fascismo Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 28 Oct 2022 08:50:58 +0000 it-IT hourly 1 La marcia su Roma – riassunto https://cultura.biografieonline.it/la-marcia-su-roma/ https://cultura.biografieonline.it/la-marcia-su-roma/#comments Fri, 28 Oct 2022 08:12:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3849 La marcia su Roma avvenne il 28 ottobre 1922 e fu una manifestazione ispirata e voluta da Benito Mussolini, capo del Partito Nazionale Fascista (PNF). Vi parteciparono decine di migliaia di fascisti che raggiunsero la capitale nella notte fra il 27 e il 28 ottobre dando vita ad una concatenazione di eventi che portarono il re Vittorio Emanuele III a dare incarico a Mussolini di guidare il nuovo governo con il quale iniziò il ventennio fascista.

La marcia su Roma
La marcia su Roma

Preambolo

Le cause che permisero il successo della Marcia su Roma vanno cercate nella debolezza dello Stato liberale e dei governi che si erano succeduti negli anni precedenti. Il distacco sempre più forte dalle esigenze e necessità a delle rappresentanze economiche e sociali e delle classi medie avevano generato un pericoloso vuoto politico.

Le istituzioni apparivano incapaci di mantenere l’ordine, mentre movimenti rivoluzionari formati da socialisti, comunisti e fascisti, ognuno seguendo propri scopi politici, creavano seri problemi all’ordine pubblico.

Mussolini fu uno dei leader politici più abili nel saper governare questi moti rivoluzionari, fondando il Partito Nazionale Fascista nel 1921 e riuscendo a pilotare le sue diverse anime verso un unico obiettivo: la conquista del potere politico attraverso un colpo di mano.

Fu aiutato da Gabriele D’Annunzio che gli permise di ottenere il consenso popolare e contemporaneamente di contenere i moti più violenti.

Tenendo sotto controllo le bizzarrie del poeta e avvicinando i poteri economici e politici del paese, Mussolini realizzò le prime strategie politiche che lo portarono rapidamente a controllare gli equilibri politici del paese.

La sua tattica fu copiata successivamente da Hitler che ammirava il Duce proprio per la sua abilità nel gestire diverse alleanze politiche, senza dividere il potere con nessuno.

Una della mosse più scaltre che realizzò Mussolini fu rompere l’alleanza fra D’Annunzio e Luigi Facta, delfino di Giolitti, facendo credere allo stesso Facta che ricopriva la carica di Presidente del consiglio, che avrebbe appoggiato le sue istanze politiche.

La marcia su Roma

La realizzazione della marcia su Roma ebbe due prove generali.

La prima si tenne ad Ancona, dove i fascisti occuparono gran parte della città senza alcuna resistenza da parte dei militanti socialisti e comunisti che malgrado il loro aperto contrasto al fascismo decisero di non contrastare le colonne fasciste. Il successo della manifestazione di Ancona galvanizzò Mussolini e i suoi seguaci.

A questo punto era inevitabile puntare su Roma.

Tuttavia quattro giorni prima della marcia, Aurelio Padovani, un alto dirigente del partito, organizzò un’altra adunata di fascisti alla quale partecipò anche Mussolini; durante questa seconda prova, Mussolini tenne due discorsi entrambi minacciosi ma che non compromisero il piano della marcia.

La sera stessa nella città partenopea il Duce si riunì con il suo stato maggiore per ragionare sull’organizzazione della marcia e mettere a punto gli ultimi dettagli.

Il Duce, Benito Mussolini
Il Duce, Benito Mussolini

Dopo Napoli il governo presieduto da Facta si riunì in un Consiglio dei ministri durante il quale furono rimesse le deleghe al Presidente del consiglio affinché avesse la possibilità di trattare con i fascisti e di usare le poltrone dei ministeri come merce di scambio. Infatti, dopo Napoli, Facta sapeva – anche se lo sottovalutava – che Mussolini e i suoi fascisti erano diventati una minaccia concreta per il proseguimento del suo governo.

Il 27 ottobre alcune squadre di fascisti presero possesso di edifici pubblici a Cremona, Pisa e Firenze. Facta chiese al re di proclamare lo stato d’assedio che comportava una serie di limitazione dei diritti e della libertà dei cittadini ponendo in allerta le forze dell’ordine.

Il re rifiutò.

Lo stato di assedio

Marcia su Roma
Marcia su Roma

Il 27 ottobre i fascisti partirono per raggiungere in migliaia Roma.

Il Presidente del consiglio convocò una riunione d’urgenza al Viminale, sede del suo ufficio, a cui parteciparono tutti i ministri. Decretò lo stato di assedio.

Nelle stesse ore il re si consultò con lo Stato maggiore dell’esercito che di fatto sconsigliò uno scontro diretto con i fascisti. Probabilmente per questo motivo il re decise di non avallare lo stato d’assedio, provocando inevitabilmente le dimissioni di Facta.

Mentre il re rifiutava lo stato d’assedio e Facta si dimetteva, Mussolini si trovava a Milano.

La mattina del 28 ottobre il re, dopo aver accettato le dimissioni del Presidente del consiglio, diede immediatamente avvio alle consultazioni di rito.

I suoi uomini gestivano le operazioni organizzative della marcia e il Duce, malgrado sapesse il rischio di uno scontro con l’esercito o della possibilità di defezioni e tradimenti da parte dei suoi, manteneva una strategia bilaterale: da una parte l’unità del partito e dei suoi dirigenti, e dall’altra la possibilità di ripiegare qualora il re avesse avvallato l’ipotesi dello stato d’assedio.

Antonio Salandra
Antonio Salandra

Il potere a Mussolini

A questo punto l’incarico di formare il nuovo governo sembrava già di Mussolini.

Così fu, infatti; anche se per poche ore Antonio Salandra, ex Presidente del consiglio e senatore, sembrò essere il copilota di un nuovo governo con il futuro Duce.

Il 29 ottobre Benito Mussolini ricevette un telegramma da parte del generale Arturo Cittadini, uomo vicinissimo al re, che gli confermava l’incarico come Presidente del consiglio.

La mattina del 30 ottobre Mussolini arrivò a Roma e incontrò il re.

Ricevuto l’incarico formò rapidamente un governo e autorizzò i fascisti, accampati fuori della capitale, ad entrare e sfilare per le vie della città.

Il 31 ottobre Mussolini ordinò di lasciare la capitale e iniziò a ricoprire il ruolo di Primo ministro che mantenne per più di vent’anni.

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Ai quindici di Piazzale Loreto, poesia di Quasimodo: testo e commento https://cultura.biografieonline.it/quindici-piazzale-loreto-poesia-quasimodo/ https://cultura.biografieonline.it/quindici-piazzale-loreto-poesia-quasimodo/#comments Wed, 21 Sep 2022 12:45:43 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40285 La poesia Ai quindici di Piazzale Loreto non è una delle più famose dell’autore siciliano Salvatore Quasimodo, tuttavia rappresenta al meglio l’impegno civile del poeta dopo aver vissuto l’esperienza della Seconda guerra mondiale. La lirica fa parte della raccolta Il falso e vero verde, pubblicata nel 1956.

Quasimodo dedica la sua poesia ai quindici partigiani fucilati dai fascisti il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto a Milano; dopo la loro fucilazione, i cadaveri furono esposti sotto il sole per tutta la giornata e lasciati agli insulti dei passanti.

Strage Piazzale Loreto Milano - 1944

Solo dopo la guerra sul luogo della strage venne eretto un piccolo ceppo commemorativo, sostituito nel 1960 da un vero e proprio monumento che raffigura un martire e riporta l’elenco delle quindici persone fucilate.

Piazzale Loreto - Monumento ai martiri
Piazzale Loreto, Milano: Monumento ai martiri • scultura di Giannino Castiglioni a ricordo della strage del 10 agosto 1944

L’autore, Salvatore Quasimodo

Quasimodo è stato uno degli autori più importanti del Novecento italiano; nacque a Modica nel 1901. Egli lavorò presso il Ministero dei Lavori pubblici e grazie a quest’impiego si trasferì prima a Firenze, dove entrò in contatto con Elio Vittorini e con l’ambiente ermetico della rivista «Solaria»; in seguito si trasferì  a Milano, dove lavorò come giornalista e scrittore.

Venne poi nominato professore di Letteratura italiana presso il Conservatorio di musica di Milano.

Nel 1959 vinse il Premio Nobel per la Letteratura.

Salvatore Quasimodo
Salvatore Quasimodo

Per le prime fasi della sua produzione, egli si accostò all’Ermetismo: le sue prime raccolte poetiche, come Acqua e terre, Oboe  sommerso, Ed è subito sera appartengono proprio a questa corrente, molto vicina al simbolismo francese, che si caratterizza per la concentrazione formale e l’utilizzo di simboli.

Durante la Seconda guerra mondiale, il poeta iniziò ad interessarsi all’uomo e ai suoi problemi, quindi decide di dedicarsi all’impegno civile per ridare agli uomini la speranza di un futuro migliore. A questa fase appartengono le raccolte:

  • Giorno dopo giorno;
  • La vita non è sogno;
  • Il falso e vero verde;
  • La terra impareggiabile;
  • Dare e avere.

Ai quindici di Piazzale Loreto (testo)

Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d’un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita.

Parafrasi del testo

Esposito, Fiorani, Fogagnolo, Casiraghi, chi siete voi? Siete nomi, ombre?

Soncini, Principato, Temolo, Vertemati, Gasparini?

Siete stati uccisi come foglie di un albero insanguinato, Galimberti, Ragni, voi, Bravin, Mastrodomenico, Poletti?

O sangue che nutre la terra e alimenta la speranza di una rigenerazione dopo il fascismo.

Le vostre ferite provocate dai fucili ci umiliano: è passato troppo tempo.

La morte pende dalle bocche, le bandiere esposte dagli occupanti nazifascisti sulle vostre case chiedono la morte.

(I nazifascisti) Si credono vivi ma anche loro temono la morte.

Noi poeti non scriviamo cose tristi, non vegliamo le vostre tombe con le lacrime, la morte non è più un’ombra quando è vita (la poesia deve celebrare la rinascita e non deve essere solo occasione di pianto).

Spiegazione e commento

La guerra ha cambiato per sempre il modo di fare poesia di Quasimodo: dall’astrattezza dell’Ermetismo, egli passa ad una poesia impegnata, utilizzando un linguaggio più concreto e discorsivo, per impegnarsi nella società e denunciare le ingiustizie.

La lirica Ai quindici di Piazzale Loreto infatti è dedicata ai partigiani uccisi dai fascisti: essi erano detenuti semplicemente perché partigiani; il giorno del 10 agosto vennero condotti in piazzale Loreto e fucilati come rappresaglia ad un attentato compiuto ad un camion tedesco.

I loro corpi vennero lasciati tutto il giorno esposti al sole e restituiti alle loro famiglie solo al calar della sera.

L’autore elenca tutti i nomi delle persone assassinate affinché essi non siano dimenticati, e li inserisce in frasi interrogative ricche di pathos.

La lirica è composta da 19 versi in prevalenza endecasillabi e il tono è epico, ricco di drammaticità.

È da sottolineare la presenza dello straniero, come nella poesia Alle fronde dei salici, e della bandiera (v. 14), posizionata anche sulla casa dei morti e simbolo dell’occupazione nazifascista.

Tra i versi 12 e 19 ricorre ben quattro volte la parola morte, anafora che sottolinea il tema centrale della poesia.

Si trova poi una sinestesia al v. 5-6: foglie di un albero di sangue.

Il messaggio finale, positivo

La poesia “Ai quindici di Piazzale Loreto” si conclude tuttavia con un messaggio positivo: l’affermazione finale infatti delinea l’importanza di scrivere poesie di impegno civile. Esse non devono essere solo un’occasione di tristezza e pianto ma devono rappresentare un canto di rinascita dopo gli orrori della guerra.

Questo è il messaggio che il poeta vuole lasciare ai posteri: non bisogna dimenticare di avere fiducia nel futuro.

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Il Giardino dei Finzi-Contini, di Giorgio Bassani: riassunto https://cultura.biografieonline.it/riassunto-il-giardino-dei-finzi-contini/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-il-giardino-dei-finzi-contini/#respond Thu, 18 Aug 2022 08:18:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9608 Il Giardino dei Finzi-Contini è un romanzo pubblicato nel 1962 da Einaudi ad opera di Giorgio Bassani, uomo di cultura, ferrarese di nascita. La prima bozza del romanzo venne stilata a Roma; più precisamente a Santa Marinella nei locali dell’Hotel Le Najadi. La pubblicazione avvenne poi nella città di Torino nel 1962. Con questo romanzo, Giorgio Bassani si aggiudicò nello stesso anno il premio Viareggio.

Il Giardino dei Finzi-Contini
Una copertina del romanzo di Giorgio Bassani, Il Giardino dei Finzi-Contini (1962)

Bassani e De Sica

Nel 1970, il regista e attore italiano Vittorio De Sica prese spunto dal romanzo di Bassani per realizzare un film omonimo. Il film ottenne grandi consensi da parte dei critici di quel tempo ma non fu gradito dall’autore che, dopo aver inizialmente curato la stesura della sceneggiatura, cambiò idea e chiese successivamente di non essere nominato nei titoli di coda.

La città di Ferrara

Il romanzo è raccontato da una voce narrante che ricorda al lettore gli anni dell’adolescenza e dell’università del protagonista. La storia si snoda attorno alla vita di una ricca famiglia ebraica di Ferrara. Si passa dagli anni ricchi e fausti, fino ad arrivare agli episodi di distruzione e morte portati con sé dal periodo nazifascista. Giorgio Bassani narra le vicissitudini dei personaggi principali, prendendo in considerazione, sullo sfondo, i grandi eventi storici dei secondi anni del 1900, come l’insediamento del Fascismo in Italia.

L’ambientazione del romanzo è la città di Ferrara, con le sue atmosfere sociali malinconiche e cupe, descritte minuziosamente dall’autore che però, dedica la maggior parte della sua attenzione al giardino della villa dei Finzi-Contini, dove si sviluppa la maggior parte della trama, anche se non sono meno marginali i luoghi dell’adolescenza dei protagonisti come il Liceo Guerrini e la tomba dei Finzi-Contini. Proprio questo luogo fa da incipit all’intera vicenda, tramite la voce narrante del protagonista che narra tutti gli episodi accaduti dopo la costruzione della tomba della famiglia Finzi-Contini.

Secondo uno dei critici letterari di quel tempo, “Il Giardino dei Finzi Contini” rappresenta quella parte incantata del nostro passato, che più amiamo e di cui però sentiamo maggiormente il bisogno di liberarcene, ma al tempo stesso testimonia gli orrori della persecuzione razziale e la crudeltà che la Storia ci lascia.

Trama e riassunto del romanzo

Il romanzo inizia alla necropoli etrusca di Cerveteri nel 1957, dove il protagonista si trova in gita con degli amici e, ammirando le tombe etrusche, ricorda il sepolcro monumentale della famiglia Finzi Contini che si trova nel cimitero di Ferrara e da lì la mente vola ai ricordi della sua fanciullezza. Il protagonista, agli inizi degli anni trenta, era uno studente di ginnasio che quando scopre di essere stato rimandato in matematica, inizia a vagabondare per la città, disperato per l’esito scolastico, fino ad arrivare di fronte al muro di cinta della bellissima villa dei Finzi Contini. Qui incontra per la prima volta Micol, una ragazzina tredicenne che il ragazzo ha già visto diverse volte in Sinagoga durante le celebrazioni religiose e le festività ebraiche, la quale lo invita ad entrare per consolarlo, vedendolo altamente disperato.

E’ l’inizio di un’amicizia che tra i due alimenterà anche, con il tempo, un’attrazione fisica. Dal momento del primo incontro, passa un lasso temporale di dieci anni ed arriviamo nel 1938, quando le leggi razziali fanno la loro comparsa in Italia. Il protagonista, subendo l’onta delle leggi, viene allontanato dal circolo di tennis Eleonora d’Este come tutti gli ebrei, ma viene però invitato ed accolto in un club molto più esclusivo, quello della Magna Domus, nomignolo dato alla bellissima villa dei Finzi Contini.

Qui si riunisce un gruppo di ragazzi ebrei che passano il loro tempo spensierato, tra partite di tennis e pomeriggi in allegria. Questo grazie alla famiglia Finzi Contini che apre i cancelli della propria villa al gruppo di ragazzi, coetanei dei due figli, Alberto e Micol, visto che ormai non possono più frequentare le strutture pubbliche per via delle leggi razziali. Fanno parte del gruppo, oltre al protagonista, Micol, suo fratello Alberto e Giampiero Malnate, un giovane ingegnere che lavora in un’industria ferrarese e verso il quale Alberto prova una grande ammirazione.

Seconda parte

Il nostro protagonista comincia così a frequentare quotidianamente Micol, con la quale trova molti interessi in comune e trascorre interi pomeriggi tra partite di tennis e lunghe chiacchierate, deliziato inoltre dall’ospitalità del professor Ermanno (padre dei ragazzi), di sua moglie Olga e da una schiera di gentilissimi servitori. L’intesa tra i due giovani si rafforza di giorno in giorno e questo porta i sentimenti del giovane a diventare “amore” ma è troppo timido per confessarlo alla sua amata Micol.

Un po’ all’improvviso, Micol decide di allontanarsi da Ferrara e di andare a Venezia per terminare i suoi studi e laurearsi. Il giovane protagonista continua però a frequentare la villa per rimanere così sempre in contatto con la sua amata e per completare gli studi della sua tesi, dal momento che il professore Ermanno gli ha messo a disposizione la fornita biblioteca della casa per studiare. In occasione dei festeggiamenti pasquali, Micol ritorna a Ferrara ed il protagonista è così felice di rivedere la ragazza che quando la incontra riesce anche a rubarle un bacio. Però proprio in seguito a quel bacio, che rimarrà il solo, Micol cambia atteggiamento nei confronti del giovane, diventa fredda e scostante fino a confessargli che tra loro non può esserci nessun tipo di relazione amorosa, perché sono troppo simili e ormai troppo amici, quasi come due fratelli.

Deluso ed amareggiato, il giovane si allontana definitivamente dalla Magna Domus e comincia a frequentare Giampiero Malnate anche se sono due persone molto diverse tra loro. Quando il Malnate lo convince ad andare in una casa di tolleranza, il protagonista capisce che continuare a frequentarlo lo condurrebbe solo verso una strada di vita sbagliata e non adatta a lui ed una sera in cui si sente particolarmente depresso, vagabondando per la città, si trova a passare proprio davanti al muro di cinta della Magna Domus.

Giorgio Bassani
Una foto di Giorgio Bassani

Il Giardino dei Finzi-Contini: Finale

Ricordando la sera, di tanti anni prima, in cui Micol lo aveva invitato ad entrare, senza esitare scavalca il muro di cinta ed entra, per la sua ultima volta, nel giardino che era stato spettatore di tutto il suo amore per Micol.

Lì capisce definitivamente che i Finzi Contini sono troppo diversi da lui e così decide di dare l’addio a Micol, alla sua famiglia ed al Malnate.

Il romanzo termina con la narrazione della triste sorte accaduta a tutti i suoi componenti.

Alberto muore per un male incurabile, Giampiero Malnate, mandato a combattere sul fronte russo, muore in battaglia e Micol, con il professore Ermanno e la moglie Olga vengono deportati in un campo di concentramento nazista da cui non faranno mai più ritorno.

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Fontamara, riassunto del 1° romanzo di Ignazio Silone https://cultura.biografieonline.it/fontamara-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/fontamara-riassunto/#respond Wed, 13 May 2020 07:35:13 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29124 Il romanzo di esordio dello scrittore abruzzese Ignazio Silone si intitola “Fontamara”. E’ ambientato in Abruzzo (come la maggior parte delle opere di questo autore del Novecento). Anche se il romanzo è circoscritto all’ambiente abruzzese, caratterizzato da inevitabili provincialismi, Silone è molto bravo a dare all’opera un ampio respiro; introduce tematiche piuttosto impegnative, riguardanti la politica e la religione.

Ignazio Silone, Fontamara: immagine dalla copertina del libro
Ignazio Silone, Fontamara: immagine dalla copertina del libro

In “Fontamara” viene affrontata la condizione dell’uomo nei suoi aspetti universali: questo aspetto rende l’opera adatta a tutti i tempi, pur con riferimenti spaziali e temporali ben specifici.

Fontamara: la pubblicazione

Nel 1930 lo scrittore, costretto a lasciare l’Italia per motivi politici, raggiunse la Svizzera. Qui pubblicò la prima edizione del romanzo in lingua tedesca: era il 1933. In seguito “Fontamara” continuò a circolare in maniera clandestina nella versione italiana, per poi essere pubblicato ufficialmente da Mondadori.

Attorno a “Fontamara” e alla denuncia delle condizioni di povertà dei “cafoni” che abitavano nella valle del Fucino, in Abruzzo, scoppiò un vero e proprio “caso Silone”. Nell’ambiente letterario, infatti, quest’opera rappresentava un “unicuum” in quanto non sembrava catalogabile in alcun filone dell’epoca (soprattutto il neorealismo e il verismo).

I luoghi descritti dall’autore, con i loro abitanti che combattevano ogni giorno contro l’estrema povertà, erano stati di fatto tagliati fuori dal processo di ammodernamento che i Governi avvicendatisi alla guida dell’Italia avevano cominciato.

Ignazio Silone
Ignazio Silone

A dimostrazione che “nemo propheta in patria” (dal latino: nessuno è profeta nella propria patria), l’opera di esordio di Ignazio Silone fu particolarmente apprezzata al di fuori dell’Italia, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, dove i temi affrontati dall’autore erano più sentiti.

A chi guarda Fontamara da lontano, dal Feudo del Fucino, l’abitato sembra un gregge di pecore scure e il campanile un pastore. Un villaggio insomma come tanti altri; ma per chi vi nasce e cresce, il cosmo. L’intera storia universale vi si svolge: nascite morti amori odii invidie lotte disperazioni.

Frase tratta dal romanzo “Fontamara”

Riassunto e trama del libro

Sopra la piana del Fucino, in Abruzzo, si erge un paese di piccole dimensioni che Silone chiama “Fontamara” (il nome è di fantasia). Nel territorio che circonda il paesino molti braccianti agricoli sono impegnati quotidianamente nella coltivazione dei campi.

Emerge così la differenza tra i due principali strati sociali: quella dei braccianti ( i c.d. “cafoni”) che lavorano a giornata e soffrono una condizione di povertà, e quella dei ricchi possidenti terrieri (i c.d. “galantuomini”) che agiscono indisturbati sotto la tutela del potere della Chiesa e del partito politico dominante, il Fascismo. La narrazione è ambientata nel 1929.

In Svizzera

La vicenda comincia in Svizzera, dove l’autore (che si identifica con il protagonista della storia) riceve la visita di due uomini (padre e figlio) ed una donna. Sono tre fuggiaschi che hanno abbandonato il loro paese di origine, Fontamara, e hanno raggiunto la Svizzera per chiedere asilo.

Qui incontrano l’autore, del medesimo loro paese, e hanno piacere di raccontare storie e vicende di Fontamara. L’autore, ossia l’io narrante della storia, non fa altro che tradurre in italiano ciò che dicono gli esuli di Fontamara a proposito del paese che, loro malgrado, hanno dovuto abbandonare.

Il racconto degli esuli

Si susseguono quindi, in successione, i racconti dei tre esuli. Attraverso di essi è possibile ricostruire la vicenda di un intero Paese, l’Italia, appunto, passato dalla dominazione dei Borboni a quella sabauda.

I cafoni della Marsica non sono mai stati considerati alla stregua degli altri; Silone denuncia la loro condizione, quasi di inferiorità, rispetto alle altre classi sociali di Fontamara e dell’Italia intera.

In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito.

Il racconto prosegue con la descrizione degli inganni a cui vengono sottoposti gli abitanti di Fontamara da parte dei governatori locali.

Il podestà Impresario è appoggiato nelle sue azioni illecite da Don Abbacchio ed altri esponenti del clero e dei proprietari terrieri (come Don Circostanza). Ma gli abitanti di Fontamara non hanno intenzione di sopportare a lungo i soprusi dei più forti e si coalizzano fra loro per far valere i loro diritti.

Purtroppo, però, i cafoni non riescono ad organizzarsi come si deve, e cadono in un tranello ordito alle loro spalle; così la manifestazione di protesta fallisce miseramente.

Il Fascismo

La condizione dei cafoni si aggrava ulteriormente con l’arrivo di una squadra di fascisti che perquisisce le abitazioni e violenta le donne del paese. Il sistema di Fontamara si basa su corruzione e clientelismo.

Nessuno si preoccupa di proteggere i cafoni e guidarli nella rivendicazione di ciò che spetta loro. Tra di essi, ad un certo punto, ne emerge uno che possiede una spiccata “coscienza di classe”: si chiama Berardo Viola.

Inizialmente comincia ad organizzare la rivolta dei cafoni, ma poi decide di lasciare il paese per assicurarsi un futuro migliore e sposarsi. Il suo è un triste destino: viene arrestato e torturato in carcere perché antifascista.

Finale

Fontamara viene saccheggiata e incendiata dalle squadre fasciste, ma i tre esuli che scappano verso la Svizzera riescono a salvarsi. In fondo il romanzo si chiude con un po’ di speranza, quella che un giorno il piccolo paese abruzzese possa risorgere sulle macerie del passato.

Il messaggio morale

Il messaggio che emerge dal romanzo di Ignazio Silone è molto forte: la denuncia sociale che si coglie nelle pagine dell’opera è considerata da molti critici un vero e proprio “manifesto della dignità dei cafoni”.

Leggi: un estratto del libro su Amazon

Fontamara
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La stampa dopo il fascismo: il governo guidato da Ferruccio Parri https://cultura.biografieonline.it/storia-stampa-giornali-parri/ https://cultura.biografieonline.it/storia-stampa-giornali-parri/#comments Mon, 06 Jun 2016 11:38:41 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18597 Nella seconda metà del 1945, nei maggiori centri del Nord, le stazioni radio riprendono a funzionare. L’Italia ha un nuovo governo, guidato da Ferruccio Parri, uno dei comandanti del movimento partigiano. Le uniche novità del giornalismo, in questi primi mesi di libertà, sono rappresentate dai quotidiani del pomeriggio.

Ferruccio Parri
Ferruccio Parri fu Presidente del Consiglio dei MInistri dal 21 giugno 1945 al 24 novembre 1945

A Milano, ne escono tre: “Corriere lombardo”, “Corriere d’informazione” e “Milano sera”. Inoltre, circolano con successo due quotidiani sportivi: “La gazzetta dello sport” a Milano e “Il corriere dello sport” a Roma. Nel 1945, Milano riprende il suo vecchio ruolo di capitale del rotocalco: Rizzoli ottiene l’autorizzazione a pubblicare “Oggi”. Esce “L’Europeo” e, alla fine del 1945, “Tempo”. Fra i tre, è “L’Europeo” ad aver maggior successo: presenta una linea liberaldemocratica, il modo di raccontare la politica, gli articoli di costume e d’inchiesta, ne fanno un modello nuovo per il giornalismo italiano. Tra il 1945 e il 1946, alcuni direttori del periodo di Salò vengono processati. A Milano, viene catturato Amicucci, processato e condannato a morte. La sentenza viene sospesa e nel secondo processo, Amicucci viene condannato a 30 anni. Anche Gray, Spampanato e Pettinato vengono condannati, ma a 20 anni.

Tutti i condannati tornano alla libertà e ai giornali grazie a Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia, che concede l’amnistia. Il 1° gennaio 1946 avviene il passaggio dei poteri tra gli alleati e il governo italiano per le regioni del Nord, esclusa Trieste (apparteneva infatti alla Jugoslavia, che verrà riunita sul finire del 1954). Nei mesi successivi, si esauriscono le attività e l’influenza dei comitati di liberazione. In aprile, si svolge il primo turno delle elezioni amministrative: Milano è socialista. I quotidiani parlano soprattutto di politica. I settimanali si occupano con tono scherzoso dei politici: è il periodo di Togliatti, Nenni e Alcide De Gasperi.

In realtà, il 1946, è un anno di intensissime e violente polemiche sullo sfondo di una situazione economica difficile. L’evento che polarizza l’attenzione è il voto del 2 giugno, il referendum monarchia o repubblica e l’elezione dell’assemblea costituente. Nel settore della stampa continua il susseguirsi di testate. Decine di giornali nascono e scompaiono anche nel giro di pochi mesi. Tornano in edicola “Il Messaggero” e il “Giornale d’Italia”. In generale, la tendenza è quella che vede rafforzarsi lo schieramento giornalistico del centro e della destra con relativo indebolimento della sinistra. Il partito comunista può contare sulle quattro edizioni dell'”L’Unità”, mentre il partito socialista può contare sulle edizioni romane e milanesi de “L’Avanti!”, “Il lavoro nuovo” e “Sempre Avanti!”. Con il referendum, la Repubblica vince e la Dc si rivela il primo partito dell’Assemblea Costituente.

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La libertà di stampa dopo il fascismo https://cultura.biografieonline.it/liberta-di-stampa-dopo-il-fascismo/ https://cultura.biografieonline.it/liberta-di-stampa-dopo-il-fascismo/#respond Mon, 30 May 2016 13:42:09 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18533 La stampa dopo il fascismo (così come la libertà di stampa) visse un periodo che potremmo definire di libertà vigilata. Stampa e media iniziarono a dipendere infatti dal governo militare alleato (angloamericani), che agì attraverso il PWB (Psycological Walfare Branch).

La libertà di stampa dopo il fascismo: il giornale "La Vita del Popolo" (Treviso, 30 aprile 1945)
La libertà di stampa dopo il fascismo: il giornale “La Vita del Popolo” (Treviso, 30 aprile 1945)

La stampa dopo il fascismo: il contesto storico e le pubblicazioni

In Sicilia e in Calabria escono i primi fogli di piccolo formato a due facciate. A Palermo, nel 1943, esce “Sicilia liberata”. A Bari la “Gazzetta del Mezzogiorno” e a Napoli, dove non viene concessa la ricomparsa de “Il Mattino”, esce il “Risorgimento”.

Nei primi mesi i partiti stanno ricostituendosi e i giornali sono come sempre lo strumento della lotta e delle manovre politiche: al centro del dibattito vi è la questione monarchia o repubblica. È aprile quando la situazione politica cambia. Nasce il governo Badoglio (antifascista) e compaiono gli organi di partito: a Napoli “La voce” socialcomunista, “Il giornale” liberale e “Il domani d’Italia democristiano.

A Roma, tutti i partiti pubblicano i loro organi: “L’Avanti!”, “L’Unità”, “Il popolo”, “L’Italia liberata”. Nasce “Il Tempo” creato da Angiolillo e Leonida Répaci, d’impronta moderata, che si diffonde per l’assenza dalle edicole de “Il Messaggero” e del “Giornale d’Italia”. A Palermo, riprendono le pubblicazioni del “Giornale di Sicilia”, mentre a Catania nasce “La Sicilia”. Il ministero della cultura popolare (Minculpop) viene sostituito dal sottosegretariato per la stampa, il titolare è il democristiano Spataro.

La nascita della Rai (radio) e dell’Ansa

I partiti sono tutti concordi, per quanto riguarda la radio, alla creazione di un ente pubblico monopolistico: nasce nel 1944 la Rai (Radio Audizioni Italia). Un altro problema era quello di avere un’agenzia nazionale di notizie; con il consenso degli alleati, gli editori dei giornali, compresi quelli di partito, avevano fondato l’Ansa (Agenzia nazionale stampa associata).

I nuovi giornali e gli accordi sul futuro della stampa

A Milano e nelle altre città del nord si discute del futuro della stampa: c’è chi vorrebbe cancellare le testate compromesse dal fascismo e col nazismo, c’è chi sostiene che nel nuovo Stato democratico dovranno esserci solo giornali di partito. Gli alleati sostengono la necessità di far circolare nelle maggiori città anche i quotidiani indipendenti. Ma il comitato stampa stabilisce che accanto ai giornali del Pwb, escano soltanto gli organi di partito, i fogli cattolici non compromessi e i quotidiani promossi dai comitati di liberazione. Così avviene in tutte le città appena liberate intorno al 25 aprile 1945.

A Milano, compare per primo “L’Italia liberata”, seguito dall’”Unità” e dall’”Avanti!”. Mario Borsa, insieme ad altri giornalisti, prepara l’uscita de “Il nuovo Corriere”, ma i comitati di liberazione e il prefetto di Milano bloccano il giornale. Il 2 maggio 1945 compare anche il quotidiano del Pwb che s’intitola “Giornale lombardo”, che si differenzia dagli altri per il formato (tabloid) e per la foliazione che è di quattro pagine, al contrario degli altri giornali che hanno un formato grande e sono a due pagine.

Le richieste degli alleati si fanno sempre più pressanti affinché compaiano anche quotidiani indipendenti e che vengano scelti direttori e redattori che non abbiano precedenti col fascismo. Si arriva dunque ad un compromesso, il “Corriere” esce sotto un altro titolo, ovvero “Corriere d’Informazione” e così pure “La stampa” diventa “La nuova stampa”, mentre la “Gazzetta del popolo” diventa la “Gazzetta d’Italia”.

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La guerra di Etiopia del 1935 (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/#comments Wed, 04 May 2016 09:52:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18135 Prima di arrivare a riassumere ed analizzare la Guerra di Etiopia del 1935 (talvolta nota anche come guerra d’Abissinia o campagna d’Etiopia), facciamo una breve introduzione ricordando lo scenario storico: in passato, le più grandi potenze europee si vantarono di avere numerose colonie: alla fine dell’Ottocento, l’Impero Britannico risultò vastissimo; non da meno fu quello francese, mentre Germania e Belgio ebbero un numero inferiore di colonie rispetto alle altre due, ma un numero ad ogni modo rispettabile. Alla fine dell’Ottocento, fu in possesso di sole due colonie in Africa orientale, l’Eritrea e gran parte della Somalia; nel 1902, ottennero una piccola concessione in Cina a Tientsin e, per ampliare il colonialismo italiano, bisogna attendere il 1912, anno in cui avvenne la conquista della Libia.

Guerra di Etiopia: Emilio De Bono in Abissinia
Una foto del generale Emilio De Bono in Abissinia durante le prime fasi della Guerra di Etiopia

L’Etiopia e le intenzioni di Mussolini

A partire dal 1923, poco dopo l’assunzione del potere al governo, Benito Mussolini credette di creare una nuova era coloniale per l’Italia, allargando soprattutto il predominio in Africa Orientale; la regione Africana nella quale Mussolini pensò di estendere l’influenza italiana fu l’Etiopia, rimasta uno Stato indipendente, amministrata dal Negus e dai ras, dei governatori locali.

Benito Mussolini a cavallo
Benito Mussolini

D’altro canto, gli italiani tentarono già una volta, nel 1896, di occupare l’Etiopia ma la battaglia di Adua fu clamorosamente fatale per il Regio esercito. L’Etiopia, negli anni 30, si presentava come uno Stato, anzi un Impero, di tipo feudale, dove vi furono diversi tentativi dell’imperatore Hailè Sellassiè, ma fu un paese che nonostante gli sforzi non riuscì mai a crescere.

L’invasione dell’Etiopia e l’opinione pubblica

Nel 1928, Mussolini dichiarò che le due nazioni si erano riappacificate, stipularono anche il patto d’Amicizia ma, negli anni seguenti, vi furono diversi incidenti, soprattutto verso il confine con la Somalia italiana a Ual Ual, ove vi fu uno scontro armato nel 1934.

L’attacco etiopico fece da collante con le idee che il fascismo stava maturando ossia quella di creare una sorta d’impero per controllare gran parte del Mediterraneo. L’opinione pubblica europea, soprattutto quella britannica, si oppose all’intenzione del Duce di invadere l’Etiopia, perché temevano un possibile scoppio di eventuali guerre ed erano inoltre preoccupati per ogni tipo di avvenimento che l’invasione avrebbe potuto provocare.

Mussolini non diede affatto importanza all’opinione pubblica internazionale e, sul finire del 1934, fornì nuove istruzioni al generale Pietro Badoglio, nelle quali disse chiaramente che il rapporto con gli abissini poteva risolversi solo con l’intervento delle armi.

Il 2 ottobre 1935 ci fu la “chiamata alle armi”; il 3 ottobre 1935 le truppe italiane presenti in Eritrea diedero inizio all’invasione dell’Etiopia: essa fu una guerra coloniale come mai si era vista prima per la ricchezza dei mezzi, sia in termini numerici sia in termini quantitativi. Oltre ad essere una guerra coloniale, la spedizione ebbe anche un altro importante significato, quello del consenso, poiché con la guerra d’Etiopia, i referti storici dissero che in quel momento tutta l’Italia fu fascista e il regime assunse il suo consenso assoluto.

Nel frattempo l’opinione pubblica mondiale, che già da prima dell’invasione fu ostile, divenne irremovibile e l’Italia fu condannata dalla Società delle Nazioni che decise di applicare delle sanzioni; ben 52 Stati furono contro l’operato italiano; di seguito, la nazione che sarebbe diventata il nemico numero uno fu proprio l’Inghilterra di Churchill che, fino a poco tempo prima stimava il Duce. Per le ingenti spese che lo Stato dovette affrontare per la campagna etiopica, il 18 dicembre 1935 venne indetta la giornata della fede (o dell’oro), giorno in cui tutti vennero invitati a donare la propria fede e altri ori personali; parteciparono anche diversi antifascisti ed accademici come Pirandello.

I contatti con la Società delle Nazioni, soprattutto con Francia e Inghilterra, continuarono imperterriti, ma Mussolini fu sempre restio nei confronti di soluzioni diplomatiche.

Intanto, in Etiopia fu mandato Pietro Badoglio, il miglior maresciallo e generale che l’Italia avesse in quel periodo, per dirigere le operazioni belliche facendo ritornare in Italia Emilio De Bono, perché il Duce non poteva rischiare di far prolungare le battaglie e rischiare di non vincere. Pur di sconfiggere gli abissini, gli italiani fecero uso di armi chimiche (gas asfissianti) e gli abissini, dal canto loro, usarono le pallottoledum dum” (ossia proiettili ad espansione) che esplodevano all’interno dei corpi; furono delle armi vietate dalle convenzioni internazionali, ma utilizzate da entrambi gli eserciti.

Gli ascari e le tappe principali della Guerra di Etiopia

Un grande ruolo nella guerra d’Etiopia fu giocato dagli “ascari” che, erano un gruppo di soldati indigeni dell’Africa orientale, inquadrati come componenti regolari delle truppe italiane: vennero considerati come punta di diamante e, difatti, nel febbraio 1936 portarono alla prima grande vittoria italiana ad Amba Aradam.

Ascari
Ascari

In marzo, la resistenza abissina capeggiata direttamente dal Negus venne piegata; il 3 maggio, il Negus abbandonò l’Etiopia atterrando in Palestina; il 5 maggio 1936, gli italiani occuparono Addis Abeba ponendo fine alla Guerra di Etiopia.

La guerra etiopica fu un successo per il regime e come detto sopra, in quel momento tutta l’Italia fu fascista, ma questo successo dimostrò ben presto il suo carattere fallimentare sia dal punto di vista economico e sia per il fatto che quelle terre appena conquistate erano indifendibili; durante la Seconda Guerra Mondiale vennero lasciate sole poiché, per l’appunto, l’economia scarseggiava e per raggiungere l’Etiopia, o meglio l’Africa orientale, le navi italiane dovevano per forza passare dal canale di Suez, che era controllato dagli inglesi, i quali erano in guerra proprio contro l’Italia; dunque, l’Africa orientale fu ben presto perduta.

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Dittature mediterranee, libro di Giulia Albanese https://cultura.biografieonline.it/dittature-mediterranee/ https://cultura.biografieonline.it/dittature-mediterranee/#respond Fri, 29 Apr 2016 19:54:18 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18070 Quella che segue è una recensione e un’introduzione ai fatti storici del libro “Dittature mediterranee”, scritto dalla professoressa Giulia Albanese e pubblicato nel 2016.
Il sottotitolo di questo saggio di storia contemporanea è : “Sovversioni fasciste e colpi di Stato in Italia, Spagna e Portogallo“.

Dittature mediterranee
Dittature mediterranee, la copertina del libro di Giulia Albanese (2016, Laterza)

Dittature mediterranee: sintesi e recensione

Nel 1923, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, Benito Mussolini aveva preso il potere da un anno e aveva già mostrato le sue intenzioni espansionistiche, ordinando all’esercito di occupare l’isola di Corfù, dopo che il comandante italiano Enrico Tellini e alcuni membri della commissione internazionale, inviata a partecipare alle discussioni per la definizione dei confini greco – albanesi, erano stati uccisi.

Le truppe, dopo l’insistenza di molti paesi, vennero ritirate, ma Mussolini riuscì nel suo intento di dimostrare che il fascismo non aveva intenzione di seguire le procedure della Società delle Nazioni. Le scelte del dittatore italiano avevano attirato l’attenzione di altri paesi che seguivano con interesse lo sviluppo del fascismo in Italia. In particolare, la Spagna si era dimostrata un’attenta osservatrice delle vicende italiane.

La corte del re Alfonso XIII, proprio in quei mesi, stava organizzando un viaggio dei sovrani spagnoli in Italia. Il viaggio avrebbe dovuto rinforzare i rapporti economici fra i due paesi e suggerire a Mussolini di ricostruire i rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Pochi mesi prima del viaggio, il generale Primo de Riveira organizzò un colpo di stato in Spagna che, probabilmente appoggiato dal sovrano, mise in dubbio il viaggio di Alfonso XIII.

Malgrado un capovolgimento così radicale, l’opposizione spagnola non reagì con violenza e quindi fu deciso di proseguire nell’organizzazione dell’incontro fra il re Borbone e il dittatore italiano. Primo de Riveira partecipò agli incontri e, anzi, manifestò la sua ammirazione per Mussolini. Tre anni dopo, anche il Portogallo scelse la via del colpo di Stato e della dittatura militare, consacrando al potere António de Oliveira Salazar.

La Spagna e il Portogallo manifestarono la loro attenzione per come il fascismo era riuscito a prendere il potere e ad organizzare una forza paramilitare per il mantenimento dell’ordine. Negli anni successivi, tutte e tre le nazioni mantennero un intenso dialogo e consolidarono i loro rapporti economici e politici.

Ma quali furono le similitudini fra i tre paesi e cosa portò il Portogallo, l’Italia e la Spagna verso la dittatura militare dopo il conflitto mondiale? E quanto influì il conflitto sui cambiamenti politici dei tre paesi? E, infine, quanto peso ebbe la crisi della classe borghese?

Commento

A queste domande risponde un buon libro di Giulia Albanese, professore associato di Storia contemporanea all’Università di Padova, intitolato “Dittature mediterranee” ed edito da Laterza. L’autrice analizza il modo in cui i tre paesi sono passati da Stati liberali a dittature militari, come il fascismo italiano abbia influenzato la penisola iberica e il modo in cui le istituzioni e la società reale si sia spostata verso la dittatura militare, attraverso la violenza politica e la radicalizzazione di alcuni temi come la crisi economica e la instabilità democratica. Il pregio del saggio è la ricchezza delle fonti e l’approfondimento di un tema originale: il legame appunto fra le tre dittature militari e come il regime di Mussolini li abbia influenzati prima di ispirare il nazionalsocialismo tedesco.

Le cause dei cambiamenti politici, analizzati nel libro “Dittature mediterranee“, non vogliono stimolare una nuova ricerca sul fascismo ma capire il motivo per cui si considera la nascita delle dittature conseguenza del conflitto mondiale, quando, invece, tutti e tre i paesi non hanno avuto dalla guerra conseguenze pesanti, ma, anzi, hanno subito un cambiamento, seguendo un’evoluzione istituzionale, che non ha a che fare con il Trattato di Versailles, bensì con l’implosione di istituzioni che non davano più certezze e che spostavano l’attenzione verso la sicurezza delle svolte autoritarie e dittatoriali.

Giulia Albanese
Giulia Albanese

Quello della professoressa Albanese è un buon testo per comprendere altri elementi che hanno apportato cambiamenti politici conservatori e violenti, in un’epoca come la nostra in cui molti elementi simili si rivedono in altri paesi europei, sia mediterranei che nordici.

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Il compagno, romanzo di Cesare Pavese (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/il-compagno-pavese-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/il-compagno-pavese-riassunto/#respond Thu, 17 Mar 2016 14:51:00 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17473 Tra le varie opere di Cesare Pavese c’è un romanzo molto interessante, intitolato “Il compagno“, che racconta la storia di Pablo, un giovane torinese che entra a far parte di un movimento antifascista. Lo stesso Pavese non ha mai nascosto la sua ideologia politica: aveva collaborato alla rivista “La Cultura” che venne soppressa perché pubblicava contenuti contrari al regime fascista, e si era iscritto al Partito Comunista Italiano.

Il compagno (riassunto del libro di Cesare Pavese)
“Il compagno”, una copertina del libro di Cesare Pavese – Dalle confuse aspirazioni giovanili al maturare di una coscienza antifascista attraverso la disgregante realtà della dittatura.

Il compagno: trama e riassunto

Il protagonista di questo romanzo, Pablo, ama la musica e suona la chitarra, non ha un’idea precisa di cosa fare nella vita.

Mi dicevano Pablo perché suonavo la chitarra. La notte che Amelio si ruppe la schiena sulla strada di Avigliana, ero andato con tre o quattro a una merenda in collina – mica lontano, si vedeva il ponte – e avevamo bevuto e scherzato sotto la luna di settembre, finché per via del fresco ci toccò cantare al chiuso.

Incipit del romanzo “Il compagno”

Uno dei suoi amici, Amelio, lo invita spesso a trovarlo in ospedale, dove è ricoverato a causa di un grave incidente stradale. Pablo e Linda, la fidanzata di Amelio, sono attratti uno dall’altra e cominciano ad incontrarsi anche senza la presenza di Amelio.

Linda fa conoscere a Pablo due suoi amici: uno è Lubrani, di professione impresario teatrale, l’altro si chiama Carletto ed è un faccendiere di Roma. Mentre il povero Amelio perde l’uso delle gambe, Pablo sta cercando il modo di andare a vivere con Linda. Ma proprio quando il giovane si lascia andare a tali fantasie amorose, Linda comincia a frequentare Lubrani e si fidanza con lui.

Per dimenticare il triste epilogo della sua storia con Linda, Pablo abbandona la passione per la musica e si mette a fare il camionista, trasferendosi a Roma. Carletto gli propone di andare a vivere a casa di un’amica, Gina, e Pablo così fa. Per contraccambiare il favore il giovane torinese aiuta la donna a gestire la sua piccola attività.

Non passa molto tempo che Pablo comincia a frequentare l’ambiente politico della Capitale: in particolare il ragazzo entra a far parte di un movimento antifascista che, proprio per questo, mantiene la segretezza. Siccome alcuni degli appartenenti a tale movimento vengono arrestati, Carletto chiede a Pablo di eliminare alcuni libri compromettenti del movimento. Pablo decide incautamente di nasconderli in casa propria.

Finale

Un giorno Pablo e i compagni apprendono dell’arresto di Amelio: Linda va a trovare Pablo per dissuaderlo dalla sua intenzione di restare all’interno del movimento, ma non riesce a convincerlo. Poco dopo anche Pablo viene arrestato, e durante l’interrogatorio gli viene chiesto se sa qualcosa dei libri che nasconde in casa sua. Pablo nega di averli presi, e non confessa la verità neppure dopo essere stato malmenato.

Analisi e commento al libro

Attraverso le parole finali di Pablo, che dice a Gina di essere convinto a non lasciare il movimento, Cesare Pavese esprime il suo punto di vista nei confronti della situazione italiana del periodo storico del fascismo.

Il romanzo “Il compagno” di Pavese, è ambientato durante il periodo del Regime fascista in Italia, ma prima dello scoppio del conflitto mondiale. L’autore preferisce adottare uno stile informale ed un linguaggio diretto, a tratti utilizza anche espressioni dialettali. L’opera è cadenzata da momenti di riflessione dei vari personaggi, per questo il ritmo può sembrare piuttosto lento. Nel romanzo vi sono parecchie parti dedicate alla descrizione di persone e luoghi, il protagonista stesso è il narratore interno che parla al lettore. Per quanto riguarda le tematiche affrontate nel romanzo, “il compagno” affronta l’argomento del regime fascista e dell’ideologia politica.

Pablo, pur non avendo alcun obiettivo preciso nella vita, si appassiona alla politica e resta coerente alle sue idee sino alla fine. L’autore, Pavese, intende dimostrare, attraverso il personaggio simbolico di Pablo, come i valori di una persona possono essere difesi strenuamente anche rischiando gravi conseguenze (Pablo sfidava infatti la repressione del regime). Nella visione di Pavese l’impegno politico è appunto uno di quei valori da portare a compimento anche a costo di sacrifici e sofferenza.

Ciò che fa riflettere, di tutto il libro, sono le parole finali del protagonista. Pablo riesce a trasmettere al lettore la fiducia verso il futuro, una speranza di successo che può essere estesa alla vita in generale, non al movimento antifascista in senso stretto. Il finale del libro sicuramente riscatta in pieno il protagonista, che durante tutto il romanzo resta un personaggio superficiale, non appagato e alla ricerca di conferme.

Il romanzo “Il compagno” di Cesare Pavese è stato pubblicato nel 1947, prima con Einaudi, successivamente con Mondadori.

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La libraia di Piazzale Loreto (Tinin Mantegazza) https://cultura.biografieonline.it/libraia-piazzale-loreto/ https://cultura.biografieonline.it/libraia-piazzale-loreto/#respond Tue, 08 Mar 2016 10:37:20 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17348 fate l’ammòre non fate la guerra

ho letto un libricino di tininmantegazza, la libraia di piazzale loreto – ed. corriere della sera, 2015. tinin mantegazza è una di quelle persone pazzesche di cui tutti abbiamo visto qualcosa ma che non conosciamo. tipo, avete presente dodò, il pupazzo dell’albero azzurro? ecco, l’ha disegnato lui. ha fatto il disegnatore, il giornalista, ha fondato teatri, lavorato con gente della milano bella, la milano della rinascita del dopoguerra.

La libraia di Piazzale Loreto,  libro di Tinin Mantegazza
La libraia di Piazzale Loreto (Tinin Mantegazza) – Ed. Corriere della Sera, 2015

questo libretto racconta delle storie di guerra. storie ambientate a milano, dove tinin viveva in quegli anni. storie che raccontano di squadre fasciste, di esecuzioni, di piccoli momenti di luce nel grigio-o meglio nero-di milano negli anni ’44-’45. val la pena leggerlo, davvero.

il mio nonno otello (sì, si chiamava davvero otello, suo padre era appassionato di verdi. ecco la lista dei nomi dei figli – fratelli e sorelle del nonno – otello, iago, cassio, ernani detto nani, radames detto ciccio, faust, liliano, violetta, nerina) lui aveva fatto la guerra. era andato in tunisia e siccome lui faceva il macellaio, l’han messo infermiere. ha totalmente senso no? e lui diceva che un po’ si era salvato la vita perché faceva l’infermiere anche se una volta era scoppiata una bomba sotto il cassone del camionambulanza e una scheggia gli aveva lasciato una cicatrice sul naso. io non l’ho mai vista quella cicatrice, ma c’era. poi altre volte era stato nascosto nelle buche con i compagni morti, ma credo queste siano storie che abbiamo sentito tutti.

raccontava che a casa, nonno era di rolo, vicino a carpi, la paura più grande era quando passavano i mongoli, che i mongoli erano i peggio cattivi di tutti. e poi lui era tornato e lavorava in ospedale e una volta era malato e nonna era andata ad avvisare che non poteva lavorare e le suore le han detto digli di non venire più, ché sono arrivati e chiudono tutto. e poi diceva della strada con tutti gli alberi, e ogni albero un impiccato. però lui ci è riuscito a uscirne e poi si è sposato nonna e poi si sono trasferiti e poi vabbe’ sono andati avanti.
però io non me lo ricordo bene quanto vorrei, tutto quello che diceva. perché nonno c’aveva già una certa e io ero regazzina e poi si è ammalato e non riusciva molto a parlare e poi non c’era più.

papà sa tante cose, le aveva anche scritte, in quelle domeniche pomeriggio in cui si andava dai nonni e per andare a brescia ci si metteva un’ora perché non c’era la tangenziale. e i pasticcini (le pastine) d’inverno e il gelato d’estate e la televisione su domenica in o poi su buona domenica e la noia estrema (ma avercene ora di domeniche così) e i giornali come gente che leggevo solo lì e i pranzi di nonna che erano sempre uguali tipo bucatini cotti 45 minuti (eh, li ho cotti la durata solita) e coniglio coi funghi che non se distingueva il coniglio dai funghi.
non era la stessa nonna di prima, era una che è venuta dopo. proud niece of the unica-nonna-in-italia-che-faceva-da-mangiare-demmerda. però questa nonna qui invece diceva di quando nascondevano i partigiani sulla maddalena.
a volte vorrei chiedere a papà di raccontarmi di più, ma io non voglio che si intristisca pensando al nonno e allora non lo faccio.

l’altro nonno invece la guerra non l’ha fatta perché me par che fosse più giovane e stava facendo l’università o robe così.

allora leggendo tinin mantegazza ho pensato che era come avere un nonno che ti racconta le cose. anche se non posso andare a trovarlo la domenica, è memoria storica. sono quelle cose che non ti raccontano quando studi storia (nel mio caso quando? quando è che studi storia annì?) perché ok magari sai di quell’avvenimento lì, ma sai come stava la gente? quanta fatica faceva, cosa succedeva? tinin mantegazza lo racconta senza vittimismo, racconta le persone quelle vere. come il mio nonno, o come il tuo.

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