Cultura Hippie Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 03 Jul 2020 18:54:27 +0000 it-IT hourly 1 Dal Rock & Roll delle piccole sale ai grandi concerti all’aperto https://cultura.biografieonline.it/dal-rock-delle-piccole-sale-ai-grandi-concerti/ https://cultura.biografieonline.it/dal-rock-delle-piccole-sale-ai-grandi-concerti/#respond Fri, 03 Jul 2020 17:37:34 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29906 L’arte preistorica viene studiata dall’archeologo attraverso il riconoscimento di strumenti primordiali reperiti negli scavi, quali semplici strumenti a percussione, sonagli, raschiatoi e flauti in osso. Per mezzo degli strumenti si riusciva a creare solo suoni ritmici di accompagnamento, quindi è ipotizzabile che la parte essenziale della musica ancestrale consistesse in ciò che non può essere ritrovato, cioè la voce . (1)

L’importanza della voce per esprimersi musicalmente si ritrova, ad esempio, nella nascita ed evoluzione del teatro greco, nato come espressione religiosa di gruppo, sostenuta dalle voci dei coreuti, che solo in un secondo tempo ha evoluto le parti singole delle prime voci, divenute poi gli attori dediti al recitativo. (2)

Il passaggio evolutivo da esibizione musicale e corale a “recita” ha inoltre causato un primo allontanamento del pubblico, non più completamente interattivo, dagli esecutori, ormai divenuti artisti. Da un lato questa trasformazione ha prodotto i grandi spettacoli greci e romani, che hanno tenuto banco per secoli, dall’altra ha fatto nascere le professioni di artisti itineranti che, spesso da soli, si esibivano nelle piazze dei mercati, contemporaneamente all’evoluzione della musica cantata di impronta religiosa. (3)

Teatro greco e teatro romano

Tra costoro, chi riusciva a raccogliere maggiori consensi poteva aspirare a esibirsi nelle corti nobiliari, dove il pubblico era numericamente ridotto, più raffinato nella cultura musicale e per ciò consolidava dei canoni estetici standardizzati tipici del periodo.

L’americanizzazione della musica in Europa

A cavallo tra il XIX e il XX secolo giungono in Europa i primi accenni di popular music, direttamente dagli Stati Uniti; un esempio può essere trovato, a metà dell’800, con Louis Moreau Gottschalk, che per alcuni anni spopola presentando musicalità caraibiche e afroamericane. Molti autori europei contribuiscono a diffonderle, come Georges Bizet (1838-1875), che inserisce nella sua Carmen la danza cubana “El Arreglito”. Anche Debussy compone alcuni pezzi a carattere afro-americano, ispirato dalle compagnie di minstrels che iniziano a girare per l’Europa, presentando la novità della musica sincopata. (4)

Un secondo passo nell’americanizzazione lo compie negli anni dieci del novecento l’avvento in Europa del tango, musica da ballo liberatoria dell’espressione corporea e – perché no – degli istinti repressi. (5)

Tango Luego Mario Eduardo Aguilera Merlo

Ad esso segue, negli anni venti, l’avvento del jazz: in realtà all’inizio si tratta di balli riecheggianti la “modernità” della nuova epoca. Solo in un secondo tempo prendono piede le grandi orchestre.

La definitiva conquista del vecchio Continente da parte dell’America avviene, però, nell’immediato dopoguerra: al seguito dei soldati statunitensi è presente la loro musica, quella realmente “popular”, sotto forma delle incisioni di grandi musicisti americani realizzate appositamente per le truppe al fronte.

Una volta terminata la guerra, quei dischi – soprattutto di jazz – divengono merce di scambio con i giovani, soprattutto inglesi, che si trovano a contatto con le forme più aggiornate di musica popolare americana. Grazie anche al cinema, quella musica opererà la trasformazione della musica popolare europea, mentre l’originale inizia a spegnersi in patria (5).

Rock & Roll, Rhythm & Blues

Le influenze americane penetrano nel sentire musicale collettivo dei giovani e nelle forme musicali da loro preferite, fin alla conversione al rock and roll, suonato e vissuto però nell’ottica stilistica tipica del folk britannico.

Intorno alla fine degli anni cinquanta anche in GB il Jazz tradizionale inizia a perdere terreno e non è più musica di tendenza; alcune giovani band inglesi si dedicano al Rhythm & Blues e lo acquisiscono integrandovi il folk tradizionale. È il caso dei Rolling Stones, che iniziano come amici che amano suonare insieme e si ispirano a musicisti che trovano unanimemente di loro gradimento.

In questo periodo storico i gruppi musicali agli esordi, quelli meno conosciuti e le avanguardie si esibiscono in pub e balere, locali a capienza limitata; gli artisti famosi, in parte statunitensi, vengono invitati in teatri e sale concertistiche, davanti a poche centinaia di persone o poco più. Il polo di intrattenimento musicale londinese era il quartiere di Soho: qui prende vita lo skiffle nel 1956 e sul finire del decennio vi fiorisce una serie di famosi locali che offrono concerti di jazz e skiffle.

Il Marquee Club, ad esempio, nasce nel 1958 sulle ceneri di una sala da ballo che già aveva tentato senza successo di trasformarsi in punto di aggregazione musicale; nel 1962 inizia con serate dedicate al rhythm & blues.

Rolling Stones, Beatles e l’hard rock

I Rolling Stones, che hanno trovato i primi ingaggi nei piccoli locali in cui è ancora relegata la nuova forma musicale, nel 1962 vi suonano in pianta stabile come “gruppo spalla” di altre band di rhythm and blues, quali Brian Auger, John Mayall and the Bluesbreakers, gli Yardbird e il bluesman americano Sonny Boy Williamson.

I Rolling Stones già nel 1962 avevano un contratto allo Station Hotel, iniziato come occasionale tappabuchi in una giornata piovosa: davanti a tre soli spettatori riescono ad essere talmente convincenti da moltiplicare in brevissimo tempo il pubblico, che spiega il loro successo affermando che “suonano la nostra musica”.

Durante questo periodo avvenne un fatto significativo che può far comprendere come la musica avvince il pubblico e lo rende partecipe. In quelle sale strapiene e con molti posti a sedere non era immaginabile che gli uditori potessero interagire con gli esecutori esprimendosi attraverso il ballo e quindi il pubblico ascoltava fermo e un po’ silenzioso.

Tale situazione poco si avvicina alle coinvolgenti ritualità ancestrali di forte impatto emotivo, come le danze tribali, perciò i Rolling Stones, benché si impegnassero enormemente e trovassero riscontro nella grande affluenza di fans, sentivano che mancava un’indefinibile completamento dell’evento. A questo ovviò un loro collaboratore, che una sera, nel momento clou dell’esibizione, salì su un tavolo, alzò le braccia in
alto e iniziò ad agitarle. La risposta fu immediata e totale, il pubblico rispose all’invito imitando i gesti dell’uomo. (6)

Negli stessi anni in Gran Bretagna si sta sviluppando la variabile nazionale dell’industria musicale, riadattando a scopi commerciali forme musicali americane, come il beat, il blues e il rhythm and blues, che saranno riesportate negli USA da gruppi come Beatles e Rolling Stones; in pratica, grazie alla estrema vicinanza linguistica, gli inglesi sono parte fondamentale nella creazione della popular music consumistica e nel prosieguo sono proprio le band inglesi le più impegnate nel creare il nuovo genere, l’hard rock. (7)

Il capitalismo nella musica

Con la commistione tra USA e Great Britain il capitalismo trova interesse a entrare con forza nel mondo musicale, attirato dalla possibilità di arricchire e iniziano le azioni di marketing: non sono più basilari le capacità degli interpreti, ma la loro presa sul pubblico, ovvero sul potenziale acquisto di dischi.

Il discografico arruola i gruppi esordienti, modifica la formazione per meglio commercializzare l’immagine, vedasi per esempio Jan Stewart, escluso dal manager Andrew Oldham prevalentemente per motivi estetici. Oldham può essere considerato un archetipo di questa nuova figura, trova i Beatles e li lancia, poi li lascia quando non riesce a legarli a contratto con la Decca Record e si rivolge ai Rolling Stones, che invece vengono arruolati.

Un altro fenomeno negativo provocato dal capitalismo nella musica è che, curando il progetto e quindi le vendite, contribuisce a distanziare l’esecutore dal suo pubblico: fisicamente relegando le presenze nelle platee sempre più lontane dal palco e spiritualmente comprimendo i significati musicali, riducendo il musicista a registrare le sue creazioni e spingendo il pubblico ad acquistare il disco per poterlo ascoltare.

A questo cliché sono costretti a sottostare tutti i musicisti che desiderano diventare famosi, anche se hanno un messaggio da offrire; d’altro canto, il musicista stesso ha piacere a vedere ampiamente diffuse le sue opere.

Esistevano già case discografiche specializzate di piccole o medie dimensioni, ma la vera svolta si verifica quando le grandi etichette, compresa la ricerca del nuovo da parte di una larga fetta di pubblico, iniziano a offrire contratti alle band di nuova tendenza.

La moda e la trasgressione

Negli anni sessanta inizia il periodo che può venir definito “della trasgressione”, partendo dalla moda: Mary Quant, che già alla fine degli anni cinquanta aveva iniziato a vestirsi in modo eccentrico, divenuta stilista propone abiti sempre più corti, presentando modelli semplici, colorati e coordinati; lancia la “minigonna” nel 1963, insieme a collant colorati, grandi cinture appoggiate ai fianchi e gli “skinny ribs”, attillati maglioni a costine.

Altri stilisti la seguono, venendo incontro allo stile casual dei giovani, tra cui Barbara Hulanicki, che nel 1964, con un’attentamente studiata operazione commerciale apre Biba, negozietto-bazar di sue creazioni destinato a divenire un punto fermo nella moda. Le attività degli “alternativi” si concentrano a Soho, soprattutto lungo Carnaby Street, e proprio in questa zona alcune band – tra cui i Rolling Stones – stabiliscono la loro base per lavorare.

Nel frattempo si verifica un importante cambiamento culturale nelle giovani generazioni, che prediligono trasgredire anche altre imposizioni estetiche e comportamentali degli stereotipi inglesi, riassumibili in giacca, cravatta e bombetta. Appaiono sempre più spesso ragazzi con i capelli più lunghi del normale e che assumono atteggiamenti volutamente trasgressivi, da “cattivi ragazzi”.

Contemporaneamente, negli Stati Uniti dagli stimoli espressivi della Beat generation si originava un movimento di controcultura formato da persone che, partendo dal rifiuto della guerra in Vietnam e delle convenzioni borghesi, propugnavano e praticavano la rivoluzione sessuale e l’uso di allucinogeni come LSD e cannabis, ascoltando rock psichedelico e musiche di protesta, alla ricerca di un nuovo equilibrio sociale: la cultura hippie. Molti di costoro portavano vestiti colorati e sognavano un mondo impregnato di pace e libertà totale, non solo dalle convenzioni.

La moda e i valori hippie hanno avuto un notevole impatto sulla cultura, influenzando la musica popolare, la televisione, il cinema, la letteratura e l’arte in generale e molti suoi aspetti sono diventati di comune dominio, compresa la diversità culturale e religiosa e le filosofie orientali.

È evidente che nel corso degli anni sessanta avviene una commistione tra economie di mercato e preferenze musicali diffuse. Le produzioni che vengono veicolate attraverso canali tipicamente consumistici sono però quelle gradite dalle classi socioeconomiche basse, parlano alle minoranze e invitano gli oppressi ad alzare la testa. (8)

Quindi la domanda che ci si potrebbe porre è la seguente.

Quanto pesa in generale il market sulla diffusione delle musiche e degli stili di vita?

Un diverso approccio, stimolato dallo studio delle tipologie proposte da Merrian, in cui si ricercano collegamenti tra musica e dinamiche culturali, suscita invece l’interesse a indagare su quanto lo stile di vita hippy ha influenzato i cambiamenti sociali degli anni sessanta e settanta. (9)

I festival musicali

Riguardo a ciò, è palese che la voglia di condividere le esperienze quotidiane tipica della cultura hippy e l’istintiva pulsione umana alla concentrazione di grandi masse – come accadde già in preistoria per la nascita delle prime città – porta alla necessità di trovare luoghi molto molto più capienti del pub o del teatro per le esibizioni di artisti con centinaia di migliaia di fans; nella seconda metà degli anni sessanta si inizia a sperimentare concerti in ampie aree pubbliche che non siano tipicamente destinate a manifestazioni: inizia il fenomeno dei festival musicali.

Il primo ad accomunare rivoluzione musicale e stili di vita alternativi fu l’inglese Reading, iniziato nel 1961, che lanciò definitivamente i Rolling Stones nel 1963. Negli USA esisteva dal 1959 il Newport Folk Festival (10).

Dal 1966 il festival rock divenne il palcoscenico della contestazione giovanile, della nascita della cultura hippie e della rivoluzione sessuale. Il Monterey Pop Festival del 1967 fu un grande evento gratuito, con un foltissimo cartellone di musicisti e un pubblico di ben 200.000 persone.

In Europa uno dei luoghi – poi divenuti simbolici – può essere identificato in Hyde Park a Londra, dove iniziarono a esibirsi i Pink Floyd. (11)

Il 1969 è un altro anno importante per i grandi eventi all’aperto in Europa: i Rolling Stones perduto tragicamente Brian Jones, sentono la necessità di esprimere i loro umori del momento:

“Il concerto ad Hyde Park fu davvero strano. Per certi versi era come ricominciare tuto d’accapo, ma invece di farlo al Crawdaddy club o da qualche altra parte presentavamo un nuovo membro per la prima volta davanti al più grande pubblico che avessimo mai avuto […] dovevamo affrontare il fatto Brian non aveva sol lasciato il gruppo ma anche questo pianeta. Eravamo preda di emozioni contrastanti, suona r e in quelle condizioni era come camminare su una corda molto sottile” (12)

Il concerto, naturalmente gratuito, si dimostra ricchissimo di emozioni già per i componenti della band, che anni dopo ricorderanno ancora la forte comune commozione, i timori per il debutto di Mick Taylor, le problematiche di amplificazione e la loro mediocre prova dal punto di vista musicale. (13)

Ma per il pubblico si tratta dell’apoteosi, dell’avvenimento unico e irripetibile. Sicuramente giocano un ruolo notevole le emozioni e il totale coinvolgimento emotivo in sinergia tra la massa e gli esecutori. (14)

Molti concerti seguono a Monterey e Hyde Park. Sorge il contrasto a sfondo prettamente economico tra le band che propongono l’ingresso libero e gli imprenditori (discografici, agenti e organizzatori) che, da bravi capitalisti, puntano a massimizzare i profitti. Il risultato è che gli artisti vedono assottigliarsi notevolmente i proventi e il pubblico inizia ad assuefarsi al dover pagare per entrare. È una delle cause – a mio avviso forse la principale – del declino per questo tipo di esibizione.

Pochi mesi dopo Hyde park ecco Woodstock, considerato l’apoteosi del fenomeno hippy e della musica ad esso legata: tre giorni di maxi-concerto con 500.000 presenze fanno credere che davvero il rock possa cambiare il mondo.

Festival di Woodstock 1969
Il Festival di Woodstock si tenne dal 15 al 17 agosto del 1969

La rapidissima disillusione giunge, sempre nel 1969, ad Altamont, un festival gratuito voluto dai Rolling Stones allo scopo di favorire il pubblico della costa orientale , ma organizzato pessimamente, che degenera in risse e nella morte di un ragazzo. Infine il festival (a pagamento) dell’Isola di Wight nel 1970, con Doors, Free, ELP , Taste, Jethro Tull, Who e Jimi Hendrix, pubblicizzato a dismisura dai discografici, evidenzia drammaticamente la divaricazione fra esigenze del marketing e ideali giovanili.

Assodato che la scelta degli ambienti condiziona la musica, l’artista e l’ascoltatore, viene da domandarsi quanto il periodo dei grandi eventi abbia influito, in bene e in male, sulla creatività degli artisti e sull’ascesa della cultura hippy, che sembrava inarrestabile ma che ha subito un duro colpo dalla sua mercificazione.

È giusto che l’etnomusicologia, nello studiare le manifestazioni musicali di un popolo, ponga attenzione alla musica delle classi socioeconomiche basse, degli oppressi e delle minoranze. (15)

Esiste però un’altra categoria che necessita di maggiore attenzione, l’universo femminile.

Le cantanti donne

Per secoli la cultura maschilista interconnessa al concetto di capitale e proprietà ha mantenuto la donna in condizioni di minorità. Negli ultimi due secoli la condizione femminile ha iniziato a trovare riconoscimenti e sbocchi, ma siamo ancora molto lontani da una reale parità. In campo
musicale la rivalutazione è iniziata grazie al melodramma, che ha sdoganato dal settecento la presenza di donne sul palco, ma secondo Reublin e Beil, la scarsa rinomanza delle cantautrici è un’omissione imbarazzante nel patrimonio musicale. (16)

Anche se dalla seconda metà del secolo scorso grandi cantanti hanno ottenuto la fama, esse paiono più casi singoli, artiste di altissima levatura come Aretha Franklin. Certamente la rivoluzione sociale iniziata negli anni sessanta, lo stesso fenomeno hippy e le molteplici manifestazioni femministe hanno contribuito a ridurre il divario tra i sessi, ma resta il fatto che i discografici continuano a puntare su cantanti donne di bell’aspetto senza curarsi delle loro reali doti musicali.

Ma siamo ancora lontani dalle condizioni neolitiche, in cui le donne guidavano a pieno titolo il canto corale intorno al fuoco dell’insediamento.

Note bibliografiche

(1) Corso di Storia della Tecnologia del prof. Vittorio Marchis presso il Politecnico di Torino
(2) Aristotele, Poetica, IV secolo a.C.
(3) Raffaele Arnese, Storia della musica del medioevo europeo, Historiae Musicae Cultores, ISBN: 978882223
(4), (5) Weschool, La popular music americana in Europa fino al secondo dopoguerra.
(6) Intervista a Giorgio Gomelsky, 2003
(7) Ira A. Robbins, Encyclopedia Britannica – British Invasion, maggio 2020
(8) Credo, Bruno Nettl (The Study of Ethnomusicology, 2005)
(9) Antropologia della musica, Alan P. Merriam, Sellerio Editore, Palermo, 2000
(10) Alfredo Cristallo, Rock Festival Storie di musici e musica – Gli anni del Festival, in musicastrada.it
(11) Hearn, Marcus (2012). Pink Floyd, Titan Book
(12) Intervista a Keith Richards, According to The Rolling Stones, Weidenfeld & Nicolson, 2003
(13) According to the Rolling Stones, Mondadori, 2003
(14) Sito ukrockfestivals.com
(15) Credo, Bruno Nettl, The Study of Ethnomusicology, 2005
(16) Richard Reublin e Richard Beil, Women in american Song, The parlour Song Academy

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