Dante Alighieri Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 10 Nov 2023 09:45:15 +0000 it-IT hourly 1 Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, sonetto di Dante Alighieri: analisi e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/ https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/#comments Fri, 10 Nov 2023 07:37:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20860 Il sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io è uno dei più celebri di tutta la produzione di Dante Alighieri. Probabilmente risale alla prima fase dell’attività lirica di Dante, databile intorno al periodo tra il 1283 e il 1290. Nella lirica in esame, il poeta si rivolge a Guido Cavalcanti, il “primo amico” (come viene definito nella Vita Nova), che gli risponde anche lui con un sonetto intitolato “S’io fosse quelli che d’amor fu degno“, di atmosfera però più cupa. Guido è citato dal padre Cavalcante dei Cavalcanti nel Canto X dell’Inferno. L’altro amico citato nel titolo è Lapo Gianni, anch’egli poeta.

Dante Alighieri - Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
Dante Alighieri

Il componimento dantesco fa parte delle Rime, che sono state raccolte non dall’autore ma dagli studiosi e filologi. Esse sono un corpus di poesie composte tra il 1283 e il 1307 che comprende:

  • rime giovanili (prestilnoviste su modello di Guittone d’Arezzo);
  • rime stilnoviste in senso stretto;
  • rime allegoriche e dottrinali;
  • le rime petrose dedicate alla donna Petra;
  • rime varie.

Alla raccolta appartengono anche tutte le rime che sono state poi inserite dall’autore all’interno della Vita Nova e del Convivio, lavori considerati tra le opere minori di Dante, rispetto al suo capolavoro La Divina Commedia. Le Rime, che racchiudono diversi stili al loro interno, sono un esempio importante dello sperimentalismo e del plurilinguismo dantesco, precedente alla Commedia.

La lirica in esame – Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io – è un sonetto, composto quindi da due quartine e due terzine con il seguente schema di rime:

ABBA, ABBA, CDE, EDC

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

Parafrasi

Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io
fossimo soggetti ad un incantesimo
e posti su un vascello, che ad ogni soffio di vento
andasse lungo il mare secondo il nostro volere;

cosicché la tempesta od ogni altra sventura
non ci potesse essere d’ostacolo,
ma anzi, avendo gli stessi desideri,
crescesse il desiderio di stare assieme.

E che Monna Vanna e Monna Lagia,
oltre a colei che è la trentesima
il nostro mago ci ponesse vicino:

e qui discutere sempre sull’amore,
e ciascuna di loro fosse felice,
così come, credo, lo saremmo noi [poeti].

Analisi del testo

Il tema centrale del sonetto “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è incentrato sulla visione stilnovista dell’amore e dell’amicizia. Dante Alighieri sogna di trovarsi su una nave incantata con Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, i suoi migliori amici, circondati dalle donne che amano e a parlare d’amore. I modelli a cui Dante si ispira sono quelli del plazer, un componimento tipico francese che è un elenco di cose piacevoli e desideri, e del ciclo bretone e carolingio per il tema della magia e dell’incanto.

Le quartine

La prima quartina quindi inizia in un clima di amicizia tra tre poeti. L’incipit presenta i primi tre personaggi maschili. Dante li immagina presi da una magia e messi insieme in un piccolo vascello che può navigare con ogni tipo di vento. I termini rinviano tutti alla tradizione medievale del ciclo bretone, in particolare la nave incantata, che ricorda quella di Mago Merlino.

Nella seconda quartina Dante continua la descrizione dell’atmosfera magica del vascello. Egli auspica che essi possano continuare a navigare in qualunque condizione atmosferica e uniti sempre da una comune volontà (vivendo sempre in un talento, v.7).

Nella prima terzina vengono presentate le tre figure femminili:

  • Donna Vanna, amata da Cavalcanti (di questo poeta abbiamo analizzato la poesia d’amore Perch’i’ no spero di tornar giammai);
  • Donna Lagia, amata da Lapo;
  • quella che è sul numer de le trenta, ossia la donna che si trova al 30° posto. Ella non è Beatrice, bensì una donna schermo che Dante avrebbe nominato in un sirventese (composizione poetica) ormai perduto.

Dante immagina che il buon incantatore (l’artefice di questo sogno, forse Mago Merlino) possa portare su questo vascello le donne, e che tutti insieme (seconda terzina) possano parlare sempre dell’amore.

L’atmosfera è rarefatta. Questo gruppo di poeti è ovviamente isolato dal resto del mondo perché la nave è un luogo privilegiato dove essi possono immergersi completamente nei loro discorsi sull’amore. Il pubblico a cui l’autore si rivolge è elitario, infatti soltanto gli intellettuali possono apprezzare i valori di cortesia e gentilezza. Il lettore è quindi immerso in pieno clima stilnovistico.

Commento all’opera

Dal punto di vista stilistico bisogna evidenziare la presenza del polisindeto (presenza di congiunzioni) al v.1 “che tu e Lapo e io” e la forte ricorrenza di verbi al plurale. Dal punto di vista delle scelte lessicali, prevalgono i termini che ricordano la letizia, la felicità (es. ripetizione della parola “sempre” ai versi 7 e 12, la parola “disio” al v. 8, “contenta” al v. 13 etc.). Molti sono poi i termini che rinviano alla dimensione fiabesca: “incantamento” (v. 2), “incantatore” v. 11, “vasel” v. 3.

La poesia “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è senz’altro una delle più belle testimonianze che ci ha lasciato Dante Alighieri della sua produzione. E’ un componimento che proietta immediatamente il lettore in un mondo fantastico, in cui i letterati si dedicano all’amore tutto il giorno e rappresentano a pieno gli ideali del Dolce stil novo.

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Rendere pan per focaccia: origini del modo di dire https://cultura.biografieonline.it/pan-per-focaccia/ https://cultura.biografieonline.it/pan-per-focaccia/#comments Thu, 28 Jul 2022 12:35:09 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40108 Quando si dice rendere pan per focaccia? Lo abbiamo detto quando abbiamo ricambiato un’azione ricevuta con pari mezzi o, per esempio, con pari intensità. Il più delle volte questo pane è un torto; e questa focaccia non è altro che una rivendicazione. Possiamo dire che si tratta di un occhio per occhio e dente per dente più… infarinato. Raccontiamo di seguito le caratteristiche e le origini di questo modo di dire.

rendere pan per focaccia
Pane e focaccia

Partiamo dai Romani

L’origine del motto è più o meno sconosciuta. Qualcuno la colloca nell’antica Roma. Qui erano in uso alcuni modi di dire simili. Sentenze come:

  • Par pro pari referre;
  • Par pari hostimentum dare;
  • Nulli nocendum: siquis vero laeserit, multandum simili iure.

Quest’ultima espressione si attribuisce a Fedro e si traduce così:

Non si deve nuocere a nessuno: se qualcuno l’avrà fatto, sarà castigato allo stesso modo.

Rendere pan per focaccia: da un’usanza popolare

Secondo una diversa interpretazione l’espressione rendere pan per focaccia origina da un’usanza popolare. A ben vedere non è nemmeno così negativa come la interpretiamo oggi. Non c’è nel modo di dire nessuna rivendicazione, anzi.

Era un’abitudine di buon vicinato.

Succedeva che chi aveva cotto delle focacce, fatte con della farina ricevuta in prestito, ne donava qualcuna al suo vicino. Questo ricambiava con del pane. Il pane veniva reso in cambio delle focacce.

Il Decamerone

Il modo di dire “Rendere pan per focaccia” è antico, anzi antichissimo.

Una prima testimonianza in letteratura la si trova nel Decamerone di Boccaccio.

Nella metà del Trecento lo scrittore e poeta fiorentino faceva dire alla moglie di Spinelloccio all’indirizzo di quella di Zeppa:

Madonna, voi m’ avete renduto pan per focaccia.

Questo frangente è anche presente nella trasposizione cinematografica Decameron nº 2 – Le altre novelle del Boccaccio, del 1972.

È abbastanza facile pensare che se Boccaccio l’abbia inserito nella sua opera è perché quella locuzione fosse pienamente nella lingua allora corrente.

Nella Divina Commedia

Anche Dante, nella Divina Commedia, utilizza un motto molto simile.

Nel passaggio ai versi 118-120 dell’Inferno, canto XXXIII il pan per focaccia diventa dattero per fico.

Si legge:

I’ son frate Alberigo;
i’ son quel da le frutta del mal orto,
che qui riprendo dattero per figo.

Anche qui si indica la rivendicazione di un torto subito; in questo caso del frate Alberigo.

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Cosa fatta capo ha: significato https://cultura.biografieonline.it/cosa-fatta-capo-ha-significato/ https://cultura.biografieonline.it/cosa-fatta-capo-ha-significato/#respond Thu, 03 Mar 2022 17:50:07 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39464 L’espressione cosa fatta capo ha è utilizzata in tutta Italia e spesso erroneamente si crede che abbia origine dialettale. E’ tutt’altro che così. Per rintracciare l’origine di questa espressione dobbiamo scomodare nientepopodimeno che il padre della lingua italiana, Dante Alighieri.

Cosa fatta capo ha
Cosa fatta capo ha

Anno 1216: Amidei contro Buondelmonti

Per prima cosa dobbiamo spostarci a Firenze, nel Duecento. Gli Amidei e i Buondelmonti sono due nobili e cospicue famiglie fiorentine. Nel gennaio 1216 Mazzingo Tegrimi de’ Mazzinghi dà una gran festa nel proprio castello di Campi. Durante il banchetto si scatena una rissa. Buondelmonte aggredisce Odarrigo de’ Finfanti con un coltello e lo ferisce.

Secondo le usanze del tempo, la zuffa finisce al centro di un consiglio in casa Arrighi. La questione viene ripianata con un matrimonio pacificatore: Buondelmonte sposerà una nipote di Oddo, figlia di una sua sorella e di Lambertuccio Amidei. La proposta viene accolta e si stipula un regolare contratto notarile.

Tutto appianato?

No.

Gualdrada Donati, moglie di Forese Donati il Vecchio, va a trovare Buondelmonte e lo accusa di aver accettato il matrimonio per paura delle ritorsioni dei Fifanti. Gli propone in sposa una propria figlia, rinomata per la bellezza, e si offre persino di pagare la penale prevista.

Il 10 febbraio 1216 Buondelmonte non si presenta alla chiesa di Santo Stefano; al contrario si reca in casa Donati a contrattare le nuove nozze con Forese e Gualdrada. In casa Amidei ovviamente si scatena il finimondo. Si convoca un consiglio con le famiglie alleate.

La sentenza viene pronunciata

Nella chiesa di Santa Maria Sopra Porta, alcuni propongono una vendetta leggera, come una solenne bastonatura o uno sfregio in viso al vituperato Buondelmonte. Si alza Mosca dei Lamberti e propone l’assassinio.

Pronuncia così la celebre frase:

Cosa fatta capo ha!

Cosa intende?

Intende che la vendetta è oramai in azione e non resta che andare fino in fondo, come si dice.

Risponde bene l’assemblea.

Accettata la proposta, viene deciso che l’agguato deve svolgersi proprio per il giorno delle nozze.

L’episodio nell’Inferno dantesco

Questo episodio, il frangente in cui Mosca dei Lamberti pronuncia la fatidica frase, è ripreso da Dante nel Canto XXVIII dell’Inferno allorché vuole specificare l’origine della successiva lotta intestina fra Guelfi e Ghibellini.

Lo cita fra i versi 106 e 111. Si legge, infatti:

gridò: “Ricordera’ ti anche del Mosca,
che disse, lasso!, ‘Capo ha cosa fatta’,
che fu mal seme per la gente tosca”.
E io li aggiunsi: “E morte di tua schiatta”;
per ch’elli, accumulando duol con duolo,
sen gio come persona trista e matta.

Il giudizio di Dante

Dante Alighieri giudica molto severamente Mosca Lamberti per questa azione. Lo accusa di avere avviato la vendetta degli Amedei con il suo atteggiamento. E’ la stessa vendetta che causa una divisione fra l’una e l’altra famiglia da cui proviene quella, più grande e critica, fra Guelfi e Ghibellini.

Guelfi e Ghibellini

Cosa fatta capo ha: il significato

L’espressione “cosa fatta capo ha” significa che una determinata azione o questione ha avuto inizio quindi ha validità: è fatta.

Per capo si intende l’inizio, il cominciare di qualcosa.

Da qui deriva la considerazione che l’azione ormai compiuta non può essere mutata da discussioni e temporeggiamenti: la decisione è presa.

Come è andata a finire fra Buondelmonte e Amedei

La mattina di Pasqua, giorno scelto per il matrimonio, Buondelmonte entra a Firenze dal Ponte Vecchio. Arrivato alla Porta Santa Maria, viene prima insultato e poi disarcionato con un colpo di mazza da Schiatta degli Uberti.

Una volta a terra, viene finito con un coltello da Oddo Arrighi.

Dell’aggressione vengono ovviamente accusati come mandanti gli Amidei.

La città di Firenze si divide sul fatto:

  • da un lato si coalizzano gli Uberti, i Lamberti e gli Amidei, residenti più o meno tra il Ponte Vecchio e piazza della Signoria;
  • dall’altro lato vi sono i Buondelmonti, i Pazzi e i Donati, che gravitavano tra via del Corso e la Porta San Piero.

Da qui le due parti della più grande faida: da una parte i Ghibellini, dall’altra i Guelfi.

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Tanto gentile e tanto onesta pare: parafrasi e significato https://cultura.biografieonline.it/tanto-gentile-tanto-onesta-pare-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/tanto-gentile-tanto-onesta-pare-parafrasi/#respond Sat, 26 Feb 2022 16:07:38 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39356 Il sonetto intitolato Tanto gentile e tanto onesta pare è uno dei più famosi di Dante Alighieri ed è anche il manifesto del Dolce stil novo, movimento poetico di cui il Sommo Poeta è stato uno dei massimi esponenti. Esso è tratto dalla Vita Nova, un’opera mista di prosa e poesia dedicata al suo amore per Beatrice. in questa poesia elogia la sua donna per due qualità fondamentali:

  • la gentilezza, o nobiltà d’animo;
  • l’onestà, intesa come dignità.

Contesto

La Vita Nova racconta tutta la storia dell’amore di Dante per Beatrice ed è stata scritta tra il 1292 e il 1294. È formata da prosa e poesia (prosimetro), 31 liriche in totale tra sonetti, ballate e canzoni.

L’autore narra di incontrare per la prima volta Beatrice a nove anni, poi nuovamente a diciotto.

Ad un certo punto la morte della donna – avvenuta prematuramente quando ella aveva solo 24 anni – fa cambiare completamente al poeta la prospettiva di questo amore.

L’opera, infatti, si può suddividere in tre fasi:

  1. una prima fase in cui Beatrice gli concede il saluto;
  2. la seconda fase sull’amore fine a sé stesso;
  3. la terza, in cui Beatrice muore: il rapporto si sposta così sull’animo dell’amata, diventando un amore spirituale.
Tanto gentile e tanto onesta pare
Di seguito il testo della poesia “Tanto gentile e tanto onesta pare”

Testo completo della poesia “Tanto gentile e tanto onesta pare”

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: sospira
.

Spiegazione

Il sonetto in esame si trova nel capitolo XXVI della Vita Nova. Qui Beatrice viene rappresentata come una donna angelo. E’ la rappresentazione di una donna che irradia luce; la sua è una bellezza sovrumana, capace di fare innamorare il poeta al primo sguardo.

Secondo il Dolce Stil Novo, infatti, la donna non è una figura umana, ma angelica. Diventa un modello di perfezione morale, che riesce a condurre l’uomo fino a Dio.

Questo sonetto è un elogio a Beatrice e al suo saluto, che assume una funzione salvifica, cioè in grado di donare grazia agli uomini.

Ella non viene percepita in alcun modo da un punto di vista fisico: non c’è una sua descrizione fisica; appare come fosse una figura angelica.

Tanto gentile e tanto onesta pare, parafrasi

Tanto nobile e tanto degna appare
la mia donna quando saluta gli altri,
che ogni lingua diventa muta per l’emozione,
e gli occhi non osano guardarla.

Ella cammina, sentendosi lodare,
vestita di bontà e di umiltà;
e sembra che sia una creatura venuta
dal cielo sulla terra per mostrare un miracolo di Dio.

Appare così bella a chi la guarda,
che infonde attraverso gli occhi una dolcezza al cuore,
che non può capirla chi non la prova.

E sembra che le sue labbra emanino
uno spirito dolce pieno d’amore
che invita l’anima a sospirare.

Analisi

Il sonetto ha le seguenti caratteristiche:

  • formato da 14 versi;
  • i versi sono divisi in 2 quartine e 2 terzine;
  • ogni quartina e terzina è formata da endecasillabi;
  • lo schema metrico è:
    • ABBA
    • ABBA
    • CDE
    • EDC

Lo stile è dolce e chiaro. E’ rappresentativo dell’aspetto di Beatrice, donna che infonde dolcezza e desiderio di amore spirituale in chi la ammira.

Importante è il significato dei due aggettivi del primo verso:

  • gentile, che qui rappresenta la nobiltà d’animo e di sentimenti;
  • onesta, che indica la dignità e il decoro della donna.

Nel testo della poesia sono presenti latinismi (onesta, labbia) e sicilianismi (vestuta).

È presente anche l’anafora nel primo verso “tanto…tanto”.

Tutte le parole chiave del componimento si trovano alla fine di ciascun verso per dare maggiore rilievo, fino al definitivo “sospira”.

Dante e Beatrice
Dante e Beatrice

Dolce stil novo: altre poesie con parafrasi e analisi

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Senza infamia e senza lode: origine e significato https://cultura.biografieonline.it/senza-infamia-senza-lode/ https://cultura.biografieonline.it/senza-infamia-senza-lode/#respond Mon, 14 Feb 2022 17:43:43 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38578 L’espressione senza infamia e senza lode viene utilizzate nell’italiano corrente per indicare qualcosa di mediocre, che non presenta grandi difetti ma, al contempo, non mostra grandi qualità.

Sai che quando la utilizzi stai citando il Sommo Poeta?

Sai inoltre che anziché indicare un giudizio neutro, questa espressione porta in sé una dura critica sociale?

Adesso spieghiamo il perchè.

L’origine: la Divina Commedia di Dante Alighieri

L’espressione “Senza infamia e senza lode” si trova nella Divina Commedia di Dante Alighieri.

Siamo al Canto III dell’Inferno (vedi anche: Inferno, riassunto dei Canti dall’I al IX).

In questo frangente del racconto, Dante descrive gli “ignavi”.

Chi sono gli ignavi?

senza infamia e senza lode

Ignavi è una parola non scritta da Dante, bensì giunta con la critica al canto. Essi sono coloro che:

  • non prendono una decisione,
  • non si schierano,
  • non combattono.

Gli ignavi si comportano in maniera apaticamente neutra, un po’ per vigliaccheria, un po’ per indifferenza, un po’ perché amanti del quieto vivere.

Questa di seguito è l’espressione esatta da cui deriva il modo di dire, entrato a pieno titolo nella nostra colloquialità:

Coloro che visser senza ‘nfamia e sanza lodo

Dante, qui, non parla semplicemente di pigri o apatici, ma di indolenti politici, di codardi sociali.

Questa massa di gente che resta senza qualità è fatta da coloro che non si sono schierati politicamente, a differenza di Dante stesso che per le sue idee finirà per essere condannato all’esilio. Il poeta faceva parte della fazione politica dei Guelfi bianchi.

Né degni dell’Inferno, né degni di memoria

Dante giudica questi individui come “sciaurati che mai non fur vivi“. Sono persone dunque che non possono essere definite vive, come dire… dei morti viventi.

Per questa ragione Dante sceglie di collocarli nell’Antinferno.

Gli ignavi non sono degni di stare fra i dannati che, seppur nel male, hanno comunque il “merito” di aver agito.

Tanto e tale è il disprezzo degli “ignavi” che Dante non solo li colloca fuori dall’Inferno ma anche sottolinea il fatto che non meritino memoria.

Fama di loro il mondo esser non lassa” si legge.

misericordia e giustizia li sdegna“, ancora.

Per gli ignavi non c’è fama nel mondo né valore ultraterreno. Fino all’atto finale, ovvero l’abbandonare tale categoria nella più totale indifferenza.

Qui si legge un altrettanto celebre passaggio ovvero:

non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

Quest’ultima frase viene oggigiorno sovente storpiata anche nelle forme:

  • “non ti curar di loro”
  • “non parliam di loro”

o altre simili.

Senza infamia e senza lode

Adesso che lo sappiamo, quando qualifichiamo un oggetto, una persona, una performance o una situazione con le parole “senza infamia e senza lode” riflettiamo sul fatto che stiamo dando un giudizio molto importante.

Ciò o colui che stiamo appellando “senza infamia e senza lode” sta meritando un nostro giudizio molto tagliente.

Ricordiamoci allora che gli stiamo dando del codardo e del vigliacco, anche in senso sociale: gli stiamo dicendo che non merita nemmeno l’Inferno e che la sua memoria andrà persa nel tempo.

Forse sarà il caso di scegliere un’altra espressione.

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Pupi Avati: un libro su Dante ed un film nel 2022 https://cultura.biografieonline.it/pupi-avati-un-libro-su-dante-ed-un-film-in-uscita-nel-2022/ https://cultura.biografieonline.it/pupi-avati-un-libro-su-dante-ed-un-film-in-uscita-nel-2022/#respond Fri, 12 Nov 2021 15:03:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=36785 Si intitola “L’alta fantasia” il romanzo che il regista e scrittore Pupi Avati ha pubblicato di recente (per Solferino editore). E’ un libro che viene da lontano, dalla passione che Avati nutre da circa vent’anni per il Sommo Poeta, e dal lavoro di ricerca compiuto su di lui con grande ammirazione.

Rincorro Dante dalla seconda parte della mia vita, quando ho iniziato a chiedermi se davvero avrei potuto concludere la mia vicenda umana senza aver capito perché alcune sue opere sono dei classici. Io sono rimasto tagliato fuori dalla somma bellezza di queste opere a causa della scuola italiana che ha fatto di tutto per non farmele apprezzare.

– ha dichiarato il regista alla stampa.

Dante a scuola

Da ragazzo ho provato repulsione per gli scritti di Dante, e ancora oggi la scuola lo racconta in modo sbagliato. Basti pensare all’iconografia legata al Poeta, a quel profilo arcigno, a quell’idea di una persona scostante e poco comunicativa, ma lui era tutt’altro“.

La trama del libro

Nel libro Pupi Avati racconta il viaggio che Boccaccio compie, circa trenta anni dopo la morte di Dante, verso il convento in cui vive suor Beatrice, la figlia del Sommo Poeta. Boccaccio ha una missione precisa: consegnare alla monaca una somma di denaro a titolo di risarcimento per l’esilio subito dal padre in vita.

Nella storia della letteratura mondiale non c’è nessun poeta che abbia fatto tanto per un altro, e già questo fa commuovere: Boccaccio per tutta la vita ha diffuso e difeso Dante, è morto commentando l’Inferno.

– ha detto Avati.

Passione per Dante e la sua umanità

Non sono un accademico, in Italia ci sono tanti dantisti, ma nessuno si è mai occupato dell’umanità di Dante e della sua identità, questo attiene alla sacralità e all’ineffabile. Ho percorso il dolore che costella tutta la vita di Dante, dalla perdita della madre alla fine dei suoi giorni, quando egli si illude di poter essere riammesso a Firenze dopo aver scritto la Commedia: è questo dolore a dargli accesso alla dismisura poetica“.

Era inutile andare a riscrivere quello che già esiste proposto da altri più legittimati, io ho tentato di capire come un essere umano possa arrivare ad accostarsi al divino, ho cercato uno strumento più modesto ma più confidenziale per provare a dire chi è Dante, per renderlo seducente, perché io stesso negli anni ne ho sentito la mancanza”, ha rivelato.

Il film uscirà nel 2022

Intanto il regista ha già cominciato le riprese del film che si ispira appunto al libro pubblicato, e che uscirà al cinema nel 2022. Boccaccio sarà interpretato dal bravissimo Sergio Castellitto, mentre Dante giovane avrà il volto di Alessandro Sperduti.

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Al cor gentil rempaira sempre amore: parafrasi, analisi e commento https://cultura.biografieonline.it/al-cor-gentil-guinizzelli/ https://cultura.biografieonline.it/al-cor-gentil-guinizzelli/#comments Fri, 05 Nov 2021 10:09:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21132 La lirica “Al cor gentil rempaira sempre amore” è considerata il manifesto dello Stilnovismo. Essa è una delle più celebri tra le cinque rimaste di Guido Guinizzelli (Bologna, 1235 – Monselice, 1276). L’autore venne definito da Dante Alighieri nel XXVI canto del Purgatorio (vv. 97-99) “Il padre mio e de li altri miei miglior che mai rime d’amor usar dolci e leggiadre”. Dante considera Guinizzelli come il capostipite dello Stilnovismo, il movimento poetico che nacque nella seconda metà del Duecento. Lo Stilnovismo riuniva intorno a sé un pubblico colto che considerava l’amore nella sua visione più nobile.

Dante inserì nel XXVI canto del Purgatorio la figura di Guido Guinizzelli, autore della lirica "Al cor gentil rempaira sempre amore"
Dante inserì nel XXVI canto del Purgatorio la figura di Guido Guinizzelli, autore della lirica “Al cor gentil rempaira sempre amore”

Di Guido Guinizzelli sappiamo che era impegnato nella vita politica e apparteneva al partito dei ghibellini. Della sua produzione sono rimaste solo cinque canzoni, tra cui quella in esame – Al cor gentil rempaira sempre amore – che è certamente la più importante, oltre a una ventina di sonetti. Tra le sue liriche non manca la visione di un amore tormentato, la visione stilnovistica che inquadrava l’amore come un’elevazione dell’animo umano, e soprattutto una nuova concezione di nobiltà, legata non al sangue ma alla virtù individuale.

Queste sono tutte le tematiche che si ritrovano all’interno della canzone in esame, che è diventata il manifesto della nuova poetica stilnovistica, introducendo argomenti che saranno poi ripresi da Dante e dagli altri autori.

La canzone è formata da sei stanze di dieci versi ciascuna (endecasillabi e settenari) con schema metrico:

ABAB cDcEdE

Al cor gentil rempaira sempre amore

Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ‘l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ‘l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ‘l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ‘nnamora.

Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno:
vile reman, né ‘l sol perde calore;
dis’omo alter: “Gentil per sclatta torno”;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ‘l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ‘n la ‘ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [‘n] nostr’occhi ‘l sole:
ella intende suo fattor oltra ‘l cielo,
e ‘l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [‘n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: “Che presomisti?”,
sïando l’alma mia a lui davanti.
“Lo ciel passasti e ‘nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude”.
Dir Li porò: “Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza”.

Parafrasi

I stanza

Amore fa sempre ritorno nel cuore nobile, come l’uccello ripara nel bosco tra le fronde degli alberi; e la natura non ha creato l’amore prima del cuore nobile, né il cuore nobile prima dell’amore. Infatti non appena ci fu il sole, all’istante rifulse la sua luce, ed essa d’altra parte non apparve prima del sole e amore prende posto nel cuore con la stessa naturalezza con cui il calore vive nella luminosità del fuoco.

II stanza

Il fuoco amoroso si accende nel cuore nobile nello stesso modo in cui nella pietra preziosa si attivano le sue concrete proprietà, in cui nella gemma non scende la virtù dell’astro prima che il sole non l’abbia purificata rendendola nobile. Dopo che il sole, con la sua potenza, ha estratto dalla pietra ogni impurità, la stella conferisce ad essa la virtù: così il cuore, reso dalla natura eletto, puro e gentile, riceve dalla donna come da una stella l’amore, che lo rende nobile.

III stanza

L’amore si trova nel cuore nobile allo stesso modo in cui si trova il fuoco in cima al candelabro: qui brilla liberamente, luminoso e sottile, per lui non sarebbe adatta altra natura, tanto è fiero. Quindi, l’indole malvagia è avversa all’amore come l’acqua al fuoco incandescente a causa della sua freddezza. Amore prende posto nel cuore come luogo che gli è affine, come il diamante nel minerale di ferro.

IV stanza

Il sole colpisce con i suoi raggi il fango tutto il giorno: eppure il fango rimane vile e il sole non perde il suo calore. L’uomo superbo dice:” Sono di nobile stirpe”, io paragono lui al fango e il sole alla vera nobiltà: perché non si deve credere che esista nobiltà al di fuori del cuore, cioè soltanto per stirpe, se non si ha un cuore nobile incline alla virtù, allo stesso modo di come l’acqua si lascia trapassare dai raggi del sole, mentre il cielo trattiene la luce delle stelle e lo splendore.

V stanza

Dio creatore splende davanti all’intelligenza angelica che muove il cielo più del sole davanti ai nostri occhi: tale intelligenza riconosce il proprio creatore al di là del cielo e gli obbedisce mettendo il cielo in movimento e nello stesso modo che il compimento della beatitudine consegue, immediatamente, all’ordine di Dio giusto, similmente, in verità, la bella donna dovrebbe concedere la beatitudine non appena il desiderio, che non smette mai d’obbedirle, spende negli occhi del suo nobile amante.

VI stanza

O donna, quando la mia anima sarà davanti a Dio, lui mi dirà: “Che presunzione avesti? Hai attraversato il cielo e sei giunto fino a me e mi hai paragonato ad un amore profano: poiché la lode spetta a me e alla regina del nobile regno, grazie alla quale è vinto ogni peccato”. Io potrò dirgli: “Aveva l’aspetto di un angelo appartenente al tuo regno, quindi non fu colpa mia se mi innamorai di lei”.

Analisi

La lirica “Al cor gentil rempaira sempre amore” è molto complessa perché argomenta, attraverso una fitta trama di similitudini, tutti i nuclei concettuali dello Stilnovo. Nella prima stanza si afferma l’inscindibile unione tra il cuore gentile e l’amore, che vengono paragonati al sole con la sua luce e al fuoco con la fiamma. Sono quindi un binomio naturale.

Nella seconda stanza si spiega l’effetto che ha la donna su un cuore nobile. Ella è in grado di far nascere in esso l’amore come la stella fa nascere la virtù nelle pietre. Nel Medioevo, infatti, si riteneva che le pietre preziose fossero portatrici di particolari virtù.

Nella terza stanza si dimostra che il sentimento non può avvicinarsi ad una persona vile e indegna, perché non è nella sua natura. Come l’acqua e il fuoco sono opposti tra loro.

Nella quarta stanza si introduce il tema della vera nobiltà. Essa non deriva dalla stirpe ma nasce dalla bontà d’animo, che viene resa ancora più grande dall’amore stesso.

Nella quinta stanza, quella più intrisa di dottrina, si afferma che la donna, attraverso l’amore, riesce a purificare l’uomo, proprio come fa Dio. La donna assume quindi fattezze angeliche.

Nella sesta stanza, viene giustificato l’amore terreno davanti a Dio. Quando l’uomo si troverà al suo cospetto, potrà affermare di aver amato una donna-angelo.

Commento

Dal punto di vista stilistico, oltre all’impianto filosofico della lirica, si noti come vengono introdotti per la prima volta termini stilnovistici. Si cerca di evitare i suoni aspri e la sintassi è quasi sempre lineare. Ci è coincidenza del ritmo con il verso: sono pochi gli enjambements.

La canzone diventa quindi fondamentale per tutta la tradizione lirica successiva. Soprattutto per Dante Alighieri, che, insieme con gli altri stilnovisti, introdurrà e svilupperà queste tematiche fino a farne parte dei grandi capolavori della letteratura italiana.

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Dolce stil novo (Stilnovismo): riassunto https://cultura.biografieonline.it/dolce-stil-novo/ https://cultura.biografieonline.it/dolce-stil-novo/#comments Fri, 05 Nov 2021 07:10:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21844 Nella seconda metà del Duecento nacque, tra Bologna e Firenze, un nuovo movimento poetico e letterario definito da Dante Alighieri nella sua CommediaDolce stil novo” (oggi identificato anche come Stilnovo, o Stilnovismo). Secondo Dante, la novità di questo stile consisteva prima di tutto in un processo di progressiva interiorizzazione e spiritualizzazione del sentimento amoroso. Questo nuovo fermento poetico prese avvio a Bologna grazie all’opera di Guido Guinizzelli e, in particolare, alla poesia Al cor gentil rempaira sempre amore.

Dante e Beatrice, Stilnovismo, Dolce stil novo
Dante e Beatrice. Particolare del “Saluto di Beatrice”, dipinto di Dante Gabriel Rossetti (1859-1863)

Ma è a Firenze, tra il 1280- 1310, che si sviluppò in maniera più consistente grazie alle opere di Dante e Guido Cavalcanti. Oltre agli altri stilnovisti come Cino da Pistoia, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi. Non si tratta di una vera e propria scuola fondata su regole metriche precise da rispettare quanto piuttosto di uno schieramento omogeneo consolidato da valori, pratiche ed esigenze comuni.

Questi poeti, infatti, erano legati ad un forte sentimento di amicizia, testimoniato dalle numerose corrispondenze. Già dai loro contemporanei essi venivano percepiti come legati da un’unica idea e consapevolezza.

Il Dolce stil novo

Questa nuova poesia stilnovistica si affermava in esplicita contrapposizione all’esperienza precedente dei poeti siculo- toscani e del loro maestro, Guittone d’Arezzo. Si sentiva l’esigenza di un chiaro rinnovamento poetico.

Questo cambiamento riguardava sia le scelte contenutistiche che le forme utilizzate dal nuovo gruppo di poeti. Veniva così messa al centro dei componimenti la propria esperienza personale e banditi tutti i temi politici e sociali, spesso l’oggetto scelto da Guittone.

Venivano bandite anche le sperimentazioni linguistiche per ricercare una nuova dolcezza e melodia all’interno del verso. Gli stilnovisti quindi abbandonarono i riferimenti alla vita comunale, che era spesso travagliata, per un ritorno ad una poesia d’amore. Non più accostabile alla tradizione siciliana ma diretta verso nuove sperimentazioni.

L’ambiente in cui nacque questo tipo di poesia rimase ovviamente quello comunale e cortese. Ma la riflessione sul sentimento dell’amore divenne più profonda e con una spiccata dimensione filosofica.

La definizione

La definizione di dolce stil novo la si deve proprio a Dante che la inserisce nel canto XXIV del Purgatorio. Qui l’autore incontra Bonagiunta Orbicciani, un poeta della scuola legata a Guittone d’Arezzo, che ammette che Giacomo da Lentini, Guittone e lui stesso sono stati superati dai poeti stilnovisti e dalle loro nove rime:

O fratem issa vegg’io, diss’elli, il nodo che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’io odo!

Quale verso prima della definizione del nuovo stile, Dante dichiara l’oggetto della poesia stilnovista:

I’mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando

ossia l’espressione di tutto ciò che l’amore ispira nell’animo del poeta.

Lo stilnovismo e la donna angelo

Nella poesia stilnovista influisce quindi anche la riflessione filosofica, in particolare il pensiero di San Tommaso d’Aquino e Averroè. Essi cercano una conciliazione tra amore terreno e spiritualità. Teorizzano così il concetto di donna angelo, che diventa un tramite tra uomo e Dio. La donna cessa di essere una figura terrena e diventa così una figura spirituale che riesce a far emergere nell’uomo la sua virtù.

Un nuovo concetto di nobiltà

Un altro tema importante nello stilnovo è quello della nobiltà. Questa non è più considerata come la nobiltà di sangue ma è identificata con quella dello spirito. Non si è più nobili solo per nascita ma soprattutto se si conquista questa caratteristica nella vita pratica. Si diventa nobili nel cuore grazie ad una serie di qualità come la saggezza e la pratica delle virtù.

Dal punto di vista stilistico, i componimenti assimilabili allo Stilnovo hanno una sintassi piana e lineare. Hanno un lessico semplice e raffinato e non sono presenti particolari artifici retorici. Nonostante la naturalezza del verso, le poesie del Dolce stil novo sono piuttosto complesse perché ricche di riferimenti filosofici. Erano quindi indirizzate essenzialmente ad un pubblico colto e sensibile, capace di comprenderle a pieno.

Lo stilnovismo è stato un movimento fondamentale della poesia italiana delle origini. Esso è riuscito ad influenzare tutti i poeti successivi, almeno fino a Petrarca. Inoltre lo stilnovismo ha dato avvio alla produzione del più grande autore della letteratura italiana, Dante Alighieri. Egli con la Vita Nova e la sua Divina Commedia è riuscito a portare ai massimi livelli la visione della donna angelo e ad incarnarla nel personaggio di Beatrice. Senza dubbio i poeti stilnovisti restano i più importanti di tutta la letteratura italiana delle origini, pertanto imprescindibili per lo studio della tradizione storico letteraria italiana.

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Concorso di poesia intitolato a Maria Virginia Fabroni: sui sentieri dell’esilio di Dante, edizione 2021 (Tredozio) https://cultura.biografieonline.it/tredozio-concorso-poesia-dante-maria-virginia-fabroni/ https://cultura.biografieonline.it/tredozio-concorso-poesia-dante-maria-virginia-fabroni/#respond Tue, 02 Mar 2021 12:28:59 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=32947 I poeti e la Romagna

Non è solo la poesia ad unire Dante Alighieri e Maria Virgina Fabroni. Vi sono anche i luoghi, le colline ed i monti Appennini che dividono, anzi che uniscono la Romagna alla Toscana. Il concorso nazionale di poesia organizzato dal comune di Tredozio (FC) rende omaggio come ogni anno alla sua illustre concittadina Maria Virginia Fabroni; l’edizione 2021, la quinta, celebra nel contempo i 700 anni dalla morte di Dante. Il tema del concorso sono proprio i luoghi e i percorsi del suo esilio.

Il concorso di poesia

Fino alla fine di marzo 2021 si avrà tempo per inviare le proprie poesie, in modo gratuito. E’ un’occasione di confronto e di prova, ricca di valore.

La poesia vincitrice verrà riprodotta su un muro del comune di Tredozio.

Come partecipare

V Edizione Concorso Di Poesia “Maria Virginia Fabroni”

Tema: “Sui sentieri dell’esilio dantesco”

Tutte le info per partecipare nel regolamento di seguito:

L’edizione precedente

L’organizzazione del comune di Tredozio ha dimostrato grande impegno e passione negli anni: il concorso è cresciuto moltissimo e nell’edizione 2020 ha superato brillantemente anche l’ostacolo della pandemia. Nell’edizione precedente infatti la giuria ha selezionato i vincitori da remoto, durante la primavera passata in lockdown. Il comune di Tredozio, grazie allo straordinario impegno del vicesindaco Lorenzo Bosi, ha avuto poi la possibilità in estate di organizzare e riunire la giuria e i premiati. Sono stati consegnati gli attestati ai poeti vincitori, celebrando le poesie più belle con menzioni speciali.

Alcuni momenti della premiazione 2020. Tra gli altri, nella giuria: Stefano Moraschini (primo a sinistra), editore di Biografieonline.it; Anna Maria Fabbroni (a destra), poetessa discendente di Maria Virginia.

Di seguito la poesia vincitrice dell’edizione 2020, del poeta Pasquale Quaglia.

Tema: I colori dell’autunno / Foliage

Titolo: Le preghiere sottili

Ho uno spazio di cornici dentro casa
abitato dai bambini che sono stato
i compleanni scordati
i volti dal nome lontano, gli sguardi
istanti fermi che non sono stati persi
e una cartolina disegnata in corsivo:
l’attesa di un vecchio seduto sul vimine
un arco di pietre, il mercato rionale
il rosso delle foglie senza peccato
e il Tramazzo che ride alle sere di ottobre
– a loro affido le preghiere sottili.

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Le donne di Dante: il 4 febbraio esce in libreria l’opera di Marco Santagata https://cultura.biografieonline.it/donne-di-dante-libro-marco-santagata/ https://cultura.biografieonline.it/donne-di-dante-libro-marco-santagata/#respond Tue, 02 Feb 2021 15:45:31 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=32459 Quando si parla di Dante Alighieri e delle donne della sua vita, il primo nome che viene in mente è quello di Beatrice, il cui personaggio corrisponde alla nobildonna Bice Portinari. Ma a quanto pare nella travagliata esistenza di Dante ci sono state altre fondamentali presenze femminili che lo hanno segnato.

Le donne di Dante: non solo Beatrice

Leggendo però l’ultimo volume – che esce postumo – scritto dallo studioso, scrittore, filologo e critico letterario Marco Santagata (scomparso lo scorso novembre), ci si rende conto che nella vita del “Sommo Poeta” vi sono state altre due donne altrettanto importanti: Tana e Gemma, rispettivamente sorella maggiore e moglie.

Di loro poco si parla, eppure (come Santagata mette in evidenza nel libro, appunto intitolato “Le donne di Dante”) sono state le uniche persone, insieme alle rispettive famiglie, che lo hanno aiutato nei momenti più critici dell’esistenza.

Marco Santagata nacque a Zocca, il 28 aprile 1947. E’ morto a Pisa il 9 novembre 2020, all’età di 73 anni.

I tre livelli presenti nel libro

Lo studio condotto da Santagata si è svolto su tre livelli: quello storico, quello di divulgazione e quello di narrazione (con elementi e spunti di immaginazione).

Il libro, edito da edizioni il Mulino, uscirà nelle librerie il 4 febbraio 2021. Nel volume, corredato da bellissime immagini, l’autore racconta delle donne di famiglia, di quelle amate dal poeta, e di quelle che invece compaiono all’interno della Divina Commedia (Francesca, Pia).

Dante, la madre e la figlia

Non tutti conoscono l’influenza sulla vita di Dante di alcune donne come la madre Bella o la figlia Antonia che si fece monaca a Ravenna.

Ecco perché lo scritto di Santagata è molto interessante, oltre al fatto che offre una panoramica completa e dettagliata delle dinamiche sociali e familiari che hanno caratterizzato l’Italia nel Duecento.

La malattia e il ruolo di Tana

Ci sono particolari che lo studioso racconta con grande maestria narrativa, e che riguardano la malattia di Dante ed il ruolo principale che ebbe Tana, la sorella maggiore, durante la sua dolorosa evoluzione.

Beatrice e Laura: il parallelismo

Sono tanti gli episodi narrati nel libro, in grado di incuriosire i lettori che amano Dante e che desiderano sapere qualcosa di più dell’uomo, oltre che del poeta.

Infine, essendo Marco Santagata un critico ed estimatore di Francesco Petrarca, è riuscito a tracciare con abilità descrittiva un parallelismo assai riuscito tra la Beatrice dantesca e la donna amata dal Petrarca.

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