Eugenio Montale Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 28 Sep 2022 13:25:40 +0000 it-IT hourly 1 Felicità raggiunta, si cammina: parafrasi e testo https://cultura.biografieonline.it/felicita-raggiunta-si-cammina-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/felicita-raggiunta-si-cammina-parafrasi/#respond Wed, 28 Sep 2022 10:59:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40321 La poesia Felicità raggiunta, si cammina è una delle più rappresentative del poeta Eugenio Montale: essa esprime a pieno la sua poetica e il pensiero. Il testo è apparso nella raccolta Ossi di seppia, pubblicata nel 1925, ed è stato scritto probabilmente nel 1924.

Felicità raggiunta - poesia di Montale
Felicità raggiunta – poesia di Montale

Felicità raggiunta, si cammina: testo completo

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

L’autore e la poetica

Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896, trascorse tutta la sua infanzia e giovinezza tra la sua città natale e Monterosso, nelle Cinque Terre, un paesaggio che resterà sempre impresso nella sua memoria e nella sua poetica.

Si trasferì a Firenze dove partecipò a pieno alla vita culturale della città.

Negli anni del Fascismo, si rifiutò di iscriversi al partito e perse tutti i suoi incarichi.

Dopo la Seconda guerra mondiale si trasferì a Milano, dove lavorò come redattore e continuò a scrivere fino alla fine.

Nel 1975 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura.  

Le raccolte poetiche più importanti di Montale sono:

  • Ossi di seppia (1925);
  • Le occasioni (1939);
  • La bufera e altro (1956);
  • Satura (1971).

Egli indaga il tema del male di vivere cioè il dramma dell’esistenza, tutta la solitudine di cui soffre l’uomo moderno difronte ad una realtà multiforme, il dolore provocato dagli orrori della guerra, il trascorrere inesorabile del tempo.

Per quanto riguarda la sua prima raccolta poetica, Ossi di seppia, si fa riferimento ai residui delle seppie che restano sulla spiaggia e che rappresentano proprio la condizione dell’uomo moderno, impoverito e ridotto all’aridità. Anche le forme poetiche vengono ridotte all’osso, quindi esprimono solo l’essenziale.

La raccolta è suddivisa in 4 sezioni (Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre): la condizione dell’osso di seppia rappresenta quella dell’uomo, la cui vita è ormai arida e senza speranza, domina la descrizione del paesaggio ligure e del muro, impossibile da scavalcare. L’uomo non è più in armonia con la natura ma si sente fuori posto, per questo prova quel sentimento del male di vivere.

Eugenio Montale
Eugenio Montale

Parafrasi

Raggiunta la felicità è come se si camminasse sul filo di un rasoio.

Agli occhi, sei come una piccola luce che però vacilla, per il piede è come ghiaccio che si incrina e di conseguenza chi ti ama sarebbe meglio che non ti toccasse (per non farla svanire).

Se arrivi alle anime tristi e riesci a rischiararle, la tua giornata inizia dolcemente come i nidi degli uccelli sotto i cornicioni.

Ma nulla può ricompensare il pianto del bambino a cui sfugge il pallone tra le case.

Spiegazione e commento

Questa poesia è composta da due strofe di cinque versi con rima ABCAB e DEDED.

Il tema centrale della lirica è quello della felicità umana, per il poeta destinata ad essere di breve durata e che rischia di scomparire in qualsiasi momento.

Utilizza quindi una serie di analogie molto pregnanti per rappresentare questa sensazione:

  • camminare sul filo di una lama;
  • una fiammella che rischia di spegnersi al vento;
  • il ghiaccio che potrebbe cedere da un momento all’altro

Sono elementi che appartengono a sfere sensoriali diverse: vista, tatto, udito.

Anche se la felicità viene raggiunta, il poeta afferma che essa è effimera, è un fragile equilibrio che non è destinato a durare.

La poesia Felicità raggiunta, si cammina si chiude con una avversativa che descrive la figura del bambino che perde il suo pallone proprio quando sta giocando.

È impossibile quindi raggiungere un equilibrio e una felicità che siano durevoli.

Montale utilizza anche termini specialisti, come cimase che allude al cornicione delle abitazioni.

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La casa dei doganieri, testo e analisi della poesia di Montale https://cultura.biografieonline.it/casa-dei-doganieri-testo-montale/ https://cultura.biografieonline.it/casa-dei-doganieri-testo-montale/#comments Sat, 05 Mar 2022 18:08:01 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39462 La casa dei doganieri è una delle poesie più note scritte dal poeta ligure Eugenio Montale. È inoltre la maggiormente rappresentativa delle tematiche della sua poetica. La lirica fu composta tra il 1928 e il 1939 e fa parte della raccolta di poesie “Le occasioni“.

La casa dei doganieri - Monterosso - Montale
La casa dei doganieri • ll luogo evocato da Montale si trova a Monterosso, il paese più grande delle Cinque Terre (La Spezia, Liguria)

Le tematiche

I temi principali sono:

  • la memoria,
  • lo scorrere del tempo,
  • i ricordi.

Il poeta sente che non riesce più ad affrontare le sfide della vita e che ha perso l’innocenza dell’infanzia.

Montale non riesce più ad orientarsi nel contesto del presente, come se avesse perso la bussola, come se non trovasse più il senso della realtà.

Questo si evince bene nell’ultimo verso:

“ed io non so chi va e chi resta”.

La casa dei doganieri testo completo

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.

Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende …)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

La raccolta poetica: Le occasioni

Questa raccolta poetica venne pubblicata per la prima volta nel 1939 dall’editore Einaudi e comprende 50 poesie. È divisa in quattro sezioni ed è molto più compatta rispetto alla sua prima raccolta, la celeberrima Ossi di seppia.

Qui il poeta cambia sia l’aspetto delle sue liriche che il contenuto: non sono più poesie scarne e suggestive (si veda e.g. Spesso il male di vivere ho incontrato) ma sono poesie che contengono ricordi istantanei.

Eugenio Montale descrive oggetti, occasioni, cose, animali, momenti che però sono per lui un simbolo o un emblema della sua emozione; queste cose lasciano quindi trasparire le sue sensazioni più intime.

La raccolta Le occasioni è dedicata ad Irma Brandeis, detta Clizia – critica letteraria e accademica statunitense.

La presenza di una donna è una novità rispetto ad Ossi di seppia e rappresenta comunque una forma di speranza.

La casa dei doganieri parafrasi

Tu non ricordi la casa dei doganieri
che si trova sulla cresta a strapiombo della scogliera:
la casa ti attende solitaria da quella sera
in cui i tuoi pensieri entrarono ronzando come uno sciame
e lì si fermarono irrequieti.

Il Libeccio colpisce da anni le vecchie mura
e il suono della tua risata non è più gioioso come una volta:
l’ago della bussola gira all’impazzata
e le combinazioni dei dadi non tornano più.
Tu non ricordi più, un altro avvenimento della tua vita ti distrae,
il filo della memoria si intreccia.

Ho ancora tra le mani un capo del filo
ma la casa si allontana e in cima al tetto la banderuola del vento,
nera per il fumo, gira senza sosta.
Ho in mano un capo del filo, ma tu resti sola
e non si sente più il tuo respiro nell’oscurità.

Oh, l’orizzonte fugge sempre di più,
dove ogni tanto si vede la luce di una petroliera!
Il varco è qui? (l’onda ribatte contro il frangente
sul fianco ripido).
Tu non ricordi la casa di questa fine
della mia vita ed io non so chi resta e chi se ne va.

Analisi, spiegazione e commento

Il poeta si rivolge ad un tu femminile, identificabile con Annetta, una ragazza morta giovane che il poeta conobbe in una delle estati trascorse a Monterosso.

Egli riporta alla mente i loro primi incontri avvenuti in questa casa dei doganieri – la stazione della Guardia di Finanza di Monterosso.

Montale è sicuro che lei non ricordi quegli incontri, infatti li rappresenta come uno sciame, un’immagine ormai dimenticata.

Solo il poeta ha tra le mani il filo del ricordo (come Teseo e Arianna – fonte: Squarotti).

Tutto è irrequieto: la banderuola che gira, i dadi che causano disorientamento, la bussola impazzita.

Il poeta cerca di conservare questi attimi ormai perduti, ma anche la casa stessa sta ormai diventando un ricordo sbiadito.

Come figure retoriche troviamo delle anafore:

  • “tu non ricordi” v. 1-10-21
  • “ne tengo ancora un capo” v. 12-15.

Il tema centrale resta quindi lo scorrere del tempo, problema che il poeta affronta spesso e al quale non riesce a dare una risposta.

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Forse un mattino andando in un’aria di vetro (Montale) https://cultura.biografieonline.it/forse-un-mattino-andando-in-un-aria-di-vetro/ https://cultura.biografieonline.it/forse-un-mattino-andando-in-un-aria-di-vetro/#respond Mon, 05 Sep 2016 14:06:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19450 La lirica “Forse un mattino andando in un’aria di vetro” è una delle più conosciute tra la produzione di Eugenio Montale. Appartiene alla prima raccolta di poesie del poeta, Ossi di seppia, ed è stata composta nel luglio del 1923. La poesia fa parte della omonima sezione della raccolta, Ossi di seppia, che dà il nome proprio alla raccolta stessa.

Forse un mattino andando in un'aria di vetro

Quest’ultima è stata pubblicata per la prima volta nel 1925. Il titolo, che  indica i resti della seppia che possono trovarsi sulla spiaggia, è esemplificativo perché con esso il poeta vuole attirare l’attenzione sugli oggetti che hanno esaurito lo spirito vitale e quindi rappresentano la poesia ridotta all’ essenziale.

Montale, infatti, compose questa raccolta negli anni dell’affermazione del fascismo. Esso fu un periodo molto difficile per tutti gli intellettuali che dovevano confrontarsi con l’avanzare della società di massa e soprattutto col male di vivere che coinvolgeva tutta la realtà.

Con Montale si è quindi molto distanti rispetto al messaggio positivo di D’Annunzio. Il poeta infatti non crede che la fusione con la natura sia più possibile e lo esprime chiaramente nella sua prima raccolta.

Ossi di seppia si divide in 6 sezioni: In limine, Movimenti, Ossi di seppia (alla quale appartiene la poesia in analisi Forse un mattino andando in un’aria di vetro), Mediterraneo, Meriggi, Riviere. Il principale soggetto descritto è il paesaggio ligure, che diventa immagine della condizione esistenziale di sofferenza degli uomini.

Forse un mattino andando in un’aria di vetro: testo della poesia

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Parafrasi

Forse un mattino camminando con aria cristallina, arida, voltandomi indietro, vedrò compirsi un miracolo; il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, come un terrore simile a quello degli ubriachi.

Poi come su uno schermo illusorio, si proiettano freneticamente: alberi,colline con la realtà apparente che inganna. Ma sarà troppo tardi,io me ne starò zitto con quei uomini che riuscivano a voltarsi,con il mio segreto.

Struttura e metrica

La lirica in esame è formata da due quartine di versi lunghi o doppi, con rime alternate ABAB- CDCD. L’oggetto della lirica è la rivelazione del mistero della vita, che accade all’improvviso durante una mattina dall’aria rarefatta.

La prima strofa racconta lo svelamento del mistero. Forse, durante una mattina con l’aria limpida e cristallina, voltandomi indietro vedrò compirsi il miracolo. L’evento eccezionale quindi avviene ma rivela solo il nulla e l’insensatezza dell’esistenza . il poeta si paragona ad un ubriaco pieno di terrore nel momento in cui scopre che, in realtà, il senso della vita non esiste.

Durante la seconda strofa, il poeta descrive il momento in cui dovrà tornare a vivere tra gli uomini

(v.5) poi come su uno schermo si presenteranno all’improvviso alberi, case e colli per l’illusione quotidiana

È ormai troppo tardi per credere a tutte quelle illusioni perché egli è  consapevole dell’inesistenza del senso della vita. Quindi continuerà a camminare tra tutti gli altri uomini che non hanno il coraggio di guardare la realtà. Egli sceglie di non raccontare la verità ad essi, che preferiscono credere a tutte le illusioni quotidiane.

Analisi della poesia

La lirica si divide in due tempi. La prima strofa che descrive il tanto atteso miracolo che però rivela la totale inconsistenza del mondo e della vita. La seconda strofa che descrive il rassegnato ritorno al mondo illusorio di tutti i giorni, alla vita che però non sarà mai più la stessa. Il poeta sceglie di non rivelare la verità agli uomini e, anzi,  la vive come una condanna che lo obbliga al silenzio.

Dal punto di vista stilistico, sono da annotare i suoni aspri e scabri. Al verso 5 si nota l’assenza di punteggiatura (alberi case colli) ovvero l’asindeto che regala un’immagine piatta alla lirica. Presenti anche alcuni enjambement (v. 3-4- e 7-8).

Da ricordare è la metafora al verso 5 che allude al cinema, che negli anni Venti era di gran moda: lo schermo, infatti, fa riferimento all’illusione della realtà quotidiana che si confonde con l’apparenza.

Commento

La poesia “Forse un mattino andando in un’aria di vetro” diventa quindi una delle più esemplificative del pensiero montaliano. Essa rappresenta a pieno la disillusione creata dall’osservazione lucida della realtà, che fa sentire il poeta diverso da tutti gli altri uomini, che non si curano di guardare la verità e quindi di voltarsi indietro. Egli ricerca quindi il senso della vita ma trova solo il nulla. Questa è la summa della  lucida visione del poeta in questa prima raccolta.

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Non chiederci la parola, poesia di Montale https://cultura.biografieonline.it/non-chiederci-la-parola-montale/ https://cultura.biografieonline.it/non-chiederci-la-parola-montale/#comments Thu, 01 Sep 2016 13:51:00 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19372 La lirica “Non chiederci la parola” è una della più famose ed importanti presente nella produzione di Eugenio Montale perché rappresenta una vera e propria dichiarazione della sua poetica. Fu composta nel 1923 e collocata all’interno della sezione Ossi di seppia, che poi darà il titolo alla sua prima raccolta.

Non chiederci la parola

La raccolta Ossi di Seppia

Quest’ultima fu pubblicata nel 1925, anni in cui in Italia si stava affermando il regime fascista. Il titolo è esemplificativo del contenuto della raccolta stessa: gli ossi di seppia sono infatti lo scheletro dei molluschi che resta, dopo la loro morte, sulla spiaggia.

Montale scelse di intitolare la raccolta proprio agli ossi di seppia perché essi rappresentano a pieno l’aridità dell’esistenza e che diventa il simbolo del “male di vivere” che domina la realtà.

La raccolta è strutturata in cinque parti: In limine (che svolge la funzione di prologo), Movimenti (11 liriche), Ossi di seppia (22 liriche, alla quale appartiene anche Non chiederci la parola), Mediterraneo (poemetto unico composto da 9 liriche), Meriggi (11 liriche) e Riviere (poesia epilogo della raccolta). Della raccolta fanno parte anche le poesie: I limoni, Meriggiare pallido e assorto, Spesso il male di vivere ho incontrato.

Non chiederci la parola: testo della poesia

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Analisi della lirica

Non chiederci la parola rappresenta il messaggio che Montale vuole lanciare con Ossi di seppia. La poesia non può più trasmettere delle certezze, può soltanto raccontare tutto ciò che non siamo e non vogliamo.

Questa lirica si colloca in un periodo del Novecento durante il quale crollarono tutti gli ideali. L’uomo si trovava circondato dalle ideologie nazionaliste e massificatrici, per questo non aveva più una bussola grazie alla quale potersi orientare.

In questo clima, il lavoro svolto da Montale rappresenta tutto ciò che i poeti stavano vivendo in prima persona. Rappresenta tutto il loro dolore e l’impossibilità di espressione difronte alle cose della vita.

Le strofe

La poesia in esame è formata da tre quartine di versi liberi, con molti endecasillabi e settenari: le prime due strofe hanno rime incrociate (ABBA, CDDC), la terza ha rime alternate (EFEF).

La prima strofa si rivolge ad un tu generico, che si può identificare con il lettore stesso, al quale il poeta, in prima battuta, lancia una negazione che accompagna la sua dichiarazione. (Lettore) non chiederci (a noi poeti) quella parola che possa definire in modo chiaro la nostra anima che è informe (= piena di incertezze) e lo chiarisca in modo semplice e la faccia risplendere come un croco in un prato.

La similitudine col croco (fiore dello zafferano) cerca di evidenziare la ricerca di questa verità che splenda proprio come un fiore in un campo, ben vivida e sicura.

Nella seconda strofa Montale loda quel tipo di uomo che non si cura di ciò che sta accadendo intorno a lui. Anzi è sicuro sia di stesso che degli altri e non è inquieto come il poeta. Non si interessa neanche della sua ombra che viene proiettata sul muro scrostato in una calda estate. Si tratta dell’uomo qualunque, che non nota il male di vivere che lo circonda ma continua per la sua strada.

Nella terza strofa, che ha una struttura speculare con la prima, il poeta si rivolge di nuovo al lettore. Egli non può chiedere ai poeti la formula magica che possa aprire la conoscenza a mondi nuovi. Può soltanto ricevere delle parole incerte e scarne, tutto ciò che non siamo e che non vogliamo.

Dal punto di vista stilistico, prevale l’utilizzo di parole dalla sonorità aspra e stridente (v. 10 storta sillaba, secca), che si può evidenziare anche con la presenza di rime interne (v. 12 siamo-vogliamo). Sono presenti anche alcuni enjambement (v. 1-2; v.3-4; v. 7-8) e similitudini (v. 3 come un croco; v. 10 come un ramo). Importante anche l’anafora di non all’inizio della prima e della terza strofa.

Commento e riflessione

La lirica si conclude quindi con il suo messaggio di poetica: Montale denuncia quanto il mondo moderno sia completamente privo di certezze. È meglio non vivere una vita illudendosi che le cose vadano bene ma accettare ciò che ci circonda.

La poesia termina, quindi, con due negazioni (ciò che non siamo e ciò che non vogliamo) perché secondo il poeta l’unica strada da seguire è quella di guardare in faccia la realtà, rifiutando qualsiasi tipo di modello precostituito o falso ideale.

Eugenio Montale propone quindi una lucida visione della vita, raccontata attraverso le sue poesie ricche di messaggi destinati agli uomini e in piena sintonia col clima di inquietudine del primo Novecento.

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Non recidere forbice quel volto (poesia di Montale) https://cultura.biografieonline.it/non-recidere-forbice-quel-volto/ https://cultura.biografieonline.it/non-recidere-forbice-quel-volto/#comments Wed, 20 Jul 2016 12:45:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19052 La poesia “Non recidere forbice quel volto” è una delle più celebri tra quelle composte da Eugenio Montale. Essa fa parte della seconda raccolta del poeta, Le occasioni, precisamente della sezione Mottetti. La lirica fu composta nel 1937.

Non recidere forbice quel volto

La raccolta: Le occasioni

Le occasioni fu pubblicata per la prima volta a Milano nel 1939 per la casa editrice Einaudi. Una seconda edizione, con l’aggiunta di alcune liriche, vide la luce nel 1940. In totale sono state raccolte 54 poesie scritte tra il 1928 e il 1939, quando in Italia si stava affermando il Fascismo e si avvicinava il disastro della Seconda Guerra Mondiale.

La raccolta di Montale segna un punto di svolta rispetto alla precedente Ossi di Seppia: il poeta vuole sottolineare che esistono delle occasioni di salvezza per gli uomini, da qui deriva infatti il titolo, “occasioni” che sono rappresentate da eventi irrilevanti ma che possono aprire un varco nel dolore.

La memoria diventa uno strumento fondamentale per recuperare momenti del passato che possono illuminare il presente. Un ruolo importante all’interno della raccolta è giocato dalle figure femminili, che spesso hanno un ruolo salvifico, quasi di donne-angelo.

In particolare nella sezione Mottetti, è presente Clizia che ricopre il ruolo di difensore dei valori positivi della giustizia e della cultura. Anche lo stile cambia perché vengono abbandonati gli sperimentalismi della prima raccolta per recuperare le forme tradizionali della metrica e rivisitarle in chiave moderna.

Non recidere forbice quel volto: testo

Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.

Parafrasi

Forbice, non tagliare via quel volto,
il quale ormai solitario svanisce dalla mia memoria,
non trasformare il suo grande viso in ascolto
nell’usuale nebbia della mia vita.

Cala il freddo della lama… il colpo secco
recide la vetta. E l’acacia ferita si scrolla di dosso
il corpo vuoto della cicala
nella prima fanghiglia del mese di novembre.

Analisi della poesia

La poesia Non recidere forbice quel volto è composta da due quartine di endecasillabi e settenari, con una rima al v. 1 e al v. 3.

Il poeta è lontano dalla donna amata ma vorrebbe mantenere un vivo ricordo di lei: purtroppo però, il tempo ha offuscato la memoria e questa sensazione viene resa attraverso l’immagine del taglio di cesoie con cui viene potato un albero di acacia.

Le due strofe appaiono staccate tra di loro ad una prima lettura.

Le strofe

Nella prima strofa il poeta si rivolge alla forbice e chiede di non tagliare il volto della donna amata e di non far diventare il suo viso parte della nebbia che avvolge il ricordo delle persone care. La donna è Clizia, ovvero Irma Blandeis, una giovane americana conosciuta a Firenze nel 1933 e costretta dalle leggi razziali a tornare nel suo paese.

La seconda strofa della poesia “Non recidere forbice quel volto” invece evoca un’immagine concreta: la forbice diventa la cesoia del giardiniere che sta potando un’acacia in autunno, mentre il guscio della cicala cade dal ramo e finisce nel fango.

Il gesto del giardiniere diventa così il correlativo oggettivo che permette all’autore di collegare un momento apparentemente normale, il taglio di un ramo, con la perdita della memoria della donna amata. Secondo Montale, infatti, il poeta deve trovare un oggetto (il correlativo oggettivo) che gli possa servire per rappresentare uno stato d’animo, che diventa universale.

L’espressione al verso 5 “il freddo cala” è un punto chiave della poesia: indica proprio che la memoria piano piano viene offuscata e il ricordo svanisce.

Eugenio Montale
Foto di Eugenio Montale

Non sono presenti particolari figure retoriche, ma ci sono molti richiami fonici: oltre alla rima tra v.1 e v.3, i versi pari della prima strofa rimano con quelli della seconda (v.2 sfolla – v. 6 scrolla, v. 4 sempre – v.8 Novembre).

Nella seconda strofa sono presenti delle rime al mezzo : v. 5 svetta – v. 8 belletta, v. 5 cala – v. 7 cicala. I verbi utilizzati hanno quasi tutti un suono molto forte : svetta, sfolla, scrolla.

Eugenio Montale cerca di ricordare la donna ma purtroppo non riesce. Quindi la sua personale vicenda sentimentale finisce per diventare il simbolo della condizione degli uomini, che vivono nella precarietà. Gli uomini non riescono ad accedere ai propri ricordi per combattere la tristezza del presente.

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I limoni, analisi e commento alla poesia di Montale https://cultura.biografieonline.it/limoni-montale/ https://cultura.biografieonline.it/limoni-montale/#comments Mon, 18 Apr 2016 13:54:41 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17924 La poesia I limoni di Eugenio Montale può considerarsi una vera e propria dichiarazione di poetica dell’autore. La lirica appartiene alla raccolta Ossi di seppia, pubblicata prima nel 1925 poi nel 1928, presso l’editore Gobetti.

I limoni - piante

La raccolta è la prima in assoluto del poeta ed è dedicata alla descrizione della sua infanzia in Liguria (Montale nasce infatti a Genova nel 1896 e trascorre le estati a Monterosso, nelle Cinque Terre). Il paesaggio delle Cinque Terre incide molto sulle caratteristiche delle sue prime poesie di Ossi di Seppia, in cui confluiscono sia lo sperimentalismo dei Crepuscolari che il classicismo.

La raccolta rappresenta infatti il romanzo di formazione del poeta: dalle estati trascorse da bambino, il poeta cresce e prende coscienza della condizione di infelicità dell’uomo. I motivi dominanti sono la visione del mare e la terra, che però non sono più elementi che portano tranquillità e pace, come in D’Annunzio, ma diventano il simbolo della triste condizione umana.

In questo senso la poesia I limoni può essere considerata la dichiarazione di poetica dell’autore: il poeta si rivolge al lettore affermando di rifiutare le poesie difficili dei poeti che sono laureati (ossia hanno ottenuto l’alloro poetico, prestigioso riconoscimento) per raccontare, invece, la realtà comune, il paesaggio aspro della sua terra e la descrizione di un giardino di limoni.

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

I limoni: analisi e commento

La poesia è composta da quattro strofe di versi irregolari e con rime libere, presenti sia a fine verso che all’interno del verso stesso. Come figura retorica dominano gli enjambements, presenti soprattutto nella prima strofa.

Nella prima strofa compare per la prima volta il riferimento ai limoni, che diventano il correlativo oggettivo della sensazione del poeta, e per questo primo momento sembrano essere un oggetto positivo.

le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Nella seconda strofa vengono elencati una serie di elementi naturali e viene affermato come la guerra e quindi la sofferenza sembra lontana perché il quel particolare punto si sente l’odore dei limoni.

e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Nelle ultime due strofe la poesia prende una piega diversa:nella terza strofa compaiono i primi cenni di disillusione e visione realistica della vita con l’accenno all’anello che non tiene, cioè quella parte che, se scoperta, riuscirebbe finalmente a dare uno scopo all’esistenza umana.

il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.

La quarta strofa inizia proprio con un “ma” avversativo: si passa quindi dall’illusione positiva dell’odore dei limoni alla totale disillusione; il mare si vede solo a spicchi e l’animo si rattrista.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.

I limoni quindi appaiono come un’epifania, regalano un breve momento di felicità grazie al loro colore giallo e al loro intenso odore e rappresentano la nota positiva che si oppone alle città rumorose. Non esistono più le illusioni , la luce si affievolisce così come l’anima. L’unica speranza è data proprio da questi limoni, che appaiono all’improvviso e solo per brevi istanti.

Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

La poesia è enigmatica e densa di interpretazioni, l’importante però è tenere presente che Montale è sì pessimista perché distante dai poeti che vedono la natura come paesaggio idilliaco ma non si nega dei momenti di illusioni, della ricerca di un varco lontano dalla tristezza della città, ossia il giardino di limoni oggetto della poesia analizzata.

Eugenio Montale
Una foto di Eugenio Montale

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I limoni, testo della poesia https://cultura.biografieonline.it/i-limoni/ https://cultura.biografieonline.it/i-limoni/#comments Mon, 18 Apr 2016 14:50:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18057 Di seguito riportiamo il testo della poesia “I limoni”, di Eugenio Montale. Per un approfondimento sulla storia della poesia, i simboli e i loro significati, la parafrasi, l’analisi e il commento, è possibile leggere l’articolo di approfondimento:

I limoni, analisi e commento alla poesia di Montale

Limoni - poesia

I limoni, testo originale della poesia di Montale

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

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Meriggiare pallido e assorto, parafrasi e commento https://cultura.biografieonline.it/meriggiare-pallido-e-assorto/ https://cultura.biografieonline.it/meriggiare-pallido-e-assorto/#comments Tue, 12 Apr 2016 08:12:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17708 Scritta nel 1916 e ricompresa nella raccolta “Ossi di seppia“, la lirica intitolata “Meriggiare pallido e assorto” è una delle più note e apprezzate di Eugenio Montale.  La poesia è ambientata presso il muro di un orto, dove il poeta si ferma ad osservare l’ambiente circostante. E’ mezzogiorno, il sole è rovente e la natura esplode con i suoni e i colori tipici dell’estate. Il poeta percepisce il verso dei merli tra i rami secchi, e i serpenti che strisciano nel terreno in modo appena percettibile.

Meriggiare pallido e assorto
Il testo della poesia “Meriggiare pallido e assorto”

Meriggiare pallido e assorto“: analisi e commento

Tra le crepe del muro scorge lunghe file di formiche rosse che si inerpicano fino alla sommità dei formicai. Anche il mare si vede in lontananza e la sua superficie è tremolante. In mezzo alle foglie e sulla sommità delle rocce si ode il frinire delle cicale.

Procedendo verso il sole abbagliante il poeta sii rende conto di quanto l’esistenza sia tormentata , come quando si voglia camminare su una muraglia cosparsa di cocci di bottiglia.

Il titolo della poesia “Meriggiare pallido e assorto” si riferisce alla contemplazione della natura da parte di Montale, che trascorre le ore del pomeriggio assorto nei suoi pensieri. Gli aggettivi “pallido” e “assorto” si riferiscono allo stato del poeta, che viene accecato dalla luce e dalla calura afosa. Immersa nella calura quasi irreale dell’estate, la vita sembra essersi fermata.

Le strofe montaliane non hanno alcunché di vitale, non c’è alcuna traccia di gioia o entusiasmo. Al contrario, i temi dominanti in questa poesia (ma anche in tutta la produzione di Montale) sono l’isolamento e la solitudine. Il poeta esprime la sua difficoltà di vivere pienamente a causa di ostacoli (immagine simbolo è la muraglia invalicabile che gli impedisce di comunicare con il prossimo). Anche l’orto viene visto come un luogo chiuso da cui è difficile evadere.

Le immagini nella poesia

Le altre immagini (le crepe nel muro, gli sterpi, i pruni, le rocce aride) richiamano il grigiore della vita, a differenza del sole che invece tutto abbaglia. Il poeta non è in grado di andare oltre (il mare rappresenta questo confine), e quindi non è capace di gioire e provare entusiasmo ed ottimismo.

Come ritroviamo anche in altre liriche di Montale, in “Meriggiare pallido e assorto” vi è un’esaltazione del “Vero” (rifacendosi alla poetica di Giacomo Leopardi). Possiamo infatti trovare una similitudine tra l’orto di Montale e il giardino del male di cui Giacomo Leopardi scrive nello Zibaldone. Mentre in Leopardi si intravede un anelito alla ribellione e alla protesta, Eugenio Montale appare rassegnato, impotente e disorientato.

Una delle immagini più forti della poesia è la muraglia invalicabile perché piena di cocci aguzzi di bottiglia: la triste condizione di ogni uomo è di non sapere ciò che si trova aldilà delle apparenze e delle cose materiali che lo circondano. Anche in questa lirica di Montale si riscontra una disarmonia tra la natura e lo stato d’animo del poeta.

Mentre la natura esplode per la stagione estiva il poeta si mette a riflettere sulla tragica condizione esistenziale dell’uomo. Montale esprime così la profonda crisi che colpisce gli intellettuali del suo tempo, che rinunciano ad una visione di poeta come “profeta” ed utilizzano nelle loro liriche parole piuttosto aspre e dure, che servono a dare idea di un’esistenza “secca”, senza gioia né entusiasmo.

Meriggiare pallido e assorto” contiene allitterazioni, onomatopee, assonanze (si tratta di precise figure retoriche utilizzate per rendere la lirica più diretta). Da questa lirica è facile cogliere il concetto di poesia secondo Montale. Il poeta non è un profeta come accadeva ai tempi di Pascoli e D’Annunzio, ma un ricercatore della verità. Egli deve essere in grado di cogliere “il Vero” oltre le cose apparenti, attraverso momenti che possono durare anche lo spazio di un attimo.

La concezione pessimistica della vita in Montale richiama il “pessimismo cosmico” leopardiano, caratterizzato dalla solitudine e dall’incomunicabilità con i propri simili. Entrambi i poeti però intravedono uno spiraglio: la speranza è un sentimento che nessun uomo dovrebbe mai perdere anche dinanzi alle prove più ardue della vita!

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Ho sceso dandoti il braccio, parafrasi e commento alla poesia https://cultura.biografieonline.it/ho-sceso-dandoti-il-braccio/ https://cultura.biografieonline.it/ho-sceso-dandoti-il-braccio/#respond Mon, 11 Apr 2016 17:16:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17799 Molti autori e poeti hanno scritto e scrivono poesie d’amore: il sentimento amoroso è sicuramente uno dei più decantati sia in poesia che in prosa, naturalmente a variare sono lo stile e la profondità dei versi. La lirica di Eugenio Montale intitolata “Ho sceso dandoti il braccio” dedicata alla moglie, è un elogio dell’amata sottolineando l’importanza della sua presenza nella quotidianità della vita.

Testo della poesia “Ho sceso dandoti il braccio

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Eugenio Montale con la moglie: la poesia "Ho sceso dandoti il braccio" è dedicata a lei
Drusilla Tanzi (Milano, 5 aprile 1885 – Milano, 20 ottobre 1963) con il marito Eugenio Montale

Analisi e commento

L’immagine principale della poesia è quella del poeta che aiuta la donna a scendere le scale  offrendole il braccio, un gesto delicato e cavalleresco che evoca profondo amore e rispetto.

Montale ricorda con nostalgia l’abitudine di scendere dando il braccio a sua moglie, una metafora delle “scale della vita” (le vicissitudini, le difficoltà) che era solito condividere quotidianamente con lei. Rimasto solo, sente la mancanza di questo gesto di affetto che li aveva sempre uniti.

Il poeta descrive con spiccata tenerezza la figura della moglie, della quale ricorda il buon senso, la saggezza ed anche una miopia piuttosto accentuata che non le permetteva di vedere bene.

Nonostante tale difetto agli occhi, Mosca (questo il soprannome datole dal marito) faceva da guida a lui, e le sue pupille riuscivano a guardare oltre le apparenze, cogliendo il senso profondo di ogni cosa. La vita insieme a sua moglie, seppure lunga e felice, ora che lei non c’è più sembra che non sia durata abbastanza. Montale soffre la solitudine, è affranto per la mancanza della moglie e nei versi sottolinea la sua stanchezza esistenziale.

Attraverso la metafora del viaggio, si riesce a cogliere la concezione montaliana dell’esistenza: la realtà non è fatta di coincidenze di treni, prenotazioni di alberghi e viaggi (che simboleggiano gli impegni e la casualità): la vita va aldilà delle trappole e delle continue delusioni, è piuttosto un mistero insondabile per l’uomo. “Ho sceso dandoti il braccio” fa parte della raccolta di Montale intitolata “Xenia“, divisa in due gruppi di liriche e pubblicata nell’anno 1971.

La moglie del poeta, Drusilla Tanzi, morì poco dopo il matrimonio, a causa delle conseguenze di una brutta caduta. Solo in apparenza “Mosca” appariva più debole del marito: in realtà era lei la più saggia poiché sapeva cogliere la profondità delle cose. Tale capacità la rendeva una donna forte e sicura nell’affrontare le difficoltà della vita, e Montale gliene rende merito nella lirica che le dedica.

Nella poesia “Ho sceso dandoti il braccio” si ritrova un tema caro al poeta, che è quello del reciproco sostegno e dell’inconsistenza della realtà così come la vediamo (l’argomento compare anche nella lirica intitolata “Non ho mai capito se io fossi“).

E’ molto netta l’antitesi tra la posizione del poeta dinanzi alla realtà e quella di sua moglie, che in maniera più intelligente ed acuta riesce a penetrare in essa. I versi della poesia sono liberi, il linguaggio è diretto e colloquiale, i termini scelti evocano lo stato di profonda malinconia e tristezza in cui si trova il poeta che è rimasto senza la sua dolce metà.

Una foto di Eugenio Montale
Il poeta Eugenio Montale

Si tratta di una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti della donna amata, triste e nostalgica, ma molto sentita. Il viaggio fatto insieme, quando ci si ama, sembra sempre troppo breve: è questo il messaggio principale che si coglie attraverso le strofe di questa bellissima lirica, una delle più riuscite di Eugenio Montale.

A detta di alcuni critici letterari, nella poesia “Ho sceso dandoti il braccio” si coglie un profondo senso di rispetto e “venerazione” per la donna, vista come uno strumento per raggiungere la salvezza e cogliere l’autenticità dell’esistenza (stesso principio che ritroviamo nei poeti trecenteschi come Dante Alighieri).

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Spesso il male di vivere ho incontrato, parafrasi e commento https://cultura.biografieonline.it/male-di-vivere-incontrato-montale-analisi-commento/ https://cultura.biografieonline.it/male-di-vivere-incontrato-montale-analisi-commento/#comments Fri, 11 Mar 2016 16:40:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17406 La poesia che andiamo ad analizzare e commentare si intitola “Spesso il male di vivere ho incontrato” ed è compresa nella raccolta “Ossi di seppia” pubblicata nel 1925. Poeta e scrittore italiano, Eugenio Montale ha ottenuto il Premio Nobel per la Letteratura nell’anno 1975 ed è considerato uno dei migliori autori del Novecento.

Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso il male di vivere ho incontrato.

Per Montale la poesia rappresenta un efficace strumento per testimoniare la (triste) condizione esistenziale dell’uomo moderno, dilaniato dal quotidiano “male di vivere“. Il poeta, secondo la visione di questo autore novecentesco, non si erge a guida spirituale o morale nei confronti degli altri uomini: anzi si fa portavoce delle fragilità, delle insicurezze e delle paure dei suoi simili essendo lui stesso fragile, insicuro e in balia degli eventi.

La lirica di Montale, in genere, non ha alcun ruolo di elevazione spirituale, visto che ha come oggetto la frattura insanabile esistente tra il singolo e il mondo che lo circonda. Nelle poesie di Montale riecheggia un senso di estraneità e di impotenza che le rende spesso tristi e malinconiche.

Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Analisi e commento alla poesia

L’argomento principale che fa capolino dai versi è il dolore, il male di vivere che non risparmia neppure la natura: sia gli elementi inanimati che quelli vivi (come le piante e gli animali) sperimentano il male e la sofferenza. Si nota subito un parallelismo esistente tra le due strofe che aprono la lirica: il poeta utilizza sapientemente alcuni oggetti simbolici per spiegare l’affermazione iniziale: “Spesso il male di vivere ho incontrato“.

Nella prima strofa, che corrisponde ad una quartina, il termine principale è “male“; intorno a questo ruotano le immagini: il ruscello che non riesce a scorrere, la foglia inaridita che si accartoccia su se stessa, il cavallo sfinito che stramazza a terra.

Nella seconda strofa (anche questa una quartina) il poeta mette in risalto i simboli del “bene”: la statua che si erge silenziosa, la nuvola sospesa nel cielo, il falco in volo in uno spazio indefinito e lontano. Al “bene” il poeta affianca un altro stato d’animo che contraddistingue l’esistenza umana: l’indifferenza. Montale parla di indifferenza attribuendole la maiuscola perché secondo il suo punto vista rappresenta l’unico rimedio al male di vivere. Il restare indifferenti dinanzi alle difficoltà e al male della vita permette di non soffrire, adottando il giusto grado di distacco verso gli accadimenti.

Il male di vivere che Montale descrive in questa lirica è lo stesso di cui parla Leopardi con il suo “pessimismo cosmico“, ma qui il linguaggio è ridotto all’essenziale e piuttosto scarno. Poiché “il vivere stesso è il male” non esistono soluzioni per combatterlo, tranne che adottare la “miracolosa” indifferenza di cui abbiamo detto prima.

In questa poesia di Montale gli elementi naturali sembrano dotati di una loro sensibilità che riflette lo stato d’animo del poeta. L’esperienza del male di vivere, che non risparmia neppure la natura, è comune a tutto l’universo e la si riscontra appunto nelle immagini-simbolo scelte: il ruscello, la foglia, il cavallo stramazzato al suolo. Eppure, rispetto al pessimismo leopardiano, in Montale si scorge un barlume di salvezza: il male di vivere si affronta facendo ricorso all’Indifferenza, che implica accettazione distaccata della realtà di tutti i giorni.

A differenza di ciò che fanno Leopardi e Foscolo che si crogiolano nel dolore e nel pessimismo, Montale cerca di allontanare da sé la sofferenza e cerca un rimedio al male di vivere che accomuna tutti gli uomini senza alcuna distinzione. La poesia è breve, ma come altre liriche del poeta genovese, in pochi versi riesce ad esprimere al meglio lo stato d’animo dell’autore. Nella raccolta “Ossi di Seppia” in cui è compresa questa lirica il linguaggio poetico è esatto e preciso, il lessico è essenziale, ad ogni termine si lega un unico significato.

Oltre agli autori già citati prima come Foscolo e Leopardi, Montale si rifà alla poesia francese di Verlaine e ai simbolisti d’oltralpe. La poesia degli Ossi di Seppia è definita “metafisica” e si basa sulla frattura tra uomo e natura, che produce sofferenza e dolore. Sentimenti ai quali non ci si può sottrarre, questo è il triste destino degli uomini e della natura.

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