democrazia Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 20 Sep 2024 13:52:55 +0000 it-IT hourly 1 Gli Stati Generali di Versailles del 1789 https://cultura.biografieonline.it/stati-generali-versailles-1789/ https://cultura.biografieonline.it/stati-generali-versailles-1789/#comments Wed, 25 Mar 2015 16:58:33 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13873 Il 4 maggio 1789 si tenne a Versailles una sfarzosa cerimonia di apertura degli Stati Generali. Si trattava un organo che rappresentava i tre ordini sociali più importanti (nobiltà, clero e terzo stato) che veniva convocato in caso di situazione di pericolo del paese per limitare il potere monarchico. Dopo l’apertura ufficiale, gli Stati Generali vennero inaugurati il 5 maggio e si riunirono in quella data per la prima volta. L’obiettivo era quello di affrontare la grave crisi economica in cui versava la Francia del tempo.

Apertura degli Stati Generali - Francia 1789 - Couder
5 maggio 1789: si aprono gli Stati Generali – Il momento storico viene catturato da Auguste Couder in un suo celebre quadro

Essi contavano 1.139 membri di cui 291 rappresentati del Primo Stato (clero), 270 per il Secondo Stato (aristocrazia) e 578 per il Terzo Stato (popolazione, in particolare Borghesia). Ogni ordine si riuniva in camere separate per prendere decisioni in modo autonomo e poi veniva emesso un voto per ogni Stato: in questo modo non era consentito il pareggio e la nobiltà e il clero venivano sempre avvantaggiati perché prendevano spesso decisioni simili, salvaguardando i propri interessi anziché quelli della nazione.

La storia degli Stati Generali

La prima convocazione ufficiale avvenne nel 1302 da parte del re Filippo IV. Successivamente saranno convocati 22 volte in 487 anni. Dopo la convocazione del 1614 da parte di Maria de’ Medici, non vennero più convocati fino al 1788 anno in cui Luigi XVI decise la riunione per il rinnovo dei membri.

Gli Stati Generali erano una assemblea di origine medievale e feudale e venivano indetti proprio per limitare il potere del sovrano. Gran parte del potere era in realtà detenuto dal clero e dall’ aristocrazia già nel 1300, in quanto essi avevano maggiori interessi a limitare il potere della corona per impossessarsi di maggiori privilegi. Il motivo per cui per più di 100 anni non vennero convocati è da ricercarsi nell’ascesa dell’assolutismo.

Re Luigi XIV, detto il
Re Luigi XIV, detto il “Re Sole”

La Francia del 1600 fu dominata dal regno di Luigi XIV, detto Re Sole, che aveva concentrato nelle sue mani tutto il potere. Così facendo, tutti gli altri organi di governo, tra cui gli Stati Generali, cessarono di esistere. Nel momento di crisi economica profonda in cui piombò lo stato alla fine del Settecento, fu necessario da parte di Luigi XVI rivalutare questo organo consultivo, soprattutto per cercare di tenere la popolazione sotto controllo.

All’ introduzione dell’ennesima nuova tassa sui latifondi (1787) che il re aveva emanato nel tentativo di frenare la crisi, i nobili, i parlamenti locali e il clero insorsero e chiesero a gran voce la convocazione degli Stati Generali. Il Terzo Stato colse così l’occasione per far sentire anche il proprio parere e dar voce ai tanti poveri che versavano in condizioni di miseria nera.

La cerimonia di apertura

Come d’usanza, gli Stati Generali venivano presentati dinanzi al re seguendo una particolare cerimonia. I deputati dovevano presentarsi uno per volta al sovrano: egli ricevette il clero con entrambi i battenti della porta della stanza aperta, quelli della nobiltà con un solo battente aperto mentre per quelli del Terzo Stato si ritirò nella camera da letto. Questo stava ad indicare l’importanza che il re dava a ciascuno degli ordini e soprattutto il rispetto che riversava per ciascuno di loro.

Il 4 maggio 1789 iniziò la cerimonia ufficiale di apertura: si tenne una processione per le strade di Versailles e poi la messa solenne nella chiesa dello Spirito Santo. Il giorno seguente invece si diede avvio alla seduta inaugurale nella sala dei Tre Ordini, sempre nell’immenso palazzo di Versailles. I deputati si sedettero alla presenza sia del re che della regina Maria Antonietta: il clero si posizionò alla destra del trono, la nobiltà a sinistra e il Terzo Stato difronte, dopo essere entrati da una porta laterale e aver atteso per ore in un corridoio. Già da questi semplici gesti è possibile capire qual era il tipo di potere dominante in Francia: i borghesi contavano ben poco nella società, mentre il clero e la nobiltà si spartivano le ricchezze.

Una curiosità: il re si mise il cappello e lo seguirono, come da tradizione, anche i nobili e il clero. Per ripicca anche i rappresentati del Terzo Stato decisero di coprirsi il capo, nonostante fosse a loro vietato, o quantomeno venisse considerato di cattivo gusto farlo.

Re Luigi XVI di Francia
Re Luigi XVI di Francia

Re Luigi XVI pronunciò il discorso di apertura, lamentandosi della difficile situazione in cui versava il paese e auspicando di trovare una soluzione quanto prima per riordinare le finanze. Dopo di lui la parola passò a Barentin, il guardiasigilli, che elogiò il re e si dimostrò conservatore su tutte le posizioni. Poi il discorso di Necker, l’allora Ministro delle Finanze, che durò ben tre ore e si soffermava sempre sulla situazione finanziaria ma con un’ottica più positiva per la soluzione della crisi. Non venne ancora affrontato però il problema del voto.

Le questioni politiche

Nella riunione degli Stati Generali del 1789, l’obiettivo principale era quello di risolvere i problemi finanziari in cui era piombata la Francia negli anni precedenti. Durante la campagna elettorale si diffusero ben 60 mila cahiers de doléances, i quaderni di doglianza, nei quali i borghesi illuminati avevano scritto e denunciato tutte le ingiustizie perpetrate nei loro confronti e soprattutto avevano attaccato l’antico regime dell’assolutismo monarchico.

Non era più tempo per un re che si comportava come fosse un Dio in terra, e qualcosa ormai nella Francia del tempo si era rotto con l’avvento delle idee illuministiche di fraternità ed uguaglianza. I borghesi del Terzo Stato pertanto si fecero portatori di queste nuove proposte e tentarono, con l’organismo degli Stati Generali, di cambiare il paese già all’interno dei suo organi più importanti. Ma la strada era lunga e in salita perché bisognava scontrarsi con i detentori del potere.

All’apertura della riunione, per prima cosa il terzo stato contestò il sistema di voto per stato, altrimenti avrebbero avuto sempre la meglio nobiltà e clero uniti insieme. Venne proposto così il sistema di voto per testa: in questo modo il Terzo Stato, essendo il più numeroso, sarebbe riuscito finalmente ad avere voce in capitolo per risolvere i problemi della Francia. Venne proposta inoltre anche la riunione in una camera comune, così da avere un confronto diretto tra le parti. Il Terzo Stato chiese anche l’aumento dei propri membri, unica richiesta che venne accolta, ma il sistema del voto per stato venne rifiutato. Il re, incapace di prendere una decisione o di schierarsi, rimase immobile per settimane e la situazione stava diventando insostenibile.

Il 20 giugno i rappresentati della borghesia si diressero verso la sala riunioni degli Stati Generali ma il re gli fece trovare le porte chiuse. A quel punto i deputati del Terzo Stato si spostarono in un’altra sala utilizzata per il gioco della pallacorda e in quella sede giurarono di restare uniti fino a quando non fosse stata approvata una costituzione in grado di abolire l’ancien regime (Giuramento della Pallacorda). Il 9 luglio i rappresentati della borghesia formarono l’Assemblea Nazionale costituente, per dotare il paese di una Costituzione. La Rivoluzione era praticamente già avvenuta.

La presa della Bastiglia, la Rivoluzione Francese e il destino dell’Europa

Il Terzo Stato doveva comunque stare attento sia all’ esercito reale, che si avvicinava a Parigi, sia all’ entusiasmo popolare. Il 12 luglio Necker venne costretto da Luigi XVI a dimettersi e la protesta popolare divenne sempre più impetuosa: il 14 luglio i Sanculotti, operai di Parigi, assaltarono la Bastiglia, prigione parigina in cui erano detenuti tutti i dissidenti politici e simbolo dell’ancien regime.

Rivoluzione Francese: La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789
Rivoluzione Francese: La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789

Il lavoro dell’Assemblea non si fermò: il 5 agosto vennero aboliti tutti i privilegi feudali e il 26 agosto venne approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in cui venivano sanciti i principi di libertà, uguaglianza e fraternità. Gli Stati Generali e l’assolutismo erano ormai tramontati definitivamente per lasciare spazio ad un periodo sì di lotte, ma soprattutto di affermazione della democrazia in Europa, dal quale non si tornò più indietro.

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La Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino https://cultura.biografieonline.it/la-dichiarazione-dei-diritti-delluomo-e-del-cittadino/ https://cultura.biografieonline.it/la-dichiarazione-dei-diritti-delluomo-e-del-cittadino/#comments Thu, 26 Apr 2012 15:43:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1629 Una parte del preambolo della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino, sviluppato nel corso della Rivoluzione Francese – un testo che segna un profondo cambiamento nella storia dell’essere umano – recita così:

l’ignoranza, la dimenticanza o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi.

Rappresentazione della Dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del cittadino (1789)
Rappresentazione della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino (1789)

Periodo storico

Nel periodo tra il 1788 ed il 1799 la Francia vede epocali cambiamenti sociali, politici e culturali, che segnano la fine dell’assolutismo della monarchia e la nascita della repubblica.

In crisi economica e politica, la Francia vede crescere sempre più lo scontento fra il popolo, ormai ridotto in estrema povertà, oppresso dagli aumenti delle imposte e angustiato dalla consapevolezza delle somme ingenti sprecate dai reali.

L’”Affaire du collier”, lo scandalo della collana, è l’intrigo che scredita definitivamente la famiglia reale e che prepara il terreno per la rivoluzione.

Coinvolta la regina Maria Antonietta, moglie di re Luigi XVI, accusata di avere acquistato una costosa collana di diamanti, apparendo così una dilapidatrice dei soldi dello Stato. Simbolo del potere monarchico è la Bastiglia, che il 14 luglio 1789 viene presa dal popolo insorto.

Nei mesi seguenti profondi sconvolgimenti si succedono nella storia francese.

Stesura della Dichiarazione

E’ in questo periodo della Rivoluzione che viene discussa la stesura di un documento che elenchi i diritti fondamentali dell’individuo e del cittadino, riuniti nell’espressione “liberté, égalité, fraternité” (libertà, uguaglianza, fratellanza), trinomio coniato dal Conte di Cagliostro, profondo sostenitore di questi valori e che si trova in Francia nel 1785.

Sviluppata sul modello della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, la Dichiarazione è approvata a Versailles dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Ispirandosi alle idee degli illuministi Montesquieu e Jean-Jacques Rousseau, è emanata il 26 agosto 1789.

L’Ancien Régime, termine utilizzato dai rivoluzionari francesi per indicare la monarchia assoluta, da questo momento vede il suo tramontare.

La Dichiarazione è composta da un preambolo e da 17 articoli, che enunciano i diritti “naturali ed imprescrittibili”:

  • l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani;
  • il diritto alla libertà di opinione, di espressione e di culto;
  • il diritto alla proprietà privata e alla sicurezza;
  • il diritto di resistenza all’oppressione dei governi;
  • l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge;
  • il principio di sovranità democratica.

Esprime inoltre le norme per i rapporti tra cittadino e stato, esprime la regola secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e determina che la legge ha il diritto di proibire le sole azioni nocive alla società.

Approvata da re Luigi XVI il 5 ottobre, messo sotto pressione dall’Assemblea Nazionale, è successivamente inserita come preambolo nella prima Costituzione della Rivoluzione Francese del 1791.

Modificata e ampliata nel 1793 e nel 1795, la Dichiarazione conta nell’ultima versione 35 articoli.

La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo in epoca moderna

Gran parte del contenuto della Dichiarazione è stato inserito nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo promosso dalle Nazioni Unite nel 1948.

Eleanor Roosevelt presenta la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
1948: Eleanor Roosevelt presenta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. A lei si deve grande merito per questa iniziativa.

Inoltre nel 2003 l’Unesco ha inserito la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nell’Elenco delle Memorie del mondo.

Un testo la cui grandezza risiede nel fatto di non essere una Dichiarazione riguardante soltanto i diritti nati con la Rivoluzione Francese, e quindi una conquista per la Francia di allora, ma di rappresentare ancora oggi il principio su cui si basano i diritti imprescindibili dell’uomo e quindi il fondamento di tutte le democrazie.

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Intervista a Luciano Canfora https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-luciano-canfora/ https://cultura.biografieonline.it/intervista-a-luciano-canfora/#respond Tue, 21 Feb 2012 23:59:19 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=670 Luciano Canfora è docente di Filologia classica all’Università di Bari e coordinatore scientifico per la Scuola Superiore di Studi di San Marino. Con ogni probabilità è il più autorevole conoscitore della civiltà e della cultura classica a livello nazionale, con particolare predilezione verso il mondo dell’antichità greca. Inoltre è saggista, esperto di storia greca, storia romana, letteratura greca, secondo l’Istituto di Enciclopedia Italiana: “profondo conoscitore della cultura classica”, direttore dei “Quaderni di storia” e collaboratore fisso delle pagine culturali del “Corriere della Sera”. È autore di manuali e libri di grande importanza, tradotti anche all’estero, tra i quali è opportuno ricordare “La storia falsa” (Rizzoli 2008), “La biblioteca scomparsa” (Sellerio 2009),  “Il viaggio di Artemidoro” (Rizzoli 2010).

Luciano Canfora
Luciano Canfora

A dicembre del 2011, vede le stampe un nuovo, importantissimo lavoro, pubblicato dalla casa editrice Laterza per la prestigiosa collana “I Robinson”, interamente dedicato alla civiltà, alla politica, alla cultura e alla società ateniese. “Il mondo di Atene”, questo il titolo dell’opera, cerca di penetrare una volta per tutte nel cuore di un termine nato in Grecia e, ancora oggi, tra i più pronunciati e discussi, sulla cui essenza si è arrovellato il pensiero dei più grandi pensatori occidentali: la democrazia. Di seguito, alcune considerazioni del professor Canfora intorno ai principali temi trattati nel suo volume, carpiti nel corso di una presentazione del suo libro dedicato ad Atene.

Qual è la particolarità della democrazia ateniese, se è davvero lì che nasce? Quali sono i luoghi comuni da sfatare?

L’esperimento politico che siamo soliti chiamare con il termine “democrazia” ha in Grecia la sua origine, per quello che se ne sa. C’è un’idea secondo cui una “comunità che si raduna per decidere”, come potremmo definirla, non sia prettamente un’invenzione greca, come ha sostenuto un grande studioso indiano, Amartya Sen, secondo cui forse già in India, in precedenza, era presente questa ipotesi operativa.
Ad ogni modo, il meccanismo della democrazia antica è un meccanismo elementare, consistente nel fatto che coloro i quali si riconoscono come detentori di piena cittadinanza, si radunano per decidere in merito ad alcuni problemi fondamentali. Trae origine da una dimensione modesta dunque, legata alla comunità e va vista, pertanto, come lo sviluppo di un modo di essere di una comunità di piccole dimensioni.
È importante notate che non esiste in latino il corrispettivo di questa parola: “democrazia”. Cosa che ci porta a dire che è facile affermare dove nasca questa parola, il luogo, per quanto non sia affatto semplice, invece, indicare quando effettivamente essa cominci ad essere attuata. Gli stessi Ateniesi, cercavano sempre di retrodatare la nascita della loro “democrazia”: era un loro vanto. Come a dire “da sempre abbiamo avuto questo modello politico” e si veda, come esempio, la tragedia di Euripide, “Le supplici”. Naturalmente non può essere così anche se, nel momento in cui si consolida, la democrazia, essa ha, questo sì, quale grande novità rispetto a qualsiasi altra forma di governo, quella che anche i poveri hanno diritto alla cittadinanza. Questo significa che essi vanno all’assemblea e che contano, che pesano, anche loro.

Anche la tirannide, come forma di governo, nasce nella stessa terra nella quale prende avvio la democrazia. In Grecia. Quali differenze, allora?

Quando si consolida la democrazia, di conseguenza, viene subito indicata nella cosiddetta “tirannide”, il suo esatto contrario. “Noi siamo diventati democratici”, dicono gli ateniesi, “abbattendo la tirannide”: si crea dunque una polarità, due valori opposti, antitetici. È realmente così? O è solo propaganda?
La risposta è nel termine stesso della parola, almeno alla sua origine, facendo riferimento al momento in cui essa è una forma di governo a tutti gli effetti. Tirannide, in realtà, è difatti un termine di convenzione. È un’istituzione altamente positiva nel mondo greco e non bisogna vedere il significato che ha assunto successivamente: nel mondo di Atene, è una forma di mediazione dei conflitti, tra clan, tra grandi famiglie. Significa proprio mediatore, il termine “tiranno”. Ovviamente, necessita di una base sociale di tipo popolare, per essere accettato, questo mediatore. La tirannide ad Atene pertanto, ha avuto una lunga storia, nel VI secolo A. C., con Pisistrato, di cui parla a lungo Aristotele.
Il tiranno può ben dirsi il primo capo popolare nella storia dell’antica Grecia e la democrazia è una costola della tirannide. Dice Erodoto, nel suo racconto della nascita della democrazia, che Clistene, quando instaura questo nuovo modello, ebbene, porta nella sua eteria, nel clan personale, il cosiddetto “demo”, ossia il popolo. La differenza con il modus di Pisistrato sta esclusivamente nella rotazione delle cariche, a differenza del tiranno il quale, nel suo sistema, prevede al comando sempre le stesse persone. Clistene, stando ai fatti, disfa un ordinamento legato alle tribù gentilizie e realizza una divisione in dieci tribù territoriali, ognuna delle quali composte da demi, da comunità più piccole. La differenza dalle altre città sta solo in una: quando i non possidenti, che non hanno una ricchezza propria, come i marinai che fanno muovere le navi, diventano dei cittadini pienamente riconosciuti. Più che il modello ad essere differente, è la qualità e il numero dei fruitori.
Democrazia, infine, nella sua forma letterale di “potere del popolo”, non è una forma costituzionale, ma una definizione che danno i nemici di questo sistema, il quale per la prima volta dichiara di mettere il potere nelle mani di un ceto non possidente, che ha dalla sua una risorsa enorme, ossia il ceto intorno al quale funziona l’impero marittimo. È l’impero che crea il potere popolare, e non viceversa.

Qual è la reazione dei ceti dirigenti ateniesi, dopo il consolidamento di questo nuovo tipo di modello?

I ceti dirigenti restano sempre in vetta, come si dice. Di fronte a questa straordinaria novità, reagiscono nella maniera più naturale possibile, in quanto restano sempre le stesse famiglie sulla scena e restano sempre tali: potenti, forti, anche dopo. Però, qui la differenza, lo scarto con gli altri sistemi, esse accettano di guidare questa nuova modalità, assumendo come strumento basilare quello dell’assemblea popolare. Rispetto a prima, tale assemblea, è un sistema estremamente più attivo e reattivo, con l’allargamento della cittadinanza. Tucidide, a tal proposito, biografo di Pericle, dice che lui preferiva “guidare, piuttosto che essere guidato”. Ne tesse le lodi, per così dire, di autoritario, senza rinunciare al riconoscimento dell’assemblea: significa che, anche Pericle, per quanto potente, di certo non poteva rifiutare la modalità dell’assemblea.

Luciano Canfora - foto
Nella foto: Luciano Canfora

Punto centrale della storia ateniese, come si legge nel libro, è il 415. L’anno della spedizione ateniese in Sicilia, la quale non è di fatto obbligata, così come viene posta dagli storici greci. Perché questo? Cos’è che fa pendere sul piatto della bilancia una decisione piuttosto che un’altra?

Gli otto libri di Tucidide sono un monumento e siamo fortunati ad averli. Lui presenta il suo racconto come vero, assicura il lettore in modo autorevole e, al tempo stesso, promette e mostra di realizzare un racconto completo e senza vuoti. È evidente che non può essere così. È come se, della seconda guerra mondiale, noi avessimo perso tutti gli archivi e le cronache e ci basassimo solo sul libro “La storia della seconda guerra mondiale” di Winston Churchill: una visione assolutamente soggettiva, per quanto valida.

Quando ci si pone la questione del perché gli ateniesi, dopo dieci anni di guerre, con una pace molto gratificante abbiano deciso, appunto, di muovere guerra alla Sicilia, bisogna considerare moltissimi aspetti, e tenere a mente che si tratta di un momento di capitale importanza nella storia di Atene.
La città infatti, vive una pace molto gratificante rispetto al passato, perché viene accettato a tutti gli effetti l’impero di Atene, finalmente riconosciuta da Sparta e dalle altre potenze: si tratta di una vittoria diplomatica enorme. Il parallelo, può essere tracciato prendendo come termine di paragone moderno la conferenza di Helsinki del ’75, di cui molti governanti hanno dimenticato persino l’importanza, la quale riconosceva, all’epoca e in punta di diritto per la prima volta, tutti i confini dopo 1948, ossia dopo le traversie e i processi della seconda guerra mondiale, e lo faceva davanti a potenze come gli Usa, l’Unione Sovietica, la Gran Bretagna e la Comunità Europea.

Per tale ragione, questa pace che vive Atene, non andrebbe affatto violata, così come vogliono molti ateniesi. Come viene convinta, allora,  l’assemblea popolare? La decisione è presa dopo una lunga oratoria da parte di Alcibiade. Stando al racconto di Tucidide pertanto, si evince che è l’oratoria, la retorica, la parola dunque, a consentire ad Alcibiade di portare dalla sua parte l’assemblea, superando le diffidenze anche di chi lo accusava di voler muovere guerra unicamente per soddisfare le proprie ambizioni personali.

Questa qualità della parola, dunque, apre il campo ad un altro mito ateniese: la straordinaria fioritura culturale di quell’epoca.

Il rigoglio che vive in una certa epoca Atene è senza precedenti. Non c’è stata alcuna letteratura, alcuna filosofia tebana o spartana di pari livello, prima e dopo. E va rilevato inoltre che, durante questo splendore culturale, vige anche questo sistema politico, democratico appunto, cosa che ci legittima a mettere in relazione queste due cose: il rapporto che c’è tra questi cittadini e questa grande cultura che ne viene fuori. Al centro però, non va dimenticato, di questa grande cultura, c’è il teatro, il quale è il cardine, è l’altro luogo di educazione collettiva, un elemento importantissimo e non circoscrivibile unicamente all’ambito culturale.
Il teatro pertanto, non a caso è gestito dalla città in prima persona, con i magistrati che presiedono la giuria, con i premi, le gare, le selezioni e quant’altro. E questo perché è un’articolazione statale vera e propria, un impegno pervasivo. Questo implica una produzione costante a livello drammaturgico e da parte di un’enorme moltitudine. È un miracolo, quello ateniese di cui si parla a livello culturale, intimamente connesso al fatto che la città stessa, abbia investito totalmente nel teatro, ritenendolo una fondamentale articolazione dell’educazione collettiva.

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