etimologia Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 05 Nov 2024 12:11:23 +0000 it-IT hourly 1 L’origine dei nomi dei giorni della settimana https://cultura.biografieonline.it/nomi-dei-giorni/ https://cultura.biografieonline.it/nomi-dei-giorni/#comments Mon, 04 Nov 2024 10:18:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3626 I nomi dei giorni della settimana furono applicati dai Babilonesi e derivano dai nomi dei pianeti e del Sole

All’epoca si riteneva che i corpi celesti dominassero la prima ora di ogni giorno.

I Babilonesi erano grandi osservatori del cielo. Notarono che sette corpi celesti erano visibili ad occhio nudo: il Sole, la Luna e i cinque pianeti conosciuti all’epoca: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

L’origine dei nomi dei giorni della settimana ci ricorda come l’uomo, fin dai tempi antichi, abbia cercato di comprendere e spiegare il mondo che lo circondava, creando legami tra i fenomeni celesti e il tempo che scorre.

I nomi dei giorni sono molto più che semplici etichette: sono un ponte tra il passato e il presente, un riflesso delle credenze e delle conoscenze delle antiche civiltà.

Perché sette?

Sette era un numero considerato magico e perfetto in molte culture antiche.

Successivamente, i Babilonesi associarono ciascuno di questi corpi celesti a una divinità, creando così una corrispondenza tra i giorni della settimana e le divinità stesse. Questa usanza si diffuse in altre culture, tra cui quella romana.

I nomi dei giorni della settimana derivano dai pianeti

I nomi dei giorni della settimana

I Romani adottarono questa idea e associarono a ciascun giorno una divinità del loro pantheon.

Così …

  1. lunedì era il giorno in cui dominava la Luna, in latino Lunae dies;
  2. martedì il giorno di Marte, Martis dies;
  3. mercoledì di Mercurio, Mercurii dies;
  4. giovedì di Giove, Iovis dies;
  5. venerdì di Venere, Veneris dies;
  6. sabato di Saturno, Saturni dies, che venne però sostituito, con il propagarsi del Cristianesimo, derivando il nome dal termine ebraico shabbath cioè “giorno di riposo”;
  7. domenica era il giorno del Sole, Solis dies, che venne sostituito da Costantino con “il giorno del Signore” in latino Dominica.

In inglese e francese: esempi

In inglese: Monday (Moon day), Tuesday (Tiw’s day, un dio germanico associato a Marte), Wednesday (Woden’s day, un altro dio germanico associato a Mercurio), ecc.

In francese: Lundi (Lune), Mardi (Mars), Mercredi (Mercure), ecc.

agenda nomi dei giorni

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Piantare in asso: perché si dice così? (ci sono diverse cose curiose) https://cultura.biografieonline.it/piantare-in-asso/ https://cultura.biografieonline.it/piantare-in-asso/#comments Wed, 24 Jul 2024 08:11:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21244 Vi siete mai chiesti da dove deriva il modo di dire piantare in asso? Il primo pensiero e la prima associazione figurativa – probabilmente – rimanda alla carta da gioco tanto cara al poker, l’asso. Ma potrebbe non centrare nulla. Vediamo perché. Innanzitutto ricordiamo che chi viene piantato in asso è una persona solitamente lasciata a sé stessa, da un momento all’altro. Il significato del detto – o del modo di dire – è proprio quello dell’abbandono senza preavviso.

L’asso

Secondo il Dizionario etimologico della Lingua italiana (di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, 1999), il detto in esame va probabilmente ricondotto al gioco delle carte o dei dadi. In questo contesto l’asso è interpretato come la carta di valore 1, e il significato del modo di dire “piantare in asso” è quello di “realizzare il punto più basso”.

Si trova un’analoga spiegazione anche nel Vocabolario etimologico della lingua italiana (di Ottorino Pianigiani, 1907). Secondo questa interpretazione l’asso viene lasciato – abbandonato inaspettatamente, magari in modo brusco – in quanto costituisce il punto peggiore possibile nel gioco. A sostegno di questa tesi vi è anche il detto tedesco “im Stich lassen” (lasciare in punto), la cui frase e concetto sono equivalenti.

Piantare in asso o piantare in Nasso: etimologia

In realtà “piantare in asso” è la forma errata (alterazione linguistica) di “piantare in Nasso”, che si presume si sia modificata nel tempo. Stiamo parlando di tempo immemore, in quanto la correlazione all’isola di Nasso ci catapulta indietro fino alla mitologia greca.

La leggenda di Arianna – celebre per avere suggerito a Teseo di entrare nel labirinto del Minotauro dipanando un filo – termina con il suo abbandono sull’isola di Nasso. Ad abbandonarla – o… piantarla – fu proprio l’amato Teseo, con cui inizialmente fuggì e di cui si innamorò. Esistono diverse versioni sulle motivazioni dell’abbandono; vedasi: L’abbandono di Arianna.

Arianna a Nasso – Piantare in asso
Arianna a Nasso (opera di Evelyn De Morgan, 1877)

Nell’italiano colloquiale il toponimo esotico Nasso si sarebbe trasformato in un più comune asso. Troviamo richiami a questa tesi anche in diversi libri di Luciano De Crescenzo: “Le donne sono diverse” (1999), “I grandi miti greci” (1999) e “Ulisse era un fico” (2010).

In lingua italiana si può definire piantare in asso come polirematica: si tratta di una unità sintattica significativa autonoma (o sintagma). La locuzione pertanto assume un significato autonomo rispetto ai singoli termini che costituiscono il modo di dire.

Come lo dicono gli altri

Oltre al già citato tedesco, è curioso vedere come anche le altre lingue esprimono lo stesso concetto. In inglese: leaving somebody in the lurch (oppure leave somebody stranded). In francese: laisser quelqu’un tomber. In spagnolo: dejar a alguien en la estacada.

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8 parole italiane inventate da D’Annunzio: 2 non te le aspetti https://cultura.biografieonline.it/8-parole-inventate-da-dannunzio/ https://cultura.biografieonline.it/8-parole-inventate-da-dannunzio/#respond Sat, 11 May 2024 08:38:15 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42113 La fama di Gabriele D’annunzio spazia dall’arte letteraria a quella poetica. La sua figura storica è ricca. Oltre a scrittore, poeta e drammaturgo, è stato militare, politico, giornalista. La storia lo ricordo come patriota e figura simbolo del decadentismo italiano. Pochi sanno che esistono parole e nomi della lingua italiana inventati proprio da lui. Di seguito vediamo proprio, una per una, 8 parole italiane inventate da D’Annunzio.

Gabriele D'Annunzio
Gabriele D’Annunzio

Automobile

La parola automobile di per sé non è stata inventata da D’Annunzio. Tuttavia a lui si deve la declinazione al femminile.

Dopo la sua realizzazione, in Francia, in Spagna e anche in Italia (fino al 1926) si era infatti soliti parlare dell’automobile solo al
maschile – in Spagna ancora oggi è el coche, maschile.

D’Annunzio in una lettera del 18 febbraio 1926 indirizzata al Senatore Giovanni Agnelli (capostipite della famiglia di imprenditori torinesi, nonno di Gianni Agnelli) esprime così il suo parere:

Mio caro Senatore, in questo momento ritorno dal mio campo di Desenzano, con la Sua macchina che mi sembra risolvere la questione del sesso già dibattuta. L’Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza. Inclinata progreditur.

La lettera di Gabriele D'Annunzio del 18 febbraio 1926 indirizzata al Senatore Giovanni Agnelli
La lettera di Gabriele D’Annunzio del 18 febbraio 1926 indirizzata al Senatore Giovanni Agnelli

Piave

Oggi ci sembra naturale declinare al maschile il fiume Piave. Di fatto però esso per lungo tempo è stato conosciuto come La Piave, e si deve proprio a D’Annunzio la nuova declinazione al maschile.

A questo punto va ricordato quanto D’Annunzio, all’epoca della Prima Guerra Mondiale fosse considerato una vera di autorità in campo linguistico. Ebbene, dopo la vittoria italiana che coinvolse la zona del Piave, cambiò il genere cui si faceva riferimento al fiume, al fine di celebrarne la potenza.

Lo fece assurgere al ruolo di «fiume sacro della Patria».

È da quel momento che ci si rivolse al fiume Piave al maschile.

Si leggano anche gli articoli:

  1. Prima battaglia del Piave
  2. La canzone del Piave

Rinascente

È il nome di una celebre catena di grandi magazzini.

Il nome esatto oggi è La Rinascente.

La fondazione risale al 1895, a Milano, con il nome: i grandi magazzini dei Fratelli Bocconi.

Avvenne un incendio devastante.

Dopo la ricostruzione, nel 1917, D’Annunzio scelse il nome Rinascente per indicare la rinascita dei magazzini, che come la figura mitologica dell’araba fenice, risorgevano dalle ceneri.

SAIWA

Il nome SAIWA è l’acronimo di: Società Accomandita Industria Wafer e Affini.

Nel 1900 Pietro Marchese apre in via Galata a Genova una pasticceria dove vendere dei sugar wafer, dolci conosciuti durante un suo viaggio in Inghilterra. La piccola impresa cresce tanto da diventare una della prime industrie dolciarie italiane.

Così nel 1922 D’Annunzio suggerisce di dare all’azienda il nome SAIWA. D’Annunzio contribuì anche ad alcune campagne pubblicitarie.

Nel 1965 l’azienda passa sotto il controllo statunitense di Nabisco; nel 1989 passa al gruppo Danone e nel 2007 a Kraft.

Scudetto

Tra le parole italiane inventate da D’Annunzio c’è anche questa, riferita direttamente al mondo del calcio: scudetto.

Correva il 7 febbraio 1920 (era un sabato). In occasione di una partita amichevole di calcio organizzata durante l’occupazione di Fiume, il poeta fa cucire un triangolino tricolore sulla divisa indossata dalla selezione italiana militare. E lo chiama scudetto.

In seguito la FIGC decide che la squadra prima classificata, nella stagione successiva apponga sulla maglia uno scudetto tricolore (i colori della bandiera italiana), rappresentativo dell’unità nazionale a livello calcistico.

La prima squadra a cucire lo scudetto sulle divise è il Genoa, nella stagione 1924-25.

Tramezzino

Nel 1925, assaggiando un particolare tipo di panino farcito con burro e acciughe al Caffè Mulassano di Torino, D’Annunzio avrebbe esclamato:

Ci vorrebbe un altro di quei golosi tramezzini!

Da allora il particolare spuntino venne chiamato così.

Il termine affonda le sue origini nel linguaggio architettonico: tramezzo significa infatti elemento posto in mezzo ad altri elementi.

L’invenzione del “panino” va attribuita ad Angela Demichelis Nebiolo, proprietaria dell’elegante locale torinese di Piazza Castello citato pocanzi. Tornata in Italia col marito, dopo anni trascorsi negli Stati Uniti, ripropose una sua versione di quelli che gli americani chiamavano sandwich.

L’intuizione fu quella di non tostare le fette di pane, privarle della crosta e soprattutto realizzare differenti farciture.

In poco tempo i tramezzini divennero i protagonisti dell’aperitivo del Caffè Mulassano.

Foto da: Vivere Meglio

Velivolo

Siamo nel 1910: l’entusiasmo per il mondo del volo porta il poeta a tenere una serie di conferenze intitolate “Il dominio del cielo“.
In una di queste conferenze, alla Scala di Milano, pronuncia queste parole:

Siamo alla vigilia di una profonda mutazione sociale, si istituisce già il Codice dell’Aria, la frontiera invade le nuvole.

Il termine “velivolo” – tra le parole italiane inventate da D’Annunzio – viene introdotto dal letterato in questo periodo per definire la “macchina volante“.

Ecco le parole tratte dal suo romanzo “Forse che sì forse che no” (sempre del 1910) , che ne spiegano l’adozione:

Ora v’è un vocabolo di aurea latinità – velivolus, velivolo – consacrato da Ovidio, da Vergilio, registrato anche nel nostro dizionario; il quale ne spiega così la significazione: “che va e par volare con le vele”. La parola è leggera, fluida, rapida; non imbroglia la lingua e non allega i denti; di facile pronunzia, avendo una certa somiglianza fonica col comune veicolo, può essere adottata dai colti e dagli incolti. Pur essendo classica, esprime con mirabile proprietà l’essenza e il movimento del congegno novissimo.

Vigili del fuoco

In origine, il nome era esclusivamente pompieri, parola derivante dal francese «sapeur-pompier».

Durante il regime fascista, nel 1938, D’Annunzio propose di chiamare i pompieri con il termine Vigili del Fuoco, ispirandosi ai vigiles dell’antica Roma.

I vigiles furono un corpo istituito nell’anno 6 d.C. dall’Imperatore Augusto con il compito di vigilare sia le strade durante le ore notturne che per proteggere la città dagli incendi. Va ricordato come gli incendi erano eventi abbastanza frequenti considerato l’uso diffuso di fiamme libere e di infrastrutture in legno.

Gabriele D’annunzio è autore di Alcyone e Il piacere. Tra le poesie che abbiamo analizzato nel nostro sito vi sono: I pastori, Il vento scrive, La sera fiesolana e altre opere.

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Mayday: perché per segnalare un’avaria si usa questa parola https://cultura.biografieonline.it/mayday/ https://cultura.biografieonline.it/mayday/#comments Wed, 27 Mar 2024 07:49:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=684 La parola Mayday non ha nulla a che vedere con la traduzione di Primo Maggio, Festa dei Lavoratori che si festeggia nella maggior parte dei paesi del mondo. Il segnale internazionale di richiesta di aiuto deriva dal francese venez m’aider!” (venite ad aiutarmi).

Mayday
Mayday Mayday

L’utilizzo di questo termine è attribuito a Frederick Stanley Mockford, addetto alle comunicazioni radio impiegato nell’aeroporto di Croydon (Londra) che nel 1923 riceve l’incarico di trovare una parola facile e riconoscibile da ogni nazione, da utilizzare in caso di richiesta d’aiuto.

In quegli anni la maggior parte del traffico aereo avviene tra Croydon e l’aeroporto parigino Le Bourget; propone quindi l’espressione mayday che è una deformazione anglofona dell’espressione francese “m’aider”.

Tale espressione è ufficialmente utilizzata dal 1927.

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Da dove derivano i nomi delle stagioni? https://cultura.biografieonline.it/nomi-stagioni/ https://cultura.biografieonline.it/nomi-stagioni/#comments Wed, 27 Sep 2023 11:07:16 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8054 Il termine “stagione” ha due possibili derivazioni:

  • dalla parola latina sationem, ovvero “l’atto di seminare”,
  • oppure da stationem, ovvero “l’atto di stare”, inteso come “fermata”.

Oggi le stagioni indicano i quattro periodi in cui è suddiviso l’anno solare:

  1. primavera,
  2. estate,
  3. autunno,
  4. inverno.

Immagine che simboleggia le stagioni (I nomi delle stagioni)
I nomi delle stagioni: una bella immagine che rappresenta le quattro stagioni

Determinazione delle stagioni

In campo astronomico, ogni stagione costituisce il tempo intercorrente tra un equinozio ed un solstizio.

Ognuna delle quattro stagioni ha una durata di tre mesi e sono determinate dall’inclinazione dell’asse di rotazione della Terra rispetto al piano dell’orbita, chiamato “eclittica”. Questa inclinazione è mediamente di 23° 27’ e resta immutata durante il moto di rivoluzione della Terra, ovvero il viaggio che percorre attorno al Sole ogni anno.

L’inclinazione dell’asse di rotazione della Terra determina la variazione dell’angolo di incidenza dei raggi solari che la raggiungono. Infatti, un emisfero si trova in inverno quando i raggi solari colpiscono con maggiore inclinazione la superficie della Terra, che riceverà quindi meno calore, poiché vi è un minor grado di irraggiamento. Viceversa, un emisfero si trova in estate quando i raggi solari colpiscono la superficie della Terra con minore inclinazione e il calore ricevuto è maggiore.

inclinazione asse terrestre
Inclinazione dell’asse di rotazione terrestre rispetto al piano dell’orbita, detto “eclittica”

Il ciclo delle stagioni di un emisfero è opposto di quello dell’altro. Se, per esempio, nell’emisfero boreale è estate, in quello australe sarà inverno, e viceversa.

Ciclo delle stagioni
Ciclo delle stagioni

Esiste anche la suddivisione meteorologica per definire una stagione, che tiene conto delle caratteristiche climatiche e ambientali e dei cambiamenti che avvengono in un determinato luogo durante il corso dell’anno. Questa suddivisione non coincide quasi mai con quella astronomica.

Etimologia dei nomi delle stagioni

Il termine primavera deriva dalle parole primus, cioè primo e ver, che deriva dalla radice sanscrita vas, che significa “splendere, illuminare, ardere”. E’ la stagione in cui la natura rinasce e sboccia dopo il torpore ed il freddo invernale, il clima è più mite, gemme e nuovi fiori si schiudono, l’erba si infoltisce; ha inizio con l’equinozio di primavera e finisce con il solstizio d’estate.

“Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera” (Pablo Neruda – tratta da Frasi sulla primavera)

Estate deriva dalla parola latina aestatem, ovvero “calore”, che deriva a sua volta dalla radice indoeuropea aidh che significa “ardere, bruciare”. E’ infatti la stagione in cui il calore prodotto dal Sole è massimo, poiché esso raggiunge il suo punto più alto sull’orizzonte. Le temperature sono più elevate, l’aria è più calda e le precipitazioni sono spesso a carattere temporalesco; inizia con il solstizio d’estate e termina con l’equinozio d’autunno.

“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla” (Ennio Flaiano – tratta da Frasi sull’estate)

Autunno ha origine dalla parola latina auctumnus, che deriva a sua volta dalla radice del verbo augere, ovvero “aumentare, arricchire”. In questa stagione il clima diventa fresco, le foglie degli alberi decidui si colorano di giallo ed iniziano a cadere, nei boschi spuntano i funghi ed è il periodo della vendemmia; inizia con l’equinozio d’autunno e finisce con il solstizio d’inverno.

“In autunno, il rumore di una foglia che cade è assordante perché con lei precipita un anno” (Tonino Guerra – tratta da Frasi sull’autunno)

Inverno deriva dal latino hibernum, ovvero “invernale”, che ha origine dalla radice sanscrita himas, ovvero “freddo, neve”. In questo periodo dell’anno il freddo prevale, poiché il Sole raggiunge il suo punto più basso sull’orizzonte; il clima è rigido e le precipitazioni sono spesso nevose, gli alberi decidui rimangono senza chioma; inizia con il solstizio d’inverno e termina con l’equinozio di primavera.

“Inverno. Come un seme il mio animo ha bisogno del lavoro nascosto di questa stagione”  (Giuseppe Ungaretti – tratta da Frasi sull’inverno)

Stagioni ai poli e ai tropici

Nella regione del circolo polare artico (Polo Nord) e in quella dell’antartico (Polo Sud), si distinguono generalmente soltanto due stagioni della durata di sei mesi ognuna: quella estiva e quella invernale. La prima è caratterizzata dal sole di mezzanotte, la seconda dalla notte polare o buio di mezzogiorno.

Nelle zone comprese tra i due tropici, quello del Cancro e quello del Capricorno, esistono la stagione secca e quella delle piogge.

Le stagioni nell’arte

La primavera di Botticelli, 1482
La primavera di Botticelli, 1482

Continuiamo l’articolo sui nomi delle stagioni, entrando nel mondo dell’arte.

L’opera La primavera è uno dei quadri più famosi e importanti del pittore italiano Sandro Botticelli.

È stato dipinto nel 1482 e attualmente si trova nella Galleria degli Uffizi di Firenze.

Estate, opera di Giuseppe Arcimboldo, 1563
Estate, opera di Giuseppe Arcimboldo, 1563

Il pittore italiano Giuseppe Arcimboldo realizzò, nel 1563, l’opera Estate che appartiene alla serie de Le Stagioni, una produzione artistica formata da quattro dipinti: Inverno, Primavera, Estate e Autunno; ne fece poi dono nel 1569 all’imperatore Massimiliano II d’Asburgo.

Inverno, opera di Giuseppe Arcimboldo, 1563
Inverno, opera di Giuseppe Arcimboldo, 1563

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Olimpico e olimpionico: differenze e uso corretto degli aggettivi https://cultura.biografieonline.it/olimpico-olimpionico/ https://cultura.biografieonline.it/olimpico-olimpionico/#comments Mon, 04 Sep 2023 07:25:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19203 Ogni 4 anni si diventa tutti esperti di Olimpiadi. Al di là dei contenuti relativi alle cronache, per amore del corretto uso della lingua italiana ci preme sottolineare quali differenze vi sono tra i due aggettivi: “olimpico” e “olimpionico“. Il contesto in cui ci muoviamo è quello dell’etimologia.

Bandiera olimpica (I cinque cerchi olimpici)

Olimpionico

Partiamo dalla parola olimpionico. Tale termine deriva dalla composizione di altri due termini greci “Olympia” e “Nike“. Il primo deriva – come è piuttosto noto – dal monte Olimpo, il monte più alto della Grecia, dove soggiornavano gli dei. La seconda parola (oltre a corrispondere con il noto brand dell’azienda sportiva Nike) in greco significa “vittoria“.

Nike di Samotracia
Nike di Samotracia: celebre scultura a cui si ispira lo “swoosh” del moderno brand Nike

Per questo motivo e per questa etimologia la parola “olimpionico” – in greco: olympionikai – sia esso usato come aggettivo oppure come sostantivo, assume come unico significato quello di “vincitore dei Giochi“.

E’ pertanto errato indicare un atleta come “olimpionico” se questi ha solamente partecipato ai Giochi Olimpici a cinque cerchi. E’ altrettanto sbagliato indicare come “olimpionica” una persona che è salita sul podio per ricevere al collo una medaglia di argento o di bronzo.

E’ altresì corretto attribuire l’aggettivo ai vincitori di medaglie d’oro.

Solo numeri uno

Andiamo per un attimo indietro nel passato, all’epoca degli antichi greci e agli albori della storia delle Olimpiadi, prima dell’avvento dei Giochi Olimpici moderni voluti da De Coubertin. Per quel che sappiamo, agli antichi greci importava molto poco ricordare gli atleti che nelle Olimpiadi raggiungevano il secondo posto, o i successivi. Oggigiorno infatti i loro nomi non ci sono noti.

Il secondo è il primo degli ultimi. (ENZO FERRARI)

Conosciamo invece con una certa precisione l’elenco degli antichi vincitori olimpionici. Per un approfondimento vi rimandiamo a due saggi di Luigi Moretti (1922-1991), importante studioso grecista (e padre del regista Nanni Moretti):

  • “Iscrizioni agonistiche greche”
  • “Olympionikai, i vincitori negli antichi agoni olimpici”

Pierre de Coubertin
Pierre de Coubertin: a lui si devono i moderni Giochi Olimpici

Celeberrima la sua frase:

L’importante non è vincere ma partecipare“. (Pierre de Coubertin)

Olimpico

Passiamo alla parola “olimpico“. Il termine trova corretto utilizzo per ogni cosa che ha riferimenti e relazioni con le Olimpiadi e i Giochi Olimpici.

Un errore comune è quello di definire le piscine lunghe 50 metri come piscine olimpioniche (meno diffuse nelle città della cosiddetta “vasca corta”, da 25 metri). A livello etimologico le piscine  olimpioniche non esistono. E’ invece corretto definirle “piscine olimpiche”  (o ancor meglio: piscine dalle dimensioni olimpiche). Le atlete e gli atleti che partecipano ai Giochi vanno indicati come atleti olimpici e non olimpionici.

Un’ultima curiosità: nell’antica Grecia ai vincitori delle Olimpiadi veniva posta sulla testa una corona di ulivo, non di alloro.

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Perché si dice parlare a vanvera. Cos’è la vanvera? https://cultura.biografieonline.it/parlare-a-vanvera/ https://cultura.biografieonline.it/parlare-a-vanvera/#comments Fri, 26 May 2023 08:12:26 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25916 Con l’espressione “Parlare a vanvera” si indica una situazione in cui si pronunciano parole senza un vero fine. Si potrebbe comunemente tradurre in “parlare a caso” o “parlare a casaccio”, quindi senza considerare ciò che si sta dicendo. Un altro modo di dire analogo a questo potrebbe essere “dare fiato alla bocca”. Ma torniamo all’espressione parlare a vanvera e alle sue origini.

Questa locuzione avverbiale compare per la prima volta a cavallo tra il Medioevo e l’era moderna.

Nel 1565 lo storico fiorentino Benedetto Varchi in un suo testo spiega il significato con l’azione di dire cose senza senso o senza fondamento.

Anche Francesco Serdonati, poligrafo toscano vissuto tra il XVI e il XVII secolo, alla lettera P dei suoi “Proverbi” (successivi al 1610) ci dice che “a vanvera” veniva già usato insieme al verbo “parlare”.

Etimologia

L’Accademia della Crusca ci spiega che vanvera è un termine che non esiste come sostantivo, ma solo in quanto parte della locuzione “a vanvera”. Perciò si può legare di volta in volta ad altri verbi, in vari contesti.

Si può quindi cucinare a vanvera; ci si può pettinare o vestire a vanvera; si può studiare a vanvera, cicalare a vanvera, correre a vanvera, tagliare a vanvera; e a vanvera si può poetare o recitare. È possibile inoltre tacere o pensare a vanvera; e ancora vanverare o vanvereggiare.

Sono note varianti regionali, in particolare nel pisano e nel lucchese, dove si usano le espressioni “a cianfera” e “a bámbera”. Quest’ultima è una locuzione di probabili origini spagnole, con la quale s’intendeva una perdita di tempo.

Oggi gli etimologisti sono più propensi a credere che vanvera sia una variante di “fanfera”, una parola di origine onomatopeica che significa “cosa da nulla” (fanf-fanf riproduce il suono di chi parla farfugliando, senza pertanto dire nulla di sensato). In origine vi sarebbe il suono fan-fan, tipico delle trombe militari. Fanfarone si dice infatti di persona che si comporta da millantatore o spaccone.

Parlare a vanvera. Parlare a caso, senza considerare quel che si dica. Dicesi anche: parlare in aria. Cioè: senza fondamento, senza senso, a caso, senza riflettere.

La vanvera

L’ampio ventaglio dell’applicazione dell’espressione ha dato origine anche a usi fantasiosi, fino ad arrivare a interpretazioni colorite e volgari. Esiste un oggetto chiamato piritera o anche vanvera, simile all’antico prallo. Fu molto in voga presso gli aristocratici veneziani e napoletani del XVII secolo.

Parlare a vanvera

La vanvera poteva essere da passeggio o da letto: la sua funzione era quella di risolvere i disturbi gastrointestinali dal punto di vista… sociale. Spieghiamo meglio il concetto definendo di seguito la funzione degli strumenti.

Il prallo

Si tratta di un oggetto antico a forma di uovo, di ceramica o di legno, dotato di due fori comunicanti. Tale uovo durante i lunghi banchetti degli aristocratici veniva infilato nel pertugio anale al fine di attenuare l’effetto dei miasmi delle flatulenze. Al suo interno vi si infilavano delle erbe odorose. Il gas nell’attraversare il prallo provocava una curiosa nota musicale tipo trombetta o fischietto.

La piritera

Di simile utilizzo del prallo era la piritera. Essa non andava appoggiata ai glutei bensì aveva una cannula per essere infilata direttamente nell’ano.

La vanvera da passeggio

L’oggetto era costruito in pelle di vari colori ed era diviso in quattro parti.

Vanvera da passeggio
Vanvera da passeggio

La prima parte, per aderire completamente alle natiche era fatta a coppa, realizzata su misura. Questa comunicava attraverso un collo ad una vescica che riceveva i gas intestinali. Essa terminava con un pertugio munito di chiusura con spago, per consentirne lo sfiato.

L’utilizzatore che soffriva di meteorismo, ma che si trovava nella necessità di uscire in società, la indossava sotto il mantello oppure sotto la gonna. Ogni rumore veniva attenuato ed ogni odore evitato. Una volta isolati si poteva aprire lo spago.

vanvera

Oggigiorno questi tipi di oggetto suscitano ilarità. E’ bene ricordare che il termine vanvera non deriva però da quest’ultimo strumento descritto. E’ piuttosto il contrario: lo strumento prende il nome vanvera proprio per l’assonanza onomatopeica del “parlare all’aria”.

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Perché si dice ambaradan per indicare qualcosa di caotico? https://cultura.biografieonline.it/ambaradan/ https://cultura.biografieonline.it/ambaradan/#respond Fri, 24 Feb 2023 15:15:22 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21330 Capita nel linguaggio comune, soprattutto parlato, che si usi il termine ambaradan per fare riferimento a qualcosa di caotico. Con tale termine ci si può anche riferire a un insieme disordinato di cose, una situazione di confusione generalizzata o un indefinito guazzabuglio.

caos

Ambaradan: etimologia del termine

L’origine del termine ha radici che rimandano a un fatto triste. Si presume che la parola ambaradan abbia avuto origine dal nome dell’altopiano montuoso etiope Amba Aradam: in tale luogo avvenne una cruenta battaglia tra italiani e abissini nel 1936, nel contesto della Guerra di Etiopia. Nella battaglia le forze italiane furono responsabili di una strage di civili.

La parola amba in lingua amarica (la lingua ufficiale dell’Etiopia) indica una generica altura dalla cima piatta. Il termine amba può indicare inoltre una fortezza montana.

Emilio De Bono in Abissinia all'inizio della Guerra d'Etiopia
Emilio De Bono in Abissinia all’inizio della Guerra d’Etiopia

I fatti storici

Durante la battaglia dell’Amba Aradam, assieme alle truppe italiane si trovarono schierate diverse tribù indigene. Tuttavia la volatilità delle trattative locali fecero sì che alcune tribù si alleassero successivamente con il nemico, per poi tornare ad affiancare i soldati italiani in una sorta di doppio o triplo gioco.

La battaglia fu vinta dalle truppe italiane che presero il controllo della situazione. Determinante fu l’utilizzo di gas tossici che provocarono la morte di circa 20 mila indigeni etiopi, tra civili e militari.

La diffusione del termine

Al loro ritorno in Italia, i soldati, di fronte a una situazione di caos, di tumulto o disordinata, cominciarono a definirla come fosse “Amba Aradam“. Il riferimento rimandava proprio alla battaglia e al suo particolare contesto. Per crasi, le due parole si sono poi fuse in una sola diventando “ambaradam“. Si indica crasi – lo ricordiamo – quando la vocale finale di una parola e quella iniziale della successiva si fondono in un’unica vocale, oppure in un dittongo.

La trasformazione della consonante finale m in n, da ambaradam a ambaradanè da ricondursi a un errore di pronuncia diventato nel tempo comune. E’ facile intuire come tale termine sia più usato nella forma parlata, piuttosto che in quella scritta.

Si può riscontrare un’analogia sia nella dinamica storica, sia nel significato del termine, in riferimento ai moti che nel 1948 sconvolsero l’Europa: fare un quarantotto, oppure, è successo un quarantotto, sono modi di dire che indicano proprio una situazione di putiferio generale ed inaspettato.

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Superstizione e scaramanzia: quali sono le differenze? https://cultura.biografieonline.it/superstizione-scaramanzia-differenze/ https://cultura.biografieonline.it/superstizione-scaramanzia-differenze/#respond Fri, 19 Aug 2022 15:18:11 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40193 C’è un adagio più che mai pop che racconta il desiderio tutto italiano di allontanare, con quello che si può, la malasorte. Esso è “occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio” (che è anche il titolo di un film del 1983). Credenze, più o meno razionali, si mescolano a tradizioni ancestrali quando parliamo di superstizione e poi, più in piccolo, di scaramanzia. Ma… quali sono le differenze fra superstizione e scaramanzia?

Proviamo a fare chiarezza.

Superstizione e scaramanzia - Differenze
Superstizione e scaramanzia

Superstizione

La superstizione è una credenza, più o meno razionale, che può influire sul pensiero o sulla condotta di vita.

Si concretizza, in sintesi, nella convinzione che ciò che facciamo e ancor più come lo facciamo – con tutte le derive maniacali del caso – possa decretare la buona o cattiva riuscita delle nostre azioni future.

È una sorta di rivisitazione del principio causa effetto ma ben lontano dal rigore scientifico.

L’origine latina: Cicerone e De natura deorum

Il termine superstizione deriva dal latino superstitiònem. La parola è composta da sùper (sopra) e stìtio (stato). Venne impiegato da Cicerone nella sua opera De natura deorum.

Con questo termine Cicerone indica la devozione patologica di chi trascorre le giornate rivolgendo alla divinità preghiere, voti e sacrifici, affinché serbi i suoi figli “superstiti” (cioè sani e salvi).

Marco Tullio Cicerone
Marco Tullio Cicerone

Da qui il termine: utilizziamo il soprannaturale per… scamparla.

Scaramanzia: istruzione per superstiziosi

Molto più terreno e meno volatile è il concetto di scaramanzia.

Rappresenta, in qualche modo, una sottocategoria della superstizione.

La superstizione è il credere, la teoria, se vogliamo, mentre la scaramanzia è l’azione. Tanto è vero che è di corrente uso l’espressione gesto scaramantico.

Le scaramanzie più comuni

Sono gesti scaramantici ad esempio:

  • toccare ferro;
  • fare le corna;
  • buttare un pizzico di sale dietro le spalle se si versa l’olio.

Si tratta di atti precedenti al fare o anche “riparatori” a quanto si è fatto, sbagliando e attirando – secondo alcuni – eventi funesti.

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Le parole scaramantiche

Una curiosità molto particolare, in italiano e non solo, è il fatto di augurare qualcosa per attrarre il totale opposto.

Ad un pescatore, per esempio, non si dirà mai “buona pesca”, né “buona caccia” al cacciatore.

Allo stesso tempo al danzatore pronto ad andare in scena si dirà “rompiti una gamba” piuttosto che “buon … balletto”.

Quest’espressione c’è anche in inglese: “break a leg” dicono i britannici a chi sta per debuttare in esibizioni che implicano il movimento, danza o sport.

Due parole: dipende dalle stelle, dipende da noi

È chiaro che quanto detto va preso con le pinze.

La superstizione o la scaramanzia devono probabilmente essere considerate nella loro forma ludica e goliardica.

Guai a farsi soggiogare da eventi esterni.

I latini, del resto, ci hanno detto che siamo noi gli artefici della nostra fortuna e forse – non senza presunzione – possiamo affermare che siamo noi stessi a:

  • attrarre il bene, facendo il bene (e viceversa…)
  • attrarre il male, facendo il male.

Molto di più che scendendo dal letto con il piede destro anziché quello sinistro.

Il contributo è molto più sottile e profondo.

Un pugno di lenticchie nel portafoglio a capodanno, un cornetto in macchina, una serie di azioni prima di affrontare un esame o i calzini portafortuna per la partitella a calcetto sì, ma senza esagerare. Né discriminare. 

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Obiettivo o obbiettivo: come si dice? https://cultura.biografieonline.it/obiettivo-obbiettivo/ https://cultura.biografieonline.it/obiettivo-obbiettivo/#comments Mon, 14 Mar 2022 08:08:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=11739 Nella lingua italiana, durante una conversazione o mentre scriviamo, possiamo usare i termini obiettivo ed obbiettivo, spesso in maniera similare. In realtà si tratta di due termini (sia se riferiti all’aggettivo, sia se riferiti al sostantivo), che riprendono il latino medievale obiectivu(m). Nel linguaggio comune, è comunque più usato e riconosciuto il termine con una sola b, quindi obiettivo, ma entrambi i termini possono essere usati senza cadere in errore.

Obiettivo e obbiettivo
Ci sono obiettivi e obbiettivi

La forma obiettivo è più vicina all’etimo latino obiectivum, mentre obbiettivo è una forma di origine popolare che ha subito il raddoppiamento della b davanti ad “i” con valore di semiconsonante. Obbiettivo è attestato nell’italiano scritto sin dalla metà del secolo XVI, mentre obiettivo è usato dalla prima metà del secolo successivo. Obiettivo od obbiettivo è una parola che prende spunto dal latino ed è caratterizzato dalla fusione dei due termini obiactum = lanciato in avanti dove per apofonia la a diventa e (latino medievale obiectivum).

Significati del termine obiettivo o obbiettivo

Obiettivo o obbiettivo, inteso come sostantivo, sta ad indicare il fine, la meta, oppure il bersaglio da raggiungere che una persona o un gruppo di persone si pongono. In quest’ottica, l’obiettivo, soprattutto in ambito militare, diventa sinonimo di bersaglio. Se si parla di termini come pianificazione e project management, l’obiettivo diventa sinonimo di un progetto che permette di definire i risultati da raggiungere.

Se lo si considera come aggettivo, il termine obiettivo indica qualcosa di imparziale, basato sui dati e non influenzato da opinioni non oggettive. In ambito militare, l’obiettivo è il fine di un’azione, mentre in fisica è l’oggetto di studio dell’ottica. In ambito fotografico il termine obiettivo o obbiettivo è usato per definire una parte, sia delle videocamere che delle macchine fotografiche. In campo legislativo, viene utilizzato il termine “legge obiettivo”, che indica una legge che annovera regolamenti sulle infrastrutture strategiche.

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