femminicidio Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 19 Oct 2023 15:56:47 +0000 it-IT hourly 1 Simonetta Cesaroni: il delitto di via Poma https://cultura.biografieonline.it/simonetta-cesaroni-il-delitto-di-via-poma/ https://cultura.biografieonline.it/simonetta-cesaroni-il-delitto-di-via-poma/#comments Thu, 19 Oct 2023 15:38:08 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=960 Il delitto di via Poma

Simonetta Cesaroni viene assassinata nel pomeriggio del 7 agosto 1990 nell’ufficio dell’A.I.A.G di via Poma 2 a Roma presso il quale presta servizio come contabile. A provocarne la morte è il forte trauma cranico subìto. Le successive 29 coltellate inferte dall’assassino sono solo un’ulteriore testimonianza dell’efferatezza e della crudeltà del delitto. Al momento della morte la vittima ha poco più di vent’anni, e niente nella sua vita privata lascia supporre l’esistenza di frequentazioni poco chiare o pericolose.

Simonetta Cesaroni
Una foto di Simonetta Cesaroni

L’ultimo giorno di lavoro di Simonetta Cesaroni

Simonetta Cesaroni presta servizio presso lo studio di commercialisti Reli Sas che annovera tra i suoi clienti proprio l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù. Il suo superiore, Salvatore Volponi, le propone così di integrare la settimana lavorativa recandosi presso l’A.I.A.G di via Poma il martedì e il giovedì pomeriggio.

Per la ragazza si tratta dell’ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze, e deve controllare semplicemente alcune pratiche. Durante il pomeriggio effettua un’unica telefonata alla collega, Luigia Berettini, per chiederle una password di accesso al computer. Quel pomeriggio di piena estate  è sola in ufficio, e i due portieri dello stabile, Pietro Vanacore detto Pietrino e la moglie Giuseppa de Luca detta Pina, dichiarano di non aver visto nessun estraneo varcare il portone dello stabile in via Poma e entrare nella palazzina B.

Alle 21.30 la sorella, Paola, non vedendola rientrare chiama il Volponi che non riesce a fornirle alcuna informazione utile. Paola e il fidanzato decidono di passare a prendere il Volponi per raggiungere l’ufficio, dove quest’ultimo trova il corpo senza vita della ragazza. Simonetta è nuda, l’assassino gli ha lasciato addosso solo i calzini, un top e il reggiseno.

L’autopsia rivela che l’arma utilizzata per infliggerle i colpi è probabilmente un tagliacarte. Oltre ai tagli, uno dei capezzoli presenta un segno compatibile con un morso. Le uniche tracce di sangue non appartenenti alla vittima sono maschili, e vengono rinvenute sulla maniglia della porta dell’ufficio.

Il primo indiziato: Pietro Vanacore

Il delitto sembra trovare inizialmente una facile soluzione. Tutti i sospetti si appuntano sul portiere dello stabile, Pietro Vanacore. I familiari del portiere dichiarano di essere stati in cortile dalle 16 alle 20, ma il portiere risulta assente proprio nel lasso di tempo in cui è stato commesso l’omicidio, vale a dire tra le 17,30 e le 18,30.

La situazione già delicata viene aggravata dalla scoperta di una macchia di sangue sui pantaloni dell’uomo. Ad un esame scientifico più approfondito il sangue risulterà appartenere allo stesso Vanacore, malato di emorroidi.

Gli abiti, inoltre, non presentano ulteriori tracce ematiche, indizio che scagiona definitivamente il portiere. Dopo aver commesso il delitto, l’assassino ha, infatti,  accuratamente ripulito l’ufficio ed è altamente probabile che si sia macchiato con il sangue di Simonetta. Gli abiti di Vanacore, invece, pur essendo stati indossati per ben tre giorni (dal 7 al 9 agosto) non sono stati macchiati dal sangue della vittima. Infine, anche il sangue sulla maniglia dell’ufficio non appartiene al portiere.

Le ipotesi di indagine: dal coinvolgimento del giovane Federico Valle fino al SISMI e alla Banda della Magliana.

Un caso che sembrava risolto

Il caso che sembrava, dunque, praticamente risolto finisce per complicarsi e per assumere sempre più i contorni di un giallo.

Si dovrà attendere fino al marzo 1992 per una nuova svolta nelle indagini.

Compare sulla scena un cittadino austriaco, Roland Voller, che racconta di una serie di conversazioni telefoniche avute con una donna, Giuliana Ferrara.

La donna è la moglie di Francesco Valle, figlio di un anziano architetto, Cesare Valle, residente nello stabile di via Poma e assistito dal portiere Vanacore.

Il Voller racconta di essere venuto a contatto con la donna a seguito di una telefonata fatta per errore. Tra i due è iniziata una sorta di amicizia telefonica, e Giuliana si è confidata con l’uomo raccontandogli che proprio il 7 agosto del 1990 il giovane figlio, Federico, è tornato a casa sporco di sangue dopo una visita al nonno Cesare.

Secondo questo racconto, Federico avrebbe commesso il delitto perché accecato dalla rabbia per la relazione del padre con la giovane Simonetta. La donna, pur ammettendo di conoscere il Voller, dichiara di non avergli mai fatto questo tipo di confidenze. La procura tenta di perseguire Federico ipotizzando che il giovane abbia avuto come complice il portiere Vanacore, chiamato dal nonno per cancellare le tracce del delitto e proteggere così il nipote.

Le analisi sul sangue rinvenuto in ufficio dimostreranno, però, l’estraneità ai fatti del giovane Federico.

Voller, un personaggio misterioso

La figura dello stesso Voller non consente agli inquirenti di battere ulteriormente questa pista. L’uomo svolge la professione di commerciante, ma è in realtà un truffatore che vende spesso informazioni alla polizia.

Nonostante queste scoperte, Voller rimane un personaggio così misterioso da corroborare un’ipotesi investigativa secondo la quale gli uffici di via Poma sarebbero una copertura per non ben precisate attività dei servizi segreti. Si ritiene, infatti, che l’uomo sia vicino a quegli ambienti, e durante una perquisizione vengono trovati in suo possesso alcuni documenti riservati riguardanti il delitto dell’Olgiata. Questi strani e misteriosi intrecci non verranno, però, mai chiariti.

Sulla scia dell’ipotesi precedente viene battuta una nuova pista investigativa fondata sul ritrovamento da parte della giovane di alcuni documenti scottanti dell’A.I.G.A comprovanti la concessione di alcuni favori a membri della Banda della Magliana con il beneplacito del Vaticano e del SISMI.

L’ipotesi prende corpo anche per la presenza di alcuni strani personaggi che dopo l’assassinio si aggirano sotto lo stabile della famiglia Cesaroni, e sembrano avere l’apparenza di agenti del SISMI. Le indagini non portano a nulla di fatto, nonostante proprio in quegli anni  si scoprano i legami realmente esistenti tra la Banda della Magliana e il SISMI.

La pista del Videotel

La difficoltà a sbrogliare l’intricata matassa fa venire alla luce improbabili piste come quella del videotel, una sorta di chat in cui Simonetta avrebbe conosciuto il suo probabile assassino.

In base a questa ipotesi, supportata dall’arrivo in procura di una lettera anonima, la ragazza avrebbe invitato lo sconosciuto del videotel a raggiungerla in ufficio proprio il pomeriggio del 7 agosto.

La pista risulterà poi infondata in quanto Simonetta non aveva un computer personale, e quello del suo ufficio non consentiva l’utilizzo del videotel.

L’accusa al fidanzato Raniero Busco

Le indagini subiscono una svolta quando vengono analizzate delle tracce di saliva rinvenute sul reggiseno e il corpetto indossati da Simonetta. Quelle tracce appartengono al fidanzato della ragazza, Raniero Busco, che viene iscritto nel registro degli indagati nel settembre del 2007.

La posizione di Busco si aggrava quando Paola Cesaroni asserisce che la sorella ha indossato quella biancheria proprio il giorno del delitto: le tracce dunque non possono essere state lasciate in un altro momento. Le ulteriori analisi sul sangue rinvenuto sulla maniglia rivelano, inoltre, la compatibilità con l’ex fidanzato della vittima. Stessa cosa accade anche per il segno del morso sul seno.

La sentenza di primo grado emessa nel 2011 dichiara Busco colpevole dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, e lo condanna a una pena detentiva di 24 anni. Il processo di secondo grado è, invece, ancora in corso.

Nel 2009 viene anche archiviata l’indagine a carico del portiere Pietrino Vanacore, che purtroppo alla vigilia della sua testimonianza nel processo contro Busco si toglie la vita annegandosi. Lascia un biglietto in cui dichiara che vent’anni di sospetti non possono che condurre al suicidio.

Busco viene assolto in appello nel mese di aprile 2012.

La Cassazione assolve infine Busco in via definitiva il 26 febbraio 2014: il delitto di via Poma resta pertanto senza colpevoli.

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Scarpe rosse: perché sono il simbolo della Giornata contro la Violenza sulle Donne https://cultura.biografieonline.it/scarpe-rosse-giornata-mondiale-contro-la-violenza-sulle-donne/ https://cultura.biografieonline.it/scarpe-rosse-giornata-mondiale-contro-la-violenza-sulle-donne/#comments Mon, 22 Nov 2021 17:45:10 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=36979 Perché le scarpe rosse sono il simbolo del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne?

Spieghiamo qual è il significato delle scarpe rosse divenuto simbolo contro la violenza sulle donne e contro il femminicidio.

scarpe rosse - red shoes - zapatos rojos - 25 novembre
Le scarpe rosse sono diventate il simbolo del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

La prima volta

Innanzitutto collochiamolo nella storia: la data è il 22 agosto 2009.

Protagonista è l’artista Elina Chauvet, nata in Messico nel 1959.

Elina utilizzò delle scarpe rosse per la prima volta in un’installazione artistica pubblica.

L’obiettivo ed il messaggio furono quelli di non dimenticare le centinaia di donne uccise nella città messicana di Juárez.

Elina Chauvet
Elina Chauvet

Il tremendo assassinio delle donne messicane

Elina passò parte della sua vita proprio a Juárez in Messico, dove studiò architettura all’università. In quegli anni vide da vicino il fenomeno della sparizione delle giovani donne e del ritrovamento dei loro corpi senza vita, nel deserto.

Diverse inchieste indicarono che l’età della maggior parte delle donne era compresa tra i quindici e i venticinque anni.

Furono tutte: rapite, stuprate, orrendamente mutilate e uccise per strangolamento.

Elina Chauvet notò come come le autorità minimizzassero il problema. Decise così di rompere l’omertà ed il silenzio che avvolgeva questi fatti attraverso una comunicazione visiva di forte impatto.

Le scarpe rosse di Elina Chauvet

Nel 2009 Elina raccolse 33 paia di scarpe e le installò nello spazio urbano di Juárez. Dopo il primo evento Zapatos Rojos (scarpe rosse in lingua spagnola, mentre in inglese è Red Shoes), ha atteso due anni per rifarlo. Nel 2011 ha riprodotto la sua installazione artistica nello stato di Sinaloa, nella città di Mazatlán. Grazie al passaparola generato, questa volta le scarpe donate furono 300!

L’iniziativa dell’artista messicana ebbe da subito una grande eco. Tra i primi paesi in cui venne replicata ci furono:

  • Argentina,
  • Italia,
  • Regno Unito,
  • Ecuador,
  • Spagna.

Alina stessa subì in famiglia un lutto violento: la sorella morì per mano del marito.

Red Shoes è un incontro di arte e memoria collettiva. Nel suo viaggio, cerca la solidarietà tra le persone verso una città in cui l’omicidio e la scomparsa delle donne è un evento quotidiano. E’ un invito alla riflessione nelle città e nei paesi in cui si tiene, dal momento che ci induce a parlare di un problema sempre più nascosto come la violenza contro le donne.

Elina Chauvet
Scarpe rosse: un'installazione in Italia
Un’installazione di scarpe rosse in Italia

Il simbolo

Le scarpe rosse rappresenteranno il sangue delle donne uccise e scomparse a causa della violenza sessista. Il tema è purtroppo molto presente e costante anche nella cronaca nera italiana.

Gli abusi contro le donne troppo spesso rimangono nascosti tra le mura domestiche.

Il simbolo delle scarpe rosse porta in sé questo messaggio: la violenza nella coppia non è normale, non è tollerabile.

Le varie installazioni che ogni anno si replicano, mostrano con un messaggio di impatto, quanto sia pesante il vuoto lasciato da ragazze, mogli, sorelle, figlie che non ci sono più.

Elina Chauvet
Elina Chauvet

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Ricorre il 25 novembre di ogni anno a partire dal 2000. L’istituzione arriva dall’Assemblea generale dellONU, tramite una risoluzione datata 17 dicembre 1999. Da allora le Nazioni Unite hanno invitato governi, organizzazioni e ONG a livello internazionale, a organizzare attività e manifestazioni durante il 25 novembre.

Le scarpe rosse di Elina Chauvet sono così oggi il simbolo della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’obiettivo dell’ONU sposa in pieno quello dell’artista messicana: sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.

Indossare un paio di scarpe rosse durante il 25 novembre, significa aderire ad una lotta per dire basta ad ogni tipo di violenza contro le donne.

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa da un uomo che la conosceva bene e che diceva di amarla.

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Femminicidio e femicidio, uso corretto delle parole https://cultura.biografieonline.it/femminicidio/ https://cultura.biografieonline.it/femminicidio/#comments Wed, 27 Jun 2018 20:33:54 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=24944 In Italia, femminicidio e femicidio sono termini molto utilizzati di recente dai media. Il primo termine, cioè femminicidio, indica la violenza contro le donne sul piano psicologico simbolico, economico e sociale, che precede o può portare al femicidio. Quest’ultimo è un concetto che comprende le morti di donne che sono avvenute per motivi misogini. Il termine deriva dall’inglese femicide e si è diffuso negli anni Settanta del Novecento, ma era un termine già in uso sin dall’Ottocento.

Femminicidio

«Ci sono state e ancora ci sono resistenze all’introduzione del termine, quasi fosse immotivato o semplicemente costituisse un voler forzatamente distinguere tra delitto e delitto semplicemente in base al sesso della vittima; quasi fosse neologismo frutto di una delle tante mode linguistiche più che del bisogno di nominare un nuovo concetto» (tratto da Accademia della Crusca, ndr)

Il termine femminicidio e la sua diffusione negli anni ’90

Il neologismo femminicidio si è diffuso nelle cronache internazionali negli anni Novanta. Proprio per riferirsi ai fatti di Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati Uniti. È qui che nel 1992 sono scomparse oltre 4.500 giovani donne, 650 sono state stuprate, torturate, uccise e poi abbandonate nel deserto. Da qui le donne messicane, tra le quali attiviste femministe, giornaliste e accademiche hanno portato avanti una battaglia e hanno sostenuto la candidatura dell’antropologa Marcela Lagarde, teorica del femminicidio, al Parlamento.

L’antropologa ha fatto costituire e ha presieduto una Commissione Speciale parlamentare. Essa ha portato ad approvare una legge sulla violenza di genere con la quale è stato introdotto il reato di femminicidio.

Anche altri Stati sudamericani hanno preso esempio da quello messicano. Da qui hanno cominciato ad usare questo neologismo per riferirsi agli omicidi con movente di genere.

I femminicidi in Italia

Questo tema tuttavia non è circoscritto al Sud America. Il Comitato per l’attuazione della CEDAW (la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne) nel 2011, per la prima volta si è espresso in relazione ad un Paese non latinoamericano; nelle Raccomandazioni all’Italia si è dichiarato preoccupato per l’elevato numero di femminicidi

«che può indicare un fallimento delle autorità dello Stato nel proteggere adeguatamente le donne vittime dei loro partner o ex partner»

Tra le vittime italiane di femminicidi ne ricordiamo alcune di cui abbiamo parlato in articoli precedenti: Addolorata Palmisani (2011), Rosy Bonanno (2013), Elena Ceste (2014), Denise Georgiana (2015).

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Il delitto di Rosy Bonanno https://cultura.biografieonline.it/rosi-bonanno-storia/ https://cultura.biografieonline.it/rosi-bonanno-storia/#comments Sun, 15 Feb 2015 16:54:33 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13246 Le ha inflitto 17 coltellate senza pietà, l’ha uccisa mentre nell’altra stanza dormiva il loro bambino di due anni. Stiamo parlando di Rosy Bonanno, una donna di 26 anni, uccisa dall’ex compagno il 10 luglio 2013. I due erano separati da gennaio quando, approfittando del fatto che la ragazza si trovasse in casa da sola con il bambino, Benedetto Conti si è presentato nell’appartamento e ha ucciso la donna senza pietà, con 17 coltellate. L’omicidio è avvenuto in Via Orecchiuta a Palermo.

Rosy Bonanno
Una foto di Rosi Bonanno (a destra) e Benedetto Conti (a sinistra)

L’inizio della relazione

Era il 2009 quando i due si sono conosciuti, è stato un colpo di fulmine, al punto che Rosi, che aveva un’altra relazione, decide di interromperla per frequentare Benedetto, nonostante il parere contrario dei suoi genitori, per la differenza d’età tra i due, dieci anni. Un amore che è destinato a trasformarsi in una tortura per la donna, che ha solo 22 anni. I due organizzano la classica “fuitina”, pur di vivere il loro amore. Benedetto non ha soldi, è senza un lavoro, ma questo non serve a scoraggiarli. Per qualche settimana decidono di vivere in macchina. Sino a quando i genitori di lei gli affittano un appartamento vicino casa loro.

Inizia la convivenza, nel corso della quale Rosi scopre la vera indole del suo compagno. L’uomo è svogliato, non ha voglia di lavorare e di occuparsi della famiglia e quando Rosi Bonanno gli parla di questo, lui reagisce con violenza. Da qui iniziano periodi di separazione, che si alternano a momenti di avvicinamento. I litigi sono frequenti e aumentano dopo la nascita del figlio; l’uomo a questo punto tenta di ottenere l’affidamento del piccolo. Ma nessuno dei due genitori ha la possibilità di provvedere al figlio, così il Tribunale lo affida un po’ ai genitori di lei, un po’ ai genitori di lui. Arriva la separazione definitiva tra i due: è il mese di gennaio del 2013. L’uomo non si rassegna e inizia a torturare lei e la sua famiglia.

Il giorno dell’omicidio di Rosy Bonanno

È il 10 luglio 2013. Rosy Bonanno è in casa da sola. Apre la porta, fa entrare Benedetto, hanno una lite, poi lui afferra il coltello e la massacra con 17 coltellate. Quindi fugge, se ne va a Villabate, paese in provincia di Palermo, qui viene arrestato sotto casa dei genitori. Viene condannato a 30 anni per omicidio.

Il delitto annunciato

Rosi aveva presentato sei denunce per maltrattamenti: “E’ un delitto annunciato. Si sapeva che finiva così”, dice Teresa Matassa, madre della giovane vittima. “Da controlli nel registro generale delle notizie di reato abbiamo accertato che la signora Rosi Bonanno aveva denunciato due volte, una nel 2010, l’altra nel 2011, Benedetto Conti. Le accuse erano di maltrattamenti in famiglia e non di stalking. Entrambe le denunce furono archiviate dal gip su richiesta della Procura perché la signora, risentita dagli inquirenti, minimizzò i fatti e in un caso ritirò la querela sostenendo che i dissidi erano cessati e che si era riconciliata con Conti”, hanno detto il procuratore di Palermo, Francesco Messineo e l’aggiunto Maurizio Scalia, che coordinano l’inchiesta.

Femminicidi
Femminicidi: una manifestazione in ricordo di Rosy Bonanno e contro il femminicidio

La Polizia sapeva tutto: “L’assistente sociale, la Polizia sapevano tutto. Da tempo denunciamo violenze, minacce, intimidazioni. Ora che mia figlia è morta venite tutti ma l’avete sulla coscienza, questa non è giustizia, dov’era la legge?”, aggiunge la madre di Rosi. La replica dei servizi sociali del Comune di Palermo: “Conti e la donna hanno rifiutato l’assistenza offerta, che prevedeva il ricovero protetto per la madre e il figlio e, in una struttura separata, per il compagno”.

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L’omicidio di Denise Georgiana https://cultura.biografieonline.it/denise-georgiana-storia/ https://cultura.biografieonline.it/denise-georgiana-storia/#comments Sun, 15 Feb 2015 16:34:25 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13244 Un femminicidio al Nord: Denise Georgiana, 35 anni, è stata assassinata dal marito, che l’ha raggiunta in bagno e l’ha uccisa a coltellate. E’ accaduto all’alba di venerdì 6 febbraio 2015. L’uomo, Florinel Nicolae Stefan, romeno di 45 anni, forse ha agito per gelosia e, dopo aver assassinato la moglie, si è tagliato la gola con lo stesso coltello. E’ successo in Via Vittorio Veneto, a Lodi. A poca distanza dal bagno, la figlia dodicenne è stata svegliata dalle urla della madre. La famiglia romena viveva a Lodi ormai da anni e si era ben integrata.

Nicolae Stefan e Denise Georgiana
Una foto che ritrae Nicolae Stefan assieme alla moglie Denise Georgiana

La dinamica dell’omicidio

Sono le 5 del mattino, l’uomo forse è ubriaco, raggiunge la moglie in bagno lanciandole accuse legate alla gelosia. In mano l’arma del delitto: un coltello con una lama affilata di 20 centimetri. E’ entrato, ha chiuso la porta a chiave, quindi ha iniziato a colpirla, infine l’ha sgozzata. Le urla della donna hanno fatto svegliare la figlia, che aveva dormito con la madre nel letto matrimoniale, e tre ospiti che dormivano nella stanza vicina.

A quel punto hanno cercato di forzare la porta, ma senza riuscirci. Hanno quindi chiamato la Polizia, che è intervenuta subito, facendo uscire la figlia e i tre ospiti dall’appartamento, poi hanno sfondato la porta del bagno e hanno trovato la donna in un lago di sangue. Anche l’uomo era già morto, dopo essersi suicidato, tagliandosi la gola. Sul posto sono intervenuti Alessandro Battista, il capo della squadra mobile della Questura di Lodi, il procuratore capo Vincenzo Russo e Alessia Rosanna Menegazzo, il sostituto procuratore che sta coordinando le indagini.

La famiglia

La coppia da anni viveva a Lodi. Lui era un operaio, da un mese disoccupato. Mentre la moglie faceva la gelataia. La figlia dodicenne frequentava l’oratorio di San Bernardo e le scuole Pascoli, vicino alla palazzina di Via Vittorio Veneto, teatro dell’omicidio-suicidio.

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Il delitto di Addolorata Palmisani https://cultura.biografieonline.it/addolorata-palmisani-storia/ https://cultura.biografieonline.it/addolorata-palmisani-storia/#comments Mon, 02 Feb 2015 14:56:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12897 È scesa per le scale ed è andata in garage dal marito, dal quale era in procinto di separarsi: siamo in Viale Aldo Moro 177, a Monopoli, quando, dopo l’ennesima lite, il marito, Domenico Maggio, ha afferrato l’ascia e ha colpito Addolorata Palmisani, 51 anni, sopra la clavicola destra, recidendo l’arteria giugulare. Pochi istanti e Addolorata è morta dissanguata. Siamo al 4 settembre 2011. La coppia era in procinto di separazione: l’uomo, 49 anni, viveva nel garage, dove è avvenuto il delitto. Secondo una prima ricostruzione, il marito avrebbe reagito ad una provocazione.

Addolorata Palmisani
Addolorata Palmisani, conosciuta come Ada

Chi era Addolorata Palmisani

Addolorata Palmisani apparteneva ad una famiglia tradizionalista e con serie difficoltà economiche, tanto che da ragazza è stata costretta a lasciare gli studi per andare a lavorare e aiutare la famiglia economicamente. Il padre era severo con la giovane, obbligandola alla vita di bracciante agricola e dopo il lavoro per lei c’era solo la casa. Si sposa a soli 18 anni con Domenico Maggio, anche lui della stessa città; inizia così per la donna una convivenza difficile, fatta di violenze. Dal loro matrimonio nascono tre figli, ma questo non serve a Domenico per prendersi cura della sua famiglia. La donna chiede la separazione, lui non si preoccupa più dei figli, né tantomeno di pagare il mantenimento.

La condanna

Domenico Maggio è stato condannato a 15 anni e 4 mesi di reclusione: un processo con rito abbreviato, che ha portato alla condanna dell’omicida. Alle indagini hanno collaborato Polizia e Carabinieri. I poliziotti si sono recati sul luogo del delitto subito dopo la tragedia, mentre i Carabinieri hanno dato la caccia all’omicida.

La ricostruzione dei fatti

Domenico Maggio stava per andare al mare quel 4 settembre del 2011, quando la donna lo raggiunge in garage. Hanno una discussione, poi il raptus di follia. Domenico Maggio afferra l’ascia e colpisce la moglie, lasciandola a terra in una pozza di sangue. Uno dei colpi raggiunge la donna alla gola, recidendole la giugulare. Per lei non c’è stato scampo: è morta dissanguata. L’uomo fugge e si rende irreperibile, poi viene preso dai Carabinieri e, dopo un lungo interrogatorio, confessa il delitto.

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Il delitto di Elena Ceste https://cultura.biografieonline.it/elena-ceste-storia/ https://cultura.biografieonline.it/elena-ceste-storia/#comments Mon, 02 Feb 2015 14:39:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13143 Il 24 gennaio 2014 Elena Ceste scompare dalla sua casa di Costigliole d’Asti. Il marito Michele Buoninconti denuncia la scomparsa: “Mia moglie è scomparsa da casa. Mi aveva pregato di portare i figli a scuola perché non stava bene. E voleva mettere in ordine tutto quanto. Non l’ho più vista”, così racconta agli inquirenti. Appunta queste parole su un foglio: “Dato da mangiare alle oche, scomparsa mia moglie”. Da qui scattano le indagini. Il 18 ottobre 2014 viene ritrovato il cadavere della donna, poco distante dalla sua abitazione, in un canale, avvolto dal fango. Il marito, il 24 ottobre 2014, viene indagato.

Elena Ceste
Elena Ceste

L’arresto di Michele Buoninconti

Dopo un anno, il 29 gennaio 2015, il marito di Elena Ceste viene arrestato. L’arresto è stato effettuato dai Carabinieri di Asti per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Il giorno prima, il 28 gennaio, era stata depositata la perizia autoptica, realizzata dal medico legale di Alba, Francesco Romanizzi. Nell’ordinanza di custodia cautelare il Gip Giacomo Marson ha scritto: “Tutti gli elementi raccolti nel corso delle indagini” indicano “Michele Boninconti come l’autore delle gravissime condotte che gli vengono attribuite“. Il Gip aggiunge che ciò emerge “in maniera dirompente“: il marito di Elena Ceste ha costruito un “castello di menzogne” e ha messo in piedi “vani tentativi di depistaggio” per allontanare da sé il sospetto di aver ucciso la moglie.

Michele Buoninconti
Michele Buoninconti intervistato dalla tv

Inoltre “la condotta dell’indagato dimostra che la scomparsa ed il successivo ritrovamento del cadavere (…) non sono stati il frutto di accadimenti accidentali né di scelte estreme volontariamente intraprese” dalla donna, “ma sono ascrivibili a un evento del tutto estraneo alla sua sfera di dominio“. Sotto osservazione anche l’atteggiamento di Michele Buoninconti nei confronti dei quattro figli. Il Gip ha scritto: “Di estrema gravità anche nell’ottica di valutare la personalità dell’indagato, è il metodo sottilmente intimidatorio utilizzato per raggiungere lo scopo, suggestionando i propri figli più giovani con la paura tratteggiando uno scenario di allontanamento dalla casa e separazione dagli altri fratelli e dal padre“.

Il momento dell’arresto

Quando sono arrivati i Carabinieri, l’uomo stava lavando le tazze della colazione. Erano le dieci e i militari hanno atteso che in casa non ci fossero i figli. Scortato, ha levato le chiavi dall’auto, poi è rientrato in casa e ha preparato una borsa.

L’ossessione di Michele per la moglie

Michele nutriva nei confronti della moglie una vera ossessione, la controllava. Era sempre presente quando la moglie andava dal medico. Non le dava neppure i soldi per acquistare il pane, le diceva: “devi dire che passerà tuo marito”. E poi le assicurava l’automobile solo nel periodo scolastico.

Chi è Michele Buoninconti

L’uomo ha 43 anni, è un vigile del fuoco ed è nato a Monte Sant’Albino, in provincia di Salerno. È padre di quattro figli.

Il frammento nell’ordinanza di una conversazione con i figli del 5 maggio

Buoninconti dice: “Loro vogliono sentire solo questo, che tra di voi non andate d’accordo. Così uno va da una parte, uno da un’altra parte … Vi va bene vivere così, separati? E a me, perché mamma è … chissà dove, mi mettono ancora da un’altra parte. A casa nostra sai cosa ci fanno venire? Le zoccole, le straniere, a fottere! Perciò cercate di essere bravi tra di voi. Mi avete visto litigare con mamma?”.

Figlio 1: ““. Figlio 2: “E lo chiedi?“. Buoninconti: “Ehh, loro questo vogliono sentire. Se glielo dite, state tranquilli che mi mettono da un’altra parte“.

L’esame autoptico

L’esame autoptico, depositato ieri in Procura ad Asti, conferma l’ipotesi di una morte violenta. L’esame è stato eseguito dal medico legale Francesco Romanizzi, consulente del pm artigiano, Laura Deodato. È ipotizzato che Elena Ceste, visto che le ossa erano intatte, sia morta per asfissia nel letto coniugale. L’esame esclude quindi l’ipotesi del suicidio e la morte naturale o accidentale.

Esito esami tossicologici

Gli esami eseguiti il 17 novembre 2014 escludono il ricorso a sostanze da parte della donna. Elena Ceste non avrebbe assunto né psicofarmaci, né alcol, né stupefacenti, né sostanze tossiche.

La storia del cane scomparso

Il 20 gennaio 2015 viene ritrovato in un allevamento il cane di Elena Ceste. Un esemplare da caccia di razza sprinter spaniel inglese, di cui non si avevano notizie dallo scorso marzo. Il cane era stato restituito dal marito della vittima al proprietario da cui lo avevano acquistato. Ecco cosa aveva detto Michele: “Non riuscivo a stargli dietro”, aveva raccontato ai Carabinieri. Mentre c’era chi sosteneva che il cane con il proprio fiuto sarebbe stato in grado di ritrovare il cadavere.

YouTube Video

L’sms del marito di Elena Ceste

A soli tre mesi dalla scomparsa della moglie, Michele Buoninconti incontra un’altra donna e in un messaggio si descrive così: “Un uomo solo, che sa fare bene la pizza e i lavori domestici. Non mi serve una donna che lavora fuori, ma arrivare a casa e trovare qualcuno che mi aspetta”.

Michele tradito dal cellulare

La mattina del 24 gennaio ha telefonato dal luogo in cui fu trovato il corpo di Elena Ceste. La sua linea è stata infatti agganciata dalla cella telefonica di quella zona. La prima telefonata fatta non è alla moglie, bensì ai vicini di casa, così risulta dai tabulati. Poi ha tentato di chiamare la moglie al cellulare.

Il suo tentativo di depistaggio

Tra i tanti tentativi di depistaggio, c’è quella telefonata fatta alla sorella di Elena. L’uomo non sa di essere intercettato. I due al telefono parlano del canale dove è stato ritrovato il cadavere. Lui dice alla cognata: “Lei me lo aveva detto che voleva andarci su quella strada, anche se non l’aveva mai fatta… E io là c’ero andato, per primo… Ma là non ho visto niente, solo le impronte delle lepri…“.

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Sarah Scazzi e il delitto di Avetrana https://cultura.biografieonline.it/sarah-scazzi-storia/ https://cultura.biografieonline.it/sarah-scazzi-storia/#respond Tue, 25 Mar 2014 16:56:18 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10248 È il 26 agosto 2010 quando, ad Avetrana, un paesino in provincia di Taranto, la quindicenne Sarah Scazzi esce di casa per andare al mare con la cugina Sabrina, che abita a 400 metri da casa sua, e un’amica, ma Sarah non tornerà più a casa: sparisce nel nulla.

Sarah Scazzi e la cugina Sabrina Misseri
Una foto di Sarah Scazzi insieme alla cugina Sabrina Misseri

Iniziano giorni difficili fatti di indagini, ricerche, appelli alle autorità da parte della famiglia, giorni di disperazione, che catturano l’attenzione mediatica. Due settimane dopo dalla scomparsa della quindicenne, Michele Misseri, padre di Sabrina e zio di Sarah, consegna il cellulare di Sarah alla polizia, affermando di averlo trovato in un podere.

Da qui le indagini che, dopo una lunga serie di depistaggi, hanno portato alla condanna in primo grado all’ergastolo dalla Corte d’assise di Taranto di Sabrina Misseri e della madre Cosima Serrano con l’accusa di omicidio doloso aggravato, e alla pena di otto anni per soppressione di cadavere di Michele Misseri, padre di Sabrina e marito di Cosima.

Condannati pure a sei anni di carcere per aver aiutato Michele Misseri ad occultare il cadavere della piccola Sarah il fratello, Carmine Misseri, e suo nipote Cosimo Cosma.

Una foto di Michele Misseri intervistato dai media
Michele Misseri, zio di Sara e padre di Sabrina

La confessione di Michele Misseri e l’arresto di Sabrina

Il 6 ottobre 2010, dopo una giornata di interrogatorio, Michele Misseri crolla e confessa di aver ucciso Sarah, strangolandola con una corda nel garage del suo appartamento. “L’ho strangolata con una cordicella mentre era di spalle e ho abusato di lei dopo che era morta”, dichiara Misseri alle autorità.

Secondo quanto riferisce Misseri, contadino di 58 anni, avrebbe agito nel garage di casa: prima di occultare il cadavere, confessa di aver denudato il cadavere e di aver bruciato i vestiti. Poi, al termine dell’interrogatorio, Misseri accompagna gli inquirenti sul luogo del delitto.

Così ha indicato il posto dove ha occultato il cadavere, una buca che si trovava nel podere di sua proprietà al bivio tra Erchie e Salice talentino in località Tumani. Il corpo è stato portato via su un carro funebre tra lo sgomento delle persone che si sono recate sul posto.

Il 15 ottobre 2010 vengono effettuate le perquisizioni nel garage di Misseri, dove è stato commesso il delitto, e nella sua macchina. In contemporanea vengono sentiti Michele Misseri e la figlia Sabrina. Scatta, in tarda serata, il fermo per Sabrina con l’accusa di concorso in omicidio e sequestro di persona. Sabrina Misseri viene trasferita in carcere. È il padre Michele che dichiara di averla strangolata mentre sua figlia Sabrina la teneva ferma.

La perizia: Sarah Scazzi strangolata con una cintura

È l’11 novembre 2010 quando il medico legale Luigi Strada consegna la perizia: Sarah Scazzi è stata strangolata con una cintura del diametro di 2,5 centimetri. Si tratta di una relazione preliminare, in tutto dodici pagine. Mancano i risultati fatti su un graffio che ha riportato Michele Misseri su un avambraccio il 7 ottobre. Non è stato inoltre possibile accertare il vilipendio del cadavere, rimasto in acqua per 42 giorni.

Cosima Serrano Misseri
Cosima Serrano, moglie di Michele e madre di Sabrina

L’arresto di Cosima, madre di Sabrina Misseri

È il 26 maggio 2011, quando su ordinanza del gip del tribunale di Taranto, i carabinieri arrestano Cosima Serrano per concorso in omicidio e sequestro di persona insieme alla figlia Sabrina.

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La scarcerazione di Michele Misseri

Il 30 maggio 2011 Michele Misseri viene scarcerato dal gip su richiesta della Procura. Gli viene imposto solo l’obbligo di firma, ogni giorno, presso la caserma dei carabinieri di Avetrana. Michele Misseri torna nella sua abitazione con l’altra figlia, Valentina.

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