Cavalleria Rusticana Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 22 Sep 2023 11:33:17 +0000 it-IT hourly 1 Cavalleria rusticana, novella di Verga (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/cavalleria-rusticana-verga/ https://cultura.biografieonline.it/cavalleria-rusticana-verga/#comments Sun, 05 Jun 2016 13:45:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18709 Uno dei testi più significativi scritto da Giovanni Verga è “Cavalleria rusticana“, appartenente alla prima raccolta di novelle intitolata “Vita dei campi” e pubblicata dall’editore Treves a Milano, nel 1880. La storia è ambientata a Vizzini, un paese siciliano, nel secondo Ottocento. I protagonisti del racconto ci fanno rivivere le loro storie e vicende umane provando sentimenti diversi come l’amore, la gelosia, l’invidia, il desiderio di vendetta e il dolore, adottando come metodo comunicativo un linguaggio definito “popolare”.

Cavalleria rusticana - Novella - Giovanni Verga - libro - riassunto
Cavalleria rusticana: la novella di Giovanni Verga è inclusa nell’opera “Vita dei campi“.

La prima parte del testo ha i connotati tipici della commedia, grazie ai dialoghi vivaci che seguono tra i vari protagonisti come quelli, ad esempio, tra Turiddu e la sua amata Lola, e quelli tra Turiddu e Santa.

La seconda parte della novella “Cavalleria rusticana“, invece, ha risvolti simili a quelli della tragedia. L’addio di Alfio alla sua amata Lola e il commovente addio di Turiddu che saluta per l’ultima volta la madre, fanno capire che, da lì a poco, accadrà quello che deve accadere, mettendo in evidenza il cosiddetto sentimento dell’onore e della vendetta, onte che, in quel periodo storico, venivano regolate con il coltello e con il sangue.

Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll’uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche.

Incipit di “Cavalleria Rusticana”

Cavalleria rusticana: riassunto della novella di Verga

Il romanzo è incentrato sulla vita di un contadino siciliano, figlio di Nunzia, che si chiama Turiddu Macca, tornato nel suo paese di Vizzini, che si sta preparando ad intraprendere il servizio militare.

Il giovane appartiene ad una famiglia poco agiata: la madre, infatti, è costretta a vendere la mula per garantire la sopravvivenza della stessa, ma attira su di sé l’attenzione di tutti per il suo modo di porsi e di atteggiarsi, sfoggiando la sua divisa da bersagliere ed in particolare il bellissimo cappello, icona unica e riconoscibile del corpo militare.

Turiddu, anche se viene lusingato da parecchie donne, ha occhi solo per la bella Lola, figlia del massaio Angelo. Tra loro, inizia un corteggiamento e poi l’amore e i due si fidanzano prima che lui parta per il servizio militare.

Durante la sua assenza, Lola però viene a conoscenza di un ricco carrettiere che si chiama Alfio, che riesce a rapire sentimentalmente la giovane donna. Dopo un lungo periodo di frequentazione con Alfio, Lola decide di cancellare definitivamente dalla sua vita il giovane Turiddu e di fidanzarsi con Alfio. Quando Turiddu, al suo ritorno, viene a sapere della notizia del fidanzamento di Lola cerca tutti i modi per riuscire a dimenticare la ragazza, ma senza riuscire ad ottenere il risultato sperato. Il colpo di grazia arriva quando Lola decide di convolare a nozze con Alfio, per poter anche godere di un tenore di vita migliore, visto il livello sociale più alto del suo prossimo sposo. A questo punto del racconto si evidenzia la svolta di vita che il giovane Turiddu deve affrontare. Ormai, apparentemente rassegnato ad aver perso definitivamente la sua Lola, è costretto a lavorare come guardiano delle terre, presso il vicino di casa di Alfio, ovvero Massaio Cola. Turiddu, roso dalla gelosia, studia un piano per vendicarsi di Lola.

L’uomo decide così di corteggiare la figlia del Massaio Cola, che si chiama Santa, dirimpettaia proprio di Alfio e Lola. Il giovane riesce così nel suo intento di far ingelosire Lola, senza preoccuparsi della povera Santa che si invaghisce di lui credendo nella sincerità dei suoi sentimenti. Lola, gelosa di Turiddu, studia un piano e decide di invitarlo a casa sua approfittando dell’assenza del marito Alfio. Tra i due, quasi inevitabilmente, scoppia la passione e Turiddu riesce a ottenere il suo scopo diventando ben presto l’amante di Lola. Si avvicina il periodo delle festività di Pasqua e Lola decide di confessarsi per non destare sospetti nella gente e per placare la preoccupazione nata in lei, dopo aver sognato una notte dell’uva nera che, secondo la tradizione popolare siciliana, significa guai in arrivo per la persona amata. Infatti, da lì a poco, Santa si accorge della tresca tra Turiddu e Lola e, sentendosi presa in giro, racconta tutta la vicenda dei due amanti al fratello Alfio, di ritorno da un viaggio di lavoro.

Finale di Cavalleria rusticana

Avuta la notizia, Alfio, accecato dagli istinti di rabbia, dapprima se la prende con la moglie Lola, poi va a cercare Turiddu, per sfidarlo a duello con lo scontro della resa dei conti, che naturalmente accetta, obbediente alle leggi della cavalleria del mondo contadino. Il giorno dopo, Turiddu si reca da sua madre per darle l’ultimo saluto, mentre Alfio fa capire a Lola quello che da lì a poco sta per accadere, il duello. Alfio e Turiddu si incontrano. I due si scambiano il “bacio della sfida” e iniziano a duellare, armati come insegna il codice, di solo coltello. Alfio, all’inizio del duello, sembra avere la peggio, ma poi riesce a riprendersi in extremis e infliggere la sua vendetta mortale a compare Turiddu, finendolo con una coltellata alla gola, riuscendo a dire sole le sue ultime parole prima di morire: “Ah, mamma mia!“. La vicenda si conclude, così, in modo tragico, con la morte di Turiddu tra i solitari fichi d’India della Canziria e, con quella coltellata, Alfio vendica non solo il suo amore ma anche il suo l’onore.

Giovanni Verga
Giovanni Verga

Commento all’opera

Cavalleria rusticana” ha riscosso un notevole successo sia di pubblico che di critica, grazie alle tematiche affrontate dallo scrittore, ovvero il dramma d’amore e di gelosia, che da sempre scatena e mette in luce i pensieri più profondi della mentalità popolare. Ma una altrettanto importante ed indelebile notorietà al romanzo venne portata dal compositore Pietro Mascagni, che scelse la trama del racconto come focus della sua opera e melodramma omonima che andò in scena, per la prima volta, a Roma al teatro Costanzi, nel 1890, risultando essere poi la più nota fra le sedici opere composte dal compositore livornese.

Verga decise però di far causa al musicista e all’editore per far valere i propri diritti d’autore. Il processo terminò con la vittoria di Verga, che ottenne a titolo di rimborso la considerevole somma di 143.000 lire.

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Cavalleria rusticana (opera di Mascagni) https://cultura.biografieonline.it/cavalleria-rusticana-mascagni/ https://cultura.biografieonline.it/cavalleria-rusticana-mascagni/#comments Tue, 17 May 2016 16:58:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18479 La data di nascita dell’opera “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni è il 17 maggio 1890; in questo giorno, questo Melodramma in un atto, fu eseguito presso il Teatro Costanzi di Roma; tale data è stata assunta dalla storia come termine di riferimento, anzi come spartiacque per disegnare l’evoluzione del melodramma italiano di fine Ottocento. Il libretto dell’opera è di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci; la storia è tratta dalla novella omonima di Giovanni Verga. Quella che segue è un’analisi redatta dal Maestro Pietro Busolini, che l’ha diretta nel mese di marzo 2011 in Ungheria, presso il Teatro dell’Opera di Budapest.

Cavalleria rusticana - opera di Pietro Mascagni
L’opera andò in scena per la prima volta il 17 maggio 1890 a Roma

La genesi dell’opera e il contesto storico

Il panorama che l’Italia offriva dopo l’Unità nell’ambito della musica teatrale era variegato, ma tutt’altro che entusiasmante: nonostante le impennate avveniristiche del Mefistofele (1868-1875) di Arrigo Boito, intriso di cultura germanica, e qualche altra velleitaria espressione della Scapigliatura come l’Amleto (1865) di Franco Faccio, il maggiore epigono Verdiano, Amilcare Ponchielli, aveva preferito adagiarsi sugli schemi consolidati dell’opera romantica, con robusti innesti di elementi corali e coreografici recuperati dai modelli del grand-opéra francese (si pensi a “La Gioconda”, del 1876, al suo terzo atto con la “Danza delle ore”); il suo solido mestiere, una buona inventiva melodica, una conoscenza delle voci e dei meccanismi drammaturgici più funzionali avevano fatto di Pietro Mascagni l’unico autore di un certo rilievo nel decennio 1870-1880, e un autorevole maestro di composizione al Conservatorio di Milano.

Ma quando si rappresenta la Cavalleria rusticana, la calma routine di quegli anni viene letteralmente sconvolta (neppure Giacomo Puccini, con Le Villi del 1884 e l’Edgar del 1889, aveva proposto qualcosa di altrettanto originale e provocatorio): si parla di rivelazione, di capolavoro, al limite del caso e dello scandalo; e il giovane musicista livornese diviene all’improvviso famoso, l’opera varca in pochi mesi le Alpi, mietendo successi e riconoscimenti critici ovunque, perfino in Germania e Austria, dove il severo Eduard Hanslick dedica al lavoro di Mascagni un saggio entusiastico. Sull’onda di questo autentico trionfo, Mascagni sarà poi costretto a una attività convulsa, improntata a una volontà di rinnovamento drammaturgico e stilistico, a una sorta di sperimentalismo e di crescita culturale che saranno i tratti caratteristici della sua produzione matura.

Ma al tempo di Cavalleria rusticana egli era pressoché uno sconosciuto: nato in una modesta famiglia di Livorno, iniziati gli studi sotto la guida di Alfredo Soffredini, si era fatto conoscere nella sua città con liriche, pezzi sacri, cantate; trasferitosi poi a Milano per studiare con Ponchielli, aveva respirato l’aria scapigliata iniziando un’opera, “Guglielmo Ratcliff”, tratta da un fosco dramma di Heinrich Heine; poi però aveva abbandonato il Conservatorio senza conseguire il diploma di composizione. E da un grosso borgo della Puglia, Cerignola, dove si era stabilito, Mascagni partecipò al concorso per un’opera inedita in un atto, indetto dall’editore Sonzogno, e lo vinse con questo lavoro – Cavalleria rusticana – ispirato all’omonimo dramma di Giovanni Verga, che con la sua poetica è considerato il maestro del verismo letterario.

Cavalleria rusticana: un’opera fortunata

Senza dubbio, tra i motivi che determinarono la fortuna di Cavalleria rusticana si debbono annoverare il drammatico soggetto, la sua passionalità accesa, l’ambiente popolare: le teste coronate del melodramma romantico (compresa Aida, schiava etiope, ma figlia di re) venivano soppiantate da una classe proletaria dai sentimenti elementari e violenti come amore, vendetta, tradimento, a cui finalmente rivolgeva una qualche attenzione il genere operistico, convenzionale e paludato; i poveri personaggi, diseredati sociali, “vinti”, secondo la qualificazione verghiana – soprattutto Santuzza, ma anche Turiddu e Mamma Lucia – trovano udienza sulla scena lirica, grazie a un compositore che sa interpretarne i moti più profondi e tradurli in un linguaggio essenziale ed efficace.

Del giovane musicista Mascagni, dovette impressionare la vena di canto nuova e personale nella sua spontaneità un po’ irruenta, al limite della volgarità, l’originale impiego delle voci, sospinte verso il registro acuto, che veniva raggiunto con slancio, spesso con una forza confinante con il grido; ma Pietro Mascagni si faceva apprezzare anche per la bella sicurezza con cui manovrava le masse corali, ricorrenti in tutto l’atto, a rafforzare il senso di una presenza di massa, di un popolo in scena; e soprattutto per gli ampi squarci sinfonici, inseriti quasi a dimostrazione che un musicista che volesse essere “moderno” non poteva – dopo l’esempio wagneriano – non affidare all’orchestra un ruolo di spicco, in una rinnovata concezione dell’opera in musica.

Personaggi

  • Santuzza (Soprano)
  • Lola (Mezzo soprano)
  • Turiddu (Tenore)
  • Alfio (Baritono)
  • Lucia (Contralto)
  • Contadini e contadine

Analisi musicale dell’opera

Se questi furono gli aspetti più clamorosi che fecero la fortuna immediata di “Cavalleria rusticana“, a distanza di oltre un secolo non sarà tuttavia difficile osservare che, accanto a evidenti tratti di novità, essa presentava un solido impianto che non rompeva con la tradizione, come invece accadeva per l’altra opera che Mascagni stava componendo – e che interruppe – in quegli anni, l’opera tragica in quattro atti “Guglielmo Ratcliff”.

In questo lavoro giovanile, Mascagni aveva tentato un geniale esperimento sulla parola, alla ricerca di un recitativo-arioso libero, asimmetrico, ad ampie arcate, e di una struttura che prescindesse in toto dalla divisione in numeri chiusi. Ma era naturale che, scrivendo per un concorso, Mascagni non intendesse rischiare troppo, adottando soluzioni che potessero in qualche modo sapere di “melodia infinita”, e attirare su di lui l’accusa di wagnerismo; così, a cominciare dal frontespizio, in cui Cavalleria rusticana è ancora indicata come “melodramma”, l’opera adotta una struttura ripartita “a numeri'”(romanze, duetti, concertati), una distribuzione convenzionale dei ruoli vocali (i due amanti, tenore e soprano; la rivale, l’Altra, mezzosoprano, e l’Altro, l’«Uomo nero» secondo la sorridente definizione di Palazzeschi, baritono); e si apre addirittura con un preludio e, soprattutto, con un coro d’introduzione, secondo la migliore tradizione del melodramma romantico.

Si pensi, però, quale effetto dirompente ha l’inedito inserimento, a sipario chiuso, della serenata di Turiddu in dialetto siciliano (“O Lola ch’ai di latti la cammisa”), con l’accompagnamento dell’arpa, quasi una chitarra amplificata, che interrompe – come una ventata di accesa passionalità – il bel preludio strumentale.

Pietro Mascagni
Pietro Mascagni

L’originalità di Pietro Mascagni si fa notare anche in altre soluzioni: egli recupera le forme chiuse della tradizione solo quando la vicenda drammatica richieda l’inserimento di una canzone; compone insomma quella che si suol definire “musica di scena”, quando, cioè, anche fuori della finzione scenica, nella vita, i personaggi impiegherebbero un canto intonato e non la semplice parola detta. Sono episodi numerosi e inequivocabili: il coro “Gli aranci olezzano” e la preghiera “Inneggiamo, il Signor non è morto”, e poi la sortita di Alfio carrettiere “Il cavallo scalpita”, lo stornello di Lola “Fior di giaggiolo”, il brindisi di Turiddu “Viva il vino spumeggiante”.

Si tratta, con l’inserimento di questi canti, di un’adesione al principio della “verità”, che l’estetica naturalistica trasmette a una forma tipicamente non-realistica come l’opera lirica, avviandone la radicale trasformazione verso il dramma musicale.

Ma là dove il libretto non prevede canzoni o simili, Mascagni propone nella sua “Cavalleria rusticana” soluzioni più geniali e personali, soprattutto per quanto attiene il profilo del recitativo, che viene innervato di una carica melodica a dir poco inedita.

Si sa che per il compositore livornese il problema del recitativo sarà oggetto di riflessioni e sperimentazioni continue, dal primo caso di Ratcliff alla Parisina (1913), su testo di D’Annunzio, fino all’estremo lavoro teatrale, il Nerone (1935); e Cavalleria rusticana offre già risultati eccellenti di questa ricerca: ricordiamo, ad esempio, nella scena di Santuzza con Lucia, la frase «Mamma Lucia, vi supplico piangendo,/ fate come il Signore a Maddalena», o l’attacco del duetto Santuzza-Turiddu “Tu qui, Santuzza?”, che non hanno più nulla del recitativo convenzionale.

E naturalmente questa volontà melodica si estende ancor più alle “romanze”, ai brani destinati ad essere estrapolati dalla partitura e cantati come pezzi da concerto, i quali però hanno un andamento e un taglio che non assomigliano più alla composta stroficità di un “Cielo e mar” dalla Gioconda , o di una “Celeste Aida”: in esse Mascagni adotta un tipo di costruzione “a episodi” (solo rari esempi isolati potevano ritrovarsi in Giuseppe Verdi: pensiamo alla scena aggiunta nel 1865 al Macbeth , “La luce langue”, e alla grande aria di Elisabetta “Tu che le vanità” nel Don Carlos ); sono una serie di nuclei melodici, dei pensieri musicali in sé conclusi, senza rispondenze strofiche, di diversa ampiezza e di carattere contrastante, che seguono lo svolgersi narrativo del testo.

Esempio principe di questo nuovo articolarsi della forma-romanza è la sortita di Santuzza, nella quale si possono individuare almeno tre blocchi lirico-espressivi (“Voi lo sapete, o mamma”, ripreso e variato nel successivo «Tornò, la seppe sposa»; il centrale «Quell’invida» e la chiusa «Priva dell’onor mio») che corrispondono alle fasi di un autentico “racconto” che si dipana di fronte al pubblico, e sostituisce il principio dell’aria lirica, statica, che era stato il retaggio di quasi tre secoli di melodramma. E si consideri anche che l’assolo di Santuzza non si conclude sul la di «io piango», ma si salda senza soluzione con l’intervento di Mamma Lucia «Miseri noi…» e con le altre battute di dialogo fra le due donne.

Analoga la struttura dell'”Addio alla madre“, ove due ampie arcate cantabili, «Ma prima voglio» e «Voi dovrete fare» (riproposto e variato in «Per me pregate Iddio»), sono alternate a episodi in stile arioso, innervato di forti spunti melodici, ma addirittura interrotte dall’intervento di Mamma Lucia «Perché parli così, figliolo mio?», a confermare la violenza al modello del pezzo chiuso che Mascagni intende fare, inserendo nella scena a solo il principio del dialogo. Sono soluzioni formali stabilite nel 1890, a cui guarderà negli anni successivi, facendole sue, Giacomo Puccini, a cominciare dalla scena “Sola, perduta, abbandonata” di Manon Lescaut (1893), grande esempio di aria-racconto.

Il pubblico che decretò il trionfo internazionale di Cavalleria rusticana , forse, non fu colpito dalle novità stilistiche e formali cui s’è fatto cenno; ciò che più trascinò e convinse fu senza dubbio quel senso di “aria aperta”, di Sicilia presa dal vivo, quasi di cinematografia ante litteram, che la partitura suscitava ad ogni momento, al di là degli evidenti ossequi alla tradizione; fu quell’inedito clima paesano tutto d’invenzione, senza alcun rispetto per il folclore siciliano, ricreato con il toscanissimo stornello di Lola o con gli altri canti d’impronta popolaresca (“Il cavallo scalpita”, “Viva il vino”); fu soprattutto il sensuale empito melodico che si espandeva dagli interventi solistici ai cori e alle ampie pagine sinfoniche, come il fortunatissimo “Intermezzo“, di straordinaria inventiva musicale e capacità emotiva, che costituì anche per Mascagni un modello da tener sempre presente, come il celebre “Sogno” del suo Ratcliff , quasi certamente già composto.

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Un nuovo mondo espressivo, per cui gli affetti sono dipinti in scene sintetiche e coinvolgenti, un’originale proposta drammaturgica improntata a una tensione costante, a un’assoluta necessità, venivano scoperti in questo rapido atto ispirato al Verga: e in un’epoca in cui il teatro lirico era ancora un’impresa commerciale redditizia, era naturale che, sull’onda del successo di Cavalleria rusticana, non solo il suo creatore, ma altri compositori ed editori tentassero di riprenderne modelli e ambienti.

La rivincita dell’Italia del Sud nel teatro lirico

Così, negli anni immediatamente successivi al 1890, una vera miriade di drammi passionali e di sangue, di ambiente popolare, e con forti caratterizzazioni regionali, invase la scena operistica, a voler mostrare – come già era avvenuto in letteratura – che il Regno d’Italia non si riduceva solo a Milano, Roma e Torino, ma comprendeva un mondo ben altrimenti articolato, sofferente e drammaticamente isolato dallo sviluppo commerciale e dal progetto sociale che investiva soltanto il Nord della penisola.

Una rapida scorsa ai titoli di quegli anni: Mala Pasqua! (ancora sulla Cavalleria del Verga, del 1890) di Gastaldon; Silvano dello stesso Mascagni e Nozze istriane di Smareglia (entrambi del 1895); Mala vita di Giordano (1892), tratta da ‘O voto di Salvatore Di Giacomo; A Santa Lucia di Tasca, la Tilda di Cilea e soprattutto i fortunatissimi Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, tutti del 1892: è l’Italia del Sud che sul palcoscenico illustre dell’opera fa sentire la sua presenza, troppo a lungo elusa, con i suoi cantori e le sue vicende; è un’Italia ancora povera e semianalfabeta che a teatro, almeno, si sente finalmente rappresentata con una voce sonora e convincente.

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