento rivalutativo destò la sopita attenzione verso l’ormai dimenticata pala di Cimabue che, nel 1810, raggiunse l’Accademia fiorentina, per variare nuovamente destinazione un secolo dopo, con la disposizione dell’attuale allestimento dei “primitivi“, nella Galleria degli Uffizi.

Maestà di Santa Trinita: note tecniche e descrittive

La “Maestà di Santa Trinita” risulta essere, più del “Crocefisso” rovinato di Santa Croce, l’opera più remota dell’artista “tirato dalla natura“, la cui

unica data sicura nel Duecento, al 1272 a Roma, senza essere collegata a nessuna opera, ci pone di fronte a una pittura che quasi nasce di colpo, armata come Minerva dalla testa di Giove.
(Brandi).

Anche nell’ingegnosa considerazione che tale pala dovesse seguire gli affreschi superiori della Chiesa di Assisi – terminati nel 1283 – si dovrebbe porre la genesi di tale capolavoro in un periodo antecedente il 1285, ovvero alla fase di realizzazione della “Madonna Rucellai” da parte di Duccio di Buoninsegna, che in maniera evidente segue l’esempio ligneo e non precede la sublime Maestà di Cimabue.

L’opera attesta una fase compiutamente matura del pittore fiorentino che, in un’armoniosità lontana dallo stile di Coppo di Marcovaldo e della pittura paleologa, portò in sé, per la prima volta, un’evoluzione stilistica e una pienezza riscontrabili solo nella Maestà della Chiesa inferiore di San Francesco di Assisi, nella “Maestà di Santa Maria dei Servi“, nella Maestà pisana del Louvre (1280) e nel San Giovanni a mosaico dell’abside del duomo di Pisa, dove si assiste all’attenuazione delle aspre regioni facciali tipiche di Cimabue; tale alterazione lascia pensare ad un adeguamento all’arte di Duccio di Buoninsegna nell’uso del colore, sia al codice giottesco relativo all’uso dei trapassi luminosi e levigati.

Nella tabula di Santa Trinita, la solennità del trono architettonicamente emergente dal fondo oro s’impone immediatamente alla vista dell’osservatore, “al punto che, più che una pittura, sembra quasi la facciata di una cattedrale” (BRANDI).

L’immagine ieratica si presenta solidamente frontale, rigidità rigorosa che si interrompe solo nel momento sacro in cui la Madonna ripiega delicatamente il viso indicato l’infante Redentore.
Il trono, contrariamente a ciò che si assiste nella “Maestà di Parigi” e nella “Madonna Rucellai”, risulta essere grandiosamente frontale, incurvandosi nella parte centrale, piuttosto che avanzante sul suppedaneo.

Questa serie di dettagli tecnici designano l’immensa abilità dell’artista di effettuare una rigenerazione dei vecchi schemi, come si configura appunto quello frontale; talento riscontrabile nella stessa capacità di traslare il chiaroscuro paleologo da “semplice oggettivazione dell’immagine a robusta espressione plastica del volume” (BRANDI), in una complessa e insigne monumentalità ravvicinante alla figura di Giotto, anche se dal punto di vista del codice formale la pittura di Cimabue sia lontanissima da quella di Giotto.

Un’altra caratteristica degna di nota è lo straordinario uso delle bizantine gradazioni cromatiche sulle ali degli angeli che, in questo frangente, assumono una funziona differente che in Pietro Cavallini, conferendo quella funzionalità plastica modulante i volti e le pieghe prismatiche dei vestiti.

La sacra raffigurazione è espressa secondo un preciso e fondamentale registro volumetrico, dato da una spazialità caratteristica, quale etere da cui da cui si sviluppa l’immagine e non quale luogo contenente l’immagine.

E’ interessante notare come nel piedistallo del trono delle striature auree tendano a convergere verso un unico punto, allo stesso modo il piedistallo genera al centro un’ esedra concava che indirizza sul piano posteriore la composizione.

Nelle altre Maestà il suppedaneo svolgeva una funziona differente, verticalizzando la composizione sull’orlo del quadro piuttosto che protrarla avanti.

Cimabue
Cimabue

Appare evidente quanto la sottigliezza gotica del trono della Madonna Rucellai abbia influenzato la spazialità di Cimabue, esibendo un’idea di spazialità retrostante all’immagine, in cui l’immagine emerge nei suoi volumi corposi.

L’enfasi della cromaticità plastica delle ali è confermata dall’universale uso di una tonalità bassa nel dipinto, in cui, a parte il profeta David, tutti gli altri colori sono sottotono.

Non è dunque un’opera bizantina nell’uso dei colori, ma si configura come l’esaltazione di un tema plastico già trattato da Nicola Pisano, e che si rivelerà fondamentale come retroscena di Giotto.

Note Bibliografiche
A. Tomei, Cimabue, Giunti Editore, Firenze, 1997
C. Brandi, Scritti d’arte, Bompiani, Milano, 2013
G. Vasari, Le opere di Giorgio Vasari pittore e architetto aretino, Davide Passigli e soci, Firenze, 1832 – 1838

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Differenza tra guelfi e ghibellini https://cultura.biografieonline.it/guelfi-ghibellini-differenze/ https://cultura.biografieonline.it/guelfi-ghibellini-differenze/#comments Tue, 25 Mar 2014 17:27:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10228 Fin dai tempi della scuola abbiamo sentito parlare e studiato i guelfi e ghibellini di Firenze ma non tutti sanno che in origine i ghibellini erano, in Germania, una fazione politica opposta ai guelfi durante le lotte per la successione al trono di Enrico V nel XII secolo. Dopodiché i nomi di queste fazioni vennero prese dai gruppi fiorentini per distinguersi gli uni dagli altri, durante le lotte per la conquista del comune.

Differenze tra Guelfi e Ghibellini
Guelfi e Ghibellini: Dante fu sostenitore dei guelfi bianchi

Guelfi e ghibellini

Per guelfi intendiamo quella fazione politica che sosteneva la supremazia pontificia nella lotta tra Impero e Papato per il dominio di Firenze. I guelfi erano della filosofia che solo il Papa potesse essere legittimato a governare, dal momento che era stato investito direttamente da Dio e solo lui aveva il potere di guidare gli uomini verso gli ideali di giustizia e di correttezza. In particolare distinguiamo i guelfi tra bianchi e neri.

Guelfi bianchi e guelfi neri

Tra i sostenitori dei guelfi bianchi ci fu anche Dante Alighieri. Nei Sepolcri di Ugo Foscolo, Dante veniva indicato come il “ghibellin fuggiasco” poiché dopo un’appartenenza ai ghibellini si avvicinò anche lui all’idea di una convivenza pacifica tra Imperatore e Papa, come optavano i guelfi bianchi.

Infatti i guelfi bianchi sostenevano il Pontefice ma in modo relativo, in quanto non escludevano un ipotetico governo effettuato anche con l’Imperatore mentre i guelfi neri erano invece schierati apertamente ed unicamente dalla parte del Papa che vedevano come l’unico soggetto capace di governare ed erano risoluti nella loro posizione estrema.

La differenza con i ghibellini

A differenza dei guelfi, i ghibellini erano da sempre i sostenitori fedeli dell’Imperatore. I ghibellini erano coloro che nella lotta tra Papato e Impero, sostenevano la causa e la supremazia dell’Imperatore, erano coloro i quali non volevano l’intromissione della Chiesa nella politica di Firenze ed inizialmente furono sostenuti dalle forze imperiali nella lotta contro la fazione opposta, quella dei guelfi. Ma dopo aver perso l’appoggio dell’Imperatore della dinastia Sveva Federico II, persero anche il loro potere, furono costretti a cedere le armi e vennero mandati in esilio.

Con la vittoria dei guelfi tutti i ghibellini furono esiliati da Firenze compreso lo stesso Dante Alighieri. I ghibellini da allora non rientrarono più nel panorama politico italiano di quel periodo storico. Solo nel tempo che risale al 500, il termine ghibellini venne riutilizzato per indicare la fazione politica che sosteneva il Sacro Romano Impero, mentre il termine guelfi venne legato a coloro che simpatizzavano per il potere Papale e del Regno di Francia.

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Il David di Michelangelo https://cultura.biografieonline.it/david-di-michelangelo/ https://cultura.biografieonline.it/david-di-michelangelo/#comments Thu, 03 Jan 2013 23:02:42 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=5453 Il David è una delle opere più importanti di Michelangelo e fu realizzato fra il 1501 e il 1504. Ha un’altezza di 410 cm e attualmente è esposto alla Galleria dell’Accademia di Firenze. Nell’agosto del 1501 fu commissionata a Michelangelo Buonarroti la realizzazione di una statua raffigurante il David.

David Michelangelo petto addominali
Il David di Michelangelo: dettaglio con petto e addominali

Il marmo non era perfetto ma aveva avuto una precedente lavorazione da parte di Agostino di Duccio e di Antonio Rossellino, tanto che era stato deciso di non utilizzarlo più. Michelangelo invece ritenne di poterlo lavorare ancora. La sfida che Michelangelo volle affrontare era quella di realizzare un capolavoro combinando i canoni della statuaria classica con la tradizione scultorea fiorentina. Dopo tre anni di lavoro Michelangelo realizzò un capolavoro immortale.

David di Michelangelo
David di Michelangelo

Il David di Michelangelo rappresenta un giovane dalla muscolatura asciutta, lo sguardo concentrato, la fierezza della posa mentre si appresta a colpire Golia.

Un particolare del volto del David
Un particolare del volto del David di Michelangelo

Rappresenta la misura e la forza, la capacità di controllare le emozioni, di trattenere l’ira e la paura ma anche di calcolare con forza la necessità del gesto che si appresta a compiere. L’opera suscitò grande effetto nel popolo fiorentino.

Il David venne esposto davanti a Palazzo Vecchio a simbolo delle virtù fiorentine. In seguito divenne un’icona e tutt’ora è un simbolo interpretato in infiniti modi e utilizzato come sintesi dei valori della modernità. Negli anni ha subito diversi interventi di restauro ma la sua matrice originaria è ancora intatta. L’esperienza visiva è straordinaria perché ricorda immediatamente il ruolo di David, capo e difensore coraggioso del suo popolo.

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Il falò delle vanità, evento storico del 1497 https://cultura.biografieonline.it/rogo-delle-vanita/ https://cultura.biografieonline.it/rogo-delle-vanita/#comments Wed, 14 Nov 2012 15:52:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4666 Il “Falò della vanità” (indicato anche come Rogo delle vanità) fu organizzato a Firenze il 7 febbraio del 1497: dopo la cacciata dei Medici, i seguaci di Girolamo Savonarola sequestrarono e diedero alle fiamme una gran quantità di oggetti considerati fonti del peccato, fra cui specchi, cosmetici e trucchi di vario genere, abiti che tendevano al lusso e all’ ostentazione, strumenti musicali e quadri fra cui anche alcune opere del Botticelli dedicate alla mitologia classica che forse fu lo stesso pittore a gettare nel rogo, affascinato dalle tesi del Savonarola.

Savonarola predica contro il lusso e prepara il rogo delle vanità (quadro di Ludwig von Langenmantel, 1881)
Savonarola predica contro il lusso e prepara il rogo delle vanità (quadro di Ludwig von Langenmantel, 1881)

Quest’ultimo, frate domenicano nato a Ferrara il 21 settembre 1452, giunse a Firenze nel 1490 e nella città rinascimentale continuò la sua predicazione che aveva come tema l’Apocalisse e la necessità di pentirsi e depurarsi da tutti i peccati prima della fine del mondo.

I suoi interventi erano diretti contro i rappresentanti della Chiesa, gli uomini di governo e i fiancheggiatori del potere, artisti e intellettuali compresi. Il suo eloquio impressionava le masse e lo avvicinava ai più deboli e umili mettendolo contro i rappresentanti del potere che ne giudicavano inopportune le predicazioni contro il governo e la Chiesa. Lo stesso Lorenzo il Magnifico intervenne presso il frate per indurlo a desistere in quelli che considerava eccessi dialettici, ottenendone un’aspra risposta in cui il frate previde la morte del Magnifico.

Lorenzo de' Medici (detto il Magnifico)
Lorenzo de’ Medici (detto il Magnifico)

La sua determinazione nel predicare crebbe ulteriormente. Negli anni successivi la famiglia Medici cadde in disgrazia e Firenze divenne una Repubblica. La causa di questo cambiamento fu la discesa del re francese Carlo VIII in Italia per rivendicare il regno di Napoli.

Carlo incontrò il Savonarola, perché la sua venuta sembrava confermare le prediche del frate su una necessaria rottura dei vecchi poteri che opprimevano la penisola. Questo permise al Savonarola di conservare il suo prestigio e a continuare a predicare in Firenze, mentre il Papa, Alessandro VI, che lo osteggiava fu costretto ad attendere la fuga di Carlo VIII prima di scomunicare il frate domenicano e decretarne la morte.

Papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia)
Papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia)

Il papa in verità fece diversi tentativi per portare Savonarola a più miti consigli ma quest’ultimo si rifiutò e nel 1495 arrivò l’accusa di eresia che nel 1497 sfociò nella scomunica.

Proprio l’anno del Falò, in cui la veemenza del Savonarola contro prelati e governanti e contro tutto ciò che poteva essere veicolo del peccato, raggiunse vertici distruttivi che portarono appunto al rogo in piazza della Signoria di libri, strumenti musicali, quadri e poi come si è detto di oggetti di bellezza come specchi, abiti e cosmetici.

Non avendo più l’aiuto degli oppositori dei Medici e dei francesi, nel 1498 Savonarola fu arrestato e venne condannato al rogo in piazza della Signoria con due suoi confratelli.

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Che cos’è la Sindrome di Stendhal? https://cultura.biografieonline.it/la-sindrome-di-stendhal/ https://cultura.biografieonline.it/la-sindrome-di-stendhal/#comments Tue, 28 Feb 2012 02:06:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=726 La Sindrome di Stendhal è un disturbo psichico transitorio di stampo emotivo che si manifesta con vertigine, stato confusionale, tachicardia, svenimento, senso di irrealtà e a volte allucinazioni, in soggetti posti al cospetto di opere d’arte di particolare bellezza.

Palazzo Medici Riccardi, Galleria di Luca Giordano (Sindrome di Stendhal)
Sai che cosa è la Sindrome di Stendhal?

Detta anche Sindrome di Firenze, dove si riscontra spesso, è piuttosto rara e colpisce principalmente persone di particolare sensibilità e di nazionalità straniera, mentre gli italiani ne sono addirittura immuni per “affinità culturale”, in quanto abituati a vivere circondati da straordinarie bellezze artistiche.

La Sindrome di Stendhal deriva il suo nome dallo scrittore francese Marie Henry Beyle, in arte Stendhal (1783-1842) che ne è colpito nel 1817 durante la sua visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze.

La sindrome viene riconosciuta scientificamente nel 1979, quando la psichiatra Graziella Magherini analizza e descrive più di 100 casi tra i visitatori del capoluogo toscano.

La sindrome di Stendhal è anche il titolo di un film di Dario Argento: girato nel 1996, il genere del film è l’horror psicologico; la protagonista è Asia Argento, figlia del noto regista.

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