Ermitage Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 14 Dec 2023 11:25:42 +0000 it-IT hourly 1 Hermitage, il museo di San Pietroburgo in Russia https://cultura.biografieonline.it/hermitage/ https://cultura.biografieonline.it/hermitage/#comments Thu, 14 Dec 2023 10:21:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16526 Sono molti i musei nel mondo nati dalle eccentriche collezioni dei loro facoltosi possessori: conti, baroni, vescovi e cardinali hanno nei secoli arricchito il nostro patrimonio artistico grazie all’accumulo di capolavori acquistati in tutto il mondo. I grandi monarchi europei costituirono il punto nevralgico di quell’immensa matrice artistica che raccolse e custodì il meglio del genio umano nei saloni e nelle aree più lussuose dei grandi palazzi reali. L’Hermitage di San Pietroburgo rappresenta uno degli esempi più lampanti di un collezionismo sfociato in grandiosità museale.

Hermitage - La stanza di Raffaello (o stanza della Maiolica)
La “Stanza di Raffaello” dell’Hermitage: qui vi sono in mostra (sulla destra della foto) due dei capolavori dell’intero museo: la “Sacra Famiglia con san Giuseppe imberbe” (1505-1506) e la “Madonna Conestabile” (1504).

La storia dell’Hermitage

Solitamente la nascita del glorioso museo dell’Hermitage viene associata alla figura dello zar di Russia Pietro il Grande, ma tale ipotesi è vera solo in parte. Si potrebbe dire che il merito dello zar fu quello di creare semplicemente una Wunderkammer, ovvero uno spazio nella residenza reale adibito ad accogliere tutte le meraviglie e le rarità del mondo naturale, ma fu la zarina Caterina II, a metà del XVIII secolo, ad arricchire notevolmente la collezione, prima secondo un gusto esclusivamente estetico e, successivamente, secondo precisi principi classificatori dettati dalla necessità di completare la collezione in tutte le sue parti.

La zarina organizzò il primo nucleo della vasta collezione in un piccolo “Ermitaggio” adiacente il Palazzo d’Inverno, un buen retiro sfruttato da Caterina II come luogo di riflessione e svago tra pochissimi intimi, dove in compagnia dell’imperatrice “senza spada e senza cappello, si doveva lasciar perdere rango e diritti di precedenza, si doveva piuttosto prestare attenzione a non rompere nulla, bisognava parlare a bassa voce ed era proibito sbadigliare. Chi trasgrediva veniva costretto a bere… acqua fresca, un vero insulto per un russo” (Carminati).

Tra piante esotiche, uccelli e piccoli animali prese forma una collezione così ampia da colmare gli spazi di ben cinque edifici dislocati lungo la riva sinistra del fiume Neva: il Palazzo d’Inverno (1754- 1762), il Piccolo Hermitage (1764- 1775), il Grande (o Vecchio) Hermitage (1771- 1787), il Nuovo Hermitage (1839-1851) e il Teatro dell’Hermitage(1783-1789).

Storia della collezione

La raccolta, così come la conosciamo oggi, prese avvio nei fastosi saloni delle proprietà imperiali con l’acquisizione di 225 dipinti fiamminghi e olandesi appartenuti al mercante tedesco Johann Ernst Gotzkowsky, compreso il “Ritratto di uomo con guanto” di Frans Hals.

A partire dal 1764 Caterina II, nel tentativo di competere con le collezioni europee, si servì dei propri ambasciatori, in modo particolare dei corrispondenti francesi Denis Diderot e Friedrich Melchior von Grimm, per acquistare le opere di maggiore rilievo negli ateliers di tutta l’Europa.

Il legame con la Francia fu fondamentale per la storia della collezione russa, relazione tuttora visibile nella ricca presenza di opere francesi di assoluta eccellenza, da Nicolas Poussin a Claude Lorrain.

Al 1772 risale l’acquisizione più prestigiosa: più di quattrocento opere appartenute al banchiere parigino Pierre Crozat, raccolta che comprendeva tele di Tiziano, Raffaello, Giorgione, Tintoretto, Rubens, Rembrandt e altri tra i più grandi maestri della pittura europea.
Nel 1779 Caterina acquistò l’intera galleria di Houghton Hall, comprendente centonovantotto dipinti, all’asta della tenuta di sir Robert Walpole.
La raccolta di dipinti nell’Hermitage si arricchì ulteriormente con la collezione del conte Boudoin, collezione costituita da più di un centinaio di tele tra cui alcuni Rembrandt e sei ritratti di Van Dyck.

Hermitage - Scalinata interna
Una foto degli interni del museo: una sontuosa scalinata porta alle stanze delle Hermitage ricche di opere e capolavori dell’arte. Il nome del museo (dal francese, significa “eremo”) è indicato a volte anche come Ermitage. Il sito ufficiale è www.hermitagemuseum.org

L’accesso del pubblico alla collezione fu possibile a partire dagli anni ottanta del XVIII secolo, ma l’ordinamento museale venne reso noto solo nel 1805, con il nascere di una nuova concezione di museo.

Dopo la morte della zarina Caterina II nel 1796, la collezione crebbe notevolmente con il nipote Alessandro I (1777-1825) che, in seguito alla vittoria su Napoleone (ne abbiamo parlato nell’articolo Come Alessandro I sconfisse Napoleone Bonaparte ), acquistò nel 1814 trentotto tele che avevano decorato la Malmaison di Josèphine Beauharnais, prima moglie dell’imperatore francese.

Nel corso dell’Ottocento si affermò un modo di collezionare non solo incentrato sul gusto estetico degli zar, ma solo e soprattutto un collezionismo basato su una attenta e rigorosa selezione volta a “colmare le lacune e a bilanciare la sproporzione tra le varie scuole, fra le quali fino ad allora aveva prevalso nettamente quella olandese” e lasciando posto al nuovissimo interesse per l’arte spagnola.

Hermitage - Museo - Museum
San Pietroburgo: una recente foto del palazzo che ospita il museo dell’Hermitage

Con la messa in vendita della collezione Barbarigo nel 1850, arrivarono a San Pietroburgo le grandi tele di Tiziano e Veronese, insieme ai capolavori della pittura olandese di Jan Provost e Rogier van der Weyden, provenienti dalla collezione di Guglielmo II d’Olanda.

Durante il regno di Nicola I ci furono numerose cessioni: nel 1866 venne acquistata a Milano la “Madonna Litta” di Leonardo da Vinci e nel 1870 la “Madonna Conestabile” di Raffaello Sanzio.
Nel 1915 il museo accrebbe ulteriormente la sua fama con l’acquisizione dell’enorme collezione di pitture fiamminghe dell’esploratore russo P.P. Semyonov Tian Shansky.

Con la Rivoluzione russa, il patrimonio artistico maturò su larga misura grazie alle requisizioni: i capolavori un tempo appartenuti alle grandi casate principesche e alle famiglie borghesi moscovite entrarono a far parte del museo.

Con lo smantellamento del museo statale di Mosca, tra il 1930 e il 1940, giunsero a Leningrado i dipinti francesi delle raccolte di Schukin e Morozov, massimi collezionisti a livello mondiale di Matisse; di questa collezione si conservano all’Hermitage trentanove opere realizzate da Gauguin e Cézanne.

Note Bibliografiche
A. Fregolet, Ermitage San Pietroburgo, Mondatori – Electa, 2005, Milano

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Suonatore di liuto, opera di Caravaggio https://cultura.biografieonline.it/suonatore-di-liuto-caravaggio/ https://cultura.biografieonline.it/suonatore-di-liuto-caravaggio/#respond Mon, 22 Aug 2016 15:23:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19096 Analizzare il “Suonatore di liuto“, celebre quadro di Caravaggio (Michelangelo Merisi), significa esporre le aspettative di un secolo splendente alle attese incantevoli di un nuovo secolo, quello degli artifici e degli eccessi dell’arte barocca.

Suonatore di liuto - Lute player - Caravaggio - Ermitage
Suonatore di liuto (Lute player, Caravaggio, 1596)

Lo stile caravaggesco risulta inconfondibile: il giovane suonatore emerge dalla profondità di uno sfondo buio, illuminato nella spensieratezza di un gesto semplice ma al contempo maturato dall’abitudine, immortalato nell’attimo di parole mai spente, di sussurri d’amore accolti dalla musica del proprio liuto.

L’incredibile poesia di un dipinto, l’inesauribile genio caravaggesco, colpirono nel segno di molteplici cambiamenti, adattandosi pienamente ai tempi musicali della rappresentazione che è arte nel grande scenario dell’esistenza umana.

Il capolavoro del pittore di Caravaggio diletta l’osservatore attraverso la musica muta dei gesti, grazie allo sguardo distratto del giovane suonatore, in quel perenne viaggio spaziale che conduce e coinvolge lo spettatore nella trama della tela, nella scena rinascimentale di un musico che canta in solitudine, d’amore.

Suonatore di liuto: la genesi del dipinto

Il dipinto, realizzato intorno al 1596 per il cardinale Francesco Maria del Monte (1549 – 1627). Egli fu collezionista di celebri opere d’arte e protettore di Galileo Galilei. L’opera costituisce attualmente uno dei capolavori del patrimonio artistico italiano custodito nell’Ermitage di San Pietroburgo.

“[…] e dipinse per il Cardinale [Del Monte] […] anche un giovane, che sonava il Lauto, che vivo, e vero il tutto parea con una caraffa di fiori piena d’acqua, che dentro il reflesso d’una fenestra eccellentemente si scorgeva con altri ripercotimenti di quella camera dentro l’acqua, e sopra quei fiori eravi una viva rugiada con ogni esquisita diligenza finta. E questo (disse) che fu il più bel pezzo, che facesse mai” (BAGLIONE).

Note tecniche e descrittive

Il “Suonatore di liuto” coincide pienamente con l’instabile natura di Michelangelo Merisi forgiato dall’atmosfera romana, della Roma di Papa Clemente VIII , negli anni che videro l’esecuzione in piazza Castel Sant’Angelo di Beatrice Cenci, l’eroina romana accusata di parricidio.

Il tema del suonatore si ripeté per due volte nell’ambito della produzione artistica del pittore di Caravaggio, divincolandosi nella maestria di due eccellenti capolavori, ovvero quello preso in esame, e un secondo capolavoro illustrante il medesimo personaggio, tesoro impareggiabile della Wildestein Collection, esposto al Metropolitan Museum di New York.

Suonatore di liuto di Caravaggio - la versione esposta a New York
La versione esposta a New York del Suonatore di liuto

La scelta di soggetti e tematiche in diretta connessione con la musica, si spiegano con il profondo legame che legò Caravaggio alla figura di Francesco Maria Del Monte nel corso del soggiorno romano, contesto all’interno della quale l’artista potette intingere la crine dei propri pennelli nell’autentica emancipazione dei poeti “manieristi”, in quella libertà espressiva visibile in letteratura nel dramma pastorale del “Il pastor fido” di Giovan Battista Guarini:

“Complessa è la natura di questo ‘stil nuovo’ […] Essa è insita nell’armonia dei suoi colori e nella particolare natura del suo dipingere: armonia rara e sottile, composta da una specifica scelta di toni e da una particolare maniera di impiegarli […] con la novità e la qualità del sua tavolozza egli colpì i contemporanei al tal punto che perfino i nemici ne riconobbero i meriti: in lui la tecnica stessa è poesia.” (JULLIAN).

Osservando il “Suonatore di liuto” lo spazio intercede il proprio posto alla profezia dell’arte, all’intima e quanto mai distorta illusione che ci riconduce nel luogo introdotto sulla tela, quali spettatori di un piccolo concerto tenuto di fronte ai nostri occhi, con sguardi che ci osservano distrattamente, come se fossimo li, come se ciò non importasse.

Amore, armonia, musica e natura si mescolano su di un’unica tela, concatenati, uniti nell’unico tentativo di congiungere il tutto sotto l’ombra avvolgente d’una stanza riparata dal sole, ma dalla quale il sole trova in ogni modo la strada per vincere il buio, colpendo il viso e il corpo giovane del suonatore e la bellissima e variegata natura morta, all’interno di uno spazio incredibile e meditato.

Le partiture aperte sul tavolo sono del milanese Giuseppe Galli, autore del “Trattato di Musica” pubblicato nel 1598.

Suonatore di liuto - Caravaggio - dettaglio partiture
Il dettaglio delle partiture

Nel volto del giovane musico si è scorto un ritratto del pittore e amico di Caravaggio, Mario Minniti, autore dell’ “Immacolata con Sant’Antonio e donatori” della Chiesa di S. Pietro, di Piazza Armerina.

Il protagonista è mostrato di tre quarti a mezzo busto, mentre esegue un dolce canto d’amore allietato dalle deliziose melodie del liuto; dalla poesia delle sue labbra tenere e dischiuse, pronte a emettere la nota successiva, emerge il suono silenzioso in grado di produrre, nei limiti della pittura e nell’eternità del tempo, i suoi flebili echi.

Suonatore di liuto - Caravaggio - dettaglio volto
Il dettaglio del volto del suonatore di liuto

Le sonorità dell’opera di Caravaggio

“Voi sapete ch’io v’amo, anzi v’adoro, / Ma non sapete già che per voi moro, / Chè, se certo il sapeste, / Forse di me qualche pietate avreste. / Ma se per mia ventura / Talhor ponete cura / Qual stratio fa di me l’ardente foco, / Consumar mi vedret’a poco a poco.”

(“Primo libro di madrigali a quattro voci”, Jacques Arcadelt, 1539)

Appare assai interessante sottolineare la sfumatura incredibilmente sonora del dipinto caravaggesco, utile guida verso le inesorabili contratture della società artistica tardo cinquecentesca e al contempo spartito dalla quale leggere compiutamente le note di un’evoluzione musicale, oltre che l’immenso genio di un artista provato ma corroborato dalla virtù dell’ambizione, nell’animalesco spirito di un’anima errante.

Quello che Valentina Rodi definisce “uno degli elementi più importanti e di spicco nei dipinti a sfondo musicale di Michelangelo Merisi“, come nel caso dei suoi fedeli seguaci, è senza dubbio il vibrante suono che annunciò il cambiamento nel cuore della musica, nella sua forma, nella predisposizione a essere manipolata, piegandosi all’esigenza del secolo e della sua ineffabile quanto impudica anima.

Il cambiamento annunciato precedentemente, iniziato presumibilmente intorno al 1508, assorbì le mente di compositori illustri, portando sotto il vessillo della “Camerata Bardi” i nomi Jacopo Perdi, Emilio de Cavalieri, Vincenzo Galilei, Giulio Caccini, quali ospiti celebri nella dimora di Giovanni Maria Bardi de Vernio, insostituibile protagonista dell’incessante dibattito che si volgeva allo scopo di ottemperare al fatidico passaggio dalla musica polifonica alla monodia accompagnata che, già diffusa nei primi del Cinquecento, consumò pienamente il gusto indirizzato alla laboriosità della scrittura contrappuntistica.

L’espressività caravaggesca trovò fonte da cui attingere nell’eloquenza dello stile monodico, che vantava l’impareggiabile dote di saper esprimere al romantico ascoltatore i sentimenti del testo poetico, dove “dal punto di vista tecnico, il comporre monodico, è sostenuto dall’appoggio ritmico e armonico della voce solistica dato dal basso continuo (o basso numerato, cifrato o figurato)” (RODI).

Le innovazioni musicali di cui si fece promotrice la musica monodica, vennero splendidamente enunciate nella seconda “Prattica musciale” del compositore Claudio Monteverdi (1567 – 1643), portando all’attenzione il valore eccezionalmente espressivo della musica nella sua qualità umana, capace cioè di interpretare e suscitare forti emozioni, non considerando, dunque, la bellezza della componimento fondata unicamente sulla imperturbabilità e il distacco matematico.

Lo stile inneggiato dal Monteverdi venne furiosamente osteggiato dal critico e tecnico musicale Giovanni Maria Artusi, autore del dialogo dal titolo “Delle imperfezioni della moderna Musica“, degno sostenitore del non mutamento e accanito antagonista della “crudezze” di una musica fertile agli artifici barocchi, fatta di quegli echi “aspri et all’udito poco piacevoli”.

Nel “Dizionario Enciclopedico Universale dei termici tecnici della musica, antica e moderna, dai Greci fino a noi” il Barberi riporta la controversia musicale, chiarendo parte degli aspetti tecnici e riconducendo l’interesse alle ragguardevoli alterazioni promosse dal nuovo stile musicale:

“[…]il comma moderno, quantunque un po’ più piccolo dell’antico, può tuttavia bastare a far sì che gl’intervalli consoni divengano dissoni, e i dissoni si cangino in consoni, e che, opportunamente levato od aggiunto alle terze ed alle seste del sistema diatonico pitagorico, ch’erano dissonanti, le rende consonanti.” (BARBERI).

Il cambiamento in ambito musicale convoglio la propria indole espressiva dei dolori e dei piaceri umani verso la pittura tardo cinquecentesca, nonché nelle rappresentazioni artistiche del Caravaggio, degno erede di una mentalità che si prefiggeva la libertà dagli ambienti colti, per un’espressione dell’intimità che trovava posto nelle personalità giocose dei musichi, nelle strade e nei gioiosi concertini pubblici.

Il “Suonatore di liuto“, da come appare da questa breve digressione musicale in fatto di evoluzioni artistiche e dibattiti infuocati, fu il degno erede pittorico della natura di un’arte che si affacciava al Barocco, sostenendo il peso delle emozioni, degli sguardi parlanti grazie alle pennellate energiche di un artista fuori dal branco, di un’anima che non conobbe mai l’indulgenza, il tocco della propria arte quale placido mezzo per stemperare i sentimenti più primitivi.

Note Bibliografiche
V. Rodi, “L’arpa tra Cinquecento e Seicento”, Narcissus.me, 2015
A. Barberi, “Dizionario enciclopedico universale dei termini tecnici della musica antica e moderna, dai greci fino a noi”, Tipografia editrice Luigi di Giacomo Pirola, Milano, 1869
L. Pericolo, D. M. Stone, “Caravaggio: Reflections and Refractions”, Ashgate, Farnham, 2014

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Angolo di giardino all’Hermitage (opera di Camille Pissarro) https://cultura.biografieonline.it/angolo-di-giardino-pissarro/ https://cultura.biografieonline.it/angolo-di-giardino-pissarro/#respond Thu, 11 Feb 2016 17:00:56 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16615 Angolo di giardino all’Hermitage” fu dipinto da Camille Pissarro nel 1877. Al di là delle considerazioni sulla scelta del pittore di dipingere un giardino, le quali sono l’inevitabile conseguenza delle critiche che il pittore aveva subito negli anni per non essersi mai misurato con un elegante giardino borghese, ma di avere, invece, sempre dipinto ortaggi che rappresentano immagini meno auliche, questo dipinto ha un notevole valore formale oltre alla bellezza espressiva. Pissarro, comunque, ama i soggetti degli altri Impressionisti e, in particolare, ha una inevitabile ammirazione per i quadri di Renoir.

Angolo di giardino all'Hermitage (1877 – quadro famoso di Camille Pissarro)
Angolo di giardino all’Hermitage (1877, Camille Pissarro) – Olio su tela – Cm 55 x 46 – Museo d’Orsay, Parigi

Angolo di giardino all’Hermitage: analisi del quadro

Questo giardino è un luogo conosciuto dall’artista che lo frequenta abitualmente. E’, infatti, la dimora di una sua amica di lungo corso e Pisarro ha dipinto il giardino in più di un’occasione. In questo caso, però, l’artista ha deciso di riprendere il gioco di due bambine, e da lontano, senza interrompere il viaggio ludico delle due piccole protagoniste, il pittore riprende tutto, come se dovesse immortalare un momento particolare. E, in effetti, osservando il quadro, la prima impressione è quella di un punto centrale, la panchina con le bambine da cui si dipana tutto il resto, come se dalle menti delle due fanciulline nascesse l’incanto del giardino e la panchina fosse una sorta di punto d’appoggio dal quale immaginare e sognare un mondo di fantasia.

Sembra, quindi, un dipinto in cui sogno e fantasia non vengono disturbate da nulla se non dalla realtà della costruzione a destra, la quale, in qualche modo, richiama l’idea di un elemento estraneo che riporta, forse, alla realtà.

La tecnica utilizzata da Pisarro è la medesima di molti quadri di Cezanne: pennellate fini, continue e rapide, che creano l’effetto di un giardino stracolmo di vegetazione. I colori ad olio e le sfumature di verde, rendono realisticamente come si presenta agli occhi dello spettatore il giardino, mentre la posizione delle bambine, la loro indifferenza alla presenza del pittore e la luce conferiscono al quadro proprio l’effetto onirico che lo rende, a parer mio, così unico.

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