Etiopia Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 17 Nov 2020 07:37:30 +0000 it-IT hourly 1 Aida, di Giuseppe Verdi: riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/aida-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/aida-riassunto/#comments Wed, 08 Feb 2017 09:22:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21251 Aida è un’opera di genere drammatico, tra le più celebri di Giuseppe Verdi. Si compone di quattro atti. Il libretto è di Antonio Ghislanzoni. L’opera si basa su un soggetto originale dell’archeologo francese Auguste Mariette. L’analisi che segue è stata realizzata dal Maestro Pietro Busolini, di Trieste.

Aida - Verdi - riassunto

La prima

La prima rappresentazione avvenne al Teatro khediviale dell’Opera della Città del Cairo il 24 dicembre 1871. Fu diretta da Giovanni Bottesini. Per l’anteprima italiana sotto la sua diretta supervisione, Verdi scrisse una ouverture, che però alla fine non venne eseguita per un ripensamento, considerando il breve preludio più organico ed efficace. Aida fu scritta in onore e gloria per l’apertura del Canale di Suez. La nuova opera del Maestro Giuseppe Verdi, inaugurò nel contempo anche il nuovo teatro della capitale egiziana.

La prima rappresentazione in Italia avviene invece l’8 febbraio 1872, al teatro alla Scala di Milano.

Aida, la genesi dell’opera

Il Maestro Giuseppe Verdi ricevette l’incarico dall’illustre collega Camille du Locle direttore dell’Opera-Comique di Parigi. Dopo una titubanza iniziale, ebbe per quest’opera un interesse particolare. Il lavoro fu eseguito in lingua francese, con la collaborazione dello stesso du Locle per la prosa. L’interesse del Maestro per questa nuova stesura, fu certamente l’esigenza di creare una fantasmagorica grand-opéra, strutturandola nel nuovo contesto musicale dell’epoca.

Aida fu creata scena per scena, per un totale di 4 atti e 7 quadri, sempre con l’aiuto dell’amico du Locle. Per quanto riguarda il libretto italiano, da quanto si evince dai carteggi dell’epoca, Verdi aveva contattato Giuseppe Ghislanzoni, fine letterato e uomo di cultura. Ghislanzoni era molto conosciuto nell’ambito del teatro del tempo.

Potremmo confermare anche che questa storia, fu immaginata dall’egittologo francese Mariette. Verdi però non la diresse al Cairo. Inviò – come da accordi – una persona di sua fiducia: il Maestro Giovanni Bottesini.

Queste erano le clausole che Verdi concordò con il Sovrano dell’Egitto: l’opera doveva essere pronta entro la metà dell’anno 1871, per i mesi di giugno o luglio, per una somma di centocinquantamila franchi.

Giuseppe Verdi, ritratto da Giovanni Boldini nel 1886
Giuseppe Verdi, ritratto da Giovanni Boldini nel 1886

Considerazioni sull’opera

Si tratta di un’opera del Verdi maturo. Essa divenne in breve tempo molto popolare, come lo erano già Rigoletto, Traviata, Trovatore, ed altre ancora.

Voglio ricordare anche che uno strumento musicale, creato il secolo prima da Giovanni Barbieri da Cremona, ossia l’organo a rullo o a cartone – chiamato più semplicemente Organetto di Barberia – veicolò queste opere in tutto il mondo. Dall’Europa alle Americhe, fino all’Asia, tali opere erano cantate in italiano, e conosciute dal popolo. Fu anche grazie a questo strumento che si diffuse la conoscenza e l’amore per la nostra lingua italiana in questi continenti.

Il Maestro Giuseppe Verdi volle con questo nuovo lavoro di ricerca e di sperimentazione, l’Aida, colmare quel desiderio, quel suo incessante cercare. Ciò che fece fu creare rinnovandosi a nuove tematiche di ordine armonico e orchestrale. Da questo nacque una monumentale scenografia musicale, per scender poi nella struttura psicologica dei singoli interpreti. A parer mio, questo suo trapassare, lo fece cercando e trovando in piena verità teatrale grandi squarci collettivi.

Egli intimisticamente entrò nelle pieghe nell’anima dei personaggi di Aida, Radamès, Amneris e Amonasro, creando quell’impalpabile tessuto connettivo, che colpì lo spettatore dell’epoca decretandone l’assoluto trionfo.

Aida, trama e riassunto

Atto I

Scena Prima. L’azione si svolge nella sala del trono nella reggia di Menfi.

Durante una spedizione militare contro l’Etiopia, i soldati egizi catturano la principessa Aida. Ignorando la sua vera identità, la portano a Menfi e la mettono in schiavitù.

Suo padre – il Re di Etiopia Amonasro – organizza un’incursione per liberarla e ricondurla a casa. Non sa che sua figlia si è innamorata del giovane condottiero Radamès, il quale ricambia questo suo sentimento.

Purtroppo anche Amneris, figlia del Re d’Egitto, si è invaghita del giovane. La principessa Amneris intuisce subito che possa esserci qualcosa tra la giovane schiava e il suo amato. Cerca allora subdolamente di consolare Aida, con lo scopo di scoprire qualcosa in più.

Il Re apprende le ultime notizie dal confine: l’esercito Etiope sta marciando contro l’Egitto. A Radamès viene concesso il rango di Duce dell’esercito egizio, con il compito di fermare l’avanzata dell’esercito di Amonasro.
Aida è contrastata tra l’amore per la Patria e l’amore verso il suo Radamès.

Scena Seconda. Interno del tempio di Vulcano a Menfi.

Avvengono cerimonie solenni e la danza delle sacerdotesse per l’investitura di Radamès come comandante in capo.

Radamès - Aida
Aida, scena tratta da una rappresentazione: Radamès viene nominato capo delle guardie.

Atto II

Scena Prima. Nella camera di Amneris

Amneris riceve nelle sue stanze la schiava Aida. Con malizia finge che Radamès sia morto in battaglia per spingerla a dichiarare il suo amore per lui. L’inganno di Amneris funziona e la reazione involontaria di Aida la tradisce, rivelando i suoi sentimenti.

A questo punto anche Amneris mette le carte in tavola e dichiara il suo amore per Radamès. Come potrebbe un’umile schiava competere con la figlia del Faraone? Mossa da orgoglio Aida svela la sua vera identità di figlia del Re Etiope.

Dal fronte arrivano notizie di vittorie e Amneris costringe Aida ad assistere al trionfo dell’Egitto e alla sconfitta del suo popolo.

Scena Seconda. Nella città di Tebe: la porta è festosamente addobbata. I soldati e il popolo sono festanti.

Una marcia trionfale accoglie il ritorno vittorioso di Radamès. Come ricompensa, il Re gli concede qualsiasi cosa desideri. I prigionieri etiopi sono condotti al cospetto del Re. Tra di loro c’è anche Amonasro. Aida corre a ricongiungersi con il padre, tuttavia le loro vere identità rimangono ancora sconosciute agli egizi. Il Re Etiope è infatti dato per morto in battaglia.

Radamès, per amore di Aida, esprime il desiderio offertogli dal Re, e chiede il rilascio di tutti i prigionieri etiopi.
Il Re Amonasro, pieno di gratitudine verso Radamès, lo dichiara suo successore al trono, offrendogli la mano di Amneris.

Tutti i prigionieri etiopi vengono rilasciati tranne Aida e Amonasro. Essi sono trattenuti su consiglio del sommo sacerdote Ramfis. Ciò per evitare che gli etiopi cerchino la vendetta dopo la cocente sconfitta.

Atto III

La scena si sposta sulle rive del Nilo. E’ notte: si scorge sullo sfondo il tempio di Iside.

Mentre Ramfis conduce Amneris al Tempio per propiziare la dea alla vigilia delle nozze, Aida attende nascosta Radamès. Ma giunge prima suo Padre, che cerca di convincere la figlia a farsi dire dall’amato, quale via seguiranno le truppe egizie per invadere l’Etiopia.

Nonostante che il padre le rammenti con patetici accenti la patria lontana, Aida si ribella a lui (Rivredrai le foreste imbalsamate).

Giunge Radamès. Amonasro si nasconde. Aida propone all’amato di fuggire dall’Egitto. Radamès conosce un sentiero per arrivare in Etiopia: non sapendo di essere sentito egli indica le gole di Napatà. Appare Amonasro, si fa riconoscere, e Radamès capisce d’aver rivelato un segreto tradendo la sua patria.

Contemporaneamente sbuca Amneris proveniente dal Tempio, che sentendo anch’essa la parole di Radamès, grida al tradimento. Amonasro la vuole uccidere, ma Radamès lo ferma. Consegna poi la spada a Ramfis facendosi prendere prigioniero, mentre Amonasro fugge con Aida.

Atto IV

Scena Prima. Nella fastosa sala del palazzo del Faraone.

Amneris, sapendo che Radamès è innocente, lo supplica di discolparsi. Ma egli si rifiuta, condannandosi per l’incauto gesto. Durante il processo, egli tace, non pronunciando una sola parola in propria difesa.

Amneris si appella alla pietà dei Sacerdoti, ma nonostante il suo accorato appello, Radamès viene condannato a morte per alto tradimento. Viene portato nelle prigioni del Faraone.

Scena Seconda. L’interno del tempio di Vulcano e la tomba di Radamès. La scena è divisa in due piani: il piano superiore rappresenta l’interno del tempio splendente d’oro e di luce; il piano inferiore, un sotterraneo.

La condanna prevede che Radamès sia sepolto vivo. Radamès crede di essere solo nella sua cripta, ma poco dopo si accorge che Aida si è nascosta lì per poter morire insieme a lui. I due amanti confermano l’amore reciproco e accettano il loro triste destino. Mentre questi attendono che l’alba porti via le loro pene, Amneris piange e prega sopra la loro tomba.

Analisi musicale

Dopo il preludio, che già regala una tonale intimità drammatica, la successiva introduzione con l’aria: “Celeste Aida“, coniugano un Giuseppe Verdi essenziale e popolare piuttosto che emotivo, e di effetto. E’ una perfetta ed impressionante orchestrazione, che crea un continuo rapporto dinamico, distribuendolo sapientemente nella sua scelta timbrica e di colore, come scriveva Eduard Hanslick.

Nel procedere nella conoscenza dell’opera incontriamo uno struggente “allegro – giusto poco agitato”, che precede il “Numi, Pietà“, di Aida. E’ il vero diamante della produzione verdiana.

Quindi vi è la scena della consacrazione ed il finale che chiude il primo atto. Questo passaggio colorisce timbricamente l’orchestra, accelerandone armonicamente tutto l’impianto scenico e di canto, facendoci così capire cosa intendeva Verdi per Grand-Opéra.

Nel secondo atto

L’impatto che avvertiamo immediatamente nel secondo atto, con la sua introduzione, è quello di stabilire un nuovo modo stilistico. Impressionista nel proporre lo spartito e condividerne i fatti – sino alla danza dei piccoli mori.

Segue la scena tra Amneris e Aida nel suo drammatismo più letterale. Furore, pietà, dolore sono coniugati in maniera apertamente falsa e bugiarda. Cogliamo nell’arco musicale una calma fantastica nell’intonare: “Numi, pietà“, di Aida. Esso è immediatamente squarciato dal gran finale del secondo atto, con l’inno, la marcia trionfale e le danze. Grande spazio a quest’ultime, per il meraviglioso contributo sinfonico, l’ampiezza e la molteplice varietà dei loro inserti esotici.

Il gran finale con cui Giuseppe Verdi termina l’atto, lo porta a toccare vette altissime, come vero ed unico mito di questo periodo storico musicale. Popolare? …Anche! Ma unico nell’interpretare un rapporto così stretto e carico di pathos fra l’orchestra ed il palcoscenico. E’ un’osmosi che si chiude con la ripresa del tema della marcia trionfale. E’ semplicemente grandioso!

Nel terzo atto

Entrando in punta di piedi nel terzo atto, notiamo lo scorrere pacifico del Nilo. Davanti a noi si staglia un disegno impressionista, accompagnato dal musicare di un flauto, che è, fra i più suggestivi effetti timbrici del Verdi.

Lo strumento è magicamente suonato per ricordare il vellutato ed intimistico momento d’amore. E anche il momento più violentemente drammatico di quest’opera. Direi che questo il più musicalmente riuscito, dei quattro atti.

Ci attende ora il duetto Amonasro – Aida, fantasticamente composto da voci Verdiane, con l’ “andante assai sostenuto”, che introduce: “Pensa che un popolo vinto“. Qui la voce del baritono vien tenuta ppp. (piano pianissimo), con un malcelato grido, preparando la successiva scena di Aida e Radamès, colma di un particolare rilievo drammatico e psicologico che ritroviamo anche alla fine dell’atto, con discrepanze tenorili di effetto e di sostanza.

Nel quarto atto

Entrando nel quarto atto rileviamo una straordinaria e misurata, quanto calibrata, concertazione di taluni Leitmotive, concernenti il personaggio di Amneris. La principessa combattuta tra l’amore per Radamès e la ragion di stato, si esprime in finezze vocali tradotte in grida e singhiozzi. Vi è un drammatismo che esalta senza soffocare una vasta tessitura vocale. Continuando con l'”allegro agitato” “Chi ti salva sciagurato“, con un andamento strofico da cabaletta.

Successivamente arriva in scena il Gran Sacerdote accompagnato dal suo regale seguito. Amneris in attesa della cerimonia politico-religiosa, mantiene quell’impulso iroso contro i rituali sacrificali del Gran Sacerdote e della Corte. Qui vi è un colpo di genio del Maestro che capovolge di fatto tutte le precedenti e fastose scene. Amneris intona la romanza: “Oh infami! Ne’ di sangue son paghi giammai. E si chiaman ministri del ciel“.

Il gran finale

Ora seguiamo il gran finale nelle sottostanti celle – con l’analisi della scena – recitativo: “La fatal pietra sovra me si chiuse“. E il duetto: “O terra addio“. Radamès cammina nell’oscurità e nel silenzio più profondo, quando intravede una figura venirle incontro. E’ Aida. Ella spiega a Radamès di aver presagito la sua condanna e di essersi introdotta nella tomba per morire assieme a lui. Aida intona: “Presago il core della tua condanna“.

L’accompagnamento orchestrale è una successione di minime sul re, eseguite dai clarinetti bassi, fagotti, viole e dai violoncelli rinforzati dalla gran cassa che illustra l’effetto espressivo e funebre. Segue un rintocco di campane come presagio di morte.

Continuando ad analizzare la melodia: “O terra addio“, attraverso il suo ripetuto ascolto, entriamo nella cabaletta finale. E’ uno straordinario finale, uno dei più grandi nella storia dell’opera. Notiamo che questa melodia vien ripetuta ben 12 volte, prima da Aida, poi da Radamès ed infine all’unisono da entrambi.

Contemporaneamente udivamo il canto sacro dei sacerdoti inneggiare: “Immenso Fthà“, dedicato agli Dei dell’Egitto.

YouTube Video

Commento

Le considerazioni ovviamente sono d’obbligo quando si pensa che in Baviera viveva Richard Wagner che con le sue liriche ed i suoi poemi creava un nuovo modo di concertare. Per questo possiamo ipotizzare che all’epoca ci fossero forti diatribe e parallelismi tra le musiche dei due Grandi e Geniali musicisti. Ma abbiamo ragione di credere che, leggendo gli spartiti dell’uno e dell’altro nell’epoca dell’Aida, entrambi espressero la propria genialità, creando e cercando nuove sperimentazioni di ordine armonico ed orchestrale.

Percorsero quindi la stessa strada, ma con una diversa visione e con una diversa bellezza musicale. Giuseppe Verdi lo fece con sfarzose parate, marce trionfali dai colori accesi, con la sua diligente elaborazione tecnica, creando una unità di stile, e quella coscienziosa e drammatica linea, che troveremo nelle sue opere, sino ad Otello.

Di contro il grande tedesco creò quella linea epica – mitologica e fantastica del Mito Teutonico, sdoganando così tutta una serie di drammi contenuti nella storia e nella letteratura Germanica. Si tratta du musica potente ed imperativa, adatta al sentir del suo popolo.

Mentre il Verdi, allunga la schiera dei grandi musicisti italiani, implementando le pagine del nostro “Melodramma”.

Altra musica in Europa? Certamente SI’! Un modo di concepire e di proporsi a nuove ed opposte idee nel moderno sentire. Innovare è il credo, di questo nuovo periodo musicale.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/aida-riassunto/feed/ 2
La guerra di Etiopia del 1935 (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/#comments Wed, 04 May 2016 09:52:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18135 Prima di arrivare a riassumere ed analizzare la Guerra di Etiopia del 1935 (talvolta nota anche come guerra d’Abissinia o campagna d’Etiopia), facciamo una breve introduzione ricordando lo scenario storico: in passato, le più grandi potenze europee si vantarono di avere numerose colonie: alla fine dell’Ottocento, l’Impero Britannico risultò vastissimo; non da meno fu quello francese, mentre Germania e Belgio ebbero un numero inferiore di colonie rispetto alle altre due, ma un numero ad ogni modo rispettabile. Alla fine dell’Ottocento, fu in possesso di sole due colonie in Africa orientale, l’Eritrea e gran parte della Somalia; nel 1902, ottennero una piccola concessione in Cina a Tientsin e, per ampliare il colonialismo italiano, bisogna attendere il 1912, anno in cui avvenne la conquista della Libia.

Guerra di Etiopia: Emilio De Bono in Abissinia
Una foto del generale Emilio De Bono in Abissinia durante le prime fasi della Guerra di Etiopia

L’Etiopia e le intenzioni di Mussolini

A partire dal 1923, poco dopo l’assunzione del potere al governo, Benito Mussolini credette di creare una nuova era coloniale per l’Italia, allargando soprattutto il predominio in Africa Orientale; la regione Africana nella quale Mussolini pensò di estendere l’influenza italiana fu l’Etiopia, rimasta uno Stato indipendente, amministrata dal Negus e dai ras, dei governatori locali.

Benito Mussolini a cavallo
Benito Mussolini

D’altro canto, gli italiani tentarono già una volta, nel 1896, di occupare l’Etiopia ma la battaglia di Adua fu clamorosamente fatale per il Regio esercito. L’Etiopia, negli anni 30, si presentava come uno Stato, anzi un Impero, di tipo feudale, dove vi furono diversi tentativi dell’imperatore Hailè Sellassiè, ma fu un paese che nonostante gli sforzi non riuscì mai a crescere.

L’invasione dell’Etiopia e l’opinione pubblica

Nel 1928, Mussolini dichiarò che le due nazioni si erano riappacificate, stipularono anche il patto d’Amicizia ma, negli anni seguenti, vi furono diversi incidenti, soprattutto verso il confine con la Somalia italiana a Ual Ual, ove vi fu uno scontro armato nel 1934.

L’attacco etiopico fece da collante con le idee che il fascismo stava maturando ossia quella di creare una sorta d’impero per controllare gran parte del Mediterraneo. L’opinione pubblica europea, soprattutto quella britannica, si oppose all’intenzione del Duce di invadere l’Etiopia, perché temevano un possibile scoppio di eventuali guerre ed erano inoltre preoccupati per ogni tipo di avvenimento che l’invasione avrebbe potuto provocare.

Mussolini non diede affatto importanza all’opinione pubblica internazionale e, sul finire del 1934, fornì nuove istruzioni al generale Pietro Badoglio, nelle quali disse chiaramente che il rapporto con gli abissini poteva risolversi solo con l’intervento delle armi.

Il 2 ottobre 1935 ci fu la “chiamata alle armi”; il 3 ottobre 1935 le truppe italiane presenti in Eritrea diedero inizio all’invasione dell’Etiopia: essa fu una guerra coloniale come mai si era vista prima per la ricchezza dei mezzi, sia in termini numerici sia in termini quantitativi. Oltre ad essere una guerra coloniale, la spedizione ebbe anche un altro importante significato, quello del consenso, poiché con la guerra d’Etiopia, i referti storici dissero che in quel momento tutta l’Italia fu fascista e il regime assunse il suo consenso assoluto.

Nel frattempo l’opinione pubblica mondiale, che già da prima dell’invasione fu ostile, divenne irremovibile e l’Italia fu condannata dalla Società delle Nazioni che decise di applicare delle sanzioni; ben 52 Stati furono contro l’operato italiano; di seguito, la nazione che sarebbe diventata il nemico numero uno fu proprio l’Inghilterra di Churchill che, fino a poco tempo prima stimava il Duce. Per le ingenti spese che lo Stato dovette affrontare per la campagna etiopica, il 18 dicembre 1935 venne indetta la giornata della fede (o dell’oro), giorno in cui tutti vennero invitati a donare la propria fede e altri ori personali; parteciparono anche diversi antifascisti ed accademici come Pirandello.

I contatti con la Società delle Nazioni, soprattutto con Francia e Inghilterra, continuarono imperterriti, ma Mussolini fu sempre restio nei confronti di soluzioni diplomatiche.

Intanto, in Etiopia fu mandato Pietro Badoglio, il miglior maresciallo e generale che l’Italia avesse in quel periodo, per dirigere le operazioni belliche facendo ritornare in Italia Emilio De Bono, perché il Duce non poteva rischiare di far prolungare le battaglie e rischiare di non vincere. Pur di sconfiggere gli abissini, gli italiani fecero uso di armi chimiche (gas asfissianti) e gli abissini, dal canto loro, usarono le pallottoledum dum” (ossia proiettili ad espansione) che esplodevano all’interno dei corpi; furono delle armi vietate dalle convenzioni internazionali, ma utilizzate da entrambi gli eserciti.

Gli ascari e le tappe principali della Guerra di Etiopia

Un grande ruolo nella guerra d’Etiopia fu giocato dagli “ascari” che, erano un gruppo di soldati indigeni dell’Africa orientale, inquadrati come componenti regolari delle truppe italiane: vennero considerati come punta di diamante e, difatti, nel febbraio 1936 portarono alla prima grande vittoria italiana ad Amba Aradam.

Ascari
Ascari

In marzo, la resistenza abissina capeggiata direttamente dal Negus venne piegata; il 3 maggio, il Negus abbandonò l’Etiopia atterrando in Palestina; il 5 maggio 1936, gli italiani occuparono Addis Abeba ponendo fine alla Guerra di Etiopia.

La guerra etiopica fu un successo per il regime e come detto sopra, in quel momento tutta l’Italia fu fascista, ma questo successo dimostrò ben presto il suo carattere fallimentare sia dal punto di vista economico e sia per il fatto che quelle terre appena conquistate erano indifendibili; durante la Seconda Guerra Mondiale vennero lasciate sole poiché, per l’appunto, l’economia scarseggiava e per raggiungere l’Etiopia, o meglio l’Africa orientale, le navi italiane dovevano per forza passare dal canale di Suez, che era controllato dagli inglesi, i quali erano in guerra proprio contro l’Italia; dunque, l’Africa orientale fu ben presto perduta.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/feed/ 6