delitti Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 19 Oct 2023 15:56:47 +0000 it-IT hourly 1 Simonetta Cesaroni: il delitto di via Poma https://cultura.biografieonline.it/simonetta-cesaroni-il-delitto-di-via-poma/ https://cultura.biografieonline.it/simonetta-cesaroni-il-delitto-di-via-poma/#comments Thu, 19 Oct 2023 15:38:08 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=960 Il delitto di via Poma

Simonetta Cesaroni viene assassinata nel pomeriggio del 7 agosto 1990 nell’ufficio dell’A.I.A.G di via Poma 2 a Roma presso il quale presta servizio come contabile. A provocarne la morte è il forte trauma cranico subìto. Le successive 29 coltellate inferte dall’assassino sono solo un’ulteriore testimonianza dell’efferatezza e della crudeltà del delitto. Al momento della morte la vittima ha poco più di vent’anni, e niente nella sua vita privata lascia supporre l’esistenza di frequentazioni poco chiare o pericolose.

Simonetta Cesaroni
Una foto di Simonetta Cesaroni

L’ultimo giorno di lavoro di Simonetta Cesaroni

Simonetta Cesaroni presta servizio presso lo studio di commercialisti Reli Sas che annovera tra i suoi clienti proprio l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù. Il suo superiore, Salvatore Volponi, le propone così di integrare la settimana lavorativa recandosi presso l’A.I.A.G di via Poma il martedì e il giovedì pomeriggio.

Per la ragazza si tratta dell’ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze, e deve controllare semplicemente alcune pratiche. Durante il pomeriggio effettua un’unica telefonata alla collega, Luigia Berettini, per chiederle una password di accesso al computer. Quel pomeriggio di piena estate  è sola in ufficio, e i due portieri dello stabile, Pietro Vanacore detto Pietrino e la moglie Giuseppa de Luca detta Pina, dichiarano di non aver visto nessun estraneo varcare il portone dello stabile in via Poma e entrare nella palazzina B.

Alle 21.30 la sorella, Paola, non vedendola rientrare chiama il Volponi che non riesce a fornirle alcuna informazione utile. Paola e il fidanzato decidono di passare a prendere il Volponi per raggiungere l’ufficio, dove quest’ultimo trova il corpo senza vita della ragazza. Simonetta è nuda, l’assassino gli ha lasciato addosso solo i calzini, un top e il reggiseno.

L’autopsia rivela che l’arma utilizzata per infliggerle i colpi è probabilmente un tagliacarte. Oltre ai tagli, uno dei capezzoli presenta un segno compatibile con un morso. Le uniche tracce di sangue non appartenenti alla vittima sono maschili, e vengono rinvenute sulla maniglia della porta dell’ufficio.

Il primo indiziato: Pietro Vanacore

Il delitto sembra trovare inizialmente una facile soluzione. Tutti i sospetti si appuntano sul portiere dello stabile, Pietro Vanacore. I familiari del portiere dichiarano di essere stati in cortile dalle 16 alle 20, ma il portiere risulta assente proprio nel lasso di tempo in cui è stato commesso l’omicidio, vale a dire tra le 17,30 e le 18,30.

La situazione già delicata viene aggravata dalla scoperta di una macchia di sangue sui pantaloni dell’uomo. Ad un esame scientifico più approfondito il sangue risulterà appartenere allo stesso Vanacore, malato di emorroidi.

Gli abiti, inoltre, non presentano ulteriori tracce ematiche, indizio che scagiona definitivamente il portiere. Dopo aver commesso il delitto, l’assassino ha, infatti,  accuratamente ripulito l’ufficio ed è altamente probabile che si sia macchiato con il sangue di Simonetta. Gli abiti di Vanacore, invece, pur essendo stati indossati per ben tre giorni (dal 7 al 9 agosto) non sono stati macchiati dal sangue della vittima. Infine, anche il sangue sulla maniglia dell’ufficio non appartiene al portiere.

Le ipotesi di indagine: dal coinvolgimento del giovane Federico Valle fino al SISMI e alla Banda della Magliana.

Un caso che sembrava risolto

Il caso che sembrava, dunque, praticamente risolto finisce per complicarsi e per assumere sempre più i contorni di un giallo.

Si dovrà attendere fino al marzo 1992 per una nuova svolta nelle indagini.

Compare sulla scena un cittadino austriaco, Roland Voller, che racconta di una serie di conversazioni telefoniche avute con una donna, Giuliana Ferrara.

La donna è la moglie di Francesco Valle, figlio di un anziano architetto, Cesare Valle, residente nello stabile di via Poma e assistito dal portiere Vanacore.

Il Voller racconta di essere venuto a contatto con la donna a seguito di una telefonata fatta per errore. Tra i due è iniziata una sorta di amicizia telefonica, e Giuliana si è confidata con l’uomo raccontandogli che proprio il 7 agosto del 1990 il giovane figlio, Federico, è tornato a casa sporco di sangue dopo una visita al nonno Cesare.

Secondo questo racconto, Federico avrebbe commesso il delitto perché accecato dalla rabbia per la relazione del padre con la giovane Simonetta. La donna, pur ammettendo di conoscere il Voller, dichiara di non avergli mai fatto questo tipo di confidenze. La procura tenta di perseguire Federico ipotizzando che il giovane abbia avuto come complice il portiere Vanacore, chiamato dal nonno per cancellare le tracce del delitto e proteggere così il nipote.

Le analisi sul sangue rinvenuto in ufficio dimostreranno, però, l’estraneità ai fatti del giovane Federico.

Voller, un personaggio misterioso

La figura dello stesso Voller non consente agli inquirenti di battere ulteriormente questa pista. L’uomo svolge la professione di commerciante, ma è in realtà un truffatore che vende spesso informazioni alla polizia.

Nonostante queste scoperte, Voller rimane un personaggio così misterioso da corroborare un’ipotesi investigativa secondo la quale gli uffici di via Poma sarebbero una copertura per non ben precisate attività dei servizi segreti. Si ritiene, infatti, che l’uomo sia vicino a quegli ambienti, e durante una perquisizione vengono trovati in suo possesso alcuni documenti riservati riguardanti il delitto dell’Olgiata. Questi strani e misteriosi intrecci non verranno, però, mai chiariti.

Sulla scia dell’ipotesi precedente viene battuta una nuova pista investigativa fondata sul ritrovamento da parte della giovane di alcuni documenti scottanti dell’A.I.G.A comprovanti la concessione di alcuni favori a membri della Banda della Magliana con il beneplacito del Vaticano e del SISMI.

L’ipotesi prende corpo anche per la presenza di alcuni strani personaggi che dopo l’assassinio si aggirano sotto lo stabile della famiglia Cesaroni, e sembrano avere l’apparenza di agenti del SISMI. Le indagini non portano a nulla di fatto, nonostante proprio in quegli anni  si scoprano i legami realmente esistenti tra la Banda della Magliana e il SISMI.

La pista del Videotel

La difficoltà a sbrogliare l’intricata matassa fa venire alla luce improbabili piste come quella del videotel, una sorta di chat in cui Simonetta avrebbe conosciuto il suo probabile assassino.

In base a questa ipotesi, supportata dall’arrivo in procura di una lettera anonima, la ragazza avrebbe invitato lo sconosciuto del videotel a raggiungerla in ufficio proprio il pomeriggio del 7 agosto.

La pista risulterà poi infondata in quanto Simonetta non aveva un computer personale, e quello del suo ufficio non consentiva l’utilizzo del videotel.

L’accusa al fidanzato Raniero Busco

Le indagini subiscono una svolta quando vengono analizzate delle tracce di saliva rinvenute sul reggiseno e il corpetto indossati da Simonetta. Quelle tracce appartengono al fidanzato della ragazza, Raniero Busco, che viene iscritto nel registro degli indagati nel settembre del 2007.

La posizione di Busco si aggrava quando Paola Cesaroni asserisce che la sorella ha indossato quella biancheria proprio il giorno del delitto: le tracce dunque non possono essere state lasciate in un altro momento. Le ulteriori analisi sul sangue rinvenuto sulla maniglia rivelano, inoltre, la compatibilità con l’ex fidanzato della vittima. Stessa cosa accade anche per il segno del morso sul seno.

La sentenza di primo grado emessa nel 2011 dichiara Busco colpevole dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, e lo condanna a una pena detentiva di 24 anni. Il processo di secondo grado è, invece, ancora in corso.

Nel 2009 viene anche archiviata l’indagine a carico del portiere Pietrino Vanacore, che purtroppo alla vigilia della sua testimonianza nel processo contro Busco si toglie la vita annegandosi. Lascia un biglietto in cui dichiara che vent’anni di sospetti non possono che condurre al suicidio.

Busco viene assolto in appello nel mese di aprile 2012.

La Cassazione assolve infine Busco in via definitiva il 26 febbraio 2014: il delitto di via Poma resta pertanto senza colpevoli.

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Dalia Nera (The Black Dahlia), riassunto del romanzo di James Ellroy https://cultura.biografieonline.it/dalia-nera-ellroy/ https://cultura.biografieonline.it/dalia-nera-ellroy/#comments Thu, 03 Nov 2016 11:59:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20354 Molti di noi amano il genere poliziesco: tra i romanzi di questo genere, ne consigliamo uno dello scrittore James Ellroy. Si tratta del libro intitolato “Dalia Nera” (The Black Dahlia). E’ un libro di genere noir che cattura l’attenzione del lettore e lo tiene sulle spine fino all’ultima parola.

Dalia Nera (The Black Dahlia) - libro - riassunto - James Ellroy
Dalia Nera: una copertina del libro di James Ellroy. E’ il primo libro della tetralogia della Los Angeles Nera, romanzi ambientati tra gli anni ’40 e gli anni ’50 a Hollywood. Dalia Nera è del 1987: in Italia è stato pubblicato da Mondadori nel 2006.

Il linguaggio adottato dall’autore è spesso secco e brutale, volutamente a tratti smozzicato perché vuole trascinare il lettore nelle vicende dei protagonisti. Ellroy vuole far partecipare il lettore in prima persona. Gli ricorda che si tratta di un vero e proprio delitto, con tanto di corpo mutilato e di spargimento di sangue. Il romanzo è ambientato negli Stati Uniti d’America, nel dopoguerra che segue il secondo conflitto mondiale.

James Ellroy descrive in modo minuzioso i palazzi giganteschi, le periferie squallide e gli ambienti ovattati della società cittadina di Los Angeles. Utilizza un dialogo indiretto che, in qualche modo, fa emergere le personalità particolari dei due poliziotti, da una parte. E dall’altra la voragine di degrado, criminalità e l’atmosfera cupa della città.

Dalia

La dalia è un fiore, un genere di piante originario del Messico, di cui il tubero viene considerato commestibile. Il nome Dalia è un omaggio al botanico svedese Anders Dahl (1751-1789), che fu allievo di Linneo.

Non l’ho mai conosciuta da viva. Lei, per me, esiste solo attraverso gli altri, nell’evidenza delle loro reazioni alla sua morte. Scavando a ritroso e attenendomi ai fatti posso dire che era una ragazza triste e una puttana. Nella migliore delle ipotesi era una fallita, un’etichetta che, del resto, potrei applicare a me stesso.
(INCIPIT del romanzo “Dalia Nera”)

Dalia Nera: riassunto del libro

Il libro si ispira realmente ad un fatto accaduto. E’ l’omicidio di Elizabeth Short, aspirante attrice denominata “Dalia Nera” (The Black Dahlia). La donna sarebbe giunta a Los Angeles alla ricerca della fama ma, alla fine, avrebbe trovato solo la morte, schiacciata dal mondo, cupo e crudele, dello show business.

La vittima viene definita dallo scrittore come una ragazza solare, allegra ma al tempo stesso imprudente. Oltre ad essere un’aspirante attrice, svolge anche il dubbio mestiere di prostituta a tempo perso. Si tratta di una delle tante vittime consenzienti dello show business e, soprattutto, di sé stessa.

I due poliziotti

Il romanzo si apre quindi con i due poliziotti di Los Angeles, entrambi ex pugili, Lee Blanchard e Bucky Bleichert, che si trovano ad indagare sul caso della donna. Il corpo viene ritrovato sezionato in due tronconi, frutto di uno dei tanti terribili sfregi effettuati da parte del suo cruento assassino. La ragazza era soprannominata Dalia Nera per la sua abitudine di vestirsi sempre con il colore nero. L’autore si riferisce inoltre ad un famoso film intitolato “La Dalia Azzurra” (1946). Oltre a questa intricata vicenda di ricerca della verità sull’assassinio, al romanzo si aggiungono le vicende sentimentali della vita dei due poliziotti.

Il primo, Lee, si trova a fronteggiare una crisi con la sua ragazza Kay a causa anche del suo lavoro e delle indagini che gli rubano tutto il tempo e il sonno. Il secondo, Bucky, (attratto dalla fidanzata del collega), si è invaghito della bella ma pericolosa Madeleine Linscott. Questa è figlia di uno degli uomini più importanti della città che, inoltre, si trova invischiato in situazioni poco chiare e piacevoli.

Bucky scoprirà che la bella Madeleine frequenta un locale per lesbiche e che si trova spesso invischiata in giri poco puliti. Questo locale, inoltre, in passato veniva frequentato dalla stessa Elizabeth Short e dalla sua giovanissima amica Lorna Mertz. Questi personaggi femminili, per entrare nel mondo di Hollywood, usavano tutti i mezzi possibili.

Bobby

L’attrito tra i due colleghi riaffiora quando un galeotto di nome Bobby DeWitt, appena tornato in libertà, decide di risolvere un conto con il passato da chiudere con Lee. Il collega Bucky inizialmente è un po’ restio, ma poi decide di correre in soccorso di Lee. La situazione precipita quando Lee uccide Bobby. Poco tempo dopo, anche Lee muore in circostanze misteriose, sgozzato e scaraventato giù da più piani di uno stabile da parte di una figura misteriosa. Bucky ora si trova da solo ad indagare sulla morte del collega e di Elizabeth Short.

Intanto, continuano le indagini per risalire all’assassino della povera Elizabeth e, dopo aver visionato un film pornografico in cui erano presenti sia lei che la sua amica Lorna, Bucky ritiene responsabile dell’assassinio il padre di Madeleine, ovvero Emmett Linscott. Ma la verità è un’altra.

Finale

Il poliziotto raggiunge la lussuosa abitazione del miliardario Emmett Linscott e cerca delle conferme alla sua tesi. La sua ricerca però  non porta a nessun risultato. Emmett Linscott, infatti, non è il colpevole. Mentre Bucky si trova nella villa del miliardario, assiste sgomento alla confessione della moglie del miliardario, Ramona, che poi si suicida.

Tra l’altro, Bucky si rende ben presto conto che è stata la pericolosa Madeleine, del quale si era invaghito, ad uccidere il suo collega. Il movente risiede nel fatto che questi stava ricattando l’amato e ricchissimo padre per raggiungere i propri obiettivi.

A questo punto, il poliziotto Bucky ha un confronto finale con Madeleine che culmina nel peggiore dei modi. Non si arriva ad una vera e propria giustizia per nessuno dei personaggi del romanzo. Bucky, pur raggiungendo ora la bella Kay, non ha la vita che da sempre aveva desiderato.

James Ellroy - Perfidia
James Ellroy con il suo romanzo “Perfidia” (2015)

Commento all’opera

Il finale è ricco di pathos. Lo scrittore James Ellroy non fa uscire pulito nessuno dei suoi personaggi principali. Essi sono caratterizzati sia dalla presenza del Bene sia da quella del Male. Nessuno di loro esce da questa storia con la coscienza completamente pulita.

Si tratta del primo romanzo della tetralogia della Los Angeles Nera, ovvero libri ambientati tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta a Hollywood. Il libro ottenne un ottimo successo, sia in termini di critica che di pubblico, tanto che in Italia venne pubblicato, nel 2006, dalla Arnoldo Mondadori Editore. Venne definito la gemma del noir realizzato da uno dei maestri del genere.

Dalia Nera al cinema

Famosa è anche la trasposizione cinematografica del 2006, The Black Dahlia. Il film è diretto da Brian De Palma, e si ispira direttamente al libro di James Ellroy. La pellicola ottenne un buon successo sia Italia che all’estero, in modo particolare negli Stati Uniti. Tra i protagonisti del film ricordiamo: Josh Hartnett (Bucky), Scarlett Johansson (Kay), Aaron Eckhart (Lee).

Un’altra citazione cinematografica: in una vicenda del nono episodio della prima stagione della serie televisiva American Horror Story, si fa riferimento alla Dalia Nera.

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Roberta Ragusa, un caso di cronaca nera e femminicidio https://cultura.biografieonline.it/roberta-ragusa-storia/ https://cultura.biografieonline.it/roberta-ragusa-storia/#respond Sat, 21 Mar 2015 10:17:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13687 Aveva 44 anni Roberta Ragusa al momento della scomparsa: il suo cadavere non è stato trovato. Sposata e madre di due figli, viveva a San Giuliano Terme (Pisa) dove, insieme al marito, gestiva una scuola-guida che si trova adiacente alla propria abitazione. A fare la denuncia di scomparsa è stato il marito, che ha riferito che, intorno alla mezzanotte del 13 gennaio 2012, prima di andare a letto, Roberta si è trattenuta in cucina per scrivere la lista della spesa che avrebbero dovuto fare insieme il giorno successivo.

Roberta Ragusa
Una foto di Roberta Ragusa

Poi, alle 6.45, il marito si è svegliato e si è accorto che Roberta non era a letto. Gli abiti erano ancora in camera, mancavano invece il pigiama rosa e le ciabatte. Ha trovato inoltre la porta di casa che non era chiusa a chiave come la sera precedente e a casa c’erano i suoi effetti personali: cellulare, chiavi, documenti, soldi e borsetta. Da quel giorno sono passati tre anni, e l’unico indagato era il marito, per omicidio e distruzione di cadavere.

6 marzo 2015: prosciolto il marito

Il 6 marzo 2015 c’è stata l’udienza preliminare per la scomparsa di Roberta Ragusa. Il marito della donna, Antonio Logli, è stato prosciolto dal gip Giuseppe Laghezza che ha dichiarato “il non luogo a procedere”. Di conseguenza, il processo a suo carico non si svolgerà. Le indagini sono durate tre anni e, in un primo momento, ci sono state diverse segnalazioni da diverse parti d’Italia, dove dei testimoni affermarono di aver visto la donna viva. Ma le segnalazioni, tuttavia, si sono rivelate non veritiere. Poi, a settembre scorso, il marito fu iscritto nel registro degli indagati. Era stato lui l’ultima persona ad averla vista viva. Per il marito si trattava, così ha sempre sostenuto, di un allontanamento volontario.

Antonio Logli
Antonio Logli

Antonio Logli e la sua relazione extraconiugale

Fu scoperto nel corso delle indagini che l’uomo aveva un’amante, Sara: una verità che fu scoperta dalla stessa Roberta Ragusa. Questo, secondo i giudici, causò la sua uccisione da parte di Antonio. Sara in precedenza aveva lavorato in casa dei due coniugi in qualità di babysitter, poi per un periodo anche presso la scuola-guida che gestivano.

Loris Gozzi
Loris Gozzi

La testimonianza di Loris Gozzi, un vicino di casa

Ad inchiodare il marito di Roberta c’era stata la testimonianza del vicino di casa, Loris Gozzi, che aveva detto di aver sentito un litigio tra un uomo e una donna la notte della scomparsa di Roberta. E di aver visto Logli far salire in auto una donna con la forza. Da qui le accuse di omicidio e di occultamento di cadavere nei confronti di Logli. Il pm Aldo Mantovani aveva chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio. Cosa che è accaduta il 6 marzo 2015, con la sentenza choc.

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L’udienza preliminare

È iniziata la mattina del 6 marzo 2015: Antonio Logli è stato fatto entrare da una porta secondaria, dopo essere arrivato a bordo di un’auto guidata da un amico. Con lui, il suo avvocato Roberto Cavani. In questi tre anni di indagini, l’uomo si era avvalso della facoltà di non rispondere, così non è mai stato interrogato dagli inquirenti. Il pm Antonio Giaconi lo ha definito un “bugiardo patentato”. Secondo il pm, una volta che l’uomo ha capito che avrebbe perso lavoro, figli e casa con una separazione, avrebbe ucciso la moglie.

Le intercettazioni con l’amante che in questi anni, dopo la scomparsa di Roberta, si è trasferita in casa Logli

Secondo il settimanale “Giallo”, Logli, parlando con l’amante, avrebbe detto della moglie: “Ma te lo immagini? Questa qui è uscita così, fuori di testa, sbandata. Ha incontrato questo qui, drogato fatto… Per carità, sarò anche andato a prendere la moglie ed è tornato a casa. Ma che ne sai? Che ne sai che ha portato il cane fuori e che anche lui era fuori, era fatto… Mamma mia, magari la moglie lo copre… Oppure, poveraccia, gli può anche credere… Sono supposizioni, eh, per amor di Dio… Ma lui ha detto in modo deciso: È morta. E questa è stata la cosa che mi ha fatto pensare tanto“.

Nel 2019

A luglio del 2019 la Cassazione ha confermato la condanna a 20 anni ritenendo Logli responsabile dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere della moglie.

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Il delitto di Rosy Bonanno https://cultura.biografieonline.it/rosi-bonanno-storia/ https://cultura.biografieonline.it/rosi-bonanno-storia/#comments Sun, 15 Feb 2015 16:54:33 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13246 Le ha inflitto 17 coltellate senza pietà, l’ha uccisa mentre nell’altra stanza dormiva il loro bambino di due anni. Stiamo parlando di Rosy Bonanno, una donna di 26 anni, uccisa dall’ex compagno il 10 luglio 2013. I due erano separati da gennaio quando, approfittando del fatto che la ragazza si trovasse in casa da sola con il bambino, Benedetto Conti si è presentato nell’appartamento e ha ucciso la donna senza pietà, con 17 coltellate. L’omicidio è avvenuto in Via Orecchiuta a Palermo.

Rosy Bonanno
Una foto di Rosi Bonanno (a destra) e Benedetto Conti (a sinistra)

L’inizio della relazione

Era il 2009 quando i due si sono conosciuti, è stato un colpo di fulmine, al punto che Rosi, che aveva un’altra relazione, decide di interromperla per frequentare Benedetto, nonostante il parere contrario dei suoi genitori, per la differenza d’età tra i due, dieci anni. Un amore che è destinato a trasformarsi in una tortura per la donna, che ha solo 22 anni. I due organizzano la classica “fuitina”, pur di vivere il loro amore. Benedetto non ha soldi, è senza un lavoro, ma questo non serve a scoraggiarli. Per qualche settimana decidono di vivere in macchina. Sino a quando i genitori di lei gli affittano un appartamento vicino casa loro.

Inizia la convivenza, nel corso della quale Rosi scopre la vera indole del suo compagno. L’uomo è svogliato, non ha voglia di lavorare e di occuparsi della famiglia e quando Rosi Bonanno gli parla di questo, lui reagisce con violenza. Da qui iniziano periodi di separazione, che si alternano a momenti di avvicinamento. I litigi sono frequenti e aumentano dopo la nascita del figlio; l’uomo a questo punto tenta di ottenere l’affidamento del piccolo. Ma nessuno dei due genitori ha la possibilità di provvedere al figlio, così il Tribunale lo affida un po’ ai genitori di lei, un po’ ai genitori di lui. Arriva la separazione definitiva tra i due: è il mese di gennaio del 2013. L’uomo non si rassegna e inizia a torturare lei e la sua famiglia.

Il giorno dell’omicidio di Rosy Bonanno

È il 10 luglio 2013. Rosy Bonanno è in casa da sola. Apre la porta, fa entrare Benedetto, hanno una lite, poi lui afferra il coltello e la massacra con 17 coltellate. Quindi fugge, se ne va a Villabate, paese in provincia di Palermo, qui viene arrestato sotto casa dei genitori. Viene condannato a 30 anni per omicidio.

Il delitto annunciato

Rosi aveva presentato sei denunce per maltrattamenti: “E’ un delitto annunciato. Si sapeva che finiva così”, dice Teresa Matassa, madre della giovane vittima. “Da controlli nel registro generale delle notizie di reato abbiamo accertato che la signora Rosi Bonanno aveva denunciato due volte, una nel 2010, l’altra nel 2011, Benedetto Conti. Le accuse erano di maltrattamenti in famiglia e non di stalking. Entrambe le denunce furono archiviate dal gip su richiesta della Procura perché la signora, risentita dagli inquirenti, minimizzò i fatti e in un caso ritirò la querela sostenendo che i dissidi erano cessati e che si era riconciliata con Conti”, hanno detto il procuratore di Palermo, Francesco Messineo e l’aggiunto Maurizio Scalia, che coordinano l’inchiesta.

Femminicidi
Femminicidi: una manifestazione in ricordo di Rosy Bonanno e contro il femminicidio

La Polizia sapeva tutto: “L’assistente sociale, la Polizia sapevano tutto. Da tempo denunciamo violenze, minacce, intimidazioni. Ora che mia figlia è morta venite tutti ma l’avete sulla coscienza, questa non è giustizia, dov’era la legge?”, aggiunge la madre di Rosi. La replica dei servizi sociali del Comune di Palermo: “Conti e la donna hanno rifiutato l’assistenza offerta, che prevedeva il ricovero protetto per la madre e il figlio e, in una struttura separata, per il compagno”.

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L’omicidio di Denise Georgiana https://cultura.biografieonline.it/denise-georgiana-storia/ https://cultura.biografieonline.it/denise-georgiana-storia/#comments Sun, 15 Feb 2015 16:34:25 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13244 Un femminicidio al Nord: Denise Georgiana, 35 anni, è stata assassinata dal marito, che l’ha raggiunta in bagno e l’ha uccisa a coltellate. E’ accaduto all’alba di venerdì 6 febbraio 2015. L’uomo, Florinel Nicolae Stefan, romeno di 45 anni, forse ha agito per gelosia e, dopo aver assassinato la moglie, si è tagliato la gola con lo stesso coltello. E’ successo in Via Vittorio Veneto, a Lodi. A poca distanza dal bagno, la figlia dodicenne è stata svegliata dalle urla della madre. La famiglia romena viveva a Lodi ormai da anni e si era ben integrata.

Nicolae Stefan e Denise Georgiana
Una foto che ritrae Nicolae Stefan assieme alla moglie Denise Georgiana

La dinamica dell’omicidio

Sono le 5 del mattino, l’uomo forse è ubriaco, raggiunge la moglie in bagno lanciandole accuse legate alla gelosia. In mano l’arma del delitto: un coltello con una lama affilata di 20 centimetri. E’ entrato, ha chiuso la porta a chiave, quindi ha iniziato a colpirla, infine l’ha sgozzata. Le urla della donna hanno fatto svegliare la figlia, che aveva dormito con la madre nel letto matrimoniale, e tre ospiti che dormivano nella stanza vicina.

A quel punto hanno cercato di forzare la porta, ma senza riuscirci. Hanno quindi chiamato la Polizia, che è intervenuta subito, facendo uscire la figlia e i tre ospiti dall’appartamento, poi hanno sfondato la porta del bagno e hanno trovato la donna in un lago di sangue. Anche l’uomo era già morto, dopo essersi suicidato, tagliandosi la gola. Sul posto sono intervenuti Alessandro Battista, il capo della squadra mobile della Questura di Lodi, il procuratore capo Vincenzo Russo e Alessia Rosanna Menegazzo, il sostituto procuratore che sta coordinando le indagini.

La famiglia

La coppia da anni viveva a Lodi. Lui era un operaio, da un mese disoccupato. Mentre la moglie faceva la gelataia. La figlia dodicenne frequentava l’oratorio di San Bernardo e le scuole Pascoli, vicino alla palazzina di Via Vittorio Veneto, teatro dell’omicidio-suicidio.

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Il delitto di Addolorata Palmisani https://cultura.biografieonline.it/addolorata-palmisani-storia/ https://cultura.biografieonline.it/addolorata-palmisani-storia/#comments Mon, 02 Feb 2015 14:56:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12897 È scesa per le scale ed è andata in garage dal marito, dal quale era in procinto di separarsi: siamo in Viale Aldo Moro 177, a Monopoli, quando, dopo l’ennesima lite, il marito, Domenico Maggio, ha afferrato l’ascia e ha colpito Addolorata Palmisani, 51 anni, sopra la clavicola destra, recidendo l’arteria giugulare. Pochi istanti e Addolorata è morta dissanguata. Siamo al 4 settembre 2011. La coppia era in procinto di separazione: l’uomo, 49 anni, viveva nel garage, dove è avvenuto il delitto. Secondo una prima ricostruzione, il marito avrebbe reagito ad una provocazione.

Addolorata Palmisani
Addolorata Palmisani, conosciuta come Ada

Chi era Addolorata Palmisani

Addolorata Palmisani apparteneva ad una famiglia tradizionalista e con serie difficoltà economiche, tanto che da ragazza è stata costretta a lasciare gli studi per andare a lavorare e aiutare la famiglia economicamente. Il padre era severo con la giovane, obbligandola alla vita di bracciante agricola e dopo il lavoro per lei c’era solo la casa. Si sposa a soli 18 anni con Domenico Maggio, anche lui della stessa città; inizia così per la donna una convivenza difficile, fatta di violenze. Dal loro matrimonio nascono tre figli, ma questo non serve a Domenico per prendersi cura della sua famiglia. La donna chiede la separazione, lui non si preoccupa più dei figli, né tantomeno di pagare il mantenimento.

La condanna

Domenico Maggio è stato condannato a 15 anni e 4 mesi di reclusione: un processo con rito abbreviato, che ha portato alla condanna dell’omicida. Alle indagini hanno collaborato Polizia e Carabinieri. I poliziotti si sono recati sul luogo del delitto subito dopo la tragedia, mentre i Carabinieri hanno dato la caccia all’omicida.

La ricostruzione dei fatti

Domenico Maggio stava per andare al mare quel 4 settembre del 2011, quando la donna lo raggiunge in garage. Hanno una discussione, poi il raptus di follia. Domenico Maggio afferra l’ascia e colpisce la moglie, lasciandola a terra in una pozza di sangue. Uno dei colpi raggiunge la donna alla gola, recidendole la giugulare. Per lei non c’è stato scampo: è morta dissanguata. L’uomo fugge e si rende irreperibile, poi viene preso dai Carabinieri e, dopo un lungo interrogatorio, confessa il delitto.

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Il delitto di Elena Ceste https://cultura.biografieonline.it/elena-ceste-storia/ https://cultura.biografieonline.it/elena-ceste-storia/#comments Mon, 02 Feb 2015 14:39:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13143 Il 24 gennaio 2014 Elena Ceste scompare dalla sua casa di Costigliole d’Asti. Il marito Michele Buoninconti denuncia la scomparsa: “Mia moglie è scomparsa da casa. Mi aveva pregato di portare i figli a scuola perché non stava bene. E voleva mettere in ordine tutto quanto. Non l’ho più vista”, così racconta agli inquirenti. Appunta queste parole su un foglio: “Dato da mangiare alle oche, scomparsa mia moglie”. Da qui scattano le indagini. Il 18 ottobre 2014 viene ritrovato il cadavere della donna, poco distante dalla sua abitazione, in un canale, avvolto dal fango. Il marito, il 24 ottobre 2014, viene indagato.

Elena Ceste
Elena Ceste

L’arresto di Michele Buoninconti

Dopo un anno, il 29 gennaio 2015, il marito di Elena Ceste viene arrestato. L’arresto è stato effettuato dai Carabinieri di Asti per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Il giorno prima, il 28 gennaio, era stata depositata la perizia autoptica, realizzata dal medico legale di Alba, Francesco Romanizzi. Nell’ordinanza di custodia cautelare il Gip Giacomo Marson ha scritto: “Tutti gli elementi raccolti nel corso delle indagini” indicano “Michele Boninconti come l’autore delle gravissime condotte che gli vengono attribuite“. Il Gip aggiunge che ciò emerge “in maniera dirompente“: il marito di Elena Ceste ha costruito un “castello di menzogne” e ha messo in piedi “vani tentativi di depistaggio” per allontanare da sé il sospetto di aver ucciso la moglie.

Michele Buoninconti
Michele Buoninconti intervistato dalla tv

Inoltre “la condotta dell’indagato dimostra che la scomparsa ed il successivo ritrovamento del cadavere (…) non sono stati il frutto di accadimenti accidentali né di scelte estreme volontariamente intraprese” dalla donna, “ma sono ascrivibili a un evento del tutto estraneo alla sua sfera di dominio“. Sotto osservazione anche l’atteggiamento di Michele Buoninconti nei confronti dei quattro figli. Il Gip ha scritto: “Di estrema gravità anche nell’ottica di valutare la personalità dell’indagato, è il metodo sottilmente intimidatorio utilizzato per raggiungere lo scopo, suggestionando i propri figli più giovani con la paura tratteggiando uno scenario di allontanamento dalla casa e separazione dagli altri fratelli e dal padre“.

Il momento dell’arresto

Quando sono arrivati i Carabinieri, l’uomo stava lavando le tazze della colazione. Erano le dieci e i militari hanno atteso che in casa non ci fossero i figli. Scortato, ha levato le chiavi dall’auto, poi è rientrato in casa e ha preparato una borsa.

L’ossessione di Michele per la moglie

Michele nutriva nei confronti della moglie una vera ossessione, la controllava. Era sempre presente quando la moglie andava dal medico. Non le dava neppure i soldi per acquistare il pane, le diceva: “devi dire che passerà tuo marito”. E poi le assicurava l’automobile solo nel periodo scolastico.

Chi è Michele Buoninconti

L’uomo ha 43 anni, è un vigile del fuoco ed è nato a Monte Sant’Albino, in provincia di Salerno. È padre di quattro figli.

Il frammento nell’ordinanza di una conversazione con i figli del 5 maggio

Buoninconti dice: “Loro vogliono sentire solo questo, che tra di voi non andate d’accordo. Così uno va da una parte, uno da un’altra parte … Vi va bene vivere così, separati? E a me, perché mamma è … chissà dove, mi mettono ancora da un’altra parte. A casa nostra sai cosa ci fanno venire? Le zoccole, le straniere, a fottere! Perciò cercate di essere bravi tra di voi. Mi avete visto litigare con mamma?”.

Figlio 1: ““. Figlio 2: “E lo chiedi?“. Buoninconti: “Ehh, loro questo vogliono sentire. Se glielo dite, state tranquilli che mi mettono da un’altra parte“.

L’esame autoptico

L’esame autoptico, depositato ieri in Procura ad Asti, conferma l’ipotesi di una morte violenta. L’esame è stato eseguito dal medico legale Francesco Romanizzi, consulente del pm artigiano, Laura Deodato. È ipotizzato che Elena Ceste, visto che le ossa erano intatte, sia morta per asfissia nel letto coniugale. L’esame esclude quindi l’ipotesi del suicidio e la morte naturale o accidentale.

Esito esami tossicologici

Gli esami eseguiti il 17 novembre 2014 escludono il ricorso a sostanze da parte della donna. Elena Ceste non avrebbe assunto né psicofarmaci, né alcol, né stupefacenti, né sostanze tossiche.

La storia del cane scomparso

Il 20 gennaio 2015 viene ritrovato in un allevamento il cane di Elena Ceste. Un esemplare da caccia di razza sprinter spaniel inglese, di cui non si avevano notizie dallo scorso marzo. Il cane era stato restituito dal marito della vittima al proprietario da cui lo avevano acquistato. Ecco cosa aveva detto Michele: “Non riuscivo a stargli dietro”, aveva raccontato ai Carabinieri. Mentre c’era chi sosteneva che il cane con il proprio fiuto sarebbe stato in grado di ritrovare il cadavere.

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L’sms del marito di Elena Ceste

A soli tre mesi dalla scomparsa della moglie, Michele Buoninconti incontra un’altra donna e in un messaggio si descrive così: “Un uomo solo, che sa fare bene la pizza e i lavori domestici. Non mi serve una donna che lavora fuori, ma arrivare a casa e trovare qualcuno che mi aspetta”.

Michele tradito dal cellulare

La mattina del 24 gennaio ha telefonato dal luogo in cui fu trovato il corpo di Elena Ceste. La sua linea è stata infatti agganciata dalla cella telefonica di quella zona. La prima telefonata fatta non è alla moglie, bensì ai vicini di casa, così risulta dai tabulati. Poi ha tentato di chiamare la moglie al cellulare.

Il suo tentativo di depistaggio

Tra i tanti tentativi di depistaggio, c’è quella telefonata fatta alla sorella di Elena. L’uomo non sa di essere intercettato. I due al telefono parlano del canale dove è stato ritrovato il cadavere. Lui dice alla cognata: “Lei me lo aveva detto che voleva andarci su quella strada, anche se non l’aveva mai fatta… E io là c’ero andato, per primo… Ma là non ho visto niente, solo le impronte delle lepri…“.

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L’omicidio di Sabrina Blotti https://cultura.biografieonline.it/sabrina-blotti-storia/ https://cultura.biografieonline.it/sabrina-blotti-storia/#respond Wed, 14 Jan 2015 10:10:42 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12784 È il 31 maggio 2012 quando a Cesena, alle 8.30, in Via Mameli, Gaetano Dalle Foglie uccide la sua ex compagna Sabrina Blotti, una donna di 45 anni. Sabrina Blotti, di origini pugliesi, è rimasta uccisa in una sparatoria, all’altezza del civico 320 di Via Mameli. Immediatamente soccorsa dal 118, per lei non c’è stato nulla da fare: è morta poco prima di arrivare all’ospedale “Maurizio Bufalini”.

Sabrina Blotti
Una foto di Sabrina Blotti

Il killer si è chiuso all’interno del duomo di Cervia e, dopo essersi seduto nei pressi dell’altare con in mano la pistola, dopo una trattativa di mediazione col procuratore capo di Ravenna, Roberto Mescolini e i sostituti, Roberto Ceroni – pm di turno – e Angela Scorza insieme a Polizia e Carabinieri di Cesena e Ravenna, si è tolto la vita.

La ricostruzione del delitto

La vittima era appena uscita dalla casa di un’amica che la ospitava e, dopo essere salita in auto, è stata avvicinata dall’uomo. È avvenuto un litigio, poi il killer ha tirato fuori la pistola e ha premuto il grilletto per due volte. Ad assistere all’omicidio, gli operai al lavoro impegnati nella costruzione di un’abitazione.

La fuga

Dopo gli spari, gli operai hanno tentato di bloccare l’assassino, lanciandogli addosso pezzi di legno, gridando “assassino”. Ma l’uomo si è diretto a Cervia, non spegnendo il cellulare. Un errore da parte dell’uomo, che ha permesso ai Carabinieri di individuarlo nei pressi della piazza di Cervia. A quel punto è scappato in chiesa, dove si è suicidato, sparandosi un colpo al cuore.

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Il killer

Era il padre dell’amica della vittima, con cui la donna aveva avuto una breve relazione. Ma l’uomo, sessantenne, residente a Bari, non si rassegnava all’idea che fosse finita. Così mercoledì è partito da Bari per raggiungere la donna.

La vittima

Sabrina aveva 45 anni, originaria di Bari, da quattro anni era residente a Cesena, di recente aveva divorziato da un militare dell’aeronautica. Proprio all’ex marito è toccato il riconoscimento della vittima all’obitorio dell’ospedale. Sabrina ha lasciato due figli che, al momento dei fatti, avevano sei anni il maschio e 14 anni la femmina. Sabrina due mesi prima dell’omicidio, aveva denunciato il suo killer per stalking.

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Alberto Stasi e l’omicidio di Garlasco https://cultura.biografieonline.it/omicidio-garlasco-alberto-stasi/ https://cultura.biografieonline.it/omicidio-garlasco-alberto-stasi/#comments Thu, 18 Dec 2014 07:52:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=11447 È il 13 agosto 2007 quando Chiara Poggi viene trovata morta nel suo appartamento a Garlasco, in provincia di Pavia. L’ultimo a vederla viva è stato il fidanzato, Alberto Stasi. Facciamo un passo indietro. E’ domenica 12 agosto: i due fidanzati, che stavano insieme da quattro anni, trascorrono la serata insieme a casa della ragazza. Mangiano una pizza, acquistata nella pizzeria vicino alla villetta di via Pascoli.

Una foto di Alberto Stasi
Alberto Stasi

All’una di notte Alberto saluta Chiara. “Non abbiamo dormito insieme. Ci imbarazzava usare il letto dei suoi genitori”, dirà il ragazzo ai carabinieri.

La mattina del lunedì, il racconto di Alberto Stasi ai carabinieri

Lunedì, poco dopo le nove, Alberto Stasi invia uno squillo al cellulare di Chiara: è il suo buongiorno alla fidanzata, come da abitudine. Poi si mette a studiare per la sua tesi di laurea. Nel corso della mattinata prova a chiamare la fidanzata altre quattro volte, sia al cellulare sia al telefono di rete fissa, tra le 12 e le 14. Ma la ragazza non risponde, così lui decide di andare alla sua casa. Qui scavalca il cancello, entra e la trova morta in fondo alla scala della taverna.

Le ultime ore di Chiara Poggi

Dagli esami effettuati dal medico legale è emerso che Chiara Poggi è stata uccisa tra le 9 e le 11.30 di lunedì. La ragazza conosceva l’assassino: gli ha aperto la porta, mentre faceva colazione sul divano davanti alla tv, era ancora in pigiama.

L’assassino, appena entrato, l’ha colpita al volto – due volte – con un oggetto simile a un martello o una piccozza (l’arma non è stata rinvenuta). Chiara Poggi è caduta a terra, a questo punto, sono arrivati i due colpi mortali: alla testa e alla nuca. La giovane ha tentato di fuggire ed è riuscita ad arrivare alla scala della taverna: qui è caduta.

Una foto di Chiara Poggi
Chiara Poggi

Le tracce dell’assassino

L’assassino ha lasciato qualche traccia. I carabinieri del RIS di Parma hanno rintracciato tre impronte di scarpa da ginnastica intrise di sangue e resti ematici nelle tubature della doccia del bagno, che si trova al piano terra dell’abitazione. L’assassino deve essersi lavato prima di scappare.

Ci sono alcuni tasselli che non combaciano: la bicicletta nera da donna che le due vicine di casa di Chiara hanno dichiarato di aver visto appoggiata al muretto davanti alla villetta lunedì mattina, che però gli inquirenti non sono riusciti a collegare all’omicidio.

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La bicicletta nera di Alberto Stasi

Il 13 agosto 2007, stando all’accusa, Alberto Stasi raggiunge l’abitazione della fidanzata usando la sua bicicletta nera. Uccide la ragazza e poi, sempre a bordo della sua bicicletta, torna a casa, lasciando sui pedali tracce del sangue di lei.

I consulenti del ragazzo, tuttavia, negano che si tratti di tracce di sangue. Dopo le dichiarazioni del testimone che ha detto di aver visto la bici nera vicino casa della ragazza, Alberto decide di sostituire i pedali con l’altra sua bicicletta, una bordeaux che non è stata collocata sulla scena del delitto. Tutto questo emerge solo il 30 giugno 2014, sette anni dopo l’omicidio della ragazza per il quale l’unico indagato è Alberto Stasi.

Il sequestro della bicicletta bordeaux

Il maresciallo Francesco Marchetti scrive di essersi recato – dopo la testimonianza – con il padre di Alberto, Nicola Stasi, nella loro officina per controllare la bicicletta nera, ma lì ha deciso di non sequestrarla perché “non corrispondeva alla descrizione della testimone”.

Secondo la testimone, la bici aveva il portapacchi, mentre il maresciallo sostiene di non averlo visto. Invece il portapacchi, come si è potuto riscontrare quando la bici è stata portata in aula, c’era. Da qui la denuncia dei genitori della ragazza nei confronti del maresciallo per falsa testimonianza. Insomma, solo nel giugno 2014 si è scoperto che i pedali della bicicletta nera sono stati sostituiti, a distanza di sette anni dall’omicidio di Garlasco.

Le sentenze

Il 17 dicembre 2009 Alberto Stasi viene assolto. Anche due anni più tardi, al secondo grado di giudizio, Stasi viene assolto, tuttavia la Cassazione cancella il verdetto indicando che il processo va rifatto. Il processo di appello si ripete a Milano, e il 17 dicembre 2014 – esattamente a cinque anni di distanza dal primo processo – Alberto Stasi viene riconosciuto colpevole e condannato a 16 anni di carcere. I giudici hanno escluso l’aggravante della crudeltà, ma non sono state considerate nemmeno le attenuanti. Stasi dovrà risarcire la famiglia di Chiara Poggi con 1 milione di euro.

Il 12 dicembre 2015 arriva la sentenza definitiva della Cassazione, dopo circa due ore di camera di consiglio: Alberto Stasi viene condannato a 16 anni di carcere.

Il 19 dicembre 2016, dopo un anno – e a nove anni di distanza dal delitto – una nuova perizia di parte, voluta dalla famiglia Stasi, trova e isola un profilo di Dna che non corrisponde a quello di Alberto. Appartiene invece ad un giovane che conosceva Chiara Poggi.

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Maria Grazia Cutuli https://cultura.biografieonline.it/maria-grazia-cutuli-storia/ https://cultura.biografieonline.it/maria-grazia-cutuli-storia/#respond Thu, 24 Apr 2014 09:36:15 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10525 Maria Grazia Cutuli, giornalista del Corriere della Sera, uccisa in Afghanistan il 19 novembre 2001, descriveva così Kabul: “Città di spie, Kabul, messe alle costole di ogni straniero. Capitale di macerie, di mendicanti che stazionano a ogni incrocio, di bambini laceri e affamati”. Maria Grazia Cutuli si trovava lì per seguire le operazioni militari dopo la caduta del regime dei talebani in Afghanistan. Con lei c’erano anche altri tre giornalisti: l’australiano Harry Burton, l’afghano Azizullah Haidari, entrambi corrispondenti della «Reuters» e lo spagnolo Julio Fuentes del «Mundo». Due dei sospetti assassini vengono poi arrestati.

Maria Grazia Cutuli
Maria Grazia Cutuli

Maria Grazia Cutuli

Maria Grazia Cutuli nasce a Catania il 26 ottobre 1962. Capelli rossi lunghi, un fisico minuto, sofisticata, coraggiosa, testarda. Si laurea con 110/110 e lode all’Università di Catania con una tesi su Spazio e potere di Michel Foucault. La sua carriera di giornalista comincia nel 1986, nel principale quotidiano della Sicilia orientale, “La Sicilia” e conduce l’edizione serale del telegiornale dell’emittente televisiva regionale Telecolor International. Si trasferisce poi a Milano, dove inizia a lavorare per il mensile “Marie Claire”. Ottiene contratti a termine dal mensile “Centocose” e dal settimanale “Epoca”. Dopo quattro contratti a termine, nel 1999 viene assunta a tempo indeterminato alla redazione esteri del “Corriere della Sera”.

L’agguato

È il 19 novembre, sono le 5.30 del mattino. Venti giornalisti sono a bordo di otto veicoli. Il convoglio parte da Jalalabad e si dirige verso la capitale afgana. Ad aprire il convoglio, c’è una Toyota Corolla con a bordo Maria Grazia Cutuli, lo spagnolo Julio Fuentes, l’autista afgano e il traduttore. Il secondo mezzo trasporta l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari, entrambi corrispondenti della “Reters”, l’autista e l’interprete. Seguono le altre auto. Il convoglio, ad un certo punto, si frammenta, poi si spezza. Divisione che favorisce i piani degli assassini.

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Mancano tre ore di macchina da Kabul. Siamo nei pressi della città di Surobi, a circa settanta chilometri a est della capitale afgana. Poco prima di un piccolo ponte in cemento e pietra, otto uomini armati bloccano le due automobili che trasportano Fuentes, Cutuli, Burton e Haidari. I giornalisti vengono fatti scendere dalle auto e vengono obbligati ad allontanarsi dal cammino, sino nell’angolo della montagna. Maria Grazia cade a terra, colpita probabilmente da una pietra lanciata da un attentatore. Poi il commando uccide i quattro giornalisti a colpi di kalashnikov. Tutto è avvenuto in meno di cinque minuti. Uno degli assassini ruba alcuni oggetti personali della giornalista: la borsa, un paio di scarponi, un computer portatile, una radio e una macchina fotografica. Nessuna organizzazione rivendica quell’attentato.

Il racconto di Ashuqullah, l’autista che accompagna Maria Grazia e Julio Fuentes

“Durante il viaggio l’atmosfera è rilassata. Julio dormicchia. Maria fuma e mangia pistacchi. Ci fermiamo solo una volta: lei fotografa i cammelli. Ci sono altre auto di giornalisti davanti e dietro. Ma non è una colonna organizzata, ognuno va alla velocità che preferisce. Viaggiamo circa a quaranta chilometri all’ora nella zona di Surobi. Alle 11.30, veniamo fermati da otto uomini armati. Prima sparano a Julio dal davanti, non una raffica, ma colpi singoli. Poi a Maria Grazia, infine sparano in tanti, almeno quattro mitra contro tutti…[…].”

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