disastri ambientali Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 03 Oct 2024 10:21:30 +0000 it-IT hourly 1 Energia nucleare: perché è potente e perché è pericolosa? https://cultura.biografieonline.it/energia-nucleare-potente-pericolosa/ https://cultura.biografieonline.it/energia-nucleare-potente-pericolosa/#comments Wed, 02 Oct 2024 09:20:43 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42424 L’energia nucleare è una forma di energia potentissima. Tuttavia è una delle fonti energetiche più controverse del nostro tempo. Da un lato, offre incredibili valori di potenza ed efficienza. Dall’altro, comporta rischi altissimi.

In questo articolo, esploreremo perché l’energia nucleare è così potente e al contempo pericolosa.

Energia nucleare - Illustrazione
Energia nucleare – Illustrazione

Premesse storiche

Un chilo di combustibile nucleare (uranio e plutonio) può produrre un’energia pari a 3 milioni di chili di carbone.

Nei reattori nucleari i nuclei dell’uranio vengono bombardati con particelle chiamate neutroni.

Questi rompono il nucleo degli atomi di uranio trasformandoli in nuclei più piccoli: in tal modo si libera un’enorme quantità di energia.

Il primo reattore nucleare fu costruito a Chicago (USA) nel 1942, grazie alle ricerche e agli esperimenti svolti dal fisico italiano Enrico Fermi, che per primo produsse energia nucleare mediante una controllata reazione a catena dell’uranio.

In brevissimo tempo, purtroppo, l’energia nucleare e i suoi studi si rivolsero in direzione degli scopi bellici.

Nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, le prime bombe atomiche furono scagliate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki: uno degli episodi più tristi e sconcertanti della storia moderna.

Hiroshima, 6 agosto 1945: lo scoppio della bomba atomica
Hiroshima, 6 agosto 1945: lo scoppio della bomba atomica

La reazione nucleare causa, oltre all’energia, l’emissione di radiazioni che oltre una certa soglia diventano mortali per gli esseri viventi.

Una foto di Hiroshima rasa al suolo dalla bomba atomica
Una foto di Hiroshima rasa al suolo dalla bomba atomica

Ecco perché i reattori delle centrali nucleari sono protetti da spessi scudi per impedire la fuoriuscita di radioattività.

Il 27 aprile 1986, in Ucraina, uno dei quattro reattori della centrale di Chernobyl esplose causando un disastro ambientale.

Chernobyl, la centrale nucleare
Chernobyl, la centrale nucleare

Venne sprigionata una radioattività pari a quella della bomba atomica su Hiroshima.

Gli effetti si fecero sentire in tutta Europa – anche in Italia, e riguardarono la salute degli abitanti, i terreni e i raccolti.

L’incidente segnò l’avvio di un aspro dibattito sull’energia nucleare che portò a una maggiore consapevolezza sui rischi, la potenza e la pericolosità del nucleare.

A distanza di anni, nel 2011, a causa di un terremoto seguito da uno tsunami, si verificò un altro disastro: quello della centrale atomica giapponese di Fukushima.

Fukushima
Fukushima

Fatte queste premesse storiche ed essenziali, proviamo a spiegare perché l’energia nucleare sia così potente e così pericolosa.

Perché l’energia nucleare è potente ed efficiente

Come dicevamo essa deriva dalla fissione degli atomi di uranio o plutonio. Questo processo rilascia una quantità di energia enormemente superiore a quella ottenuta dalla combustione di combustibili fossili.

Le centrali nucleari possono funzionare in modo costante, ininterrottamente per mesi, fornendo un’affidabile base di carico per la rete elettrica.

Durante il funzionamento, le centrali nucleari non emettono gas serra, contribuendo alla lotta contro il cambiamento climatico.

Nonostante gli alti costi iniziali, l’energia nucleare può essere economicamente vantaggiosa nel lungo termine grazie ai bassi costi del combustibile.

Perché è pericolosa

Eventi come Chernobyl e Fukushima dimostrano le potenziali conseguenze devastanti di un incidente nucleare.

Le scorie nucleari rimangono radioattive e quindi pericolose per migliaia di anni, ponendo sfide significative per lo stoccaggio a lungo termine.

La tecnologia nucleare può essere utilizzata per scopi militari, aumentando i rischi di proliferazione di armi nucleari.

L’estrazione dell’uranio e la costruzione di centrali nucleari possono avere effetti molto negativi sull’ambiente circostante.

In sintesi

L’energia nucleare rappresenta una fonte di energia potente e a basse emissioni, ma i suoi rischi non possono essere ignorati.

Il futuro dell’energia nucleare dipenderà dalla capacità dell’uomo di bilanciare i benefici con una gestione responsabile dei suoi pericoli.

Il dibattito è costantemente aperto, soprattutto tra politici e ambientalisti, chi a favore e chi contro il nucleare.

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Disastro del Vajont. Storia di una strage annunciata https://cultura.biografieonline.it/vajont-disastro-diga/ https://cultura.biografieonline.it/vajont-disastro-diga/#comments Tue, 23 Jul 2019 08:41:34 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26690 Una frana colpì la diga che provocò un’onda devastante

Uno dei disastri naturali più gravi che si verificarono nel Novecento in Europa è quello ricordato come Disastro del Vajont. La valle del Vajont è un territorio che si trova al confine tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto. La sera del 9 ottobre 1963 una frana fece esondare la diga del Vajont, provocando la morte di circa 2.000 persone e danni ingenti.

Diga del Vajont - Disastro del Vajont - Strage del Vajont
La diga dove del Vajont oggi

L’intera cittadina di Langarone fu interamente rasa al suolo dalla potenza distruttiva della frana. Tale forza fu ritenuta simile a quella di uno “tsunami”. Sparirono altre cinque frazioni circostanti: i terrazzamenti per l’agricoltura vennero distrutti; circa il 30% del patrimonio zootecnico si estinse.

La frana, colpendo la diga e spazzando via tutto ciò che trovò sul suo cammino, sconvolse profondamente l’intero assetto del territorio del Vajont.

Prima del disastro del Vajont: il progetto di costruzione della diga

Se proviamo a ricostruire la storia della costruzione della Diga del Vajont ci accorgiamo che, come molti ritengono, quella del 1963 è stata una tragedia “annunciata”. Nel 1929, in seguito ad un sopralluogo effettuato da due tecnici esperti, la Valle del Vajont fu ritenuta idonea per poterci costruire un bacino idroelettrico. Esso sarebbe stato gestito da SADE (Società Adriatica di Elettricità).

Nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, il progetto della diga del Vajont fu approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici – nonostante il procedimento di approvazione fosse palesemente irregolare. Ma c’era un conflitto mondiale in atto e quindi la cosa passò facilmente in secondo piano.

Furono aperti diversi cantieri nel 1957 per dare il via alla costruzione dell’imponente diga. Questi erano gli anni del cosiddetto “miracolo economico”: la gente rimase colpita dal fatto che per quell’opera pubblica venissero impiegate circa 400 persone.

Le città dell’Italia del Nord (soprattutto quelle dell’asse industriale) si stavano sviluppando assai rapidamente, e l’energia elettrica era diventata una necessità impellente. Proprio per tale motivo, ad un certo punto la SADE decise di apportare un ampliamento rispetto al progetto originario, in modo tale da realizzare la diga più alta del mondo (ben 266 metri di altezza!), che fosse capace di contenere al suo interno 115 milioni di metri cubi di acqua!

Erto e Casso: i timori dei cittadini

Nei pressi della diga sorgevano due paesi, Erto e Casso. I cittadini erano piuttosto allarmati a seguito della costruzione della diga, e lo furono ancora di più quando, nel 1959, a pochi chilometri di distanza, una frana colpì la diga di Pontesei.

L’incidente provocò la morte di un operaio della SADE. In realtà, tutti erano a conoscenza che la diga del Vajont era stata costruita in un territorio ad altissimo rischio di terremoti, frane ed eventi naturali analoghi. Ma, come succede spesso (purtroppo) gli interessi privati hanno prevalso anche sulle regole di buon senso e sicurezza.

Gli abitanti di Erto e Casso, riunitisi in un comitato, percepivano da tempo rumori e segnali inquietanti, che facevano pensare all’arrivo di una frana: proprio di tali sospetti misero al corrente la giornalista dell’Unità Tina Merlin, che scrisse più di un articolo sull’argomento, denunciando il comportamento della SADE che mirava soltanto a salvaguardare i propri ingenti affari.

SADE accusò la giornalista di diffondere notizie false e tendenziose: Tina Merlin fu però assolta tempo dopo dal Tribunale di Milano. I timori (ritenuti per lo più infondati) dei cittadini dei paesi circostanti la diga del Vajont, cozzavano con il clima di grande sviluppo economico che l’Italia come Paese stava vivendo in quegli anni.

La S.A.D.E. è una specie di “Stato nello Stato”, fanno quello che vogliono!

Tina Merlin, dal film “Vajont” (2001, interpretata da Laura Morante, regia di Renzo Martinelli)

La diga del Vajont era considerata un’opera pubblica di cui andare orgogliosi, fatta costruire da esperti dell’ingegneria italiana; quindi nessuno (o quasi) pensava ad un eventuale disastro naturale di una portata distruttiva come quello che poi avvenne. Infatti, anche dopo il strage del Vajont, c’è chi sottolineò il fatto che la diga, nonostante la frana fosse caduta con una violenza inaudita, era rimasta miracolosamente in piedi.

La costruzione della diga di Vajont avvenne proprio nel periodo in cui cominciava a profilarsi la nazionalizzazione dell’energia elettrica (e la contemporanea nascita dell’ENEL).

Perizie e controlli della SADE 

In seguito alla frana che colpì la vicina diga di Pontesei, i tecnici della SADE attuarono una serie di perizie, test e sopralluoghi per verificare la sicurezza dei luoghi. Sul monte Toc, nel territorio del Vajont, fu individuata una “paleofrana”; mentre nel 1962 (appena un anno prima del disastro) la SADE accertò che la diga era stata costruita su un un’area a rischio.

Ala fine del 1962 la diga diventò di proprietà dello Stato italiano in seguito alla nazionalizzazione dell’industria elettrica.

Intanto i segnali di un disastro naturale imminente diventavano sempre più inequivocabili anche a Longarone, la cittadina che il 9 ottobre 1963 fu rasa al suolo dalla furia della frana.

Il monte Toc e la zona della frana che provocò il disastro del Vajont
Il monte Toc e la zona della frana che provocò il disastro del Vajont

Il disastro e la strage: le dinamiche e le conseguenze

Sono le ore 22.39 del 9 ottobre 1963 quando un blocco di terra di grandissime dimensioni si stacca dal Monte Toc provocando una frana che precipita ad una velocità di 100 chilometri orari, colpendo il lago artificiale.

L’impatto provocò onde gigantesche di circa 250 metri, una delle quali raggiunse Casso ed Erto, che per fortuna non furono intaccati.

La seconda onda raggiunse la città di Longarone spazzandola via completamente. A perdere la vita furono oltre 1.900 persone, delle quali soltanto 750 riuscirono ad essere identificate.

Il giorno dopo, il 10 ottobre, la cittadina apparve ricoperta da un’immensa distesa di fango. L’allerta per un’altra eventuale frana portò gli abitanti di Erto e Casso a lasciare in fretta e furia le proprie abitazioni.

Pochi giorno dopo il disastro del Vajont, la magistratura aprì un’inchiesta per accertare le responsabilità e i colpevoli di una tragedia “annunciata”.

Finirono sott’accusa alcuni consulenti e tecnici appartenenti alla SADE, insieme ad alcuni funzionari del Ministero dei Lavori Pubblici. Il verdetto dei giudici fu chiaro: quel disastro poteva essere evitato.

Il processo, terminato nel 1972, vide la condanna di un dirigente della SADE, Alberico Biadene, ed un ispettore del Genio Civile.

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Disastro di Seveso, 10 luglio 1976: la nube di diossina e le conseguenze https://cultura.biografieonline.it/disastro-di-seveso-1976/ https://cultura.biografieonline.it/disastro-di-seveso-1976/#comments Thu, 13 Jun 2019 08:07:51 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26402 L’ambiente in cui viviamo è un bene da preservare costantemente. Nonostante le leggi e le accortezze per la tutela ambientale, purtroppo anche in Italia si sono verificati veri e propri disastri, alcuni di dimensioni rilevanti. Come il disastro di Seveso, nella zona compresa tra Monza e la Brianza, accaduto il 10 luglio 1976.

Disastro di Seveso 10 luglio 1976 diossina
Una foto successiva al disastro ambientale di Seveso che dimostra la gravità della situazione

Alla base del grave avvenimento ci fu l’incidente in cui restò coinvolta l’azienda chimica ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria). Aveva sede a Meda (non lontano dal comune di Seveso). Essa determinò la fuoriuscita di diossina dallo stabilimento e la sua diffusione in un ampio raggio di chilometri dal luogo in cui avvenne.

Disastro di Seveso: i precedenti di ICMESA

La multinazionale La-Roche avente sede a Basilea acquisì l’industria chimica ICMESA a partire dal 1963. Era osteggiata dai sindaci di Seveso e Meda perché considerata la responsabile del cattivo odore, dei gas e degli scarichi che avvelenavano le falde acquifere del posto.

Infatti nel 1974 il direttore tecnico della fabbrica venne denunciato proprio con l’accusa di aver corroso e adulterato le acque sotterranee rendendole pericolose per la salute pubblica. Nonostante la conferma delle accuse da parte della Provincia, il direttore non fu mai condannato perché mancavano prove a suo carico.

Come avvenne l’incidente

Il disastro di Seveso avvenne il 10 luglio del 1976: poiché era un sabato, nella fabbrica vi erano soltanto gli operai addetti alla manutenzione. Verso le ore 12.37 la temperatura raggiunse livelli altissimi a causa dell’avaria del sistema di controllo di un reattore chimico.

Come reazione a tale temperatura inusuale per lo stabilimento, si formò una tipologia di diossina molto tossica; essa da allora in poi fu denominata “diossina Seveso” (TCDD) per distinguerla dagli altri tipi. La nube tossica formatasi raggiunse velocemente il sud est della regione e in particolare i comuni di Desio, Cesano Maderno, Meda e Seveso.

Il primo cittadino di Seveso e l’ufficiale sanitario del Comune furono avvisati due o tre giorni dopo. Il 14 luglio 1976 si ebbe la certezza circa l’effettiva fuoriuscita della nube contenente diossina tossica (TCDD), dopo che furono effettuate alcune analisi. In pratica, prima di dare pubblicamente la notizia di un disastro ambientale, i dirigenti dell’azienda chimico-farmaceutica vollero essere cauti.

I provvedimenti dopo l’incidente

La fabbrica venne chiusa otto giorni dopo l’incidente. Tra i provvedimenti presi a scopo precauzionale vennero affissi dei manifesti. Questi avvisavano i cittadini delle zone colpite di mantenere un’igiene scrupolosa dei vestiti e delle mani. Dovevano inoltre non toccare la terra, gli ortaggi, animali ed erba.

Seveso disastro diossina cartelli

Divieti più severi ed evacuazioni dalle zone interessate dalla nube tossica cominciarono solamente 14 giorni dopo. Il comune di Seveso e le zone circostanti furono divise in tre livelli in base alla contaminazione; le case che sorgevano nella parte più contaminata furono abbattute al suolo; migliaia di animali vennero abbattuti; molte piante non crebbero più perché investite dalla nube tossica.

Venne portata terra nuova e furono piantati nuovi alberi: oggi formano il Parco Naturale del Bosco delle Querce.

Il terreno della zona contaminata fu depositato in due enormi vasche e monitorato costantemente. Circa 700 persone in totale lasciarono le loro case e vennero ospitate in due hotel della provincia; riuscirono a tornare a casa solo nel mese di dicembre del 1977.

Come conseguenza della diossina, circa 270 persone riportarono una specie di eruzione cutanea, la c.d. “cloracne”.

Il disastro di Seveso e gli studi sulla diossina

Nel 1976, quando avvenne la fuoriuscita di TCDD dalla ICMESA, non si conoscevano ancora bene gli effetti della diossina sull’uomo. I risultati sui primi studi circa le conseguenze della diossina su uomini e animali arrivarono nel 1977; si venne a conoscenza del fatto che le reazioni potevano essere diverse a seconda delle specie colpite e dei periodi di sviluppo.

Dopo il disastro di Seveso non ci furono notizie di deformazioni o alterazioni dello sviluppo del feto. Tuttavia all’epoca fu diffusa una campagna molto serrata e martellante a favore dell’aborto.

Del disastro di Seveso hanno parlato giornalisti, cantanti e scienziati: nel 2017 Vittorio Carreri, che fu il responsabile regionale della gestione dell’emergenza sanitaria per le zone colpite dal tragico evento, ha pubblicato il libro intitolato “La fabbrica sporca” (ed. Sometti).

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Differenza tra slavina e valanga https://cultura.biografieonline.it/slavina-valanga-differenze/ https://cultura.biografieonline.it/slavina-valanga-differenze/#respond Wed, 07 May 2014 14:48:56 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10844 Molto spesso si usano come sinonimi tra loro le parole valanga e slavina. In realtà sono termini molto simili ma che assumono delle connotazioni ben differenti.

Per slavina, infatti, si intende una valanga di neve invernale o primaverile che, staccatasi da un monte, precipita a valle. Mentre per valanga intendiamo il fenomeno che si verifica quando una massa di ghiaccio o di neve, improvvisamente, si mette in movimento su di un pendio, precipitando verso valle, provocando la rottura della condizione di equilibrio che era prima presente all’interno del manto nevoso.

Valanga e slavina
Neve: differenze tra valanghe e slavine

Le valanghe sono eventi considerati molto pericolosi, soprattutto quando colpiscono zone caratterizzate dalla presenza di infrastrutture e persone. Durante la discesa, la valanga può coinvolgere altre masse nevose assumendo così dimensioni via via sempre più grandi e raggiungere velocità anche superiori ai 300 km/h. Le cause del distacco della massa di neve sono le più disparate: da quelle naturali, a quelle dovute al passaggio di mezzi o sciatori, o dall’azione del vento.

Rappresentazione del rischio valanghe

Viene usata una scala europea per identificare il livello di rischio delle valanghe:

grado debole, rappresentato con il colore verde, quando il manto nevoso è in generale ben consolidato e stabile e il distacco è generalmente possibile solo con un forte sovraccarico su pochissimi pendii ripidi;

grado moderato, di colore giallo, quando il manto nevoso è moderatamente consolidato su alcuni pendii ripidi, nelle restanti parti è ben consolidato e possono verificarsi valanghe spontanee di medio piccole dimensioni;

grado marcato, rappresentato dal colore arancione, quando sono possibili valanghe spontanee di media-grande dimensione, con singoli rari casi di grandi valanghe;

grado forte, di colore rosso, quando il manto nevoso è debolmente consolidato sulla maggior parte dei pendii ripidi e il distacco è probabile anche solo a causa di un debole sovraccarico: si verificano quindi valanghe spontanee di grosse dimensioni.

L’ultimo grado è il molto forte, caratterizzato dai colori rosso e nero, il più rischioso dato che esiste una altissima probabilità che si possano verificare grandi e molto grandi valanghe spontanee a causa del manto nevoso, quasi completamente non consolidato nella maggior parte dei pendii ripidi.

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Differenza tra ciclone, uragano e tornado https://cultura.biografieonline.it/ciclone-uragano-tornado-differenze/ https://cultura.biografieonline.it/ciclone-uragano-tornado-differenze/#comments Fri, 04 Apr 2014 22:48:41 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10371 Facciamo chiarezza sulle differenze tra uragano, tornado e cicloni. Iniziamo da questi ultimi.

I cicloni, o perturbazioni atmosferiche, vengono definiti come tempeste violente, associate ad un moto di traslazione con un centro di bassa pressione. Questi fenomeni sono in grado di arrecare danni ingenti a cose e a persone, attraverso lo scatenarsi di piogge e venti molto intensi. Di minor portata e meno violenti, per nostra fortuna, sono invece le tempeste extra-tropicali che però sono di gran lunga più estese.

Un ciclone
Foto aerea di un ciclone

Invece con il termine tornado si indica una tromba d’aria di limitata estensione ma distruttiva. La sua velocità media è di circa 50 km/h, mentre la durata del fenomeno è di soli pochi secondi. Se i venti si mantengono sotto i 117 km/h si parla di tempeste tropicali e non di uragani. Se le tempeste raggiungono una velocità maggiore vengono definite dei veri e propri uragani.

Tornado: foto di una tromba d'aria
Un tornado con la sua tromba d’aria

Secondo la Scala Saffir-Simpson, gli uragani vengono classificati in cinque categorie a seconda della pericolosità. Il primo grado è il minimo, può causare danni limitati ad alberi, insegne o tegole dei tetti e provocare limitate inondazioni delle zone costiere. Il secondo, moderato, riesce a causare danni già di una certa rilevanza come possibili rotture di finestre, abbattimento di alberi, danneggiamenti alle strutture mobili e nelle zone costiere può portare inondazioni fino ad un massimo di 2,5 metri oltre il livello standard e rompere gli ormeggi più deboli delle imbarcazioni.

Dal terzo, forte, incominciamo a registrare i danni maggiori: grandi alberi divelti, distruzione di tetti e danni rilevanti alle strutture abitative. Per il rischio di un innalzamento del mare fino a 4/5 metri, nelle zone costiere, viene effettuata l’evacuazione dei residenti. Il quarto è fortissimo, provoca danni ingenti ad edifici, abbattimento di tutti gli alberi e di tutte le cose che incontra sul suo cammino.

Nelle zone costiere si può verificare un aumento del livello del mare di 5/6 metri a partire da cinque ore prima dell’arrivo dell’occhio del ciclone. È obbligatorio evacuare tutte le persone residenti. Infine, il quinto livello, quello disastroso. Provoca danni irreparabili ad abitazioni, edifici, strutture, vegetazione e tutte le cose presenti sul suo tragitto.

Parlando ancora di zone costiere, qui si possono verificare intense e distruttive inondazioni, visto che il livello del mare può arrivare a superare i 6 metri oltre il normale livello delle acque. Obbligatorio è evacuare totalmente tutta la popolazione sulle coste ed anche nelle vicinanze delle stesse.

Uragano
Foto di un uragano (in lingua inglese, hurricane)

Il nome urgano deriva da Hurrican, il dio caraibico del male. In base alle zone prendono diverse denominazioni: tifone (typhoon) in Asia, baguyo nelle Filippine, uragano (hurricane) negli Usa, willy-willy in Australia.

Una regione centrale degli Stati Uniti, nella quale i tornado si presentano con alta frequenza, è comunemente nota come Tornado Alley, il “viale dei tornado“.

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Gli animali sentono prima i terremoti? https://cultura.biografieonline.it/terremoto-animali/ https://cultura.biografieonline.it/terremoto-animali/#comments Sun, 02 Mar 2014 17:22:16 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9871 Gli animali, a detta degli studiosi, sembrano avvertire il pericolo prima degli esseri umani. Tra le tante ricerche effettuate in merito, troviamo quella di un team di ricercatori cinesi che ha studiato le anomalie del comportamento animale prima di un evento catastrofico, in questo caso il terremoto.

Gli animali sentono prima i terremoti? I cani e gli animali in genere sentono i terremoti prima dell'uomo?
Gli animali avvertono i terremoti prima dell’uomo?

Gli studiosi hanno notato come prima del verificarsi di tale evento, molte specie di animali mostravano di essere agitatissimi: i cavalli nitrivano e si dimenavano come impazziti cercando di scappare, i serpenti cercavano di uscire dalle loro tane di letargo anche se si trovavano in pieno inverno ed i cani si allontanavano dalle loro abitazioni, fuggendo all’impazzata.

Gli animali sentono prima i terremoti?

Prima dell’arrivo di un cataclisma si è scoperto che uno dei motivi che permettono al fedele amico dell’uomo di accorgersi del suo arrivo, sembrano essere i gas che fuoriescono dalle microfratture delle rocce, mentre i ratti riescono ad avvertire le variazioni della concentrazione di ioni nell’aria. Perfino i pesci gatto percepiscono l’allarme, poiché avvertono le debolissime correnti elettriche che si sviluppano in acqua a causa delle sollecitazioni cui sono sottoposte le rocce prima di un’eventuale scossa tellurica. In Giappone e negli Stati Uniti, sono ancora in corso ricerche e studi sui comportamenti degli animali prima di un evento catastrofico.

Gli scienziati non possono prevedere i terremoti basandosi solo sugli studi effettuati sul mondo animale, spesso influenzato e disturbato da vari fattori esterni, ma possono sfruttare le informazioni che questo mondo può donare per realizzare nuovi studi che permettano in futuro di captare quelle stesse piccole variazioni che mettono in uno stato d’allerta gli animali.

In conclusione, gli animali avvertono anche le più piccole vibrazioni della terra e l’eventuale aumento di elettricità statica che, a quanto pare, si sprigionano prima e durante i terremoti. Inoltre sono molto sensibili alle variazioni improvvise del campo magnetico della terra. In fondo, se riuscissimo a capire il loro linguaggio, potremmo captare prima del previsto gli eventi catastrofici e metterci in salvo, come è già avvenuto per gli tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano e nel 2011 in Giappone.

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Perché l’Italia vive costantemente un rischio geologico https://cultura.biografieonline.it/rischio-geologico-italia/ https://cultura.biografieonline.it/rischio-geologico-italia/#comments Thu, 21 Nov 2013 02:09:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8668 L’Italia viene è da sempre considerata un paese geologicamente a rischio, principalmente per due fattori: in primis a causa del suo assetto idrogeologico sempre fragile ed instabile; in secondo luogo, perché da sempre il nostro territorio è a rischio sismico, pertanto facilmente soggetto a terremoti.

L'Italia e il rischio idro-geologico
L’Italia e il rischio idrogeologico: la mappa evidenzia le aree maggiormente a rischio

Il territorio italiano è attraversato da diverse faglie attive e secondo un recente rapporto stilato da studiosi di sismologia ben il 36% della popolazione italiana vive in zone a rischio sismico, mentre ben sei milioni italiani vivono in zone ad alto rischio idrogeologico.

Il centro del Mediterraneo è da sempre teatro di scontro tra la placca africana e quella euroasiatica e questo rende ancora di più il nostro territorio soggetto a fenomeni sismici. Il territorio italiano quindi si trova perciò in un contesto molto dinamico dal punto di vista tettonico e ne subisce le conseguenze che si manifestano sotto forma di devastanti catastrofi naturali.

Per quanto concerne invece l’assetto idrogeologico, uno dei rischi principali che ci riguarda da vicino è quello geologico-idraulico; con tale termine si fa riferimento ai rischi, derivanti dal verificarsi di eventi meteorici estremi che inducono a tipologie di dissesto tra loro strettamente interconnesse, quali frane ed esondazioni.

In virtù di tali premesse, per il problema sismico, lo Stato italiano ha tentato di classificare ogni area del paese dal punto di vista sismico o comunque di prendere provvedimenti per limitare i danni se si dovesse verificare un evento catastrofico. Il territorio è stato classificato in quattro classi a seconda della sismicità. La classe 1 è la più a rischio mentre la classe 4, dove sono presenti la maggioranza di comuni e città, non dovrebbe essere sottoposta a scosse telluriche di livello significativo.

Italia rischio sismico
L’Italia e il rischio sismico: la mappa evidenzia e classifica le aree in base alla pericolosità sismica

Purtroppo sebbene la moderna tecnologia e l’uomo abbiano fatto passi da gigante in merito, non si può prevedere con certezza l’arrivo di un evento sismico o idrogeologico né prevenire “il corso della natura”. Tra i terremoti più disastrosi della storia italiana ricordiamo il terremoto/maremoto di Messina del 1908, mentre tra quelli più recenti che hanno causato ingenti danni a cose e a persone, quello verificatosi il 6 aprile 2009 all’Aquila e il 29 maggio del 2012 quello che ha colpito l’Emilia Romagna e la bassa Lombardia, con epicentro in Pianura Padana.

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Il disastro nucleare di Fukushima https://cultura.biografieonline.it/fukushima/ https://cultura.biografieonline.it/fukushima/#comments Sat, 10 Nov 2012 04:40:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4756 E’ l’11 marzo 2011 quando un forte sisma causa una serie di quattro distinti incidenti presso la centrale nucleare della città giapponese di Fukushima, che si trova 240 km a nord della Capitale. Alle 14:46:23, ora locale, un terremoto di magnitudo 8.9 della scala Richter colpisce il Giappone. La scossa, della durata di 3 minuti, è devastante anche per un Paese come quello nipponico abituato ad un’elevata attività sismica.

Fukushima
Fukushima

L’epicentro del terremoto, situato in mare aperto, a 373 km. a nord-est di Tokyo e ad una profondità di 25 km., genera uno tsunami con onde anomale alte fino a 14 metri che si riversano sulla costa orientale del Giappone. L’acqua del maremoto danneggia i sistemi elettrici di raffreddamento della centrale nucleare di Fukushima provocando esplosioni nei reattori 1 e 3 ed il surriscaldamento di quelli 2 e 4.

L’incidente viene classificato dall’Agenzia per la Sicurezza Nucleare e Industriale del Giappone al grado massimo, il 7, un livello finora raggiunto solo dal disastro di Černobyl.

Il governo giapponese ordina l’evacuazione di un’area del raggio di 20 km intorno a Fukushima, abitato da circa 170.000 persone, ma le radiazioni vengono rilevate fino ad 80 km di distanza dalla centrale e nell’Oceano Indiano dove i reattori riversano materiale radioattivo in quantità enormemente rilevante.

La Tepco, la ditta che gestisce l’impianto nucleare di Fukushima, tenta di arginare i danni, ma la situazione è più grave del previsto e ad oggi non completamente stabilizzata. Per mitigare gli effetti negativi sulla salute delle persone contaminate dalle radiazioni degli isotopi di iodio radioattivo, vengono somministrate pillole di ioduro di potassio per saturare la tiroide ed evitare l’assimilazione dello iodio-131.

Le vittime di questo disastro sono numerose, ma non è possibile fare una stima precisa in quanto le conseguenze sulla salute della popolazione potranno essere valutate solo negli anni a venire.

L’incidente nella centrale di Fukushima ha risollevato nell’opinione pubblica mondiale il problema della sicurezza degli impianti atomici. Nonostante le polemiche sulla potenziale pericolosità di questa fonte energetica, solo due Stati, Germania e Svizzera, hanno manifestato l’intenzione di abbandonare, nel lungo periodo, l’utilizzo dell’energia nucleare, rispettivamente nel 2022 e nel 2034.

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In Italia, immediatamente dopo l’incidente di Fukushima, il Governo Berlusconi IV dichiara l’intenzione di voler perseguire il programma nucleare italiano secondo le disposizioni di legge approvate nel biennio 2008-2010. Ciò non avviene in quanto tali disposizioni vengono abrogate con il referendum popolare tenutosi il 13 giugno 2011.

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La catastrofe ambientale di Chernobyl https://cultura.biografieonline.it/la-catastrofe-ambientale-di-chernobyl/ https://cultura.biografieonline.it/la-catastrofe-ambientale-di-chernobyl/#comments Mon, 16 Apr 2012 12:14:27 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1475 È ancora vivo il ricordo del disastro di Chernobyl. Il 26 aprile 1986 all’ 1e23, durante un test di sicurezza, esplose il reattore numero 4 dalla centrale nucleare V.I. Lenin, a meno di 20 km dalla città di Chernobyl in Ucraina, causando l’emissione di una nube di materiali radioattivi.

Chernobyl, la centrale nucleare
Chernobyl, la centrale nucleare

La nube radioattiva raggiunse, trasportata dal vento, l’Europa orientale, arrivando anche in Italia, in Francia, in Germania e nella zona dei Balcani. Ma non solo, toccò tutta la zona occidentale dell’Urss e furono contaminate anche la Finlandia e la Scandinavia, così come alcuni punti della costa est del Nord degli Stati Uniti.

Le aree vicine alla centrale furano evacuate e 336.000 cittadini furono obbligati a trasferirsi.  Oggi, ancora molte zone, fanno i conti con i costi di decontaminazione e soprattutto con i problemi di salute: il materiale radioattivo espone, infatti, al rischio tumore e malformazioni tutti coloro che ne sono venuti in contatto.

La centrale di Chernobyl, costruita negli anni Settanta, era composta da quattro reattori in grado di produrre 1 gigawatt di energia elettrica ciascuno. Questo impianto copriva da solo il 10 percento dell’elettricità ucraina. L’incide fu causato dalla violazione delle norme di sicurezza durante un test che causò un incontrollato aumento della potenza del nocciolo del reattore numero 4 della centrale.  L’obiettivo era quello di verificare se l’alternatore e la turbina, nel caso il circuito di raffreddamento non producesse vapore, fossero in grado di generare energia elettrica, sfruttando l’inerzia del turbo-alternatore.

Purtroppo a causa di alcuni “errori” durante il test sono morte moltissime persone: 65 quelle accertate e, in un rapporto ufficiale ONU, si stima che in 80 anni dall’incedente moriranno circa 4 mila persone a causa di tumori e leucemie che non si possono direttamente associare al disastro, ma che sono potenzialmente imputabili. Ovviamente, questo è solo il risultato di uno studio (ufficiale), estremamente contestato dalle associazioni antinucleariste internazionali che, a loro volta, sostengono che saranno invece circa 6 milioni i morti in 70 anni che potrebbero essere ricondotti all’esplosione di Chernobyl.

Sono passati più di 25 anni da quella notte, ma non sono ancora chiare le dinamiche e di conseguenza non è possibile stabilire con precisione la responsabilità di quanto avvenuto. Una cosa però è sicura: dietro a Chernobyl c’è una somma di errori e di disattenzioni tali da non essere quantificabili, dalle manovre di coordinamento alla progettazione di alcune parti meccaniche.

L’incidente del 26 aprile 1986, purtroppo, è la somma di un lavoro poco accurato e sicuramente incauto.  Per esempio, secondo alcuni progettisti, gli operatori non sapevano che il reattore avesse problemi tecnici, anche perché si trattava di un impianto abbastanza top secret. Inoltre, il personale impiegato nella centrale non era abbastanza qualificato per gestire una macchina così complessa. Esistono però due ipotesi abbastanza accreditate: la prima risale al 1986 e attribuisce la responsabilità agli operatori dell’impianto, la seconda, invece, è del 1991 e si parla debolezze nel progetto del reattore RBMK, in particolare alle barre di controllo.

La notte dell’incidente si fece di tutto per arginare il disastro: arrivarono immediatamente i soccorsi per placare l’incendio e nei mesi successivi fu messo in sicurezza il sito. I detriti radioattivi furono posti all’interno del reattore, coperto prima da sacchi di sabbia lanciati da elicotteri e poi incastrato all’interno di una sorta di bara d’acciaio. Il guaio più grande però fu che tutte le persone che parteciparono a queste operazioni, dai Vigili del fuoco ai militari dell’esercito, non furono avvertite delle conseguenze e della pericolosità dei fumi radioattivi.  Secondo i dati più accreditati, solo nella pulizia dell’area furono coinvolte quasi 600.000 persone, nel corso di 2 anni.

I rischi più gravi sono dovuti all’esposizione allo iodio-131, un isotopo radioattivo dall’emivita di 8 giorni, ma anche allo stronzio-90 e cesio-137. Molti studi hanno rivelato che sono aumentati in modo esponenziale i tumori nella zona colpita dall’esplosione e molti bambini bielorussi, ucraini e russi, che hanno bevuto latte locale assumendo iodio-131, si sono ammalati di tumore alla tiroide.  Purtroppo non si possono quantificare le persone vittime delle radiazioni e di conseguenza non si può neanche stimare con esattezza la dimensione della relazione tra l’incidente di Chernobyl e i rischi per la salute.

Il disastro di Chernobyl non si chiuse con l’incidente del 1986. Nel 1991 un altro incendio colpì la centrale nel reattore 2 che  venne subito dopo dismesso. L’impianto fu spento definitivamente dal presidente ucraino Leonid Kuchma il 15 dicembre del 2000, con una cerimonia ufficiale.

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