fine del comunismo Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Sun, 09 Jan 2022 15:42:51 +0000 it-IT hourly 1 Cos’è il Maccartismo? https://cultura.biografieonline.it/maccartismo/ https://cultura.biografieonline.it/maccartismo/#comments Sat, 13 Apr 2013 15:26:51 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=6809 Quando si parla di maccartismo si fa riferimento a un periodo della storia statunitense, durato dalla fine degli anni Quaranta alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, contraddistinto da un forte sentimento di sospetto nei confronti dei (presunti) comunisti. Noto anche come “seconda paura rossa”, il maccartismo deve il suo nome a un senatore repubblicano del Wisconsin, Joseph McCarthy, che condusse la maggior parte delle audizioni nei confronti dei sospettati.

Il politico statunitense Joseph McCarthy, di cui il termine "maccartismo"
Joseph McCarthy

Durante questo periodo, negli Stati Uniti si diffuse il timore che le istituzioni americane potessero subire influenze comuniste: timore accentuato dalla scoperta di diversi casi di spionaggio sovietico, dal successo del 1949 della rivoluzione cinese, dal rafforzarsi dell’egemonia dell’Unione Sovietica sull’Europa dell’Est e dalla Guerra di Corea che andò in scena nei primi anni Cinquanta. Caratteristici dell’epoca furono i controlli di sicurezza interni cui venivano sottoposti gli impiegati del governo federale. Il programma investigativo, condotto dall’FBI di J. Edgar Hoover, indagava su eventuali legami comunisti degli impiegati, utilizzando anche fonti anonime e testimoni che gli accusati non erano in grado di riconoscere. Fino al 1951, era sufficiente un “ragionevole motivo” per considerare un lavoratore sleale e quindi licenziarlo; da quell’anno, invece, si richiese la necessità di un “ragionevole dubbio” sulla lealtà dell’imputato.

La cosiddetta “paura rossa” (in inglese, Red Scare), per altro, precedette l’ascesa di Joseph McCarthy, avvenuta nel 1950, e proseguì dopo il declino del senatore. Molto colpito dal maccartismo fu anche l’ambiente di Hollywood, in cui trovavano lavoro diverse persone provenienti dall’Europa obbligate a emigrare, a causa delle loro simpatie per le sinistre, dopo l’avvento del nazismo. Tra gli altri accusati di anti-americanismo ci fu anche Charlie Chaplin, che nel 1952 si vide cancellato dall’FBI il suo visto di rientro dopo un viaggio in Europa: da quel momento, pur in assenza di dichiarazioni di colpevolezza ufficiali, la sua carriera americana al cinema si concluse.

Elia Kazan ed Edward Dmytryk vennero costretti a denunciare i propri colleghi, mentre Walt Disney fu sospettato di simpatie comuniste, pur avendo nel 1947 testimoniato presso il Comitato attività anti-americane. Furono sottoposti a interrogatorio anche Gary Cooper e Louis B. Mayer; Arthur Miller finì sotto inchiesta, e Elmer Bernstein, compositore di colonne sonore, non poté più prendere parte a produzioni di alto livello.

Tra i processi più famosi, comunque, si ricordano quello di Alger Hiss (iniziato prima dell’ascesa di McCarthy), accusato di spergiuro ma non di spionaggio, e quello di Ethel e Julius Rosenberg, che vennero condannati a morte. Le testimonianze decisive che portarono a tale sentenza furono quelle di David Greengrass, Harry Gold e Klaus Fuchs.

Il maccartismo si concluse, secondo l’interpretazione storiografica più diffusa, nel 1954, anno in cui contro McCarthy fu votata da una commissione del Senato una mozione di censura dopo una campagna condotta dal senatore contro alti ufficiali dell’esercito americano accusati di filo-comunismo. In quello stesso anno per la prima volta le udienze furono trasmesse in televisione: fu così che il pubblico americano ebbe modo di vedere il metodo di gestione delle indagini di McCarthy, e di farsi un’impressione piuttosto negativa sul suo conto. D’altra parte, gli organi di stampa sottolinearono come il senatore e la sua attività avessero rovinato l’esistenza a molte persone accusate senza prove o addirittura con prove false.

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Va sottolineato, per altro, che il maccartismo fu associato a McCarthy soprattutto a causa della sua massiccia presenza sui mass media, favorita dal suo carattere imprevedibile e apparentemente franco; nonostante ciò, egli con tutta probabilità non fu uno degli esponenti più importanti del fenomeno.

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Lo sconosciuto di Piazza Tienanmen https://cultura.biografieonline.it/lo-sconosciuto-di-piazza-tienanmen/ https://cultura.biografieonline.it/lo-sconosciuto-di-piazza-tienanmen/#comments Thu, 24 May 2012 05:02:00 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2252 Il 4 giugno 1989, mentre i Paesi del blocco Sovietico si affrancavano più o meno rapidamente dal regime comunista che proprio durante quella stagione, con la caduta del Muro di Berlino, decretava ufficialmente la sua fine, un uomo, probabilmente un ragazzo, con una camicia bianca e un paio di calzoni grigi, “armato” di una busta nella mano destra e di una giacca in quella sinistra, si parava davanti ad una colonna di tank cinesi nella piazza principale di Pechino. È lo Sconosciuto di Piazza Tienanmen, noto anche come il Rivoltoso di Piazza Tienanmen o, più semplicemente (soprattutto per i media britannici e americani), passato alla storia con il soprannome di Tank Man: l’uomo che da solo, disarmato, al centro dell’enorme piazza pechinese, osò sfidare la forza militare e politica della Repubblica Popolare Cinese.

Diversi sono gli scatti che l’hanno immortalato, ma il più famoso resterà quello del fotografo Jeff Widener, dell’agenzia americana Associated Press, il quale lo immortala dal sesto piano dell’hotel di Pechino, ad un chilometro di distanza e con una lente da 400 mm.

Tank Man, lo sconosciuto di Piazza Tienanmen
Tank Man, lo sconosciuto di Piazza Tienanmen (4 giugno 1989) – Celebre fotografia di Jeff Widener

Quello stesso giorno (il 4 giugno in Cina, ma la data è ricordata anche con il 5 giugno in Occidente), la foto fa il giro del mondo e compare in tutte le prime pagine dei quotidiani: il Governo cinese infatti, con quella manovra militare, definita da principio come una “sfilata” e che ha inizio proprio nella piazza centrale di Pechino al cospetto dello Sconosciuto, decide di reprimere nel sangue la rivolta studentesca che, dal 15 aprile fino al 4 giugno, aveva imperversato per le strade della capitale, sommossa e ispirata dagli accadimenti europei di apertura democratica e destabilizzazione del Regime di Mosca.

Piazza Tienanmen e la Rivolta degli Studenti

Nei manuali di storia passerà come la “Primavera Democratica Cinese“: un lasso di tempo limitato che vide protagonisti intellettuali, studenti, operai e contadini della Repubblica Popolare, impegnati in una serie di iniziative di protesta congiunte e organizzate, determinate a chiedere una nuova fase democratica per il loro Paese. Un movimento che dura appena due mesi e che si risolverà nel sangue, con diverse colonne di tank cinesi chiamate in causa senza particolari preamboli, secondo gli ordini del Governo Centrale, quanto mai ferrei e sanguinolenti. L’esercito entrerà nella piazza centrale di Pechino occupata dai giovani in protesta, sparando sulla folla disarmata e mietendo un numero imprecisato di vittime.

In Cina, l’avvenimento verrà definito come “l’Incidente di Piazza Tienanmen“, soprattutto da parte delle personalità di Governo, veicolando un messaggio mediatico del tutto differente da quello realmente accaduto. Quella di Tienanmen invece, sarà una vera e propria protesta, caratterizzata da una serie di dimostrazioni guidate, mirate, in un momento storico importantissimo per l’Occidente, nei mesi del cosiddetto Autunno delle Nazioni, ossia l’anno nel quale si rovesciano tutti i regimi comunisti dell’Europa dell’Est.

Ad ogni modo, simbolo dei fatti di Tienanmen, resterà sempre il Rivoltoso Sconosciuto, a prescindere da chi fosse realmente e cosa ci facesse lì, davanti una colonna di carri-armati militari. Le sue foto, esprimono da sempre un messaggio di lotta contro ogni forma di tirannia.

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Gli storici dividono la rivolta cinese degli studenti in cinque momenti distinti: il lutto, la sfida, la tregua, il confronto, il massacro.

L’ultima parte di questo accadimento è, di sicuro, quello più importante, se si considera che dopo oltre vent’anni non si è riusciti ad avere una stima precisa delle morti cinesi. Da principio, l’establishment si orientò sui duecento civili e cento militari. Successivamente, parlò invece di alcune dozzine di soldati uccisi, a differenza della CIA, la quale stimò subito un numero compreso tra le 400 e le 800 vittime. La Croce Rossa riferì 2600 morti e circa 30.000 feriti, cui vanno aggiunti i morti per cause indirette, ossia coloro i quali sono stati giustiziati per ribellione, senza dimenticare i morti a causa di incidenti, incendi e molto altro. Secondo Amnesty International, questo numero variabile di vittime si aggirerebbe sui 1000 e sarebbe da assommarsi a quello generato dagli scontri veri e propri, oltre che dal massacro operato dai militari nei confronti della folla di studenti.

Per concludere, il Governo cinese, che ha sempre parlato dei fatti del 1989 come di un vero e proprio “moto controrivoluzionario”, si è sempre rifiutato di fare i conti delle vittime e, soprattutto, di fornire risposte alle varie associazioni cinesi e non, che lo hanno richiesto nel corso degli anni. Il movimento delle “Madri”, per esempio, chiede da anni che sia fatta chiarezza, senza aver mai ricevuto segni di apertura da parte dei membri delle istituzioni cinesi.

Il fatto e la foto

L’incontro tra l’uomo disarmato e il tank avviene in una delle grandi avenue della famosa piazza, quella di Chang’an, in direzione della cosiddetta città proibita pechinese. Il Governo aveva avviato nemmeno da 24 ore la sua repressione contro il movimento di apertura democratica azionato soprattutto dagli studenti cinesi, e le vittime erano già molte, tra morti e feriti.

Secondo le cronache, l’uomo avrebbe più volte tentato di deviare la strada della colonna di tank militari, mettendosi di fronte a loro più volte, costringendoli a ripetute manovre di aggiramento. Successivamente, il Rivoltoso di Tienanmen si  sarebbe arrampicato sulla torretta del carro armato e avrebbe rivolto alcune frasi al pilota, prima di essere catturato e portato via nella vicina caserma accampata nei pressi della piazza.

Non è dato sapere qual fu la natura del discorso intrapreso tra il militare e lo Sconosciuto, né se fu un vero e proprio discorso, o semplicemente una serie di interrogativi posti dal ragazzo al pilota del carro-armato, quasi avesse realmente la possibilità di rispondergli e di prendere una decisione differente da quella recepita dai suoi superiori.

Non furono pochi i giornali, soprattutto britannici, che ipotizzarono per il Rivoltoso la pena capitale, a causa della sua ribellione pubblica, pur senza mai ammantare delle prove a fronte di questa tesi.

Per quanto riguarda il discorso sulla fotografia in sé, va detto che oltre a quella scattata provvidamente dal reporter statunitense, va aggiunta l’immagine di Stuart Franklin, della Magnum Photos. La sua fotografia è più vasta rispetto a quella di Widener e, inoltre, è possibile notare il movimento stesso del tank cinese, il quale devia la sua marcia, evitando di passare sopra il corpo vivo dello Sconosciuto, muovendosi quasi a zigzag.

Lo sconosciuto di Piazza Tienanmen

Nel 2003 inoltre, la foto di Piazza Tienanmen è stata inserita nella rubrica “Le 100 foto che hanno cambiato il mondo“, secondo il volere della storica rivista Life. In precedenza però, nell’aprile del 1998, è stata la rivista Time ad includerlo nella propria personale lista de “Le persone che più hanno influenzato il XX secolo“. Lo storico patinato inoltre, ha una menzione d’onore anche per il pilota del “bestione cingolato”, com’è scritto, definito anch’egli un eroe al pari dello Sconosciuto, meritevole di essersi rifiutato di “falciare il suo compatriota“.

Lo Sconosciuto

La vera identità e storia dello Sconosciuto o Rivoltoso di Piazza Tienanmen resterà sempre un mistero. Secondo la rivista inglese Sunday Express, il suo nome sarebbe Wang Weilin: uno studente di 19 anni, tra i membri della protesta.  Circa la sua fine, successiva al fatto che lo ha visto protagonista, non sono pochi colori i quali hanno avanzato per lui ipotesi tragiche.

In un discorso al Circolo Presidenziale, nel 1999, Bruce Herschensohn, alto membro del governo statunitense e pupillo dell’ex Presidente Richard Nixon, affermò che lo Sconosciuto fu ucciso 14 giorni dopo la manifestazione. Secondo altri, sarebbe stato giustiziato da un plotone d’esecuzione, a distanza di pochi mesi dall’accaduto di Tienanmen.

Stando ai documenti ufficiali, si sa ben poco, né la Repubblica Popolare Cinese ha mai dato segno di intraprendere un discorso d’apertura in tal senso. Nel 1990, la giornalista Barbara Walters chiese all’allora Segretario Generale del Partito Comunista Cinese, Jiang Zemin, che fine avesse fatto il Rivoltoso. Il numero uno della nomenclatura rispose esclusivamente in questi termini: “Penso che non sia stato giustiziato“.

Altri organi di stampa, anche orientali, avrebbero poi affermato che il protagonista di questa assurda e commovente storia sarebbe ancora vivo, ma fuori dai confini cinesi. Nel 2009 pertanto, l’agenzia di stampa AsiaNews ha affermato che Wang Lianxi, questo il nome dello Sconoscito, sarebbe stato rilasciato nel 2007, dopo 18 anni di carcere, per venire poi internato prima delle Olimpiadi di Pechino in un ospedale psichiatrico cinese, dove sarebbe tuttora trattenuto.

Nello stesso periodo poi, va segnalata anche la versione del giornalista italiano Adriano Màdaro, il quale avrebbe dato una versione differente della storia di Piazza Tienanmen e della foto più famosa del XX secolo e, anche, dello stesso Sconosciuto di Piazza Tienanmen. In breve, affermando di essere stato presente in quel preciso momento, Màdaro sostiene che quel giovane in camicia bianca non fosse uno studente, ossia uno dei protagonisti della rivolta, bensì un umile contadino, il quale si trovava a Pechino per vendere la propria merce. Stando alla sua tesi, la busta bianca che ha nella mano destra conterrebbe delle mele e il giovane avrebbe fermato i carri armati militari esclusivamente per chiedere loro da dove provenissero, dal momento che anche lui aveva fatto il carrista.

A prescindere dall’identità del protagonista di questa storia, resta il fatto che l’uomo e la foto che lo immortala, resteranno per sempre un simbolo importante, una testimonianza di quel preciso momento storico, nell’anno della caduta del famoso Muro.

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La caduta del muro di Berlino e la riunificazione tedesca https://cultura.biografieonline.it/la-caduta-del-muro-di-berlino-e-la-riunificazione-tedesca/ https://cultura.biografieonline.it/la-caduta-del-muro-di-berlino-e-la-riunificazione-tedesca/#comments Mon, 21 May 2012 08:48:33 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1988 Chiamato dalla propaganda della DDR “barriera di protezione antifascista” (in tedesco: “antifaschistischer Schutzwall”), il muro di Berlino (in lingua originale: “Berliner Mauer”) è un sistema di fortificazioni che ha diviso la città tedesca dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989, per ventotto anni. Fatto erigere dal governo della Germania Orientale allo scopo di evitare che le persone del territorio della Germania Est potessero spostarsi a Berlino Ovest e viceversa, fu abbattuto in seguito alla decisione del governo della DDR di aprire le frontiere.

Una foto che ritrae le prime picconate simbolo della caduta del Muro di Berlino
Una foto che ritrae le prime picconate simbolo della caduta del Muro di Berlino

Nel corso degli anni di vita del muro di Berlino furono quasi 200 le persone uccise dagli uomini della polizia di frontiera per aver tentato di superare il muro e raggiungere la parte occidentale della città. La caduta del muro, considerato l’emblema della cosiddetta cortina di ferro, vale a dire la linea di confine tra la zona d’influenza sovietica e la zona d’influenza statunitense in Europa nel corso della Guerra Fredda, diede il la alla riunificazione della Germania, che avvenne ufficialmente il 3 ottobre del 1990.

Il contesto storico: la spartizione di Berlino

Mentre la Seconda Guerra Mondiale si appresta a concludersi, nel 1945 in occasione della Conferenza di Jalta viene sancita la divisione della città di Berlino in quattro settori, ognuno dei quali sarà amministrato e controllato da uno Stato diverso: Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Unione Sovietica. Proprio il settore sovietico è quello più grande, e include i distretti orientali di Prenzlauer Berg, Lichtenberg, Weissensee, Friedrichshain, Treptow, Mitte, Kopenick e Pankow.

Il Blocco di Berlino attuato nel 1948 dall’Unione Sovietica, poi, conduce al “Ponte Aereo” da parte degli alleati, finalizzato a inviare generi di prima necessità e viveri agli abitanti dei tre settori occidentali. I tre settori controllati da Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, che costituiscono Berlino Ovest, in quegli anni sono nominalmente indipendenti, ma in realtà fanno parte di una Germania Ovest che in effetti è totalmente circondata dalla Germania Est.

I cittadini di Berlino inizialmente hanno il permesso di circolare in tutti i settori liberamente, ma i loro movimenti diventano sempre più limitati a mano a mano che la Guerra Fredda si estende. Nel 1952 viene chiuso il confine tra Germania Ovest e Germania Est.

La costruzione del muro

Tra il 1949 e il 1961, almeno due milioni e mezzo di cittadini tedeschi orientali passano nella parte occidentale del Paese: è proprio per questo motivo che prende il via la costruzione di un muro, finalizzato a impedire l’esodo di cittadini orientali. Il muro viene eretto a partire dal 13 agosto 1961, e sarà realizzato intorno ai tre settori occidentali della città: le truppe del Kampfgruppen, intanto, presidiano la linea di confine, composta non solo da filo spinato, ma soprattutto da prefabbricati di pietra e cemento. Saranno questi gli elementi che costituiranno la prima generazione del muro.

Una foto del Muro di Berlino in costruzione
Una foto del Muro di Berlino in costruzione

A dispetto delle parole pronunciate il 15 giugno del 1961 da Walter Ulbricht, segretario del Partito Socialista Unitario tedesco e Capo di Stato della DDR (“Nessuno costruirà un muro”), in realtà la barriera viene eretta velocemente, e circonda totalmente Berlino Ovest, facendo sì che i settori occidentali della città siano una sorta di isola imprigionata dai territori orientali.

Da parte della DDR si è soliti ripetere che quello è un muro di protezione antifascista, il cui scopo è quello di impedire un’aggressione da parte dell’Ovest. È evidente, però, che si tratta di una semplice copertura, e l’obiettivo reale è quella di evitare che i cittadini della Germania Orientale entrino a Berlino Ovest (e quindi nella Germania Ovest, visto che il traffico tra la Germania Ovest e la parte occidentale di Berlino non può essere controllato dalla DDR).

I tentativi di fuga

Se tra il 1949 e il 1962 la fuga di cittadini (tra cui moltissimi lavoratori specializzati e professionisti) aveva interessato non meno di due milioni e mezzo di persone, tra il 1962 e il 1989 non sono più di cinquemila gli individui che osano attraversare il muro. La sua erezione, inoltre, diviene, sotto il profilo propagandistico, un boomerang, sia per la Germania Est che per l’intero blocco comunista.

Il muro, infatti, ben presto viene considerato come uno dei simboli della tirannia comunista, a maggior ragione dopo gli assassini delle persone che tentano di attraversarlo. Lungo più di 155 chilometri, il muro viene protetto ulteriormente con un secondo muro, costruito nel giugno del 1962, all’interno della frontiera. Viene così portata a termine quella che viene chiamata “striscia della morte”: più tardi, il muro di prima generazione sarà distrutto.

Nel 1965, poi, è la volta della terza generazione del muro, costituita da lastre di cemento armato connesse con montanti di acciaio e tubi di cemento; nel 1975 prenderà il via la quarta generazione, sempre in cemento armato rinforzato: composto da circa 45 mila sezioni distinte, avrà un’altezza di poco più di tre metri e mezzo, e una larghezza di un metro e mezzo. Costerà più di 16 milioni di marchi.

Mappa e cartina del muro di Berlino
Mappa del Muro di Berlino

Nello stesso anno, la “striscia della morte” viene perfezionata: a proteggerla ci sono più di cento chilometri di fossato anticarro, venti bunker, più di trecento torri di guardia presidiate da cecchini armati e una strada lunga quasi 180 km costantemente illuminata per il pattugliamento. L’unico punto di attraversamento per i turisti e gli stranieri è situato in Friedrichstrasse (Checkpoint Charlie), mentre le potenze occidentali possono contare anche sul checkpoint di Dreilinden (Checkpoint Bravo), al confine meridionale di Berlino Ovest, e di Helmstedt (Checkpoint Alpha), sul confine tra la Germania occidentale e quella orientale. I berlinesi, invece, inizialmente hanno a disposizione tredici punti di attraversamento, quattro tra Berlino Ovest e la DDR e nove tra Berlino Ovest e Berlino Est. Più tardi, con un gesto altamente simbolico, l’attraversamento della porta di Brandeburgo sarà sbarrato.

Le vittime del muro

Naturalmente sono numerosi i tentativi di fuga di quel periodo, e circa cinquemila vanno a buon fine. Tuttavia, ve ne sono molti altri che si concludono con la morte (circa duecento) o il ferimento dei fuggitivi. Fino a quando il muro non viene fortificato completamente, i tentativi sono spesso semplici e banali: per esempio, buttarsi dalla finestra di una casa che si affaccia sul confine per cadere a terra nella parte occidentale, o passare sotto le barricate con una macchina molto bassa.

Con il passare del tempo, invece, l’inventiva dei berlinesi viene messa a dura prova: non manca chi impiega aerei ultraleggeri, scivola lungo i cavi elettrici che uniscono i piloni o costruisce lunghe gallerie. La prima vittima ufficiale dei tentativi di fuga si chiama Ida Siekmann: il 22 agosto del 1961 salta dalla sua casa in Bernauer Strasse. L’ultima vittima, invece, è dell’8 marzo 1989, e si chiama Winfried Freudenberg: ha provato a scappare addirittura con una mongolfiera da lui realizzata, e caduta a Berlino Ovest.

La prima persona uccisa dai soldati di confine, invece, è Gunter Litfin. L’ultima si chiama Chris Gueffroy, un ragazzo non ancora ventunenne che viene colpito il 5 febbraio mentre è impegnato a scavalcare il muro a Nobelstrasse. In effetti, sono molti i giovani tra i morti del Muro. Tra di loro si ricordano anche diversi bambini: Holger H., di un anno e mezzo, Cetin Mert, di cinque anni (ucciso proprio il giorno del suo compleanno), Siegfried Krobot, di cinque anni, Giuseppe Savoca, di sei anni, Cengaver Katranci, di nove anni, Jorg Hartmann, di dieci anni, e Lothar Schleusener, di tredici anni.

Il tentativo di fuga più celebre è quello che coinvolge Peter Fechter, ragazzo diciottenne che il 17 agosto del 1962 viene ferito dalle guardie di confine e lasciato morire a terra dissanguato. Tra gli stessi soldati impiegati presso il muro, per altro, si registrano tentativi di fuga. In tutto il mondo è famosa la foto di Conrad Schumann, guardia che in corrispondenza della Bernauer Strasse salta oltre il filo spinato, ma anche tra i militari non mancano i morti.

L’obiettivo del muro, insomma, è impedire che i cittadini della Germania Orientale possano conoscere il mondo normale. Particolarmente significativa, in questo senso, è la storia di Conrad Schumann, che, fuggito dalla DDR, trova rifugio in Baviera dove lavora come operaio all’Audi di Ingolstadt. Tornato a casa dopo la caduta del muro per rivedere amici e colleghi, riceve un’accoglienza fredda, e viene trattato come un estraneo: si impiccherà dopo essere caduto in depressione.

Il simbolo di un fallimento

Il muro che è stato necessario costruire, in ogni caso, rappresenta una sconfitta perché sta a significare che il sistema comunista in vigore non attira i cittadini, ma anzi li spinge alla fuga: e per questo è necessario posizionare trappole e ostacoli, creare segnali elaborati, costruire torri di guardia e bunker.

Nel corso degli anni non mancano i cittadini che decidono di seguire il percorso inverso, cioè scavalcare la frontiera da Ovest a Est. Un cittadino berlinese, per esempio, negli anni Settanta viene arrestato cinque volte per aver scavalcato il muro verso Est: agli agenti che lo interrogano, risponde che lui abita a Kreuzberg, e i suoi amici si trovano proprio di fronte. Per questo motivo, la via più veloce è quella di scavalcare, invece che recarsi ai passaggi di frontiera. Le guardie di frontiera non possono fare altro, ogni volta, che rilasciare l’uomo.

Altre volte, poi, l’attraversamento diventa una sfida personale. Nel 1986, per esempio, John Runnings scavalca il muro servendosi di una scala, e decide di camminare per almeno mezzo chilometro sul muro in equilibrio. Mentre numerosi cittadini presenti lo incoraggiano, i tentativi di persuaderlo ad abbandonare l’impresa compiuti dalle guardie e dai poliziotti di frontiera vanno a vuoto. Alla fine, dopo essere sceso, l’uomo viene preso in custodia dalle truppe della DDR e rimandato a Ovest dopo un veloce interrogatorio; ma pochi giorni dopo Runnings ci ritenta, e, salito sul muro, si siede a cavalcioni su di esso iniziando a prenderlo a martellate, con un gesto evidentemente simbolico. Nuovamente arrestato, viene riportato a Ovest, dove organizzerà una terza incursione, che gli costerà altri due giorni di prigione.

Il 23 agosto 1989 va in scena la prima tappa della “liberazione” tedesca: l’Ungheria elimina le restrizioni alla frontiera con l’Austria; e così, dalla metà di settembre dello stesso anno, almeno 13mila tedeschi orientali fuggono in direzione dell’Ungheria. Non tutto fila liscio, però: l’annuncio che sottolinea che l’attraversamento della “cortina di ferro” non è possibile ai cittadini non ungheresi provoca una vera e propria invasione delle ambasciate della Germania dell’Ovest a Praga e Budapest.

Ci vuole la mediazione di Hans-Dietrich Genscher, ministro degli Esteri di Bonn, a risolvere la questione. Partono, così, i primi treni che contengono i rimpatriati, treni che tuttavia attraversano la Germania dell’Est senza fermarsi: già al passaggio dei primi convogli iniziano le dimostrazioni di massa della popolazione. Siamo nell’autunno del 1989, e Erich Honecker, leader della DDR, è costretto alle dimissioni. Pochi giorni dopo, verrà sostituito da Egon Krenz, il cui nuovo governo concede ai cittadini della Germania Orientale una licenza per andare nella zona occidentale del Paese.

L’abbattimento del muro

Un pasticcio diplomatico, poi, accelera i tempi: il ministro della Propaganda della Germania dell’Est, Gunter Schabowski, si trova in vacanza nel momento in cui la decisione viene presa, e quindi, pur avendo il compito di comunicare la notizia, non ne conosce i dettagli. Il 9 novembre 1989 egli riceve, nel corso di una conferenza stampa, la notizia che a tutti i berlinesi dell’Est è stato permesso di attraversare il confine con un permesso apposito.

Schabowski, interrogato dai giornalisti ma non avendo informazioni precise, comunica, la sera del 9 novembre, che i posti di blocco sono stati aperti. E così, dopo aver sentito le parole del ministro in diretta televisiva, decine di migliaia di cittadini di Berlino Est si fiondano verso il muro, chiedendo di essere lasciati entrare nella parte occidentale della città. Le guardie di confine, non informate, non dispongono degli strumenti per rendere innocua un’invasione tanto imponente, e sono così obbligate ad aprire i checkpoint senza svolgere alcun controllo di identità. Ecco perché il 9 novembre viene indicata come la data della caduta del Muro.

A partire dai giorni successivi, migliaia di persone accorrono alla costruzione per distruggerla e conservarne un piccolo pezzo come ricordo.

Il 18 marzo 1990, nella Repubblica Democratica Tedesca si tengono le prime (e uniche) elezioni libere, che danno vita a un governo il cui compito principale è quello di mettere in atto la fine dello Stato.

La riunificazione tedesca

La riunificazione ufficiale va in scena il 3 ottobre 1990, quando Turingia, Sassonia, Brandeburgo, Sassonia-Anhalt e Meclemburgo – Pomerania Occidentale, i cinque stati federali che già componevano la DDR ma che erano stato aboliti e convertiti in province, si ricostituiscono, e ufficialmente entrano a far parte della Repubblica Federale di Germania.

Dal punto di vista del diritto internazionale la riunificazione tedesca viene considerata come un’incorporazione della Germania dell’Ovest nei confronti di quella dell’Est, visto che si sono mantenute le istituzioni e la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca. In altre parole, non si procede alla scrittura di una nuova Costituzione di una Germania riunificata, ma si allarga l’applicazione del Grundgesetz già esistente ai nuovi Stati.

Il Trattato sullo stato finale della Germania

La riunificazione è preceduta il 12 settembre 1990 dalla firma del “Trattato sullo stato finale della Germania”, sottoscritto a Mosca. Le Quattro Potenze (Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica) con questo trattato rinunciano a tutti i diritti vantati sulla Germania, compresi quelli che riguardano la citta di Berlino: di conseguenza, la Germania riunificata diventa Stato sovrano il 15 marzo 1991, mentre entro la fine del 1994 il Paese dovrà essere abbandonato dalle truppe sovietiche.

Da parte sua la Germania deve limitare le sue forze armate combinate, non superando le 370mila unità: di queste, al massimo 345mila possono essere impiegate nella Luftwaffe (l’Aeronautica) e nell’Esercito. Lo Stato tedesco, inoltre, conferma di rinunciare alla realizzazione, alla conservazione e al controllo di armi chimiche, biologiche e nucleari. Ciò significa che la Germania continua ad applicare il “Trattato sulla proliferazione non nucleare”.

La ex DDR, inoltre, diventa Zona Libera da Armi Nucleari in maniera permanente, e nessuna forza armata straniera può stazionarci, così come in quel territorio non sarà possibile distribuire o mantenere vettori di armi nucleari. Ancora, la Germania conferma il riconoscimento internazionale delle frontiere con la Polonia, e al fine di impedire richieste future in corrispondenza della linea Oder-Neisse, ad est, vengono stabilite alcune modifiche territoriali (il 14 novembre del 1990, poi, tra Germania e Polonia sarà sancito un accordo separato, il “Trattato sul confine tedesco-polacco”, che riaffermerà il confine comune attuale).

Il “Trattato sullo stato finale della Germania” viene ratificato dalla Repubblica Federale Tedesca (cioè dalla Germania unita) anche se in realtà è stato firmato dalla Germania Orientale e della Germania Occidentale in qualità di entità separate.

In seguito gli obblighi di tale patto sono stati spesso violati in conseguenza degli accordi dovuti alla presenza della Germania nella Nato: per esempio, nel Land del Meclemburgo sono stati spesso accolti mezzi militari ai fini di missioni belliche, così come l’aeroporto civile di Lipsia presenta installazioni militari che rientrano nel Patto Atlantico.

Il 20 giugno 1990, infine, la riunificazione tedesca si completa definitivamente, con la decisione del Parlamento (anche se ottenuta con una esigua maggioranza) di spostare la capitale da Bonn a Berlino.

Il trasferimento della capitale

La delocalizzazione completa (con lo spostamento degli uffici governativi e dei ministeri) si completa nel 1999: oggi Bonn non è più la “Bundeshaupstadt” (cioè la “capitale della federazione”), ma la “Bundesstadt” (cioè una “città della federazione”).

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