Egitto Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Sun, 08 Jan 2023 11:22:42 +0000 it-IT hourly 1 Le sette meraviglie del mondo https://cultura.biografieonline.it/7-meraviglie-del-mondo/ https://cultura.biografieonline.it/7-meraviglie-del-mondo/#comments Sun, 08 Jan 2023 09:11:58 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8430 Quali sono le 7 meraviglie?

Le sette meraviglie dell’antichità hanno suscitato da sempre un forte interesse e un fascino particolare per l’intera umanità, poiché sono testimonianze di un passato che nel corso dei secoli ha subito radicali trasformazioni sociali, politiche e culturali.

La piramide di Cheope
La piramide di Cheope è una delle Sette meraviglie del mondo, ed è l’unica rimasta intatta fino ai giorni nostri

Le opere più spettacolari realizzate in quel tempo dall’uomo sono state enumerate circa 2000 anni fa. Furono realizzate con tecniche avanzate considerando il periodo in cui furono costruite e su richiesta di sovrani che volevano dimostrare la loro potenza.

Le sette meraviglie del mondo antico

  1. La piramide di Cheope
  2. Il faro di Alessandria
  3. Il tempio di Artemide a Efeso
  4. I giardini pensili di Babilonia
  5. Il colosso di Rodi
  6. Il mausoleo di Alicarnasso
  7. La statua di Zeus a Olimpia

La loro storia è ancora ad oggi avvolta nel mistero: quasi tutte le opere sono state distrutte nel tempo, solo una delle sette meraviglie è arrivata fino ai giorni nostri: la Piramide di Giza o piramide di Cheope; questa è una delle più grandi costruzioni realizzate dall’uomo che si innalza al cielo e che si trova nella piana di Giza, in Egitto. La piramide è alta 137 metri, con un peso di circa 6 milioni e mezzo di tonnellate.

Le meraviglie del mondo antico erano sette
Le sette meraviglie del mondo antico

Alcune informazioni

Il faro di Alessandria progettato nel periodo di Alessandro Magno dall’architetto Dinocrate, raggiungeva i 140 metri di altezza su tre piani.

Il tempio di Artemide era considerato una stupenda architettura, sorretta da 120 colonne e con la statua della dea al centro.

I giardini Pensili di Babilonia invece ospitavano qualsiasi tipo di vegetazione compresi alberi da fusto.

Il colosso di Rodi era una statua che raffigurava il dio Helios, eretta per festeggiare lo scampato pericolo di una probabile invasione della città.

Il Mausoleo di Alicarnasso ospitava i resti del re Mausoleo, della moglie Artemisia e della sorella.

In ultimo, la statua di Zeus a Olimpia era una statua che raffigurava il dio seduto su di un trono, circondato da altre figure alate ed altre divinità.

Ancora oggi, le sette meraviglie dell’antichità suscitano l’ammirazione universale per la loro grandiosità e per la loro bellezza.

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Tutankhamon e la sua maledizione https://cultura.biografieonline.it/tutankhamon-maledizione/ https://cultura.biografieonline.it/tutankhamon-maledizione/#comments Sat, 07 Jan 2023 06:42:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8168 Tutankhamon, il re giovane, fu il 12° faraone della 18ª dinastia. Ottenne il trono a soli nove anni di età ma morì prematuramente prima dei venti. Morì forse a causa di un complotto organizzato a sua insaputa da alcuni suoi consiglieri di fiducia.

La maschera d'oro del faraone Tutankhamon
La maschera d’oro del faraone Tutankhamon

La fama di Tutankhamon

La sua fama non è legata al periodo e alle cronache del suo regno ma al suo corredo funebre. Esso venne trovato intatto. La sua fama è per lo più correlata alla credenza che la sua tomba fosse protetta da una maledizione.

Tale maledizione era alimentata da una scritta che appariva sull’ingresso della tomba di Tutankhamon. Essa riportava:

La morte verrà su agili ali per colui che profanerà la tomba del Faraone“.

Per gli studiosi, il ritrovamento della sua tomba è stata senza dubbio una delle scoperte archeologiche più importanti del secolo passato. L’archeologo inglese Howard Carter e Lord Carnarvon, il 26 novembre del 1922, scoprirono insieme, l’ingresso della tomba, situata nella Valle dei Re, portando alla luce il tesoro rimasto praticamente intatto, non preoccupandosi più di tanto della scritta posta all’entrata della tomba.

La maledizione

Si narra che negli anni a venire, tutti coloro che parteciparono alla spedizione ed alle ricerche della tomba del faraone morirono. Sembrava quasi un castigo rivolto a chiunque violasse il luogo di sepoltura del Sovrano.

Subito, tra la gente si ipotizzò che la tomba del faraone fosse protetta da forze ignote e che la maledizione di Tutankhamon fosse stata formulata dai sacerdoti egizi, per proteggere la sua tomba dai profanatori.

Altre ipotesi

Secondo altre ipotesi sarebbe stata, invece, una trovata per scongiurare l’assalto alla tomba del faraone da parte dei saccheggiatori o addirittura un escamotage per screditare la campagna dell’archeologo inglese Carter.

Sono stati fatti vari tentativi per cercare di dare una spiegazione logica ed alternative alle incredibili fatalità che ruotano attorno alla maledizione di Tutankhamon ma ancora oggi, tale mistero non è stato svelato, lasciando ancora aperti interrogativi sulle misteriose morti e sulla morte del Sovrano.

Fatali coincidenze o tomba maledetta?

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Giulio Regeni, biografia e storia https://cultura.biografieonline.it/giulio-regeni/ https://cultura.biografieonline.it/giulio-regeni/#comments Sun, 29 Apr 2018 08:06:54 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=24697 Giulio Regeni nasce a Trieste il 15 gennaio 1988. Cresciuto a Fiumicello, in provincia di Udine, quando è ancora minorenne si trasferisce a all’Armand Hammer United World College of the American West (Nuovo Messico – Stati Uniti d’America) e poi nel Regno Unito per studiare. Per due volte vince il premio “Europa e giovani” (2012 e 2013) al concorso internazionale organizzato dall’Istituto regionale studi europei. Premi vinti per le sue ricerche e per gli approfondimenti sul Medio Oriente (la regione geografica che comprende i territori dell’Asia occidentale, quelli europei: la porzione di Turchia a ovest dello stretto del Bosforo e nordafricani – Egitto).

Giulio Regeni
Giulio Regeni

Le collaborazioni di Giulio Regeni

Lavora presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO, dall’inglese United Nations Industrial Development Organization), un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa dell’incremento delle attività industriali che si trovano nei paesi membri. E dopo aver svolto anche per un anno ricerche per conto della società privata di analisi politiche Oxford Analytica, si reca in Egitto. Qui svolge un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e svolge una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana del Cairo.

Regeni scrive alcuni articoli con lo pseudonimo di Antonio Druis pubblicati dall’agenzia di stampa Nena e, poi, postumo, dal quotidiano il Manifesto. Articoli in cui descrive la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011.

Giulio Regeni foto

Il 25 gennaio 2016: la scomparsa

È il 25 gennaio 2016 quando Giulio Regeni, ricercatore italiano, invia alle 19.41 un sms alla fidanzata in Ucraina, per dirle che stava uscendo. A distanza di poco tempo, l’amica di Regeni, la studentessa Noura Wahby conosciuta nel 2014 a Cambridge, denuncia sul proprio profilo Facebook la sua scomparsa. Si sa che il ricercatore italiano doveva incontrare delle persone in piazza Tahrir. L’occasione è quella di festeggiare il compleanno di un amico.

Da allora sono passati diversi giorni prima del suo ritrovamento e, nel frattempo, su Twitter vengono lanciati diversi hashtag #whereisgiulio e #جوليو_ـفين (letteralmente: #doveègiulio).

Il ritrovamento

Il ragazzo viene trovato il 3 febbraio 2016 in un fosso nel tratto di strada del deserto Cairo-Alessandria, alla periferia del Cairo. Il corpo di Giulio è nudo ed è stato anche atrocemente mutilato. Si contano più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi. Così come gambe, braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti. E ancora: coltellate multiple sul corpo, comprese le piante dei piedi.

Sono numerosi i tagli su tutto il corpo, probabilmente causati con uno strumento simile ad un rasoio. Sul corpo anche bruciature di sigarette, e sulle scapole (una bruciatura più grande con incisioni simili a delle lettere). Dall’esame autoptico è emersa un’emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata a seguito di un colpo al collo che ne avrebbe causato la morte.

Giulio Regeni giovane

Il contesto e la rivoluzione egiziana del 2011

Quando Giulio Regeni viene rapito è il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste in piazza Tahrir. Nota come rivoluzione del Nilo, è un vasto movimento di protesta da parte dei civili, contestazioni e insurrezioni, che si sono susseguite a partire dal 25 gennaio del 2011. A spingere il popolo egiziano a ribellarsi è stato il desiderio di rinnovamento politico e sociale contro il regime trentennale del presidente Hosni Mubarak.

Sono stati numerosi gli scontri che hanno provocato molte vittime tra manifestanti, poliziotti e militari. Tutto ha inizio intorno al 17 gennaio, quando al Cairo un uomo si dà fuoco, come era avvenuto in Tunisia al venditore ambulante e attivista tunisino Mohamed Bouazizi, simbolo della contestazione tunisina.

Poi il 20 gennaio due operai si danno fuoco per protestare contro il trasferimento forzoso. Si arriva così al 25 gennaio: sono 25mila i manifestanti che scendono in piazza, nella capitale, che chiedono riforme politiche e sociali sulla scia della “rivoluzione del gelsomino” avvenuta in Tunisia. Da qui la manifestazione si trasforma in scontri con le forze dell’ordine: si registreranno quattro vittime, tra cui anche un poliziotto.

Giulio Regeni e i depistaggi

Oltre ai depistaggi delle autorità egiziane, la scarsa collaborazione delle autorità del Cairo con gli inquirenti italiani ha avuto come conseguenza il ritiro dell’ambasciatore italiano Maurizio Massari, rientrato in Italia per consultazioni con la Farnesina. A deciderlo è il ministro degli esteri Angelino Alfano, dopo il fallimento dell’incontro tra gli inquirenti egiziani e la procura di Roma sull’assassinio di Giulio Regeni.

A sostituirlo è l’ambasciatore Cantini, che assume l’incarico il 14 settembre 2017, lo stesso giorno in cui anche il nuovo ambasciatore egiziano si insedia a Roma. I servizi di sicurezza del governo di ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī, e lo stesso governo egiziano, sono sospettati di avere un ruolo chiave nell’omicidio del giovane ricercatore italiano. Da quanto è emerso, la polizia del Cairo aveva già svolto indagini sul ricercatore nei giorni 7, 8 e 9 gennaio su esposto del Capo del sindacato dei venditori ambulanti.

manifestazione per Giulio Regeni
Manifestazione per Giulio Regeni

La versione fornita dall’agenzia stampa Reuters

Secondo quanto riferisce l’agenzia il 26 aprile 2016, quindi tre mesi dopo l’omicidio del ragazzo, Giulio Regeni viene fermato dalla polizia il giorno stesso della sua scomparsa, il 25 gennaio 2016. Tale ipotesi già era apparsa dalle colonne del New York Times. Poi rilanciata da tre funzionari dell’intelligence e da tre della polizia egiziana a Reuters, consegnando anche un dettaglio inedito. La stessa sera le forze dell’ordine avevano consegnano il ricercatore italiano ai servizi segreti “Al-Amn al-Watani” (“Sicurezza interna”), che avrebbero portato Regeni in un compound.

Si tratta di una versione differente da quella fornita dalle autorità del Cairo che appunto smentirebbe quella ufficiale. Secondo quest’ultima Giulio non venne mai preso in custodia prima di essere ritrovato cadavere il 3 febbraio.

Le rivelazioni

Intanto le rivelazioni della Reuters vengono immediatamente smentite dal ministero dell’Interno egiziano. Lo riporta il sito del quotidiano egiziano Youm7. Da qui le dichiarazioni della fonte interna al ministero che dichiara:

«la polizia non ha arrestato Regeni né l’ha detenuto in alcun posto di polizia e tutto quello che viene ripetuto a questo proposito sono solo voci che mirano a nuocere agli apparati di sicurezza in Egitto e a indebolire le istituzioni dello Stato».

E poi, sempre lo stesso sito scrive:

«La fonte ha aggiunto che non c’era ragione di torturare un giovane straniero che studia in Egitto e che il ruolo della polizia è di proteggere e non torturare». E ancora il sito aggiunge: «Mohamed Ibrahim, un responsabile del dipartimento Media della Sicurezza nazionale, ha detto che non c’è stato alcun rapporto fra Regeni e la polizia o il ministero dell’Interno o la sicurezza nazionale e che Regeni non è mai stato detenuto in alcun posto di polizia o presso la Sicurezza nazionale». C’è fretta di depistare, di nascondere la verità. Così anche l’intelligence del Cairo si affretta a smontare la nuova versione.

Truth for Giulio Regeni
Truth for Giulio Regeni

La figlia del capo dei rapinatori

Intanto mentre le autorità egiziane hanno sempre negato qualsiasi loro coinvolgimento nella morte di Regeni, poco prima del ritrovamento del suo cadavere, la polizia ipotizza che il ragazzo sia stato vittima di un incidente d’auto. Poi, alcune settimane dopo, arriva l’altra ipotesi: poteva essere stato ucciso da una gang criminale poi sterminata dalla polizia.

Mentre la figlia del capo della banda di rapinatori, Rasha Tarek, in possesso dei documenti di Regeni attacca la polizia con queste accuse: hanno ucciso a sangue freddo il padre, il marito e il fratello per far credere che fossero i torturatori e i killer del giovane ricercatore friulano.

Parole che contrastano, ancora una volta, con quanto dichiarato dalle autorità del Cairo. Secondo le autorità egiziane la banda venne uccisa durante uno “scontro a fuoco” avvenuto il 24 marzo 2016. In esso le forze dell’ordine avrebbero subito solo alcuni danni alle vetture.

Intanto nel dicembre del 2016 viene accertato che Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti oggetto della ricerca ed incontrato per la prima volta da Giulio Regeni il 13 ottobre 2015, denuncia il ricercatore italiano alla polizia di Gyza il 6 gennaio. Lo segue fino al 22 gennaio, cioè tre giorni prima della scomparsa di Giulio, comunicando alla polizia tutti gli spostamenti.

La campagna di Amnesty International Italia

A partire dal 24 febbraio 2016 Amnesty International Italia ha lanciato la campagna Verità per Giulio Regeni (in inglese: Truth about Giulio Regeni), lanciando anche una petizione sul portale Change.org a cui hanno aderito più di 100.000 sostenitori. Segue, il 10 marzo 2016, approvazione da parte del Parlamento europeo di Strasburgo una proposta di risoluzione che condanna la tortura e l’uccisione di Giulio Regeni e le continue violazioni dei diritti umani del governo di al-Sisi in Egitto. Una risoluzione approvata con ampia maggioranza.

verità per Giulio Regeni
#veritapergiulioregeni – 1° anniversario della morte di Giulio

Primo anniversario della morte di Giulio Regeni

È il 26 gennaio 2017 e dopo 12 mesi di ricerca della verità sull’uccisione del giovane ricercatore italiano, mentre si svolge la manifestazione nazionale a Roma, si pensa agli ultimi sviluppi che vedono protagonista Mohamed Abdallah il capo del sindacato degli ambulanti del Cairo, le sue interviste e le sue riprese di nascosto. Tutti elementi che indicano un coinvolgimento dell’apparato dei servizi di sicurezza egiziani che non può più dirsi estraneo alla terribile e atroce fine di Giulio.

L’Instant book: “Giulio Regeni. Le verità ignorate” di Lorenzo Declich

L’instant book scritto dall’esperto di Islàm Lorenzo Declich, e pubblicato da Alegre, ripercorre la tragica vicenda di Giulio Regeni e cerca di smontare i complottismi che hanno caratterizzato la copertura mediatica del caso Regeni da parte della stampa italiana e dei rapporti commerciali tra il nostro Paese e il regime di El Sisi (il presidente egiziano). Racconta, oltre ai depistaggi delle autorità egiziane, le ricostruzioni fantasiose sull’attività del ricercatore di Fiumicello nella capitale egiziana.

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Aida, di Giuseppe Verdi: riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/aida-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/aida-riassunto/#comments Wed, 08 Feb 2017 09:22:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21251 Aida è un’opera di genere drammatico, tra le più celebri di Giuseppe Verdi. Si compone di quattro atti. Il libretto è di Antonio Ghislanzoni. L’opera si basa su un soggetto originale dell’archeologo francese Auguste Mariette. L’analisi che segue è stata realizzata dal Maestro Pietro Busolini, di Trieste.

Aida - Verdi - riassunto

La prima

La prima rappresentazione avvenne al Teatro khediviale dell’Opera della Città del Cairo il 24 dicembre 1871. Fu diretta da Giovanni Bottesini. Per l’anteprima italiana sotto la sua diretta supervisione, Verdi scrisse una ouverture, che però alla fine non venne eseguita per un ripensamento, considerando il breve preludio più organico ed efficace. Aida fu scritta in onore e gloria per l’apertura del Canale di Suez. La nuova opera del Maestro Giuseppe Verdi, inaugurò nel contempo anche il nuovo teatro della capitale egiziana.

La prima rappresentazione in Italia avviene invece l’8 febbraio 1872, al teatro alla Scala di Milano.

Aida, la genesi dell’opera

Il Maestro Giuseppe Verdi ricevette l’incarico dall’illustre collega Camille du Locle direttore dell’Opera-Comique di Parigi. Dopo una titubanza iniziale, ebbe per quest’opera un interesse particolare. Il lavoro fu eseguito in lingua francese, con la collaborazione dello stesso du Locle per la prosa. L’interesse del Maestro per questa nuova stesura, fu certamente l’esigenza di creare una fantasmagorica grand-opéra, strutturandola nel nuovo contesto musicale dell’epoca.

Aida fu creata scena per scena, per un totale di 4 atti e 7 quadri, sempre con l’aiuto dell’amico du Locle. Per quanto riguarda il libretto italiano, da quanto si evince dai carteggi dell’epoca, Verdi aveva contattato Giuseppe Ghislanzoni, fine letterato e uomo di cultura. Ghislanzoni era molto conosciuto nell’ambito del teatro del tempo.

Potremmo confermare anche che questa storia, fu immaginata dall’egittologo francese Mariette. Verdi però non la diresse al Cairo. Inviò – come da accordi – una persona di sua fiducia: il Maestro Giovanni Bottesini.

Queste erano le clausole che Verdi concordò con il Sovrano dell’Egitto: l’opera doveva essere pronta entro la metà dell’anno 1871, per i mesi di giugno o luglio, per una somma di centocinquantamila franchi.

Giuseppe Verdi, ritratto da Giovanni Boldini nel 1886
Giuseppe Verdi, ritratto da Giovanni Boldini nel 1886

Considerazioni sull’opera

Si tratta di un’opera del Verdi maturo. Essa divenne in breve tempo molto popolare, come lo erano già Rigoletto, Traviata, Trovatore, ed altre ancora.

Voglio ricordare anche che uno strumento musicale, creato il secolo prima da Giovanni Barbieri da Cremona, ossia l’organo a rullo o a cartone – chiamato più semplicemente Organetto di Barberia – veicolò queste opere in tutto il mondo. Dall’Europa alle Americhe, fino all’Asia, tali opere erano cantate in italiano, e conosciute dal popolo. Fu anche grazie a questo strumento che si diffuse la conoscenza e l’amore per la nostra lingua italiana in questi continenti.

Il Maestro Giuseppe Verdi volle con questo nuovo lavoro di ricerca e di sperimentazione, l’Aida, colmare quel desiderio, quel suo incessante cercare. Ciò che fece fu creare rinnovandosi a nuove tematiche di ordine armonico e orchestrale. Da questo nacque una monumentale scenografia musicale, per scender poi nella struttura psicologica dei singoli interpreti. A parer mio, questo suo trapassare, lo fece cercando e trovando in piena verità teatrale grandi squarci collettivi.

Egli intimisticamente entrò nelle pieghe nell’anima dei personaggi di Aida, Radamès, Amneris e Amonasro, creando quell’impalpabile tessuto connettivo, che colpì lo spettatore dell’epoca decretandone l’assoluto trionfo.

Aida, trama e riassunto

Atto I

Scena Prima. L’azione si svolge nella sala del trono nella reggia di Menfi.

Durante una spedizione militare contro l’Etiopia, i soldati egizi catturano la principessa Aida. Ignorando la sua vera identità, la portano a Menfi e la mettono in schiavitù.

Suo padre – il Re di Etiopia Amonasro – organizza un’incursione per liberarla e ricondurla a casa. Non sa che sua figlia si è innamorata del giovane condottiero Radamès, il quale ricambia questo suo sentimento.

Purtroppo anche Amneris, figlia del Re d’Egitto, si è invaghita del giovane. La principessa Amneris intuisce subito che possa esserci qualcosa tra la giovane schiava e il suo amato. Cerca allora subdolamente di consolare Aida, con lo scopo di scoprire qualcosa in più.

Il Re apprende le ultime notizie dal confine: l’esercito Etiope sta marciando contro l’Egitto. A Radamès viene concesso il rango di Duce dell’esercito egizio, con il compito di fermare l’avanzata dell’esercito di Amonasro.
Aida è contrastata tra l’amore per la Patria e l’amore verso il suo Radamès.

Scena Seconda. Interno del tempio di Vulcano a Menfi.

Avvengono cerimonie solenni e la danza delle sacerdotesse per l’investitura di Radamès come comandante in capo.

Radamès - Aida
Aida, scena tratta da una rappresentazione: Radamès viene nominato capo delle guardie.

Atto II

Scena Prima. Nella camera di Amneris

Amneris riceve nelle sue stanze la schiava Aida. Con malizia finge che Radamès sia morto in battaglia per spingerla a dichiarare il suo amore per lui. L’inganno di Amneris funziona e la reazione involontaria di Aida la tradisce, rivelando i suoi sentimenti.

A questo punto anche Amneris mette le carte in tavola e dichiara il suo amore per Radamès. Come potrebbe un’umile schiava competere con la figlia del Faraone? Mossa da orgoglio Aida svela la sua vera identità di figlia del Re Etiope.

Dal fronte arrivano notizie di vittorie e Amneris costringe Aida ad assistere al trionfo dell’Egitto e alla sconfitta del suo popolo.

Scena Seconda. Nella città di Tebe: la porta è festosamente addobbata. I soldati e il popolo sono festanti.

Una marcia trionfale accoglie il ritorno vittorioso di Radamès. Come ricompensa, il Re gli concede qualsiasi cosa desideri. I prigionieri etiopi sono condotti al cospetto del Re. Tra di loro c’è anche Amonasro. Aida corre a ricongiungersi con il padre, tuttavia le loro vere identità rimangono ancora sconosciute agli egizi. Il Re Etiope è infatti dato per morto in battaglia.

Radamès, per amore di Aida, esprime il desiderio offertogli dal Re, e chiede il rilascio di tutti i prigionieri etiopi.
Il Re Amonasro, pieno di gratitudine verso Radamès, lo dichiara suo successore al trono, offrendogli la mano di Amneris.

Tutti i prigionieri etiopi vengono rilasciati tranne Aida e Amonasro. Essi sono trattenuti su consiglio del sommo sacerdote Ramfis. Ciò per evitare che gli etiopi cerchino la vendetta dopo la cocente sconfitta.

Atto III

La scena si sposta sulle rive del Nilo. E’ notte: si scorge sullo sfondo il tempio di Iside.

Mentre Ramfis conduce Amneris al Tempio per propiziare la dea alla vigilia delle nozze, Aida attende nascosta Radamès. Ma giunge prima suo Padre, che cerca di convincere la figlia a farsi dire dall’amato, quale via seguiranno le truppe egizie per invadere l’Etiopia.

Nonostante che il padre le rammenti con patetici accenti la patria lontana, Aida si ribella a lui (Rivredrai le foreste imbalsamate).

Giunge Radamès. Amonasro si nasconde. Aida propone all’amato di fuggire dall’Egitto. Radamès conosce un sentiero per arrivare in Etiopia: non sapendo di essere sentito egli indica le gole di Napatà. Appare Amonasro, si fa riconoscere, e Radamès capisce d’aver rivelato un segreto tradendo la sua patria.

Contemporaneamente sbuca Amneris proveniente dal Tempio, che sentendo anch’essa la parole di Radamès, grida al tradimento. Amonasro la vuole uccidere, ma Radamès lo ferma. Consegna poi la spada a Ramfis facendosi prendere prigioniero, mentre Amonasro fugge con Aida.

Atto IV

Scena Prima. Nella fastosa sala del palazzo del Faraone.

Amneris, sapendo che Radamès è innocente, lo supplica di discolparsi. Ma egli si rifiuta, condannandosi per l’incauto gesto. Durante il processo, egli tace, non pronunciando una sola parola in propria difesa.

Amneris si appella alla pietà dei Sacerdoti, ma nonostante il suo accorato appello, Radamès viene condannato a morte per alto tradimento. Viene portato nelle prigioni del Faraone.

Scena Seconda. L’interno del tempio di Vulcano e la tomba di Radamès. La scena è divisa in due piani: il piano superiore rappresenta l’interno del tempio splendente d’oro e di luce; il piano inferiore, un sotterraneo.

La condanna prevede che Radamès sia sepolto vivo. Radamès crede di essere solo nella sua cripta, ma poco dopo si accorge che Aida si è nascosta lì per poter morire insieme a lui. I due amanti confermano l’amore reciproco e accettano il loro triste destino. Mentre questi attendono che l’alba porti via le loro pene, Amneris piange e prega sopra la loro tomba.

Analisi musicale

Dopo il preludio, che già regala una tonale intimità drammatica, la successiva introduzione con l’aria: “Celeste Aida“, coniugano un Giuseppe Verdi essenziale e popolare piuttosto che emotivo, e di effetto. E’ una perfetta ed impressionante orchestrazione, che crea un continuo rapporto dinamico, distribuendolo sapientemente nella sua scelta timbrica e di colore, come scriveva Eduard Hanslick.

Nel procedere nella conoscenza dell’opera incontriamo uno struggente “allegro – giusto poco agitato”, che precede il “Numi, Pietà“, di Aida. E’ il vero diamante della produzione verdiana.

Quindi vi è la scena della consacrazione ed il finale che chiude il primo atto. Questo passaggio colorisce timbricamente l’orchestra, accelerandone armonicamente tutto l’impianto scenico e di canto, facendoci così capire cosa intendeva Verdi per Grand-Opéra.

Nel secondo atto

L’impatto che avvertiamo immediatamente nel secondo atto, con la sua introduzione, è quello di stabilire un nuovo modo stilistico. Impressionista nel proporre lo spartito e condividerne i fatti – sino alla danza dei piccoli mori.

Segue la scena tra Amneris e Aida nel suo drammatismo più letterale. Furore, pietà, dolore sono coniugati in maniera apertamente falsa e bugiarda. Cogliamo nell’arco musicale una calma fantastica nell’intonare: “Numi, pietà“, di Aida. Esso è immediatamente squarciato dal gran finale del secondo atto, con l’inno, la marcia trionfale e le danze. Grande spazio a quest’ultime, per il meraviglioso contributo sinfonico, l’ampiezza e la molteplice varietà dei loro inserti esotici.

Il gran finale con cui Giuseppe Verdi termina l’atto, lo porta a toccare vette altissime, come vero ed unico mito di questo periodo storico musicale. Popolare? …Anche! Ma unico nell’interpretare un rapporto così stretto e carico di pathos fra l’orchestra ed il palcoscenico. E’ un’osmosi che si chiude con la ripresa del tema della marcia trionfale. E’ semplicemente grandioso!

Nel terzo atto

Entrando in punta di piedi nel terzo atto, notiamo lo scorrere pacifico del Nilo. Davanti a noi si staglia un disegno impressionista, accompagnato dal musicare di un flauto, che è, fra i più suggestivi effetti timbrici del Verdi.

Lo strumento è magicamente suonato per ricordare il vellutato ed intimistico momento d’amore. E anche il momento più violentemente drammatico di quest’opera. Direi che questo il più musicalmente riuscito, dei quattro atti.

Ci attende ora il duetto Amonasro – Aida, fantasticamente composto da voci Verdiane, con l’ “andante assai sostenuto”, che introduce: “Pensa che un popolo vinto“. Qui la voce del baritono vien tenuta ppp. (piano pianissimo), con un malcelato grido, preparando la successiva scena di Aida e Radamès, colma di un particolare rilievo drammatico e psicologico che ritroviamo anche alla fine dell’atto, con discrepanze tenorili di effetto e di sostanza.

Nel quarto atto

Entrando nel quarto atto rileviamo una straordinaria e misurata, quanto calibrata, concertazione di taluni Leitmotive, concernenti il personaggio di Amneris. La principessa combattuta tra l’amore per Radamès e la ragion di stato, si esprime in finezze vocali tradotte in grida e singhiozzi. Vi è un drammatismo che esalta senza soffocare una vasta tessitura vocale. Continuando con l'”allegro agitato” “Chi ti salva sciagurato“, con un andamento strofico da cabaletta.

Successivamente arriva in scena il Gran Sacerdote accompagnato dal suo regale seguito. Amneris in attesa della cerimonia politico-religiosa, mantiene quell’impulso iroso contro i rituali sacrificali del Gran Sacerdote e della Corte. Qui vi è un colpo di genio del Maestro che capovolge di fatto tutte le precedenti e fastose scene. Amneris intona la romanza: “Oh infami! Ne’ di sangue son paghi giammai. E si chiaman ministri del ciel“.

Il gran finale

Ora seguiamo il gran finale nelle sottostanti celle – con l’analisi della scena – recitativo: “La fatal pietra sovra me si chiuse“. E il duetto: “O terra addio“. Radamès cammina nell’oscurità e nel silenzio più profondo, quando intravede una figura venirle incontro. E’ Aida. Ella spiega a Radamès di aver presagito la sua condanna e di essersi introdotta nella tomba per morire assieme a lui. Aida intona: “Presago il core della tua condanna“.

L’accompagnamento orchestrale è una successione di minime sul re, eseguite dai clarinetti bassi, fagotti, viole e dai violoncelli rinforzati dalla gran cassa che illustra l’effetto espressivo e funebre. Segue un rintocco di campane come presagio di morte.

Continuando ad analizzare la melodia: “O terra addio“, attraverso il suo ripetuto ascolto, entriamo nella cabaletta finale. E’ uno straordinario finale, uno dei più grandi nella storia dell’opera. Notiamo che questa melodia vien ripetuta ben 12 volte, prima da Aida, poi da Radamès ed infine all’unisono da entrambi.

Contemporaneamente udivamo il canto sacro dei sacerdoti inneggiare: “Immenso Fthà“, dedicato agli Dei dell’Egitto.

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Commento

Le considerazioni ovviamente sono d’obbligo quando si pensa che in Baviera viveva Richard Wagner che con le sue liriche ed i suoi poemi creava un nuovo modo di concertare. Per questo possiamo ipotizzare che all’epoca ci fossero forti diatribe e parallelismi tra le musiche dei due Grandi e Geniali musicisti. Ma abbiamo ragione di credere che, leggendo gli spartiti dell’uno e dell’altro nell’epoca dell’Aida, entrambi espressero la propria genialità, creando e cercando nuove sperimentazioni di ordine armonico ed orchestrale.

Percorsero quindi la stessa strada, ma con una diversa visione e con una diversa bellezza musicale. Giuseppe Verdi lo fece con sfarzose parate, marce trionfali dai colori accesi, con la sua diligente elaborazione tecnica, creando una unità di stile, e quella coscienziosa e drammatica linea, che troveremo nelle sue opere, sino ad Otello.

Di contro il grande tedesco creò quella linea epica – mitologica e fantastica del Mito Teutonico, sdoganando così tutta una serie di drammi contenuti nella storia e nella letteratura Germanica. Si tratta du musica potente ed imperativa, adatta al sentir del suo popolo.

Mentre il Verdi, allunga la schiera dei grandi musicisti italiani, implementando le pagine del nostro “Melodramma”.

Altra musica in Europa? Certamente SI’! Un modo di concepire e di proporsi a nuove ed opposte idee nel moderno sentire. Innovare è il credo, di questo nuovo periodo musicale.

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Storia del Libro https://cultura.biografieonline.it/storia-del-libro/ https://cultura.biografieonline.it/storia-del-libro/#respond Wed, 24 Feb 2016 14:09:08 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16719 I libri rappresentano una delle più curiose esternazioni della ratio umana: fin dalla preistoria è prevalso il desiderio di lasciare traccia dell’umano pensiero, di concretare la realtà astratta dell’idea attraverso l’uso di segni impressi su una superficie. La storia del libro varia unicamente nel supporto, tuttavia ha sempre accompagnato il pensiero evolvente dell’umanità, trasformando una necessità nella nobile arte della scrittura.

Storia del libro: Papiro
Papiro: un’illustrazione dal Libro dei morti

Il papiro

La pianta di Cyperus papyrus L (papiro egiziano) era raccolta e lavorata: suddetto procedimento richiedeva l’estrazione del midollo che, dopo la sagomatura in strisce sottili, era intrecciato e poi infine bagnato, seccato e battuto fino all’ottenimento di fogli piani.
A questo punto della preparazione il papiro assumeva le sembianze di un foglio, divenne libro solo con l’incollatura di più pagine in parallelo fino a formare una lunga striscia orizzontale, su cui la scrittura procedeva per una serie di linee incolonnate.

Su queste pagine lo scriba, figura riguardante il sacro perché “padrone della sapienza dello scrivere”, si serviva della scrittura ieratica.
Il papiro divenne libro sacro con la diffusione del “Libro dei morti e della rinascita“, raccolta di formule e rituali che, a partire dalla XVIII dinastia, era collocata nel sarcofago della mummia per consentirgli di raggiungere l’aldilà.

L’uso del papiro e la concezione di uno scrivere alto durarono per molti secoli: nel mondo bizantino l’impiego del papiro era ampiamente diffuso ancora nel II millennio d.C., dove chi scriveva, nell’ambito della cancelleria imperiale, era considerato una persona eletta.

Volumen
Volumen

Il Volumen

L’utilizzo del papiro a rotoli fu ereditato dal mondo greco e romano: il termine latino volumen deriva da volvere, arrotolare.
Il volumen era una striscia di papiro scritta a colonne di linee parallele su un solo lato e arrotolato intorno a un bastoncello (umbilucus) in avorio o legno, terminante agli estremi con dei pomelli (cornua), cui era appeso un cartoncino (titulus) nel quale era riportato l’argomento de libro. Il papiro era custodito e arrotolato in un astuccio cilindrico (capsa o theca).

Mausoleo di Galla Placidia - Lunetta musiva di San Lorenzo - Ravenna
Mosaico presente nel Mausoleo di Galla Placidia (Ravenna): Lunetta musiva di San Lorenzo

Nella prima metà del V secolo d.C. la lunetta musiva di San Lorenzo nel Mausoleo di Galla Placidia, a Ravenna, mostra una “bliotheca” (l’armadio continente i volumina), testimoniando simultaneamente l’altra evoluzione conclusiva dell’avvicinamento all’attuale forma di libro, quella dal volume al codex.

Il codice

Il passaggio dal volumen al manoscritto “trova la sua ragione storica nella prima metà del II secolo a.C., quando, secondo la tradizione, la riduzione delle esportazioni di papiro dall’Egitto induce Eumene II re di Pergamo, il centro che compete con Alessandria per il possesso della maggior biblioteca de mondo antico, a incentivare la produzione della pergamena” (GUALDONI).

La pergamena, conosciuta tra i latini come “membrana”, era ricavata dalla pelle di montone, pecora o capra inseguito a un trattamento con acqua e calce; posta su un telaio ed essiccata in tensione, la membrana, era levigata con una pietra pomice e in alcuni casi colorata.

Rispetto al papiro, la pergamena, richiedeva un costo del materiale e della manodopera maggiore, svantaggio compensato dalla straordinaria durabilità e robustezza, era inoltre riscrivibile: “con latte e crusca si può lavare la pergamena […] I Greci chiamavano la pulizia della pergamena “palin psao”, “raschio nuovamente”, e noi chiamiamo di conseguenza “palinsesto” il foglio di riutilizzo” (GUALDONI).

La forma tendenzialmente rettangolare della pergamena indusse a un taglio e a una piegatura delle pagine che portava inevitabilmente e per ragioni di praticità alla sovrapposizione dei fogli, in altre parole rettangoli tutti uguali, legati insiemi e scritti su entrambi i lati. Nasceva così il “codex”.

Miniatura - Manoscritto miniato
Un manoscritto miniato

Scriptoria

Lo scriptorium monastico esercitava un fervido monopolio sulla produzione libraria, qui i monaci si esercitavano nella lingua latina, tanto sui testi sacri tanto sui testi pagani, fino al raggiungimento di un livello di conoscenza tale da renderli dei “copisti provetti”.
A capo dello scriptorium vi era l’”armarius”, un monaco dalla grande esperienza che svolgeva molteplici compiti come: assegnare il lavoro, controllare i tempi di produzione e la resa della copiatura.

Il monaco cui era affidato l’elevato compito di copiare dei testi, lavorava poggiando un quaderno di fogli di pergamena su un leggio inclinato che consentiva di tenere la penna d’oca opportunamente orientata e di evitare le macchie.

Una volta concluso il lavoro di copiatura il testo era riletto e paragonato con il testo originale, per poi terminare in legatoria, dove le pergamene erano legate tra di loro e dotate di due coperte.

La stampa

Nella seconda metà del 1300 si diffuse una tecnica di stampa nota come “xilografia” (dal greco xilon, legno, e graphein, scrivere). Tale tecnologia permetteva la riproduzione in serie d’immagini e rappresentava perfettamente “il precedente concettuale perfetto della stampa a caratteri mobili” (GUALDONI).

Una tavoletta di legno era incisa in modo tale da far emergere una figura in rilievo, quest’ultima parte era inchiostrata e premuta con un tampone su un pezzo di carta. Ben presto oltre alle immagini si aggiunsero delle linee di testo, in un primo momento scritte a mano e poi incise direttamente nel corpo della tavola.

L’opera d’incisione era imprecisa e lenta, imparagonabile con la qualità delle opere manoscritte e miniate. Queste difficoltà alimentarono nuove suggestioni nell’ambito dell’arte del libro: tra i rilegatori si diffuse l’usanza di imprimere con punzoni metallici decorazioni, singole lettere e brevi testi, da cui lo stesso Johann Gutenberg (1399 – 1468) trasse spunto per il suo operato.

Volantini e pubblicazioni settimanali

Già nel corso del Quattrocento era consuetudine distribuire fogli stampati singolarmente o all’interno di fascicoli: dal 1588 al 1598 Michaël Eytzinger (1530 – 1598) pubblicò, per due volte l’anno, un volume che raccoglieva la cronologia degli avvenimenti principali del semestre, tali volumi erano poi venduti in occasione della fiera di Francoforte in autunno e in primavera.

All’inizio del Settecento iniziarono a diffondersi le gazzette: le più antiche copie giunte fino a noi risalgono al 1609 e sono dell’”Avisa Relation oder Zeitung”, pubblicate ad Augusta e Strasburgo.
Le pubblicazioni settimanali iniziarono a fiorire in Germania, Inghilterra e Francia con le “Nouvelles ordinaires de divers endroits” (1631), dei fratelli Vendome, la “London Gazzette” (1665) e la “Boston News Letter” (1704).

Note Bibliografiche
F. Gualdoni, Una storia del libro, dalla pergamena a Ambroise Vollard, Skira, Milano, 2008

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I geroglifici e la loro decifrazione https://cultura.biografieonline.it/geroglifici/ https://cultura.biografieonline.it/geroglifici/#comments Wed, 16 Sep 2015 10:02:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15091 Con il termine geroglifici si intende il sistema di scrittura utilizzato dagli antichi Egizi. Essa è composta da segni grafici, incisi o dipinti, che ritraggono innumerevoli figure reali, uomini, animali, vegetali, oggetti, più o meno stilizzati, e le loro azioni.

geroglifici

Etimologia

Il termine geroglifico deriva dal latino hieroglyphicus, derivato a sua volta dal greco hieroglyphikós, ovvero “segni sacri incisi”, composto dall’aggettivo hieròs, che significa “sacro” e dal verbo glýphō, che significa “incidere”.

Champollion e la Stele di Rosetta

La chiave esatta che permise di decodificare i geroglifici venne scoperta dall’archeologo ed egittologo francese Jean François Champollion (1790-1832). La sua geniale intuizione fu esposta per la prima volta all’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi, il 27 settembre 1822.

Fondamentale era stata la scoperta della Stele di Rosetta, una lastra di granodiorite (una roccia simile al granito) recante un decreto del sovrano egizio Tolomeo V Epifane, scritto in 3 lingue differenti: geroglifico, demotico e greco. Grazie alle sue conoscenze della lingua copta, Champollion trovò la corrispondenza tra il testo scritto in demotico (simile al copto) e quello in greco e, successivamente, da questo decifrò il geroglifico.

Champollion
Jean François Champollion, detto Champollion il Giovane (1790-1832)

Le scoperte di Champollion

La tavola di corrispondenza tra i segni delle tre scritture della Stele di Rosetta, elaborata da Champollion, smentì le vecchie ipotesi che ritenevano il geroglifico un tipo di scrittura soltanto figurativa. Essendo infatti le sole figure inadeguate ad esprimere la complessità del linguaggio (per esempio i concetti astratti e la collocazione di un evento nel tempo), Champollion rivelò che i geroglifici rappresentavano anche caratteri fonetici e nel 1824 presentò il suo “Resoconto del sistema geroglifico degli antichi Egizi” che conteneva inoltre la prima lista di faraoni con i rispettivi anni di regno.

Champollion espose il sistema della scrittura egizia, composta da segni fonetici e ideografici: i segni fonetici sono i segni che indicano una consonante, a cui si aggiungono i segni che indicano due o tre consonanti; i segni ideografici invece indicano direttamente la figura rappresentata.

Dettaglio del sarcofago di Ankhnesneferibra
Dettaglio del sarcofago di Ankhnesneferibra

In onore di Champollion è stato inaugurato a Figeac, sua città natale, il Museo Champollion, nel quale è possibile ripercorrere le tappe della sua vita e del suo lavoro, oltre che la storia della scrittura nel mondo, dalla sua nascita, all’invenzione dell’alfabeto e del libro, dalla pergamena all’informatica. È stato inoltre assegnato il suo nome ad un cratere sulla superficie della Luna.

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La Stele di Rosetta https://cultura.biografieonline.it/stele-di-rosetta/ https://cultura.biografieonline.it/stele-di-rosetta/#comments Thu, 02 Jul 2015 14:42:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14653 La Stele di Rosetta è una lastra di granodiorite (una roccia simile al granito) recante un decreto del sovrano egizio Tolomeo V Epifane, emesso nel 196 a.C., che istituiva il culto divino del nuovo sovrano. La fondamentale importanza di questa stele risiede nel fatto che il testo inciso su di essa è lo stesso, scritto in 3 lingue differenti: geroglifico, demotico e greco. Demotico e geroglifico non sono propriamente due lingue diverse, ma due differenti grafie della lingua egizia. Essendo il greco conosciuto, la stele rappresentò lo strumento decisivo per la comprensione dei geroglifici.

Stele di Rosetta
Il testo inciso sulla Stele di Rosetta, scritto in geroglifico, demotico e greco

Origine del nome

La stele deriva il suo nome da un’antica città egiziana sul delta del Nilo, il cui nome latinizzato è appunto Rosetta, oggi nota come Rashid, situata sulla costa del Mar Mediterraneo, a circa 65 Km a est di Alessandria. Rosetta si trova sulla riva sinistra del ramo occidentale del delta del Nilo, detto appunto “ramo di Rosetta”.

La scoperta

La storia della stele è collegata a Napoleone Bonaparte e alla Campagna d’Egitto, intrapresa per colpire i traffici commerciali inglesi in quella zona. Della spedizione facevano parte anche numerosi studiosi e scienziati, che avevano l’incarico di acquisire le conoscenze della storia egizia. La stele fu rinvenuta nella città di Rosetta (oggi Rachid) il 15 luglio 1799. Il ritrovamento avvenne mentre erano in corso i lavori di costruzione delle fortificazioni della città.

Il ritrovamento della stele di Rosetta è comunemente attribuito al capitano francese Pierre-François Bouchard, anche se non fu lui che trovò personalmente la stele. L’identità del soldato che la rinvenne ci è purtroppo ignota. Bouchard comprese subito l’importanza della lastra. Così, in accordo con il generale Jacques François Menou, decise di trasferirla ad Alessandria, per metterla a disposizione degli studiosi.

Quando i francesi si arresero, dovettero consegnare agli inglesi tutti i reperti rinvenuti durante la Campagna. Dopo lunghe trattative, ai francesi venne permesso di tenere solo disegni e appunti fatti prima di imbarcarsi ad Alessandria. La stele, una volta ritornata in Inghilterra, fu esposta al British Museum di Londra, dove è custodita dal 1802 ed esposta al pubblico.

The Rosetta Stone British Museum
La Stele di Rosetta esposta al British Museum di Londra

Dimensioni della Stele di Rosetta

La stele è alta circa 114 centimetri nel suo punto più alto, larga circa 72 centimetri e spessa 27 centimetri. Il suo peso è di circa 760 chilogrammi.

La Stele di Rosetta è uno dei reperti archeologici più importanti dell’archeologia moderna. Essa ha permesso di decodificare i geroglifici, il sistema di scrittura utilizzato dagli antichi Egizi, uno dei più grandi misteri della storia di una grande civiltà.

Rosetta Stone
La Stele di Rosetta da vicino. Image Credit © Hans Hillewaert
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La guerra dei sei giorni https://cultura.biografieonline.it/guerra-sei-giorni/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-sei-giorni/#comments Thu, 14 May 2015 22:59:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14253 Il 6 giugno 1967 il comandante del 55° paracadutisti dell’aviazione israeliana fece un annuncio storico alle sue truppe. Gli disse che sarebbero stati i primi ad entrare a Gerusalemme. La città santa che tutti gli israeliani sognavano di poter abitare e che le truppe israeliane riuscirono a conquistare il secondo giorno del conflitto conosciuto come la “Guerra dei sei giorni“.

La Guerra dei 6 giorni
La Guerra dei sei giorni ebbe luogo dal 5 al 10 giugno 1967 e vide l’esercito di Israele combattere e vincere in breve tempo contro Egitto, Siria e Giordania.

I primi scontri militari iniziarono il 5 giugno del 1967 e terminarono il 10 giugno con la vittoria di Israele su Egitto, Siria e Giordania. Israele dimostrò la forza dirompente del suo esercito e della sua aviazione e conquistò la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza che appartenevano al territorio Egiziano, la Cisgiordania e Gerusalemme che appartenevano alla Giordania e le alture del Golan che erano governate dalla Siria.

Le conseguenze del conflitto moltiplicarono il territorio occupato da Israele e influenzarono per molti anni i rapporti fra gli Stati medio orientali.

La conquista più importante fu quella di Gerusalemme. Una vittoria importantissima per le truppe dislocate sul territorio di guerra, non solo perché galvanizzò l’esercito e i cittadini di un giovane stato israeliano circondato da governi ostili ma anche perché permise agli israeliani di religione ebraica di appropriarsi di luoghi sacri come il Monte del Tempio, conosciuto anche come la Spianata delle moschee e il Muro del Pianto.

Israele conquistò un ampio territorio, dimostrò a quale livello era arrivata la sua forza e la sua organizzazione militare e impose al mondo una politica estera composta dalla minaccia militare e dal controllo dei territori conquistati con la forza delle armi.

Prima della Guerra: la situazione in Egitto

Il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser decise, nel maggio del 1967, di dislocare le sue truppe lungo il confine con Israele. La motivazione che lo indusse a prendere una tale decisione, pare furono dei dispacci provenienti dai servizi segreti sovietici che lo avvertivano di strani movimenti delle truppe israeliane vicino ai suoi confini.

Gamal Abd el Nasser
Gamal Abd el Nasser

Nasser decise anche di ammassare parte del suo esercito nel Sinai, nella zona di Sharm el – Sheikh e, punto fondamentale, sugli stretti di Tiran, decidendo in seguito, malgrado le minacce israeliane, di chiuderli.

Dopo la decisione di chiudere gli stretti alle navi israeliane, di fatto una dichiarazione di guerra, Nasser firmò con re Hussein di Giordania un patto di reciproco aiuto nel caso in cui uno dei due firmatari, avesse subìto un attacco militare. La risposta israeliana non si fece attendere. Il 1° giugno venne formato un governo di unità nazionale con lo scopo di difendere i confini dello Stato da attacchi militari e ripristinare la libera circolazione attraverso gli stretti di Tiran. Il 4 giugno il governo ordinò allo Stato maggiore di attaccare l’Egitto.

I giorni di guerra

La guerra scoppiò nelle prime ore del mattino del 5 giugno, quando l’aviazione israeliana bombardò e distrusse gran parte della flotta aerea egiziana. Con il nome di Operazione Focus gli israeliani, in poche ore, misero in ginocchio l’aviazione egiziana distruggendo anche le piste per il decollo degli aerei e poi annientarono l’aviazione siriana, permettendo così al proprio esercito di muoversi liberamente senza il timore di un attacco dal cielo.

Gli israeliani non attaccarono l’aviazione giordana, perché erano convinti che re Hussein sarebbe rimasto neutrale, grazie all’intervento degli Stati Uniti. Ma non fu così, perché re Hussein fu male informato dalla propaganda egiziana, la quale sbandierava successi mai ottenuti contro l’esercito israeliano.

Israele e la Guerra dei sei giorni
Un grafico che mostra l’attacco di Israele il 5 giugno 1967 in Cisgiordania

Tale propaganda lo indusse a decidere di attaccare i confini di Israele. Decisione di cui si pentì amaramente. Lo Stato Maggiore giordano diede, quindi, l’ordine di bombardare Gerusalemme Ovest e Tel Aviv e poi di bombardare tre basi aeree israeliane. La risposta israeliana azzerò le forze dell’aviazione giordana, distruggendo anche le basi aeree di Mafraq e Amman.

Nel pomeriggio l’esercito rispose all’attacco su Gerusalemme Ovest, bombardando la parte est della città santa e preparandosi all’invasione del giorno dopo. Nel frattempo le truppe entrarono in Cisgiordania conquistandola definitivamente, mentre la fanteria e i mezzi corazzati israeliani si muovevano verso Gaza e la penisola del Sinai.

L’esercito egiziano non aveva più copertura aerea ma manteneva ancora la superiorità numerica rispetto a quello israeliano, benché quest’ultimo avesse una miglior dotazione di mezzi e un coordinamento più rapido ed efficace rispetto ai suoi nemici. E questo fece la differenza, perché gli israeliani avanzarono compatti su tutto il fronte ovest sbaragliando tutte le resistenze egiziane e in particolare distruggendo l’importante roccaforte di Abu Ageila.

Questa azione, rapida e inaspettata, costrinse l’esercito egiziano ad organizzare un rapido ritiro fino al canale di Suez, lasciando all’esercito israeliano il vantaggio di colpire le truppe nemiche mentre si ritiravano.

L’ordine del Feldmaresciallo e capo dell’esercito egiziano Hakim Amer di far ritirare rapidamente le truppe, fece precipitare nel panico i comandanti delle divisioni, regalando un vantaggio notevole agli israeliani che non avevano immaginato di poter sbaragliare il loro principale nemico in così poco tempo.

Durante la mattinata del 6 giugno i paracadutisti israeliani erano fuori le mura di Gerusalemme, pronti all’invasione. Mentre in Cisgiordania gli scontri con l’esercito giordano stavano determinando vittorie e sconfitte su entrambi i fronti. Il vantaggio israeliano però si manifestò con l’arrivo dell’aviazione, che non subendo alcun contrasto dagli Hawker Hunter giordani, i quali erano stati distrutti il giorno prima, poté bombardare la fanteria giordana senza troppi problemi.

Ciò permise alle truppe corazzate e alla fanteria israeliana di avanzare su Jenin e Ramallah. Il giorno successivo entrambi gli eserciti, egiziano e giordano, erano battuti. I paracadutisti israeliani entrarono nella zona vecchia di Gerusalemme, tappa più importante e di gran lunga la più simbolica di tutta la guerra, mentre re Hussein chiedeva trattative di pace segrete con il governo di unità nazionale israeliano.

Sul fronte egiziano la confusione era totale e alla fine del conflitto gli egiziani si trovavano oltre il canale di Suez e con la certezza di aver perso il Sinai. A questo punto gli israeliani proseguirono il loro inseguimento giungendo fino ai passi di Giddi e Mitla con lo scopo di sbarrargli la strasa. Si preparava così lo scontro dell’8° giorno.

Verso la fine della giornata ci furono diverse incursioni aeree da parte israeliana contro le difese siriane del Golan. Gli israeliani si preparavano a conquistare anche quel territorio.

Le fasi finali della guerra dei sei giorni

L’8 giugno ci fu la resa dei conti fra egiziani e israeliani. Fanteria e mezzi corazzati si scontrarono vicino ai passi di Giddi e Mitla. La sconfitta per gli egiziani fu totale, con un ingente perdita di uomini e la cattura di molti prigionieri. Quasi tutti i carri armati e i cannoni dell’artiglieria furono distrutti. Anche gli israeliani subirono delle perdite ma la sconfitta degli egiziani fu catastrofica.

Per evitare il peggio il presidente Nasser accettò la proposta del cessate il fuoco lanciata dall’ONU. La guerra era di fatto finita: giordani, egiziani e siriani erano pronti a firmare la pace ed accettare i compromessi che ne sarebbero derivati. Tuttavia gli israeliani vollero approfittare del loro vantaggio militare conquistando anche il Golan.

Dopo un pesante bombardamento delle alture, i mezzi corazzati israeliani avanzarono distruggendo le difese nemiche. Il percorso accidentato non fu facile da affrontare, mentre i siriani lanciavano i loro attacchi; tuttavia alla fine della giornata gli israeliani avevano conquistato anche il Golan mettendo fine ad un conflitto dall’esito totalmente inaspettato. Il giorno seguente, 10 giugno, anche Israele accettò il cessate il fuoco.

Conclusioni

Dopo il cessate il fuoco fu chiaro che Israele non aveva alcuna intenzione di ritirarsi dai territori occupati. Il suo esercito aveva conquistato le alture del Golan sottratte alla Siria, la striscia di Gaza e la penisola del Sinai all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est alla Giordania.

Gli Stati Uniti chiesero il ritiro immediato delle truppe dai territori occupati ma per Israele questa nuova situazione geopolitica era indubbiamente favorevole e poneva la questione dei suoi confini al centro dei temi che occupavano le diplomazie del mondo.

L’Onu, come era sua tradizione, trovò un compromesso che scricchiolava ma che venne accettato dai paesi arabi e da Israele: il ritiro dai territori qual ora si fosse ottenuta una pace duratura e la sicurezza che alcune fazioni palestinesi non avrebbero continuato ad organizzare attacchi terroristici contro i territori e i cittadini israeliani. Una proposta vaga che difficilmente avrebbe potuto essere onorata; difatti la situazione dei territori occupati continuò a rimanere irrisolta per molti anni, influenzando la vita e il destino di migliaia di persone.

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Perché gli egizi costruirono le piramidi? https://cultura.biografieonline.it/piramidi-perche-furono-costruite/ https://cultura.biografieonline.it/piramidi-perche-furono-costruite/#comments Wed, 13 Nov 2013 20:55:16 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8577 Secondo numerose ricerche effettuate da studiosi ed archeologi, gli abitanti dell’Antico Egitto usavano costruire durante L’Antico e Medio Regno, piramidi erette come veri e propri monumenti funerari al di sopra della tomba del sovrano.

Le piramidi nella piana di Giza
Egitto: le piramidi della piana di Giza, presso Il Cairo

In questo senso le piramidi erano considerate dei monumenti funebri destinati ad ospitare faraoni e nobili, tumulati insieme a tutte le loro ricchezze. Secondo altre fonti, antiche, invece le piramidi venivano erette per custodire e tramandare, impresse nella pietra, tutto il bagaglio di conoscenze astronomiche, matematiche e geografiche che erano in possesso dell’antico popolo egizio. Alla costruzione di tali strutture partecipavano architetti, ingegneri, matematici ma soprattutto operai e gli schiavi che eseguivano la costruzione materiale, seguendo le dritte impartite.

Le piramidi egizie avevano base quadrata e quattro facce lisce che congiungevano gli spigoli della base al vertice, costituito dal pyramidion. Per la costruzione di tale struttura, gli egizi impiegavano circa vent’anni di lavoro e venivano erette sulla sponda sinistra del fiume Nilo meno soggetta ad esondazioni.

La piramide di Cheope
La piramide di Cheope

La più importante piramide è senza dubbio quella del Faraone Cheope, unica delle sette meraviglie del mondo antico pervenuta intatta fino ai giorni nostri. Alta ben 147 metri, è situata a Giza, vicino al Cairo. Per la costruzione di tale piramide sono stati adoperati ben 2.500.000 blocchi di pietra e all’incirca 400.000 uomini, in particolare ben 4000 artigiani specializzati nel taglio della pietra.

Tra le altre piramidi erette a Giza, ricordiamo anche quella di Chefren e di Micerino costruite in onore della scomparsa di questi due potenti faraoni e l’imponente piramide dedicata a Djoser, faraone della terza dinastia egizia che la volle fermamente e che venne progettata dall’architetto Imhotep.

Piramide di Chefren - sommità
La piramide di Chefren

Gli egiziani avrebbero scelto tale forma per la costruzione delle tombe funerarie dei faraoni, perché a detta loro, una costruzione così si innalzava al cielo e quindi dava la possibilità allo spirito di comunicare con gli dei.

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L’araba fenice https://cultura.biografieonline.it/araba-fenice/ https://cultura.biografieonline.it/araba-fenice/#comments Sat, 12 Oct 2013 17:42:12 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7961 Per gli antichi egiziani, devoti a Ra, il dio Sole, esisteva un uccello sacro, la fenice, simile ad un airone ed originario dell’Etiopia, la cui vita durava 500 anni. Alla fine della sua esistenza, l’uccello si poneva alla ricerca di erbe aromatiche con le quali costruire un nido che, ultimato, sarebbe divenuto un rogo dal quale lasciarsi avvolgere e morire. Dalle sue ceneri nasceva una nuova fenice che volava al tempio del Sole, nella città di Eliopoli, in Egitto, per riceverne la consacrazione e tornare in Etiopia per iniziare la sua lunga esistenza. Di seguito una foto simbolica dell’araba fenice.

Immagine dell'araba fenice
Un’illustrazione rapprsentante l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri

La più antica tradizione lo vedrebbe innalzarsi dalle acque, in stretta similitudine con il sorgere (ed il tramontare) del sole. Gli egizi le dedicano ben quattro fra le più importanti piramidi, da quella di Cheope, a Giza, “dove il sole sorge e tramonta”, alle altre ad Abusir: quelle di Sahure, “splendente come lo spirito-Fenice”; di Neferikare, “dello spirito Fenice” e di Reneferef, “divina come lo spirito Fenice“.

La potenza evocativa del concetto morte-resurrezione o, se si vuole, di morte come fonte di vita, come forza rigenerante, comune a molte culture e religioni, ha fatto sì che la fenice affascinasse, contaminandole, tutte le civiltà che si sono succedute a partire da quella egiziana. Si trova una prima traccia della fenice nell’VIII secolo a.C., nell’ermetico frammento 50 del poeta greco Esiodo (dalla traduzione del 1929 di Ettore Romagnoli):

Di nove uomini forti così la ciarliera cornacchia
vive la vita; il cervo di quattro cornacchie, e il corvo
diventa vecchio quanto tre cervi. La fenice, poi, vive
per nove corvi; per dieci fenici viviamo noi Ninfe,
ricciole belle, figlie di Giove dell’egida sire.

Ne torna a parlare, nel V secolo a.C., Erodoto, greco anch’egli e storico, di Alicarnasso, che pare attingere dal logografo Ecateo di Mileto, il quale la fa giungere dall’Arabia ed al quale si deve, pertanto, la denominazione di “Araba Fenice”:

Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l’ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall’Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull’altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale . E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un’aquila…”.

L’araba fenice nella cultura

Nella cultura romana la Fenice esordisce e penetra, come simbolo di immortalità, attraverso Ovidio, (“Le metamorfosi”), seguito da Marziale, Plinio il Vecchio e Tacito, lasciando testimonianza di sé in molti antichi mosaici e sulle monete coniate dall’imperatore Adriano, quale emblema di grandiosa ed immortale potenza. Ultimo rappresentante della cultura latina ad occuparsene è Claudiano, originario di Alessandria d’Egitto, nel IV secolo a.C.

Anche la cultura ebraica rimane suggestionata dalla fenice al punto da riservarle un ruolo nel racconto della stessa genesi dell’umanità: Eva, dopo essere stata scacciata dall’Eden e trasformata in comune mortale, fa in modo che tutti gli animali colgano a loro volta il frutto proibito e condividano, pertanto, la sua stessa sorte. Soltanto Milcham (questo il nome ebraico della fenice) non cede alla tentazione guadagnandosi così il favore divino con una vita lunghissima (in questo caso di mille anni) e la rigenerazione dalle proprie ceneri.

Il cristianesimo, a sua volta, fa propria la sua figura facendola assurgere ad allegoria di Cristo e della resurrezione, a simbolo protocristiano di immortalità attraverso la morte e la nuova vita che ne segue. I primi scritti di autori cristiani che ne testimoniano l’influenza sono il “De carnis resurrectione” di Tertulliano e il “De ave phoenice”, attribuito a Lattanzio.
Ritroviamo ancora la fenice persino nella “Divina Commedia”, dove Dante – ispirandosi proprio a Ovidio – la colloca in un passo dell’Inferno (Inf. XXIV 106-111):

Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa;
erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce.

Ma il mitico uccello ha influenzato un po’ tutte le antiche civiltà nel mondo, attraversando i continenti dall’Africa all’Europa, dall’Asia alle Americhe, mutando il nome e qualche sfumatura nella leggenda, ma continuando a perpetuare, sempre e dovunque, il sogno di immortalità dell’uomo con il concetto stesso della vita che non finisce ma che, nella morte, si purifica per ricominciare. La sua apoteosi è nella tradizione alchemica che la identifica con la stessa, mitica, pietra filosofale.

La fenice come musa

Fra le muse ispiratrici di artisti e letterati di tutti i tempi, l’araba fenice è stata certamente fra le più feconde: ne parla Giordano Bruno, che la definisce “Unico augel del sol”; per Torquato Tasso è “immortal, innocente, unico augello, che della morte sua rinasce e vive”; William Shakespeare le dedica il piccolo poema “La Fenice e la tortora”; Baudelaire la evoca nei suoi “Fiori del male”. Straordinaria è la sintesi di Pietro Metastasio il quale, nell’esprimere lo scetticismo moderno nei confronti dell’Araba Fenice (parlando dell’infedeltà in amore), scrive: “E’ la fede degli amanti/ come l’araba Fenice,/ che vi sia ciascun lo dice,/ dove sia nessun lo sa”.

Pietro Metastasio
Pietro Metastasio

Questi versi del sacerdote-poeta romano, vissuto nel 1700, sono divenuti felicemente proverbiali e sono ancora oggi in uso nella nostra lingua: si parla, infatti, di “araba fenice” quando ci si vuol riferire a soggetti che tutti citano ma che nessuno ha mai visto.

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