detti Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 15 Jan 2024 15:48:45 +0000 it-IT hourly 1 Fare le cose alla carlona: cosa vuol dire e perché si dice? https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/ https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/#comments Mon, 15 Jan 2024 14:36:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9310 Con il detto fare le cose alla carlona, usato soprattutto nell’area lombarda, si indica l’affrontare le cose in modo superficiale, alla buona, senza cura, in modo trasandato e grossolano.

Le origini del detto

L’origine di tale modo di dire risale al periodo degli anni in cui regnava l’Imperatore Carlo Magno (742-814), denominato appunto Carlone.

Egli viene rappresentato nei vari poemi cavallereschi come un uomo goffo, malaccorto nelle sue azioni e semplice, che ama indossare abiti non pregiati ma caratterizzati da stoffa rozza.

Carlo Magno - fare le cose alla carlona
Carlo Magno : il modo di dire “fare le cose alla carlona” deriva dal suo nome

Lo stile dell’Imperatore

Si racconta che anche quando l’Imperatore Carlo Magno doveva essere ritratto, indossava sempre vestiti non alla portata del suo rango, usando uno stile non consono ad un Imperatore, bensì uno stile più vicino a quello di un plebeo.

Leggenda: la battuta di caccia

La leggenda narra che ad una battuta di caccia, l’Imperatore Carlo Magno, si presentò tra lo stupore generale dei partecipanti, che indossavano per l’occasione abiti da caccia e sfarzosi, con un abito dimesso, fatto di ruvida stoffa indossata solitamente dai contadini.

L’Imperatore, accortosi dello stupore dei presenti, disse a quel punto che il suo abbigliamento un po’ rozzo non era casuale, serviva alla bisogna.

Di lì a poco, si scatenò un violento temporale e Carlo Magno fu l’unico a passare indenne alla tempesta. Gli eleganti cacciatori si inzupparono, rovinando i loro abiti preziosi, ridotti alla fine in un pessimo stato.

A questo punto l’Imperatore fece notare ai partecipanti alla battuta di caccia, di essere totalmente asciutto grazie ai suoi abiti umili e di stoffa grezza.

Da quel giorno in poi, si cominciò ad usare il modo di dire: essere vestiti alla carlona.

Il significato oggi

Il termine indica inoltre altri concetti simili:

  • fare le cose in modo veloce, sbrigativo e alla meno peggio possibile;
  • fare qualcosa senza curarne i dettagli;
  • essere una persona alla buona (“quello è un tipo alla carlona”)

Ed infine può significare anche essere troppo ingenui.

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Dopo di noi il diluvio: da dove viene questo modo di dire https://cultura.biografieonline.it/dopo-di-noi-il-diluvio-origini/ https://cultura.biografieonline.it/dopo-di-noi-il-diluvio-origini/#respond Wed, 20 Sep 2023 16:19:37 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=41473 Dopo di noi, il diluvio è un modo di dire italiano. A volte lo stesso detto si ritrova nella forma: Dopo di noi la tempesta.

Sai da dove viene questo modo dire?

Le origini sono curiose.

Scopriamole assieme in questo breve articolo di approfondimento.

Coppia di sposi sotto un diluvio
Coppia di sposi sotto un diluvio

Dopo di noi il diluvio: significato

La frase è la traduzione dell’originale francese:

Après nous, le déluge.

L’espressione sta a indicare che dopo la propria morte le cose andranno a finire male.

La morte può essere intesa come reale o anche metaforica.

Pronunciando questa frase viene dimostrato il disinteresse verso per il destino del prossimo.

Da un’altra angolazione il detto dopo di noi il diluvio può assumere un significato un poco differente. Può essere cioè legato all’avvicinamento di una rivoluzione; qualcosa che potrebbe cambiare le cose in modo decisamente significativo.

Un esempio: tale frase può considerare che dopo la caduta di un regime non vi può essere che il caos e la devastazione.

Le origini della frase

Après nous, le déluge è una frase attribuita a Jeanne-Antoinette Poisson, che la storia ricorda come Madame de Pompadour, favorita del re di Francia Luigi XV.

Luigi XV di Francia
Luigi XV di Francia
Madame de Pompadour
Madame de Pompadour

Ella pronunciò la frase con l’intenzione di sollevare il morale al suo amante in seguito alla sconfitta di Rossbach.

La frase era di fatto un invito a non pensare alle drammatiche conseguenze.

La battaglia di Rossbach

Il 5 novembre 1757 a Rossbach avvenne una battaglia. La località è presente oggi in Sassonia-Anhalt, in Germania. Il re di Prussia Federico il Grande sconfisse le truppe franco-austriache al comando del principe di Soubise (1715 – 1787), coadiuvato dal comandante delle truppe della coalizzata Austria, feldmaresciallo Giuseppe Federico di Sassonia-Hildburghausen.

Lo scontro segnò il punto di svolta nella Guerra dei sette anni: da allora il confronto militare con la Francia sarebbe rimasto confinato alle terre della Germania occidentale.

Usi celebri dell’espressione

Lucio Battisti

Il modo di dire è presente nella canzone Il diluvio di Lucio Battisti, contenuta nell’album Don Giovanni (1986). Il testo è di Pasquale Panella, e inizia così:

Dopo di noi diluvierà
non spioverà, va bene
Noi la fortuna degli ombrellai
Chili di liquidi dopo di noi
Va bene, come vuoi. dopo di noi
Diluvierà, non spioverà
Dopo di noi: il diluvio
Vittime fa l’ottima idea
d’essere noi finali

Sposi sotto il diluvio

Valéry Giscard d’Estaing e Valentino

Il 20° Presidente della Repubblica francese Valéry Giscard d’Estaing, dopo la sconfitta elettorale del 1981pronunciò un ultimo discorso. Seguì un copione scenografico che venne poi definito come un’evocazione del modo di dire Dopo di noi il diluvio. L’evento è ricordato anche da Valentino Garavani rivolto al collega Karl Lagerfeld nel docu-film del 2008 Valentino: The Last Emperor.

Marx e Il Capitale

Karl Marx scrisse ne Il capitale (Vol. 1, Parte III, Capitolo Otto, Sezione 5):

Après moi, le déluge! è la parola d’ordine di ogni capitalista e di ogni nazione capitalista. Quindi il capitale non si cura della salute o della durata della vita del lavoratore, a meno che non sia costretto dalla società.

Dostoevskij

Fëdor Dostoevskij nel romanzo I fratelli Karamazov fa pronunciare la frase “Après moi, le déluge” a un personaggio.

Si tratta del procuratore Ippolìt Kirìllovič che durante il processo contro Dmìtrij Karamàzov stigmatizza i principi morali del padre di quest’ultimo, Fjòdor Pàvlovic Karamàzov, giudicato completamente disinteressato verso la sorte dei suoi figli.

La Piovra

Infine, la citazione è presente nella 6ª e ultima puntata dello sceneggiato “La Piovra 2”: viene pronunciata in una scena tra il commissario Corrado Cattani (Michele Placido) e il prof. Gianfranco Laudeo (Paul Guers).

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Forche Caudine: la battaglia storica, la lezione e il modo di dire https://cultura.biografieonline.it/forche-caudine-storia-modo-di-dire/ https://cultura.biografieonline.it/forche-caudine-storia-modo-di-dire/#respond Fri, 28 Aug 2020 16:00:22 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30141 Cosa sono le Forche Caudine? Da dove deriva il modo di dire passare sotto le Forche Caudine? Capita tutti i giorni di utilizzare delle espressioni che abbiamo sentito dire molte volte. Ne conosciamo il significato, ne facciamo un uso appropriato eppure non siamo consapevoli che il modo di dire che stiamo utilizzando affonda le sue radici nella Storia, addirittura in quella dell’Antica Roma.

forche caudine
Forche caudine: il significato è quello di subire un’umiliazione dopo la sconfitta

Forche Caudine: la battaglia storica: 326 – 304 a.C.

L’episodio in cui per la prima volta avviene quel passaggio per le forche caudine che poi è entrato nel gergo comune si ha durante la Seconda guerra sannitica. Questo episodio bellico è collocato fra il 326 e il 304 avanti Cristo e ha visto opporsi i Romani ai Sanniti, popolazione stanziata fra Campania e Sannio. Un’area geografica che oggi possiamo collocare fra Molise, Abruzzo meridionale e settore nord orientale della Campania.

Prima della battaglia

La seconda guerra sannitica è preceduta da un primo scontro datato 341 a.C., un conflitto che termina con i Sanniti in una posizione neutrale per la quale la popolazione dell’Italia meridionale non sarebbe entrata a sostegno dei nemici di Roma. Al proseguire della battaglia, nel 322 a.C. i Sanniti vengono sconfitti dai Romani con le seguenti disposizioni: consegnare Brutulo Papio, tutte le sue ricchezze e restituire i prigionieri. L’anno dopo il comandante Gaio Ponzio non accetta la pace, ma si apre una trattativa.

L’antefatto: pronti all’imboscata

Gaio Ponzio fa accampare i Sanniti nei pressi di Caudio, luogo fra Napoli, Avellino e Benevento, più o meno vicino a Montesarchio. E’ il nome del luogo a dare il nome al modo di dire.

Manda allora 10 soldati vestiti da pastori per farsi catturare dai Romani. Una volta prigionieri i soldati pastori rivelano che i Sanniti stanno assediando Luceria in Apulia.

Luceria – oggi Lucera, in provincia di Foggia – è alleata con Roma, per cui Roma deve intervenire.

Per giungere a Lucera, i Romani possono percorrere due vie: una più lunga, lungo l’Adriatico, e una più breve caratterizzata da ben due gole, nei pressi di Caudio. I Romani scelgono la via più breve, certi al punto delle loro scelta da non ricorrere nemmeno all’invio di soldati in avanscoperta.

Cul-de-sac

I Romani avanzano alla volta di Lucera, superano anche la seconda gola ma trovano la strada sbarrata da alberi e massi. Fanno dietro front, ma giunti alla prima gola trovano un nuovo sbarramento: cul-de-sac !

Ventimila soldati restano imbottigliati fra una gola e l’altra, ma non si perdono d’animo: si accampano, costruiscono un vallo vicino l’acqua, prossimi alla disperazione, sotto lo sguardo dei nemici che li guardano dall’alto.

Cosa fare: parola al saggio

I Sanniti, tuttavia, consci di essere in guerra con Roma, devono fare la scelta giusta. Per questo ricorrono al consiglio del saggio Erennio Ponzio, padre di Gaio. Erennio offre 2 soluzioni:

  • da una parte lasciare andare i Romani per ottenere la loro gratitudine;
  • dall’altra lo sterminio di tutti i soldati rendendo impossibile il riarmo e ottenendo la vittoria definitiva.

Nessuna delle due soluzioni viene presa in considerazione né messa in atto.

Roma sconfitta: l’umiliazione delle Forche Caudine

Siamo al dunque. I Romani accettano la sconfitta e vengono costretti a “passare sotto le forche caudine”.

La resa dei Romani non può essere una semplice resa. I Romani vengono costretti a passare sotto tre lance incrociate, abbassando il capo, disarmati, vestiti della sola tunica. Nel frattempo i nemici li colpiscono, fisicamente e verbalmente.

Passare sotto le forche caudine significa, da quel preciso momento storico, essere costretti a subire una grave umiliazione.

L’offesa ai Romani è tale che la notizia, giunta a Roma, genera un vero e proprio lutto con tanto di botteghe chiuse e attività del Foro sospese.

Il racconto in Ab urbe condita di Tito Livio (IX secolo)

Questo passaggio della storia è scritto in “Ab urbe condita” di Tito Livio del nono secolo. Si legge:

«Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando […] Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore.»

Il modo di dire, la pratica militare

Tale pratica, traslata poi nel subire un’umiliazione a vario titolo, trae un’impronta figurata dagli usi militari. E probabilmente all’ambito militare ha fatto ritorno, nel tempo. Militarmente, il passaggio per le forche caudine è cioè una routine messa in atto per punire i ladri, i soldati disobbedienti e torturare i prigionieri.

La lezione della Storia

Chi ricostruisce la lunga storia romana vede in questo episodio la sconfitta più pesante, da una parte, ma anche la più grande lezione subita dalla città Caput mundi. La monarchia era caduta nel 509 a.C. A seguire le popolazioni italiche avevano iniziato a combattere a vario titolo per impadronirsi di terre coltivabili e sbocchi sui mari.

L’episodio delle forche caudine giunge come un duro colpo per i Romani che prendono in considerazione la possibilità della loro vulnerabilità. Questo, in qualche modo, conduce alla fase discendente della Repubblica e alla nascita del grande Impero che tutti conosciamo e che ha segnato, in maniera assoluta, la storia dell’umanità.

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Il dado è tratto. Da dove deriva questa celebre frase? Sapevi che nasconde un errore storico? https://cultura.biografieonline.it/dado-tratto-alea-iacta-storia/ https://cultura.biografieonline.it/dado-tratto-alea-iacta-storia/#comments Fri, 17 Apr 2020 12:02:31 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=28381 L’espressione “il dado è tratto” è oggi utilizzata nel linguaggio comune. Ricorriamo a questa locuzione, in particolare, quando vogliamo dire che la decisione è presa e non si può più tornare indietro. Non tutti sanno, forse, che utilizzando questa frase andiamo a smuovere decenni e decenni di storia di letteratura latina e anche greca. La frase “il dado è tratto”, infatti, è la traduzione dell’antica espressione latina “alea iacta est” a sua volta, pare, pronunciata da Cesare in lingua greca. Non tutti però sanno che la celebre frase nasconde un errore storico. Scopriamolo assieme.

Alea Iacta Est (Il dado è tratto) - tatuaggio
Alea Iacta Est, versione latina del celebre detto “Il dado è tratto”. Nella foto: un tatuaggio con la frase.

La versione latina.
Svetonio e il suo “De vita Caesarum”

La frase “alea iacta est”, tradotta come “il dado è tratto”, appare nell’opera di SvetonioDe vita Caesarum” (Vite dei Cesari). Lo storico, in particolare, raccoglie nel suo scritto la biografia di Gaio Giulio Cesare e di undici imperatori, da Ottaviano Augusto fino a Domiziano, narrando due secoli di storia romana.

L’espressione “alea iacta est” si legge nel passaggio in cui Svetonio riporta – probabilmente traendo dagli scritti del precedente Gaio Asinio Pollione – l’episodio in cui Giulio Cesare varca il Rubicone il 10 gennaio del 49 a.C.

Questo atto resta storico giacché oltrepassando il Rubicone, situato nell’attuale Emilia Romagna, Cesare viola la legge che proibiva l’ingresso armato dentro i confini dell’Italia.

Così facendo dà avvio alla seconda guerra civile, quella nota contro Pompeo, in cui si scontrano, fra il 49 e il 45 a.C., Cesare e i suoi sostenitori, appunto, e la fazione tradizionalista e conservatrice del Senato, guidata come detto da Pompeo.

Giulio Cesare - Il dado è tratto
Giulio Cesare varca il Rubicone: illustrazione tratta dal gioco da tavola Ravensburger “Alea Iacta Est”

La versione greca.
Le “Vite parallele” di Plutarco

Si racconta che probabilmente l’espressione fu pronunciata in lingua greca. Così riporta Plutarco nelle “Vite parallele”, citando, a sua volta, la commedia di Menando intitolata “Arreforo”.

Nel testo, Plutarco mette insieme le vite di uomini celebri, creando delle coppie pescate nel mondo romano e in quello greco antico, per raccontare vizi e virtù.

Il passaggio che stiamo trattando si trova nella vita di Pompeo, prima alleato poi avversario di Giulio Cesare, accoppiato da Plutarco al re di Sparta Agesilao.

Nel passaggio in questione però si legge “Sia lanciato il dado” ovvero l’espressione non è affermativa, ma imperativa.

E’ un errore di traduzione?

La tesi di Erasmo da Rotterdam: “esto” non “est”

Il filosofo e umanista olandese Erasmo da Rotterdam si trovò a congetturare su questa espressione, ricostruendo il filo della storia della locuzione da Plutarco a Svetonio.

La sua tesi è che nella traduzione dal greco al latino si fece erroneamente cadere una “o”.

Per chiarire: non si tradusse come sarebbe stato corretto “alea iacta esto” ovvero “sia lanciato il dado” ma, come giunge a noi, “alea iacta est”.

Questo errore conferì alla locuzione quell’accezione di azione fatta e finita che l’ha resa utile al linguaggio comune e per questo, se vogliamo, ancora in uso.

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Altezza mezza bellezza: da dove deriva questo detto? https://cultura.biografieonline.it/altezza-mezza-bellezza/ https://cultura.biografieonline.it/altezza-mezza-bellezza/#comments Tue, 26 Nov 2013 13:08:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8744 Tra i proverbi più diffusi nella nostra cultura italiana troviamo il famoso detto “altezza è mezza bellezza”. E’ un detto molto usato dalle persone piuttosto alte per sottolineare la fortuna di avere qualche centimetro in più concessogli da madre natura che esplicita, per la società, quanto sia importante essere alti per essere considerati piacenti. Secondo il detto, l’aspetto di una persona di statura alta è considerato gradevole ed autorevole a prescindere dalla sua effettiva bellezza.

Altezza mezza bellezza
Altezza è mezza bellezza (?)

Secondo una ricerca tedesco-americana, effettuata ai giorni nostri, tale detto varrebbe perché gli uomini alti sono più propensi a tradire la loro compagna, grazie alla loro maggior sicurezza ed al fatto di essere consci che l’arma dell’altezza, spiana a loro la strada della conquista.

Inoltre sempre secondo recenti studi, le persone più alte avrebbero un maggior successo in campo lavorativo, dato dalla condizione arcaica che le persone alte sarebbero più forti e capaci nel superare le avversità ed i pericoli della vita. Nel mondo della moda, le modelle ed i modelli, per lavorare devono rientrare nei canoni di una scala d’altezza minima che deve essere sempre sopra la media, perché chi è alto spicca e attira più facilmente l’attenzione di coloro che guardano.

Ad ogni modo se ci rifacciamo alla storia, sono molti gli esempi di uomini bassi e potenti, dotati di un’intelligenza straordinaria che superava di gran lunga la loro statura: da Napoleone, ad Alessandro Magno, a Cesare e che sono rimasti nel ricordo storico ancor ai giorni nostri, molto più di parecchi “giganti”. Per non parlare delle dive del passato come la bellissima Marilyn Monroe che non spiccava certamente in altezza ma che era e resterà, senza dubbio, una delle donne più affascinanti di sempre. Il suo successo era dovuto ad un mix di: mistero, fascino personale e femminilità.

Di fatto non sempre essere alti è sinonimo di bellezza: dipende tutto dalle proporzioni fisiche-psichiche dell’individuo.

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L’amore è cieco: da dove viene il modo di dire https://cultura.biografieonline.it/amore-cieco/ https://cultura.biografieonline.it/amore-cieco/#respond Fri, 11 Oct 2013 20:09:12 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7932 Molto spesso, di fronte a una coppia stravagante o all’apparenza insignificante, viene usato il motto “l’amore è cieco”. Una deduzione che appare sbrigativa, ma in realtà i sentimenti alterano il modo in cui viene percepito il partner. I sentimenti vanno oltre qualsiasi ostacolo e qualsiasi logica. Il significato del detto “l’amore è cieco” è di facile comprensione, data la difficoltà a decifrare i sentimenti: quando ci si innamora lo si fa senza badare a nulla.

Perché si dice : "L'amore è cieco" ?
Da dove viene il detto “L’amore è cieco” ?

Diviene legame, attaccamento, nella falsa persuasione che una persona sia indispensabile per la nostra felicità. La dottoressa Angela Rowe, psicologa inglese, si è dilettata a fotografare 14 coppie e giocando con la postproduzione del fotoritocco, ha reso alcune foto più belle ed altre più brutte. La psicologa avrebbe dimostrato che chi è innamorato, sceglie le foto dove il partner risulta più avvenente di quanto invece non lo sia nella realtà.

Quando si è innamorati, come emerge da uno studio effettuato da ricercatori della Florida State University, si tende a ignorare gli appartenenti all’altro sesso, anche se molto attraenti. Questo perché, secondo gli studiosi, il sentimento attenua la curiosità nei confronti dell’altro sesso e rende realmente “ciechi“, anche davanti al più attraente fra gli uomini o le donne.

Altre teorie spiegano come l’amore verso un’unica persona, e il contemporaneo disinteresse nei confronti di altri soggetti, sarebbe una tecnica evolutiva via via sviluppata per riuscire a costruire un rapporto solido. Al di là di ogni trattato, si spiega meglio il detto “l’amore è cieco” semplicemente con il fatto che la nostra tendenza è quella di vedere il partner più bello/bella e attraente rispetto a quanto lo sia realmente, così da sovrastimare la sua bellezza e questo contribuisce a mantenere intensa l’attrazione nel tempo.

Amore e cecità

Se l’interesse sentimentale tra due persone è reciproco, il fatto che ci piaccia quella persona contribuisce a mantenere il rapporto duraturo nel tempo, garantendo la presenza dell’attrazione: ingrediente fondamentale per ogni relazione duratura.

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Perché si dice “Aprile, dolce dormire”? https://cultura.biografieonline.it/aprile-dolce-dormire/ https://cultura.biografieonline.it/aprile-dolce-dormire/#respond Thu, 01 Aug 2013 16:49:35 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7721 La saggezza popolare si esprime attraverso detti e proverbi che si tramandano di generazione in generazione. L’adagio “Aprile dolce dormire” si riferisce alla circostanza che, in questo mese primaverile, si comincia ad assaporare un tepore così piacevole che induce maggiormente al relax e al sonno.

Aprile, dolce dormire
Aprile: una tipica foto della stagione

Proprio perché è uno di mesi primaverili per eccellenza (mentre Marzo è ancora meteorologicamente un po’ pazzerello), in cui la natura esplode con i suoi odori e sapori, Aprile è celebrato con più di un proverbio. I contadini si augurano che questo mese sia  per lo più caratterizzato da un dolce tepore e non dal caldo o, peggio, dal freddo che rovinerebbe i raccolti. E’ necessario che le gemme si schiudano lentamente ai primi timidi raggi del sole, senza alcuna forzatura: “Aprile temperato non è mai ingrato”.

Lo stesso termine “Aprile” viene da “aperit”, che in latino significa “aprire, far sbocciare”. Non sono rare le piogge leggere e i brevi temporali, in questo mese primaverile. Per questo gli anziani agricoltori erano soliti profetizzare: “Aprile piovoso, Maggio ventoso, anno fruttuoso”. La pioggia di Aprile fa bene anche agli animali: “L’acqua d’Aprile il bue ingrassa, il porco uccide e la pecora se la ride”. La pioggia in questo mese è di buon auspicio per la vendemmia: “Quando tuona d’Aprile buon segno per il barile”.

Ma dopo queste frasi sulla primavera e sul mese in oggetto, torniamo al significato di “Aprile, dolce dormire”. Con i primi tepori l’organismo si riattiva, come pure la muscolatura (intorpidita dal freddo invernale), ed anche a livello ormonale si verifica un risveglio. Si dice infatti che in primavera si è più favorevoli all’amore e all’accoppiamento in generale. Il corpo tende ad assecondare il ritmo della luce, visto che le giornate si allungano e il sole tramonta più tardi. Mentre per molte persone questo cambiamento è quasi automatico e avviene senza grossi traumi (al massimo con una lieve sensazione di stanchezza), per altre succede che si va a dormire stanchi per svegliarsi ancora più apatici e in preda ad una forte astenia (dal greco “stenos”, mancanza di forze).

Per alcuni il cambio di stagione è un momento difficile, in cui l’organismo stenta ad adattarsi ai nuovi ritmi del sonno e della veglia, e questo capita soprattutto agli anziani e a chi ha particolari disturbi o patologie in atto. Per tali soggetti può essere utile ricorrere ad integratori naturali come il ginseng e la pappa reale, che aiutano a superare il senso di affaticamento e la tipica astenia primaverile, senza alcun effetto collaterale.

Primavera
Aprile e la primavera

E’ importante stare più tempo all’aria aperta, possibilmente praticando un’attività fisica regolare e costante per preparare il corpo all’estate e rilassare la mente. Se si dedica il giusto tempo allo sport è più facile dormire bene, anche per chi è tendenzialmente incline all’insonnia.

Attenzione, però, a non vestirsi subito leggeri al primo tepore primaverile, i malanni di stagione sono sempre in agguato. Gli antichi non si sbagliano mai: “Per tutto Aprile non ti scoprire, di Maggio non ti fidare, di Giugno fai quel che ti pare”.

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Da dove deriva il detto “a caval donato non si guarda in bocca” ? https://cultura.biografieonline.it/a-caval-donato-non-si-guarda-in-bocca/ https://cultura.biografieonline.it/a-caval-donato-non-si-guarda-in-bocca/#comments Mon, 25 Jun 2012 19:22:15 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2816
A caval donato non si guarda in bocca
A caval donato non si guarda in bocca

Il modo di dire “A caval donato non si guarda in bocca”, deriva dall’usanza di valutare la dentizione di un cavallo per valutarne l’età, in quanto in passato possedere un cavallo era fonte di ricchezza.

Deriva dalla citazione latina di San Girolamo, scrittore, teologo e santo romano che, nella sua Commentariorum In Epistolam Beati Pauli Ad Ephesios, scrive “Noli equi dentes inspicere donati”.

Il detto è un rimprovero per coloro che anziché essere grati di un dono, hanno la pessima abitudine di criticarlo, sempre all’insaputa del donatore, denotando anche scarsa educazione. Insegna che i regali devono essere sempre bene accetti, senza lamentarne il valore, in quanto il dono non dovrebbe avere valore materiale ma bensì sentimentale.

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Cercare con il lanternino. Da dove arriva questo modo di dire https://cultura.biografieonline.it/cercare-con-il-lanternino/ https://cultura.biografieonline.it/cercare-con-il-lanternino/#comments Tue, 05 Jun 2012 15:59:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2297 Il modo di dire Cercare con il lanternino, usato per indicare qualcosa cercata con grande pazienza, attenzione ed accuratezza, si rifà alla lanterna del filosofo greco antico Diogene di Sinope, detto il Cinico (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.).

Secondo lo storico greco Laerzio, Platone definì Diogene “un Socrate impazzito”.

Alcuni aneddoti riportano che il filosofo, in pieno giorno, era solito girovagare lungo le vie delle città con una lanterna accesa. A chi gli domandava cosa stesse cercando, lui rispondeva affermando di essere alla ricerca dell’uomo.

Diogene di Sinope - Cercare con il lanternino
Diogene cerca l’uomo

Di lui, Alessandro Magno disse:

Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene.

In modo ironico, cercare con il lanternino significa cercare qualcosa con estrema cura ed impegno ma che, una volta trovata, si rivela essere un grattacapo.

Il lanternino è una piccola lanterna, perlopiù costruita con vetri colorati.

Mutuato dal modo di dire in oggetto esiste anche:

andarsele a cercare con il lanternino.

Lo si dice a chi si procura in modo costante e ripetuto, fastidi o guai, per sventatezza o per voler fare di testa propria.

Diogene coniò inoltre un altro termine di uso comune: cosmopolita. Ne fece uso per la prima volta per rispondere a coloro che gli chiedevano da quale paese provenisse.

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